La California boccia il voto sulla scuola.
Niente parità per gli istituti privati. Ma il referendum ha diviso la New Economy. Di Federico Rampini. La Repubblica 8 novembre 2000.


SAN FRANCISCO - No alla parità assoluta tra scuola pubblica e scuola privata: è il verdetto degli elettori californiani, che ieri assieme al voto presidenziale erano chiamati a pronunciarsi per referendum sul tema esplosivo dell'accesso all'istruzione privata. E' stato sconfitto alle urne il referendum - detto Proposition 38 - che avrebbe creato un sistema di "vouchers" (buoni-scuola) per erogare un contributo statale di 4.000 dollari all'anno (oltre otto milioni di lire) ad ogni scolaro o studente iscritto a una scuola privata di questo Stato. Il referendum ha diviso la New Economy: a promuoverlo era un venture capitalista della Silicon Valley, ma la maggior parte degli imprenditori della zona lo hanno sconfessato e hanno appoggiato un rilancio degli investimenti nel sistema scolastico pubblico.
Il test politico della Proposition 38 era seguito con attenzione in tutti gli Stati Uniti e anche all'estero. Il tema scuola pubblica-privata infatti è ovunque molto sentito: lo stesso George Bush è favorevole a un sistema di "voucher" per facilitare l'accesso al privato. E spesso la California è stata un laboratorio politico di innovazioni che poi hanno contagiato il mondo intero: nel 1978 la vittoria della Proposition 13, un referendum locale anti-tasse, segnò l'inizio della rivolta fiscale e della lunga "rivoluzione neoliberista" sfociata nel reaganismo (Ronald Reagan fu governatore della California prima di conquistare la Casa Bianca).
Questa volta il referendum avrebbe esteso a tutto lo Stato californiano - il più popoloso degli Usa - il sistema dei "voucher" che finora è stato sperimentato solo su scala ridotta, per esempio nelle città di Cleveland e Milwaukee. La Proposition 38, in caso di vittoria, avrebbe offerto la possibilità di usare i buoni da 4.000 dollari annui a tutta la popolazione scolastica californiana: in totale sei milioni e mezzo di ragazzi. A lanciare questa iniziativa è stato Tim Draper, fondatore della società di venture capital Draper-Fisher- Jurvetson, che ha contribuito alla campagna referendaria di tasca propria con un finanziamento personale di 23 milioni di dollari (50 miliardi di lire). Ma di fronte si è trovato avversari agguerriti e in grado di mobilitare risorse ancora maggiori: come il sindacato degli insegnanti pubblici, che ha stanziato 27 milioni di dollari per acquistare spazi pubblicitari tv contro Draper.
La Proposition 38 in apparenza aveva dalla sua una logica economica ineccepibile. Oggi lo Stato della California per ogni scolaro che frequenta il sistema pubblico spende ben più di 4.000 dollari all'anno. Quest'anno, per esempio, il costo delle scuole statali ha raggiunto i 6.700 dollari per studente. E la qualità dell'istruzione non è soddisfacente: nelle cittadine di provincia o nelle periferie residenziali abitate da un ceto medio benestante ci sono spesso ottime scuole pubbliche, ma nei quartieri popolari delle grandi città il livello è disastroso e la scuola dell'obbligo spesso non riesce neppure ad alfabetizzare decentemente una popolazione ad alta densità di immigrati.
Dunque, se il privato fornisce istruzione a costi minori, e se quella pubblica è scadente, perché non creare una sana concorrenza e dare alle famiglie la possibilità di mandare i loro figli nelle scuole migliori? I fautori del referendum hanno fatto il seguente calcolo: se l'iniziativa dei "voucher" coinvolgesse almeno 780.000 studenti, pari al 13% della popolazione scolastica californiana, il risparmio per le finanze pubbliche (minori finanziamenti alle scuole statali) sarebbe tale da compensare totalmente il costo degli stessi "voucher".
La proposta di Draper però ha anche incongruenze e contraddizioni palesi. Oggi le scuole private esistenti in California non sono assolutamente in grado di accogliere un esercito di studenti in fuga dal sistema statale. I posti vacanti negli istituti privati quest'anno sono appena 32.000. Per costruire nuove scuole e reclutare personale insegnante in quantità adeguata, ci vorrebbero anni. Nel frattempo l'eventuale vittoria della Proposition 38 avrebbe beneficiato di fatto una minoranza di privilegiati: cioè quei 650.000 allievi, per lo più provenienti da famiglie benestanti, che già oggi frequentano gli istituti privati. La California si sarebbe trovata a staccare subito un assegno da 3,3 miliardi di dollari (circa 7.000 miliardi di lire) solo per finanziare questa elite. Questi difetti cosi evidenti spiegano perchè il referendum non abbia ottenuto neanche l'appoggio della Chiesa cattolica, che pure gestisce il maggior numero di scuole private in California. Il sostegno a Draper da parte di alcuni luminari della destra economica, come il premio Nobel dell'economia Milton Friedman, non ha spezzato l'isolamento dei referendari.
La sconfitta più clamorosa Draper l'ha dovuta incassare in casa sua. Perfino nella Silicon Valley la Proposition 38 non è decollata. Molti imprenditori celebri della zona - il presidente e l'amministratore delegato della Cisco, John Chambers e John Morgridge, il fondatore della Intel Gordon Moore, il numero uno della Sun Microsystems Scott McNealy - hanno sconfessato Draper e hanno appoggiato invece un'iniziativa per facilitare nuovi finanziamenti alla scuola pubblica. Il problema della qualità dell'istruzione infatti è sentito in maniera acuta dalle imprese ad alta tecnologia della Silicon Valley. La competitività delle imprese nella New Economy è strettamente legata alla qualità delle loro risorse umane, e non si può supplire alle carenze del sistema scolastico nazionale soltanto continuando a importare "cervelli" dall'estero. Gli imprenditori della New Economy realisticamente hanno preferito dare la preferenza agli investimenti nel settore pubblico, anzichè appoggiare una improbabile fuga di massa verso il privato. Il laboratorio politico californiano, almeno in questo campo, non ha fatto il bis della rivoluzione reaganiana.