14 e 18 ottobre: due scioperi
a confronto.
La
partecipazione alle due giornate di lotta in cui le lavoratrici e i lavoratori
della scuola si sono divisi, comunque la si giudichi, segna un sentito e diffuso
disagio, che richiede una ritrovata unità tra tutte le forze sindacali
per contrastare efficacemente le scelte del governo. Di Danilo Molinari. Novembre
2002.
Che senso
hanno due scioperi della scuola a pochi giorni l’uno dall’altro? Questa è
la domanda che più di ogni altra i lavoratori si sono posti prima e dopo le
giornate del 14 e del 18 ottobre. I lavoratori infatti vorrebbero da coloro
che li rappresentano la massima unità, pur nel rispetto delle diverse identità
e delle rivendicazioni. E nonostante vi siano su vari punti posizioni anche
molto diversificate se non contrapposte (riforma, contratto separato docenti-ATA,
diversificazione e gerarchizzazione docenti, ecc.) è comunque fortemente sentita
l'esigenza di un'iniziativa unitaria a difesa della scuola pubblica e a favore
di salari adeguati (i cosiddetti salari europei, di cui parla lo stesso governo).
Comprensibile appare quindi il malumore per l'ennesima divisione tra sigle
sindacali. Ma in questa
occasioni le cose sono un po' diverse, perché il contesto generale in cui
si collocano le due iniziative presenta risvolti particolari. Anzitutto la
natura dei due scioperi è diversa: quello del 14 è uno sciopero generale di
categoria, quello del 18 uno sciopero generale confederale, all'interno del
quale la scuola ha una collocazione di rilievo. Si tratta inoltre di una tappa
importante delle lotte apertesi nella primavera scorsa in nome della difesa
dei diritti di lavoro e cittadinanza, minacciati dalle deleghe governative:
mercato del lavoro (art.18), previdenza, fisco e scuola. Queste lotte hanno
avuto come protagonista principale la Cgil, affiancata dal sindacalismo di
base, e sostenuta con decisione da Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti
Italiani, con molte ambiguità e tentennamenti invece da parte di DS e Margherita
(quest'ultima alla fine ne ha preso decisamente le distanze). All'interno
di questo periodo si è consumata, nel luglio 2002, la rottura dell'unità sindacale
tra Cgil-Cisl-Uil con la firma del Patto per l'Italia. Questo accordo ha fatto
incassare al governo l'appoggio di Cisl e Uil, oltre che di Confindustria,
alle sue politiche sociali isolando la Cgil, che ha ricevuto però ampi consensi
da parte dei lavoratori. In estate gli ultimi atti di Cofferati, in scadenza
di mandato, sono stati una campagna di raccolta firme in difesa dei diritti
minacciati dall'azione di governo e l'annuncio di uno sciopero generale per
l'autunno, indetto poi simbolicamente per il 18 ottobre. E' in questo
contesto che si inserisce lo sciopero della scuola del 14, proclamato da Gilda,
a cui aderiscono Cisl, Uil, Snals, Unicobas, Cossma, Unams, ecc., che assume
quindi significati che vanno oltre quelli rivendicativi di categoria. Questo
sciopero appare subito carico di ambiguità. Da una parte c'è sicuramente una
sofferenza del mondo della scuola (il contratto scaduto, i tagli subiti, le
avvisaglie della nuova finanziaria, una riforma minacciosa, ecc.) che spinge
a rivendicazioni sentite dalla categoria. Ma allo stesso tempo appare abbastanza
evidente che queste ragioni, sacrosante, non sono le sole di tutta la vicenda.
Esse fungono anche da pretesto per intralciare lo sciopero generale del 18,
benché l'operazione non sia riuscita, come dimostrano i risultati degli scioperi.
I dati
degli scioperi Lo sciopero
del 14 ottobre è stato un fallimento sia per la partecipazione che per i risultati
conseguiti. I dati definitivi parlano di un'adesione del 15,14% su scala nazionale,
con un andamento assai differente tra Centro-Nord e Centro-Sud, dove la partecipazione
è stata abbondantemente al di sotto della media nazionale e al di sotto delle
aspettative. Al Centro-nord basse percentuali di adesione (inferiori o pari
al 10%) si sono avute a Biella, Bologna, Como, Pisa, Pordenone e Varese. Al
Centro-Sud le province con risultati sotto il 10% sono molte di più: Avellino,
Catania, Crotone, Matera, Messina, Reggio Calabria, Taranto, Trapani, Vibo
Valentia; percentuali decisamente più basse a Siracusa (6,99%), Catanzaro
(5,91%), Brindisi (4,69%) e Isernia (1,68%). Il sindacato più penalizzato
è stata la Cisl scarsamente seguita dalla sua stessa base: in provincia di
Milano, ad esempio, dove può vantare circa 8.000 iscritti, il numero complessivo
di coloro che hanno aderito allo sciopero, compresi militanti e simpatizzanti
di Uil, Gilda e Snals, è stato solo di 8.679, pari al 16,73% del totale degli
operatori scolastici. Le uniche province dove si può parlare di relativo successo
dello sciopero, con un dato superiore al 30%, sono Brescia (30,32%), Gorizia
(31,69%) e Imperia (32,20%), zone che nelle elezioni RSU del 2000 hanno fatto
registrare buoni e anomali consensi per Gilda e Snals (almeno il doppio se
non più rispetto alla loro media nazionale): Gilda il 21% a Gorizia; Snals
il 35% a Brescia e addirittura il 52% a Imperia. Vi sono poi più di una ventina
di province dove la partecipazione ha segnato percentuali superiori al 20%:
Aosta, Novara, Asti, Pavia, Treviso, Vicenza, Udine, Trieste, Parma, Reggio
Emilia, Modena, Forlì, Ferrara, Massa Carrara, Livorno, Lucca, Prato, Arezzo,
Rieti, Macerata, Palermo, Ragusa, Nuoro, Sassari. Dello sciopero
del 18 ottobre si hanno ancora dati parziali, sia da fonti ministeriali che
sindacali: nella peggiore delle ipotesi si può presumere che alla fine il
risultato si attesterà intorno al 25% su scala nazionale. Infatti, i rilevamenti
relativi a poco più di 2/3 delle scuole davano un risultato del 27-28% nazionale,
con un 33% al Nord, 31% al Centro e 21% al Sud. I risultati migliori, superiori
al 50%, a Bologna, Firenze e Pisa: le prime due province confermano i consensi
ottenuti da Cgil e Cobas alle elezioni RSU del 2000; la terza invece è nettamente
al di sotto di quel consenso (76% complessivo, di cui 30% alla Cgil e 45%
ai Cobas). Buoni risultati, superiori al 40%, in una decina di altre province:
Torino, Genova, Savona, La Spezia, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Ravenna,
Venezia, Livorno, Siena, Roma, Cagliari. Percentuali di adesione inferiori
o pari a quelle del 14 si sono registrate in poco meno di una ventina di province:
Novara, Vercelli, Asti, Imperia, Pavia, Brescia, Udine, Gorizia, Forlì, Frosinone,
Pesaro, Pescara, Ascoli, Macerata, Foggia, Bari, Lecce, Enna, Ragusa. I lavoratori
della scuola non hanno seguito le indicazioni dei promotori dello sciopero
del 14, ma hanno preferito accordare i propri consensi a Cgil e Cobas, il
cui successo è indiscutibile anche se non travolgente. Si tenga infatti conto
che Cisl, Uil, Snals e Gilda, su scala nazionale, hanno circa il 75% degli
iscritti a un sindacato (i lavoratori della scuola iscritti a un sindacato
sono meno del 40%), mentre la Cgil ne ha solo il 20% e l'universo del sindacalismo
di base arriva all'1%. Il dato più
recente però da cui trarre la consistenza dei consensi alle diverse sigle
sindacali è quello delle elezioni RSU del 2000, che hanno avuto questo esito:
Cgil 30%, Cisl 22%, Uil 12%, Snals 18%, Gilda 10%, Cobas 6%. Pertanto Cgil
e Cobas insieme arrivano al 36%; Cisl, Uil, Snals e Gilda al 62%. In conclusione
i promotori del 14 sono stati seguiti dal 25% dei loro potenziali sostenitori,
quelli del 18 dal 75%. Gli obiettivi
degli scioperi Anche il
fronte delle rivendicazioni nello sciopero del 14 non è stato molto compatto.
In comune l'opposizione a una finanziaria di tagli e con risorse inadeguate
per valorizzare la qualità della scuola pubblica e le retribuzioni. Dopodiché
nemmeno una parola sulla riforma da parte di Cisl, Uil e Gilda, con l'Unicobas
invece che si oppone al "salto nel buio del ritorno all'insegnante prevalente
o alla maestra mamma", alla "trasformazione di parti significative della scuola
dell'infanzia in succursali degli asili nido", al "ritorno al mero avviamento
professionale sancito nella controriforma Moratti", nonché alla "politica
sociale del governo" e al "patto contro l'Italia del lavoro". Oltre a ciò
va rilevata la contraddizione dei sindacati scuola di Cisl e Uil che prendono
le distanze dalla Cgil e dallo sciopero del 18, (che giudicano mosso da pregiudiziali
politiche nella sua ostinata contrarietà al Patto per l'Italia), ma scioperano
qualche giorno prima contro una finanziaria che stanzia poche risorse per
i rinnovi contrattuali. In realtà
il governo si attiene dichiaratamente entro i limiti indicati dal Dpef (inflazione
programmata all'1,4%) e accettati da Cisl e Uil sottoscrivendo il Patto per
l'Italia che li contiene. Ambiguità irrisolta che è stata punita dai lavoratori,
i quali infatti hanno aderito in maniera modesta a questa mobilitazione, preferendo
le parole d'ordine di carattere più generale dello sciopero del 18. A questa
conclusione perviene anche uno dei più diffusi organi di informazione scolastica
- la newsletter Tuttoscuola
non certo di tendenze "estremiste". Nel n. 72 del 21 ottobre 2002 prende atto
della nuova situazione e sottolinea che "questa volta c'è qualcosa di più,
che va ben oltre l'aspetto quantitativo" delle cifre sulle adesioni ai due
scioperi, sia quelle fornite dai sindacati che dall'Amministrazione scolastica:
"conta ora il nuovo rapporto di forza che sembra essersi creato nel sindacalismo
scolastico. I numeri hanno dato ragione alla Cgil, inutile negarlo, cioè all'organizzazione
sindacale che ha più di tutte radicalizzato lo scontro e la rivendicazione.
Gli altri partner sindacali escono indubbiamente indeboliti dal confronto
indiretto". Se però si
sommano le adesioni del 14 a quelle del 18 si supera il 40%, dato che conferma
una sentita e diffusa sofferenza del mondo della scuola. In numerosissime
province (non solo rosse), tale somma supera il 50%, arrivando quasi al 70%
ad Aosta, Bologna, Livorno, Firenze. Ciò sottolinea l'urgenza del ritrovamento
di un minimo di unità da parte di tutte le forze sindacali per contrastare
con successo almeno gli aspetti più deleteri delle politiche scolastiche del
governo: i tagli agli organici che intendono colpire in maniera indegna i
lavoratori con problemi di salute oltre che i precari e gli ATA; i tagli alle
risorse che mirano alla distruzione e alla destrutturazione della scuola pubblica.
Queste operazioni dovrebbero conseguire un risparmio di 425,8 milioni di euro
(circa 820 miliardi di lire) in quattro anni, secondo i calcoli della commissione
cultura della camera dei deputati (fonte: Italia Oggi del 15 ottobre 2002).
Risparmi invece di investimenti (promessi e non mantenuti) per la scuola pubblica
fanno il paio con la volontà (questa sì dichiarata e perseguita) di favorire
l'istruzione e la formazione privata. La destra al governo in Italia ha come
obiettivi la privatizzazione e la riforma classista della scuola. Nella stessa
direzione si muovono i governi suoi omologhi di altri paesi d'Europa, Francia
e Spagna in primo luogo. Ma come in
Italia anche in questi paesi i lavoratori della scuola non se ne stanno zitti.
Gli scioperi della scuola italiana si inseriscono quindi anche nel solco di
analoghe iniziative dei loro colleghi francesi e spagnoli. Lo sciopero del
17 ottobre in Francia contro la "décentralisation" (che prevede tagli e ristrutturazioni
mediante il trasferimento di competenze a enti locali) e quello del 29 ottobre
in Spagna contro la "Ley de Calidad" (canalizzazione scolastica in base al
rendimento) rilanciano prospettive di internazionalizzazione delle lotte contro
le riforme antipopolari dei governi di centrodestra in campo scolastico. Il
contesto generale quindi è favorevole per un rilancio delle iniziative a sostegno
di una scuola pubblica, democratica e di qualità per tutti, a patto però che
giunga a un'unità di intenti e di partecipazione tra i sindacati e tra le
diverse componenti del mondo della scuola.