Pomigliano: eccezione o regola?
L’accordo e il referendum dello stabilimento campano segnano lo spartiacque nelle relazioni sindacali italiane: l’autunno potrebbe essere bollente!!! (di Maurizio Attanasi). Reds - Luglio 2010



Quello che è successo a Napoli, a giugno rappresenta un tragico presagio di quanto potrà succedere nell’immediato futuro in Italia.
Dopo decenni di sovvenzioni pubbliche, di aiuti di stato, di casse integrazioni a carico della collettività, di delocazioni in tutto il mondo alla ricerca di aree geografiche e di governi compiacenti in cui il costo del lavoro risultasse compatibile con l’esigenza della massimizzazione del profitto, ora la Fiat sembra voler cambiare strategia.
La nuova coppia Marchionne – Elkan si è fatta la semplice domanda: perché delocalizzare?
Il fatto che, sul suolo italico, stà apparendo in tutta evidenza, è che il capitalismo nostrano non è più necessariamente costretto a spostare all’estero la produzione, visto che anche qui vi sono tutte le condizioni per ridurre il costo del lavoro uniformandolo a quello del terzo mondo e dei paesi in via di sviluppo, semplicemente agendo sulla limitazione dei diritti dei lavoratori e aggirando i vincoli previsti dalla costituzione, dalle leggi e dalla contrattazione collettiva.

L’accordo di Pomigliano, per come si è determinato e per i contenuti di cui è portatore, ha in effetti spostato la Produzione della Panda dalla Polonia alla Campania, segnando un’inversione di tendenza rispetto le scelte degli ultimi decenni del grande capitale italiano.

Questo accordo non è stato firmato dalla Fiom, il sindacato dei metalmeccanici della CGIL. Contrario all’accordo anche lo Slai-Cobas.

Anche questa volta, come accade spesso ultimamente, la CGIL vuole essere riconosciuta come il sindacato più intransigente nel momento in cui vengono messi in discussione i diritti dei lavoratori, continuamente minacciati da Governo e Confindustria, facendo apparire questi passi indietro come fatti necessari in presenza di illusorie contropartite sul piano della difesa del posto di lavoro e del salario.

Questa volta però la Fiat non si è fidata della semplice firma dei sindacati più disponibili alle politiche cogestive (CISL, UIL, UGL); vista la rilevanza tra i lavoratori di Pomigliano degli iscritti alla Fiom, l’azienda ha deciso di indire un referendum (alla faccia di chi dice che i padroni non sono democratici) per dimostrare che i lavoratori avrebbero sostenuto i piani aziendali e avrebbero cacciato nell’isolamento la Fiom.
La Fiat ha fatto una campagna pro sì dirompente e decisa, agitando anche la minaccia della chiusura dello stabilimento in caso di mancata vittoria in termini schiaccianti sei sì. Ha utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione, comprese le pressioni sui singoli lavoratori, invio di dvd per illustrare la bontà dell’accordo, marcia pro si, del paese (parzialmente fallita!!!).

La Fiom e lo Slai cobas e i partiti della sinistra radicale, a loro volta hanno cercato di opporsi a una campagna mediatica pro-accordo senza precedenti, portata avanti anche dai più importanti mass media.
Si è contestata la legalità stessa dell’accordo che viola principi costituzionali, aspetti normativi e la contrattazione collettiva in vigore.
Si è contestata anche la legittimità della consultazione che non è tra quelle previste dallo statuto dei lavoratori.
Illegittimo il referendum, cosi come illegittimo e francamente vergognoso l’aut aut che è stato dato ai lavoratori: o scegliete il si o la fabbrica chiude!

E che dire del mitico Partito Democratico?
Da sempre ci si chiede quale sia la natura di questo partito, il suo dna, suo pantheon.
Questa faccenda ha fatto definitivamente cadere quei pochi dubbi che a qualche compagno erano ancora rimasti.
Tutto lo stato maggiore del PD, dal segretario Bersani, passando per Veltroni fino alla capogruppo Finocchiaro, hanno sottolineato l’eccezionalità dell’accordo. Le argomentazioni di costoro erano più o meno queste: l’accordo fa schifo ma bisogna firmarlo, ma tutti i lavoratori stiano tranquilli è solo un’ eccezione!

Purtroppo converrebbe far sapere agli illuminati dirigenti PD che è sempre un’eccezione la prima volta; ma poi diviene la regola. E non si capisce perché non dovrebbe essere così.
D’altronde all’imprenditore brianzolo con un’azienda che è un quinto della Fiat cosa gli si potrà obbiettare se “propone” ai propri operai un accordo stile Fiat, minacciandoli di trasferire tutto in Lituania?
L’ha capito anche la Repubblica che il 23 giugno ha scritto “ le aspre condizioni di lavoro che Fiat intende introdurre a Pomigliano, dopo averle sperimentate con successo all’estero, sono la premessa per introdurle prima o poi in tutti gli stabilimenti italiani, da Mirafioria Melfi, da Cassino a Termoli”.

Scelta libera al referendum, che ricorda tanto quando sotto il duce si poteva scegliere la sua lista oppure no!!!

La vittoria c’è stata e diversamente non poteva essere e quei lavoratori che hanno detto si non possono essere criminalizzati ne condannati.
Ma c’è stato il 36 % che ha detto no!
Encomiabili!!!

Ma di fronte ad una vittoria non “bulgara” la Fiat ha titubato e tituba.
E’ apparsa anche l’ipotesi c : una nuova compagnia che rilevasse lo stabilimento, l’attività e con gli operai che ci stanno.
Ma i fieri e combattivi sindacati (Uil, Cisl e Ugl tra gli altri) hanno detto che questa ipotesi è irricevibile, che è stato fatto un accordo e che la Fiat lo deve rispettare; lo rispetterà , ne siamo convinti, sino a quando lo riterrà utile e conveniente per il proprio tornaconto, poi pronuncerà un diktat e i combattivi sindacati firmeranno al grido di tuteliamo gli interessi dei lavoratori.

Hanno però ragione sia Sacconi che la Marcegaglia, leader degli industriali.
Con questo accordo cambiano le relazioni industriali: Sacconi sottolinea che è stata isolata la “logica del conflitto e prevale quella della collaborazione fra le parti nel nome del comune destino dell’impresa”, mentre è sotto gli occhi di tutti che i diritti dei lavoratori vanno a farsi benedire in nome del profitto dell’azienda!

Mala tempora currunt dicevano gli antichi romani, e pessimi sono i tempi che viviamo.
Il Governo su questa faccenda non dice nulla anche perché l’intera vicenda sembra rispondere alle proposte avanzate, per il momento solo in via teorica di riforma di alcuni articoli della costituzione, spesso apostrofata dal cavaliere come un inutile orpello, che frena la sua azione di governo.
Il dramma è che alla maggioranza di questo parlamento, si aggiunge un PD francamente imbarazzante in alcune sue posizioni politiche, una CGIL ormai isolata, gli altri sindacati legati al carro del governo e i lavoratori che sempre più spesso sono costretti a cedere!