Riflessioni sul Tempo Pieno.
Dimenticateci,
abbiamo bisogno di silenzio. Di Clara Bianchi e Marinella Vignolo maestre
elementari nel Tempo Pieno di Milano. Dal sito della
Rete di Resistenza a Difesa
della Scuola Pubblica. Ottobre 2002.
Elementari
ancora nell'occhio del ciclone La maestra
prevalente e la “coppia” nel T.P. Si taglia
ciò che si vuole introdurre con la sperimentazione Il portfolio Pensare positivo Clara Bianchi e Marinella Vignolo dal sito della Rete di Resistenza a Difesa della Scuola Pubblica,
Milano:
Tocca sempre alla scuola elementare essere investita per prima dalle riforme;
non che a noi maestre piaccia tirare a campare, e non ci lamentiamo per paura
del lavoro che ne può derivare, ma non ne capiamo il senso.
Perché accanirsi così nel cambiare continuamente la parte della scuola italiana
che funziona meglio? Forse perché noi maestre siamo delle “sgobbone” e a volte
troppo silenziose; non dialoghiamo con la scena pubblica, meno rivendicative
dei colleghi laureati delle superiori, poco autorevoli, poco visibili, poco
acculturate. Spesso convinte più dei nostri limiti che dei nostri meriti e
questo il Ministero lo sa bene da almeno un decennio. Noi siamo sempre da
formare, non c'è mai fine a questo bisogno di dirigerci, di accompagnarci
con istruzioni, con azioni ben precisate da seguire passo dopo passo. Pensiamo
che in questo momento le maestre e i maestri non vogliano più essere “distratte/i”
dal loro lavoro e che desiderino responsabilmente e davvero in autonomia,
restituire senso ai loro Collegi dei Docenti, ai loro POF; senso al loro andare
a scuola e alla Scuola.
Per favore dimenticateci, almeno per qualche anno. Abbiamo bisogno di silenzio.
La relazione con bambine e bambini mette in gioco un ’intensità emotiva-affettiva,
che richiede serenità, pienezza e autenticità di sé; ha bisogno di cura, lentezza
e “vuoti ”.
Argomento caldo della nuova era Moratti nella scuola elementare è “la maestra
prevalente ”.
Non è la maestra prevalente talora sperimentata nei moduli che non abbiamo
mai amato; qui ci troviamo di fronte ad una maestra unica più che prevalente,
che programma il proprio lavoro da sola, che sta più tempo in classe e sta
lontano da mensa e cortile dei giochi; che coordina altre colleghe intente
a gestire attività di laboratorio “pratico ”, soprattutto il pomeriggio. Per
chi come noi ha vissuto l’esperienza del Tempo Pieno inteso come tentativo
di attuare alcuni punti fermi della pedagogia contemporanea quali svolgere
i programmi in tempi più distesi, tenere il passo dei meno bravi, introdurre
nuove tecniche didattiche, valorizzare la socializzazione abbattendo le barriere
personali e sociali, la proposta del ministro Moratti è un grave passo indietro.
Prevalente, che vale sopra altri,che è più importante.
Nel nostro DNA c’è scritto che si collabora, non si prevale. Magari si confligge,
ci si scontra, si discute, ma poi si trova un equilibrio necessario. Nel Tempo
Pieno abbiamo imparato, anche faticosamente talvolta, a condividere con la
propria collega di classe e con le colleghe di interclasse “tutto”.
Per noi la crescita professionale è venuta attraverso un arricchimento contagioso
che parte spesso da colei che in quel momento, per esperienza, per competenze,
per passione, è capace di far intravvedere possibilità nuove di lavoro.
Siamo cresciute parlando insieme anche dei lati più oscuri del mestiere, di
come affrontare il bambino rompiscatole, quello che ti fa impazzire con le
sue turbolenze e provocazioni. Questi spazi di dialogo sulle difficoltà di
relazione rappresentano anche momenti importanti di sostegno reciproco che
solo un rapporto tra “pari-degni ” permette di sopportare senza vergogna e
disagio. Chiunque lavori nella scuola elementare sa che questa è la vera sfida
del mestiere oggi.
La "coppia" rappresenta una mediazione efficace e ricca di potenzialità tra
le diverse esigenze che comporta il nostro lavoro a contatto con bambini e
bambine che vanno dai sei ai dieci anni, un ’età “d’oro”.
L'essere in due ad entrare, con pari responsabilità, tempo e "ruolo", in una
classe, costringe ad uno scambio e obbliga ad una comunicazione garantendo
ai bambini e alle bambine uno "sguardo" più attento e meno onnipotente (quattro
occhi vedono meglio di due). La coppia garantisce la possibilità di approfondire
tematiche disciplinari/formative suddividendo i compiti tra due persone e
non addossandole ad un unico docente riducendo di molto il rischio di disciplinarismo,
rischio che in molti casi i moduli hanno corso.
Il non essere costretti ad “insegnare” tutto, lascia spazio a riflessioni
sul come si insegna un ambito; favorisce la possibilità di evitare la banalizzazione
del sapere, di un sapere in pillole da condensare in poco tempo con uno stile
più libresco che attivo. Permette di arricchire di pratiche laboratoriali
che una maestra costretta ad insegnare tutto non ha il tempo umanamente di
pensare. La ricerca nel campo della didattica disciplinare e l'esperienza
pedagogica degli ultimi anni dovrebbero aver definitivamente affossato l'idea
di una maestra tuttologa.
Uno degli aspetti più importanti della maestra che insegna matematica e poi
fa teatro ed è presente attivamente nella mensa e nel gioco è proprio svelare
un adulto/a significativa per loro che si fa più vicino/a.
“Fare” e “Pensare” generano sapere. La proposta della separazione del curricolo
in due tronconi, uno (linguistico-matematico) privilegiato rispetto all'altro
(le "educazioni") con una marginalizzazione e svalorizzazione di attività
e figure, porta con sé gravi conseguenze.
Nel Tempo pieno si è tentato spesso con buoni risultati di creare una scuola
“ricca ”, favorendo l’integrazione tra “pensiero” e “azione”. Si “pensa” e
si “fa” sia il mattino che il pomeriggio, integrando la vita scolastica anche
con un “extra” scuola significativo nel quale sono coinvolte entrambe le maestre
e tutti i bambini e le bambine della classe (settimane di Scuola Natura, uscite
ai musei, ai laboratori scientifici, gare sportive, progetto nonni …), anche
grazie alla disponibilità di tempo che il modello consente.
Noi maestre sappiamo quanto sia difficoltoso ma affascinante il procedere
dall’esperienza che ogni bambino/a porta a scuola all’organizzazione del pensiero
che riflette sulle esperienze. La scuola deve offrire molte occasioni di attività
concrete che guidate generino pensiero.
Questo pensiero non è mai separato dalle emozioni, che accompagnano l’apprendere,
lo stare con altri/altre. Ciò comporta una cura attenta delle relazioni che
si intrecciano all ’interno di una classe di cui gli adulti e le adulte devono
essere consapevoli e responsabili.
A proposito poi di inglese e informatica, non si capisce perché si taglino
progetti ed insegnanti in moltissime scuole del Paese quando inglese ed informatica
rappresentano le attività più importanti secondo la riforma. Forse che le
scuole che hanno aderito alla sperimentazione, potranno fare inglese ed informatica
grazie ai soldi risparmiati tagliando fondi e progetti alle scuole che non
hanno fatto “atto di sottomissione” alla riforma? L'ossessione del risparmio
sul "pubblico” sembra nascondere una tendenza autoritaria nel riproporre un
modello già superato nella pratica da parecchio tempo. Sentiamo odore di "nostalgie"
di ordine e disciplina rassicuranti.
Il “portfolio personale” che segue il bambino e la bambina tutta la vita,
rischia di fissarne un’immagine che fatica a coglierne i mutamenti a volte
rapidi e imprevisti e che li condanna ad una fissità valutativa irrevocabile.
Il “portfolio personale” ha in sé il rischio di una eccessiva burocratizzazione
del lavoro dell'insegnante per l'elaborazione dei piani di studio personalizzati,
che presupporrebbero inoltre un esiguo numero di alunni, e non classi numerose
come quelle dei grandi centri urbani.
Questo ritorno alla scuola
dai percorsi differenziati per censo, mercificata al punto che non è più scuola
per tutti e di tutti, che restaura la scuola del mattino, è frutto del “Successo”
come valore assoluto, dell’abbandono dell’idea di solidarietà sociale e cooperazione
nel lavoro. In una società globalizzata e competitiva i figli sono coccolati,
rimpinzati, ma non considerati come persone, sono da “certificare” in competizione
con gli altri. Nonostante la situazione non sia delle migliori, siamo ottimiste,
convinte che ci saranno sempre insegnanti, genitori, studenti che continueranno
a rendere possibile una “buona scuola” dentro le crepe della restaurazione.
grazie a Cristina Mecenero
del movimento dell ’Autoriforma gentile e a Enzo Mazzi per gli stimoli che
ci hanno fornito
Milano 11 ottobre 2002
http://www.retescuole.net