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L'IMPERIALISMO
nelle tesi per il V congresso del PRC


Sintesi del dibattito

Si tratta di uno dei principali temi del dibattito congressuale. Semplificando: le tesi di maggioranza partono dal presupposto che siamo entrati in una fase del capitalismo, quello caratterizzato dalla globalizzazione, radicalmente differente dai periodi precedenti (il dibattito sulla questione è riassunto in La nuova fase del capitalismo). Dunque la definizione classica di imperialismo, propria del marxismo novecentesco, non sarebbe più attuale. Dato che ritengono che gli stati stiano perdendo rapidamente sovranità a favore di centri sovranazionali, pensano che sia sostanzialmente superata la divisione analitica tra Primo e Terzo mondo, così come, per la stessa ragione, le contraddizioni tra stati imperialisti abbiano perso di importanza. Le tesi di minoranza invece, considerando l'attuale fase come in sostanziale continuità con quella precedente, ritengono ancora valida l'analisi leniniana sull'imperialismo. Pensano che gli stati abbiano mantenuto intatta la propria importanza e che per questo non abbia perso valore la separazione concettuale tra stati imperialisti e stati dipendenti, così come sarebbero vivissime le contraddizioni tra stati imperialisti. Come si vede dunque la differenza di valutazione sulla questione imperialismo discende in ultima analisi da una diversa analisi circa il ruolo dello stato nella nuova fase (vedi sintesi relativa delle due posizioni). L'area del partito che fa riferimento alla rivista L'Ernesto ha presentato un emendamento alle tesi di maggioranza che è piuttosto vicino su questo specifico punto (questione dell'imperialismo) alle tesi di minoranza (rivista Proposta), anche se si allontana sulla questione delle contraddizioni tra Paesi imperialisti: mentre Proposta sostanzialmente pone sullo stesso piano Europa e USA, L'Ernesto vede un deciso dominio dell'imperialismo USA.


La nostra posizione

Non condividiamo l'impostazione della maggioranza. Quella della minoranza del resto (come anche l'emendamento dell'area L'Ernesto) ci appare troppo "ossificata". Come abbiamo già argomentato in Cosa è la globalizzazione e Paesi imperialisti e Paesi dipendenti, non solo vi è una secca e distinguibilissima differenza tra gli stati imperialisti (USA, Giappone, Europa occidentale, Australia e Nuova Zelanda) e il resto del mondo (registrata da innumerevoli statistiche sulla speranza di vita, il PIL, l'indebitamento, ecc.), ma questa differenza si è andata negli anni approfondendo. E' vero che il neoliberismo ha portato a crescenti differenziazioni sociali anche all'interno dei Paesi imperialisti, ma questi, globalmente, mantengono una struttura sociale propria e tipica, e, a parità di posizione nella scala sociale, i cittadini dei Paesi imperialisti stanno meglio delle corrispondenti figure sociali dei Paesi dipendenti. Una fetta crescente del surplus mondiale viene trasferito dal Sud al Nord del mondo, e questa in ultima analisi è la spiegazione dei drammatici impoverimenti collettivi che fanno vacillare gli stati (Argentina, ecc.).

La questione dei privilegi (relativi e proporzionali alla posizione nella scala sociale) di cui godono gli abitanti dei Paesi imperialisti è ignorata anche dalle tesi di minoranza. Ma proprio questi privilegi costituiscono la ragione materiale del consenso di massa (In Europa e USA) alle politiche guerrafondaie dell'imperialismo (vedi Guerra d'Afghanista: domande e risposte). Ciò non deve certo portarci a considerare le classi subalterne dell'Occidente irrecuperabili "oggettivamente" ad una politica internazionalista. Al contrario, deve spronarci a individuare le parole d'ordine e le azioni più appropriate per far comprendere alle masse oppresse dei Paesi imperialisti che le briciole che cadono dal banchetto imperialista sono ben poca cosa di fronte ad uno stato di guerra permanente, al degrado ambientale, ecc.

Pur condividendo con le tesi di minoranza e con l'emendamento dell'area de L'Ernesto l'osservazione che i conflitti tra stati imperialisti continuano, sotto varie forme, anche oggi, non possiamo però nasconderci che, rispetto ai tempi di Lenin la situazione è cambiata in forma vistosa: sino alla seconda guerra mondiale i vari imperialismi si combattevano sul serio, con guerre. Oggi è indubbio che il grado di accordo tra loro supera di gran lunga le ragioni del disaccordo. Il motivo è semplice: sanno che solo se alleati possono continuare a dominare il resto del mondo. Non a caso i conflitti economici degli anni '90 tra USA ed Europa si sono subito sedati in occasione della lotta comune contro il "terrorismo", contro cioè un rigurgito di ribellione, dai metodi e dalle finalità sicuramente non condivisibili, proveniente dal mondo dei paesi dipendenti.

Ambedue le tesi si riferiscono a Imperialismo, fase suprema del capitalismo di Lenin: quelle di maggioranza ritengono il testo superato, quelle di minoranza del tutto valido. Il libro fu scritto da Lenin nel 1916 per aggiornare la posizione marxista, vecchia di quarant'anni, e che non teneva conto dei grandi cambiamenti di fine secolo. A maggior ragione noi oggi invece di imbalsamare Lenin, dovremmo compiere uno sforzo analogo a quello da lui intrapreso più di ottanta anni fa. La validità di quel testo è tutt'altro che intatta. Esso si basava su due previsioni che erano già abbastanza contestabili all'epoca, ma che poi la storia economica successiva si è incaricata di demolire. Per farla breve Lenin riteneva che il regime di concorrenza sarebbe stato superato da un regime di monopolio: si basava sulle osservazioni delle dinamiche economiche tedesche, dove, effettivamente, all'epoca regnava una forte concentrazione. Oggi possiamo verificare, anche empiricamente, come il regime di monopolio o di scarsa concorrenza sia presente in alcuni rami maturi o protetti (ad esempio quello della distribuzione petrolifera, o quello delle assicurazioni delle auto), ma che la concorrenza sia invece vivacissima in tanti altri (quello della ricerca petrolifera, quello dei vettori aerei, ecc.). La seconda tesi di Lenin era che la nuova fase del capitalismo (l'imperialismo, appunto) vedeva il dominio del capitale finanziario su quello industriale. Non vi è dubbio che anche nell'attuale fase di globalizzazione il capitale finanziario eserciti un potere enorme, ma l'osservazione delle strutture societarie dei vari stati ci mostra chiaramente che, pur con qualche eccezione (di nuovo, la Germania), il capitale industriale mantiene una sua forte, determinante autonomia, in alcuni casi sopraffacendo seccamente quello finanziario (ad esempio in Italia). Dove invece rimane intatta la validità dell'analisi di Lenin è quando egli individua l'esistenza di stati imperialisti e stati dipendenti: tra questi ultimi egli annoverava anche quelli (America Latina) che, pur essendosi liberati dal dominio politico coloniale, continuavano comunque dal punto di vista economico ad essere sottomessi. In ciò noi vediamo un elemento di metodo assolutamente necessario: quando si analizzano gli assetti mondiali non dobbiamo limitarci a considerare solo l'aspetto politico di un Paese, che in un dato momento può essere formalmente indipendente, ma dobbiamo analizzarne l'eventuale schiavitù economica. Un'analisi di questo tipo, ad esempio, non avrebbe indotto negli anni passati tanti in errore, quando si parlava del "miracolo" Corea del Sud: esso si basava sulla "servitù economica" dei debiti, contratti soprattutto con il Giappone. Ciò faceva sì che, pur essendo il PIL individuale di Corea del Sud e Giappone abbastanza comparabile, il primo si dovesse considerare un paese dipendente e il secondo imperialista: come diceva Marx, la somma delle ricchezze di un paese indebitato non è altro che la somma dei suoi debiti.


Stralci dalle
Tesi di maggioranza

"La nozione classica di imperialismo, nei termini definiti da Lenin, Luxemburg e Hilferding, appare oggi inadeguata. Essa "sintetizzava" fenomeni quali la centralizzazione capitalistica al crescente livello dello Stato, la fusione tra capitale industriale e finanziario, gli scontri anche militari tra potenze imperiali per il controllo di risorse, territori, mercati. Oggi, all'opposto, il capitalismo si muove su straordinarie concentrazioni trans e sovranazionali, che condizionano le scelte e la politica degli Stati, anche i più forti, ed è cresciuta l'autonomia dei mercati finanziari. Ma soprattutto, nella generale accettazione della globalizzazione capitalistica che coinvolge tutte le potenze a livello mondiale, i contrasti tra gli Stati non producono di per se né la costruzione di un campo antimperialista né dirompenti contraddizioni di tipo interimperialistico. Come del resto, paesi aggrediti delle grandi potenze, non si trasformano per questo in soggetti antimperialisti."

"Il mondo non è più diviso in blocchi contrapposti, né tripartito tra Primo, Secondo e Terzo mondo, come veniva analizzato da una parte importante del movimento comunista internazionale nel secondo dopoguerra. Tra i paesi che erano inclusi allora nel Terzo mondo, rilevanti sono state le modificazioni sia dal punto di vista economico che politico - si pensi all'est dell'Asia - che renderebbero impossibile proporre unità di condizioni e di schieramenti del tipo di quelli sperimentati nel passato, cioè dei cosiddetti paesi non allineati. Lo stesso contrasto fra Nord e Sud del mondo va riletto alla luce delle nuove trasformazioni. Pur avendo la globalizzazione determinato - come abbiamo già visto - l'aumento enorme delle diseguaglianze tra i paesi più ricchi e quelli più poveri, appare più giusto e fertile leggere le contraddizioni mondiali secondo un asse di contraddizione tra Centro e Periferia del processo di globalizzazione. Anzi tra più centri e più periferie, poiché gli uni e le altre possono trovarsi su scala locale entro gli stessi paesi capitalistici più sviluppati."

"La contraddizioni tra grandi paesi capitalisti non hanno comportato da tempo e non comportano guerre tra loro, non solo a causa del superamento dei confini nazionali operato dalle grandi centralizzazioni capitalistiche, ma anche perché i vari organi di governo del processo di globalizzazione, seppure dominati politicamente dagli USA, servono da camera di compensazione dei contrasti e delle contraddizioni che pure permangono, ed impediscono che questi giungano alla forma acuta di un conflitto armato."

"Questo non significa che nel mondo sia in corso un processo di omologazione assoluta al sistema capitalista, né che tra gli stessi stati maggiori e più forti, in Europa come in Asia, non vi siano contrasti con gli USA: ma questi oggi avvengono entro questo processo di globalizzazione non contro di esso, e l'evoluzione futura di questi contrasti, in senso ulteriormente integrativo o nuovamente conflittuale, è legata all'esito della crisi nel processo di globalizzazione, di cui ora stiamo avvertendo consistenti manifestazioni."

Vedi TESI 14/TESI 15


Stralci dall'emendamento alla
Tesi di maggioranza

"Non esiste né un mondo né un "capitalismo globale" compatto e omogeneo, privo di contraddizioni tra i grandi capitalismi e imperialismi nazionali o regionali, e tra i rispettivi Stati nazionali o raggruppamenti di Stati (Unione europea) che ne supportano gli interessi nella competizione globale. I capitali di comando delle prime 200 società multinazionali che condizionano l'economia e la finanza mondiale, pur avendo filiali in tutti i continenti, sono in buona parte riconducibili a questo o quel gruppo nazionale, solidamente intrecciate col potere politico del proprio Stato"

"Globalizzazione capitalistica, imperialismo e competizione globale sono facce di un'unica medaglia, non categorie interpretative tra loro incompatibili. E' necessario un aggiornamento dell'analisi dell'imperialismo contemporaneo, che tenga conto delle modifiche dei processi di accumulazione. Ma non si giustifica l'abbandono di questa categoria interpretativa, che resta parte essenziale dell'analisi teorico-politica delle forze comuniste e rivoluzionarie del mondo intero (da Cuba alle Farc colombiane, dai comunisti del Sudafrica a quelli indiani e palestinesi, che la realtà dell'imperialismo la vivono quotidianamente e brutalmente sulla loro pelle).

"La competizione tra paesi capitalistici - che non sempre e non necessariamente produce guerre mondiali (tanto più quando, come oggi, lo strapotere militare di uno di essi è soverchiante) - ha i suoi momenti di concertazione e di coordinamento (Fmi, Banca mondiale, Wto, G7-G8), volti a preservare gli interessi complessivi del sistema, a mediare i suoi contrasti interni cercando di impedirne una rovinosa precipitazione. Ma questi organismi sono dominati dai maggiori Stati capitalistici del mondo, non già da un anonimo "capitale globale". E quando scoppiano le guerre, sono questi Stati a condurle, da soli o in coalizione con altri."

vai al testo intero dell'emendamento


Stralci dalle
Tesi di minoranza

"Negli anni Novanta in significativi settori intellettuali della "sinistra critica" e nella stessa Direzione nazionale del nostro partito, è venuta emergendo la tesi del superamento della categoria stessa dell'imperialismo in direzione della rappresentazione di un "impero" globale, omogeneo ed uniforme, a esclusiva dominazione nord-americana, capace di dissolvere ruolo e funzioni dei vecchi Stati nazionali. Da qui anche la rappresentazione dell'Europa come semplice articolazione subalterna dell'Impero e la relativa rivendicazione di una sua autonomia su base "sociale e democratica".
Questa concezione generale da un lato si basa su un'incomprensione profonda della complessità del mondo contemporaneo; e dall'altro lato, negando il carattere imperialistico dell'Europa, disorienta gravemente la stessa azione politica dei comunisti."

"Nei paesi imperialisti di tutti i continenti (USA, Europa, Giappone), la caduta dei salari, il degrado del lavoro, lo smantellamento progressivo delle protezioni sociali, descrivono nel loro insieme un attacco profondo ai livelli acquisiti di sicurezza sociale. Nei paesi a capitalismo restaurato (Russia ed est Europa) o in via di restaurazione (Cina) la reintroduzione del dominio del mercato procede alla distruzione di ogni forma di difesa sociale producendo un drammatico salto regressivo nella vita di centinaia di milioni di uomini e di donne. Nel blocco dei paesi dipendenti, interi continenti, a partire dall'Africa e da larga parte dall'America Latina, conoscono una ulteriore precipitazione della condizione di massa, assieme ad un aggravamento dei livelli di dipendenza coloniale dall'imperialismo. Più in generale l'intera dimensione della vita è investita da una profonda tendenza regressiva, segnata dal moltiplicarsi dei sintomi del degrado, dell'intolleranza, dell'irrazionalismo."

"Lungi dal ricomporre le contraddizioni intercapitalistiche, il crollo dell'Urss dell'89-'91 le ha in qualche modo liberate, entro uno scenario storico profondamente nuovo. I giganteschi processi di restaurazione capitalistica nell'Est europeo e, in forma incompiuta, nella stessa Cina, i nuovi rapporti di forza nei confronti dei Paesi dipendenti, la necessità di ridefinire complessivamente equilibri geostrategici e zone di influenza, hanno alimentato inevitabilmente una nuova competizione mondiale tra gli Stati capitalistici dominanti. E i terreni della competizione stanno interamente dentro il quadro storico dell'imperialismo: riguardano il controllo dei mercati di sbocco, i settori di investimenti e di esportazione del capitale, il controllo di materie prime e mano d'opera a basso costo, i livelli di concentrazione monopolistica del capitale finanziario, il controllo politico-militare delle aree strategiche."

Vedi Tesi 1, Tesi 3