La partita degli organici.
Non una difesa corporativa ma una fondamentale lotta a salvaguardia della qualità della scuola pubblica. Di Danilo Molinari. Settembre 2002.


La questione degli organici, cioè dei posti di lavoro di docenti e ATA della scuola pubblica, parte da molto lontano. Anche il precedente governo dell'Ulivo e i ministri Berlinguer-De Mauro hanno operato in una logica di contenimento della spesa, motivandola con le necessità di razionalizzazione e controllo dei conti pubblici. Il governo ora in carica e la ministra Moratti si sono inseriti in questa corrente, e ricorrendo anch'essi alla giustificazione delle esigenze di bilancio, hanno spinto molto più a fondo la lama del bisturi. L'esordio è stato il taglio di 20.000 posti ATA nel settembre 2001, che ha dato esecuzione a un provvedimento predisposto dal precedente governo.

I tagli futuri?

Uno scambio epistolare tra Moratti e Tremonti dell'estate-autunno 2001, traccia le linee programmatiche di intervento del MIUR (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) sul piano dei tagli e dei risparmi, ed è illuminante di alcune importanti e gravi iniziative assunte quest'estate dal ministero dell'istruzione in vista del nuovo anno scolastico (1). Il carteggio testimonia come Moratti si sia allora impegnata con il ministro dell'Economia Tremonti a ridurre la spesa corrente del MIUR intervenendo direttamente sugli organici con una serie di provvedimenti articolati in otto punti (2).

Tra i provvedimenti programmati ma non ancora adottati vi è la messa in mobilità di circa 8.000 esuberi di insegnanti tecnico-pratici (ITP), di educazione fisica e di educazione tecnica.

Ancor più grave è la volontà di ridurre del 15% gli organici di ogni scuola a favore di contratti d'opera. In questo modo, sotto la parvenza della "libera professione" si sancirebbe la precarizzazione definitiva di un buon numero di docenti, non più coperti dal contratto nazionale ma lasciati in balìa della concorrenza e della discrezionalità dei dirigenti scolastici. I quali avrebbero finalmente anche se solo parzialmente (per ora) la possibilità di scegliersi il personale docente. Chissà poi che le famiglie stesse non siano chiamate a contribuire al finanziamento di questi contratti d'opera! Aldilà di queste considerazioni l'effetto immediato per il Tesoro sarebbe un risparmio del 15% sul costo del personale scolastico, che a detta della Moratti costituisce il 90% del bilancio del MIUR.

Tra i provvedimenti indicati nel carteggio Moratti-Tremonti per contenere la spesa vi è anche una nuova definizione dei criteri riguardanti la dimensione delle istituzioni scolastiche, che si ripercuoterà sulla contrazione dei posti. A un anno di distanza è questo uno degli argomenti che sono entrati nella polemica sulla scuola di questa estate, anche se i suoi frutti il governo li potrà cogliere solo a partire dall'a.s. 2003-2004.

La rete scolastica nazionale è stata ridisegnata nel 1998-1999 dall'allora ministro Berlinguer di concerto con le Regioni, secondo logiche di risparmio che prevedevano una popolazione studentesca consolidata compresa tra le 500 e le 900 unità. Ciò ha comportato l'accorpamento spesso ardito di numerose scuole che non raggiungevano quelle dimensioni. Oggi la ministra Moratti prevede nuovi criteri secondo una logica di maggiore risparmio. La sottosegretaria Valentina Aprea, in un'intervista al Mattino di Napoli del 4 agosto 2002, annuncia l'intenzione di sanare "gli sprechi e gli automatismi", per reperire tra l'altro le risorse da destinare al finanziamento della mini-sperimentazione della riforma (vedi A che punto è la riforma della scuola?). La stessa Aprea ci informa che il MIUR ha recentemente monitorato "le scuole per evitare un’inutile dispersione di risorse", scoprendo che "ci sono realtà scolastiche dove il rapporto alunni-docente è ben al di sotto dei parametri", stabiliti dal ministero in "un docente ogni 9,2 alunni". E aggiunge: "Il monitoraggio è indispensabile per la definizione degli organici per il prossimo anno. Se il numero superiore di docenti non è giustificato, si interverrà". L'applicazione rigida di questi criteri potrebbe portare alla sparizione o all'accorpamento di oltre 2000 scuole, secondo una lista stilata dallo stesso ministero, che include in prevalenza istituti tecnici e professionali, scuole cioè con un numero maggiore di materie (e quindi di insegnanti) rispetto ad esempio a un liceo. Con una nota del 1 agosto il MIUR ha smentito tale iniziativa (3). L'intervista dell'Aprea smentisce la smentita!

Aggiungiamo a tutto ciò gli effetti che deriverebbero dall'applicazione della proposta Bertagna di ridurre il tempo scuola a 25 ore settimanali, a partire dal tempo pieno alle elementari (oggi di 40 ore settimanali), e dal tempo prolungato alle medie (in parte come vedremo già tagliati), qualora venisse approvata la legge-delega Moratti che affida al governo il compito di regolamentare questa materia. Il pericolo è tanto più grave se si pensa che tale scelta è già stata compiuta in via sperimentale dalla provincia di Trento, in accordo col governo.

I tagli presenti

Se questo è ciò che aspetta la scuola pubblica italiana nel prossimo futuro, il presente non è meno problematico e carico di tensioni. Quello che auspichiamo è un atteggiamento da parte dei sindacati scuola radicalmente diverso da quello piuttosto blando e incoerente finora tenuto, CGIL in primis.

Con la finanziaria 2002, è stato approvato un piano triennale di riduzione di 34.000 posti di insegnamento in ogni ordine e grado di scuole, di cui 8.500 a partire dall'a.s. 2002-2003, quello che si va ad aprire. Di questi tagli, 2500 riguardano la scuola elementare, 2000 la media e 4000 la superiore. I tagli non comportano licenziamenti, ma l'adozione di una serie di meccanismi e la riduzione di certe attività (4) che, per la carenza degli organici di diritto (di personale cioè di ruolo, o per meglio dire a tempo indeterminato), è possibile effettuare solo con il massiccio ricorso a insegnanti precari. La questione dei precari, come vedremo, è assolutamente centrale nella vicenda degli organici, tanto più che la loro cronica carenza è stimata in circa 100mila posti, a fronte di un precariato spesso decennale.

Sempre in Finanziaria 2002, mediante l’introduzione della cosiddetta "esternalizzazione" dei servizi ATA (affidamento in appalto a cooperative o società esterne ad esempio dei servizi di pulizia, manutenzione, ecc.), si prevede un ulteriore taglio la cui entità dipenderà da diversi fattori, ma che i sindacati stimano "in alcune decine di migliaia di posti in breve tempo".

Queste prospettive, coniugate con i progetti di controriforma scolastica, hanno dato ulteriore alimento nella primavera scorsa alla mobilitazione di lavoratori della scuola, genitori, studenti. In molte città, da Roma a Napoli, da Palermo a Bari, ecc. si sono formate o si sono allargate e rafforzate reti e coordinamenti di insegnanti, e di insegnanti e genitori. Per la capacità di mobilitazione e l'intervento capillare nelle scuole, nei quartieri e nell'hinterland, si è segnalata la Rete di resistenza a difesa della scuola pubblica di Milano, che oltre a una mailing list gestisce pagine web all'indirizzo http://www.fondfranceschi.it. Queste iniziative di lotta non hanno trovato però una valido e deciso sostegno da parte delle organizzazioni sindacali. Contro i tagli sono stati indetti anche degli scioperi unitari, ma solo a livello locale: particolarmente riuscito quello del 18 marzo in Lombardia, che ha visto una grande adesione di insegnanti e ATA. Ma queste lotte sono state condotte a livello regionale e non nazionale, come le circostanze avrebbero richiesto, dando così segnali contraddittori sia ai lavoratori che alla controparte governativa, che li ha interpretati come segnali di debolezza ed ha quindi mantenuto le sue posizioni di chiusura.

La scelta dei sindacati di tenere una condotta blanda, quasi arrendevole, preferendo alla lotta senza quartiere la trattativa in vecchio stile concertativo aveva poche possibilità di successo. E così è stato: il tavolo di confronto sugli organici col ministero, aperto sulla base dello sciagurato protocollo d'intesa del 4 febbraio 2002, si è chiuso praticamente con un nulla di fatto. La CGIL, nel verbale conclusivo (4 luglio 2002), "dichiara la propria insoddisfazione per le decisioni prese dal governo in merito agli organici del personale docente e ATA ed esprime un giudizio negativo in merito ad una conclusione che in molte realtà conferma tagli che colpiscono il diritto allo studio e la qualità dell'offerta formativa" (5). Laddove ci sono stati dei risultati parziali essi sono il frutto "delle numerose mobilitazioni". In realtà, con il tavolo tecnico di confronto sugli organici si è solo perso del tempo prezioso e svilito le energie profuse dai lavoratori della scuola, dagli studenti, dai genitori, che in molte città si erano mobilitati in gran parte autonomamente. Fallita la trattativa il nuovo anno scolastico si apre all'insegna della lotta. In Lombardia le lezioni riprendono il 10 settembre, e si comincia con uno sciopero unitario CGIL-CISL-UIL che interessa circa 1300 scuole, 100mila insegnanti, 25mila ATA, un milione di studenti. Sciopero che prevede l'astensione dal lavoro la prima ora di lezione per gli insegnanti e la prima ora di servizio per gli ATA. In tutta Italia i movimenti sorti dal basso e autorganizzati devono premere sui sindacati perché manifestino quella determinazione che finora è mancata e giungano finalmente alla proclamazione dello sciopero generale, più volte annunciato e mai indetto, contro l'intera politica scolastica del governo, in difesa della scuola pubblica.

La situazione dei tagli è se si vuole ancor più grave di quella finora descritta. I tagli agli organici della Finanziaria 2002 probabilmente non hanno dato i frutti sperati: meno insegnanti del previsto si sarebbero lasciati allettare dall'idea di sfondare il proprio orario di cattedra oltre le 18 ore per guadagnare quattro soldi in più (vedi nota 4) e siccome alla presenza degli insegnanti in classe non è possibile rinunciare, alla fine il governo ha pensato bene di concentrare ulteriori tagli sul tempo pieno, sui nuovi posti della scuola dell'infanzia (altrimenti detta scuola materna) a fronte di un aumento delle iscrizioni, e sui progetti contro la dispersione scolastica e per favorire l'accoglienza e il successo scolastico di alunni stranieri. Così, durante i mesi estivi, su tutto il territorio nazionale, si è verificata un'operazione di tagli in quelle direzioni.

Con tutti i limiti quantitativi e qualitativi della scuola pubblica, finora è stato garantito lo stanziamento, pur esiguo, di risorse per finanziare distacchi su progetti. Alcuni insegnanti cioè, nelle diverse scuole di ogni ordine e grado, anziché svolgere il lavoro "tradizionale" in aula vengono "distaccati" dalla classe (liberando così un posto per un altro insegnante, spesso precario) e svolgono attività di carattere socio-educativo: facilitare l'apprendimento linguistico degli alunni stranieri, prevenire l'insuccesso formativo, l'abbandono scolastico, ecc. Ora tutto ciò non è più possibile o è fortemente ridimensionato, con grave danno per la qualità dell'insegnamento, con l'abbandono a se stessi di bambini e giovani con difficoltà socio-ambientali, con la drastica riduzione di posti che colpiscono quei lavoratori che coprivano i distacchi.

In Lombardia, regione fortemente urbanizzata e interessata da flussi immigratori, questi tagli rendono particolarmente grave la situazione scolastica: a fronte di un aumento di 12.000 unità della popolazione studentesca lombarda, ai circa 1200 posti tagliati con la finanziaria, se ne aggiungono altri 800 che colpiscono i progetti.

La questione dei precari

Accanto alla contrazione dei posti che, come abbiamo visto, oltre a penalizzare la qualità della scuola pubblica tocca sul piano professionale anzitutto gli insegnanti precari, quest'estate il MIUR, di concerto con il Tesoro, ha proceduto a bloccare sempre per esigenze di bilancio l'assunzione in ruolo di migliaia di precari vincitori di concorso. Era già chiaro in primavera che le 30.000 nuove immissioni in ruolo previste dalle finanziarie degli anni passati e sulle quali esisteva un impegno formale del precedente governo si sarebbero ridotte a 8-9000, nonostante le rassicuranti dichiarazioni stampa sia della Moratti che della sottosegretaria Aprea, che in febbraio garantivano almeno 20.000 assunzioni. Dopo un tira e molla di mesi, fatto di reticenze, dichiarazioni e smentite, si è giunti a fine luglio senza che il governo avesse emanato il decreto autorizzativo delle assunzioni in ruolo, passando direttamente alla fase della nomina delle supplenze (6).

Il sindacato si è attivato per chiedere l'effettuazione delle nomine in ruolo in deroga al termine fissato dal ministero stesso per il 31 luglio e comunque per ottenere a favore del personale interessato la garanzia di tutti benefici giuridici ed economici, e ha promosso al contempo iniziative legali a tutela dei diritti e degli interessi dei lavoratori, a partire da un atto di diffida al governo.

Questa vicenda indecorosa si intreccia con quella dei ricorsi al Tar del Lazio, che a detta di sindacati, dirigenti scolastici e funzionari locali, organi di stampa, ecc. mette seriamente a rischio il regolare avvio dell'anno scolastico in tutta Italia. Il ministero, aldilà dell'oggettività dei fatti, continua a dirsi tranquillo e sicuro di fronte a una situazione che giudica gestibile e ristretta a poche centinaia di casi. E' un fatto però che se in Lombardia si comincia con uno sciopero, in Campania e Sicilia si paventa il rinvio dell'inizio delle lezioni. In Sicilia addirittura si è prodotta una mini-crisi nella maggioranza del governo regionale tra FI e AN dopo che l'assessore all'istruzione Granata (AN) aveva deciso lo slittamento dell'apertura delle scuole al 30 settembre anziché il 17. L'intervento mediatore del presidente Cuffaro (FI) affida ai singoli istituti scolastici la decisione sulla data di riapertura. E' un fatto inoltre che tutti i giornali hanno dedicato ampio risalto alla vicenda, soprattutto nei giorni 22-23 agosto, tanto che c'è chi definisce il 23 "una giornata particolare per la scuola". Ma vediamo per gradi cosa ha determinato e fatto esplodere alla fine dell'estate "il caso scuola".

Tutto ha inizio il 14 giugno scorso, quando il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso di alcuni precari, blocca la circolare ministeriale che permette ai corsisti delle scuole di specializzazione universitaria (i cosiddetti "sissini", dall'acronimo delle scuole di specializzazione in questione) di cumulare ai 30 punti previsti per legge anche i periodi di supplenza effettuati come tirocinio. In questo modo, molti precari con svariati anni di servizio alle spalle si vedevano superati dai corsisti nella formazione delle graduatorie provinciali delle supplenze. Il MIUR rimette mano alle graduatorie, ma senza rispettare appieno il dettato della sentenza del Tar, specie per quel che riguarda il cumulo del punteggio. A questo punto parte un numero più consistente di ricorsi a opera dei precari storici. Il 20 agosto una seconda sentenza del Tar ribadisce l'obbligo della revisione delle graduatorie, in cui si trovano i corsisti. Operazione che a fronte di qualche centinaia di "sissini" interessa circa 40mila precari. E' chiaro a questo punto l'allarmismo che si produce a 10 giorni dalla riapertura delle scuole! (espressione impropria, perché che le lezioni riprendano il 10 o il 17, gli insegnanti ricominciano il 1 settembre, mentre le scuole non chiudono mai e gli ATA, a turno, sono sempre al lavoro). Allarmismo aggravato dalla decisione del ministero di non rivedere le graduatorie e di appellarsi al Consiglio di Stato. Ma secondo Natale Finocchiaro, preside in un istituto commerciale di Roma, "il consiglio di Stato, bene che vada, non si esprimerà prima di un paio di mesi. Andrà a finire che verranno confermati i supplenti ma in via provvisoria, in attesa della sentenza. Poi si vedrà. Il modo peggiore di cominciare" (vedi Repubblica, 24 agosto 2002). Rincara la dose Ignazio Sarlo, preside di una scuola media della cintura di Torino, che afferma "Non siamo ancora in grado di valutare l'impatto dell'azzeramento delle nomine". Responsabile della confusione è "l'insipienza del ministero che poteva intervenire in tempo per sanare e correggere le graduatorie, perché la prima sentenza del Tar del Lazio risale a giugno [...] Adesso ci sono persone scavalcate da altre che non avevano diritto, le quali sono già state nominate per la supplenza annuale. Un vero rebus che si somma ai tagli di cattedre già fatti dalla Moratti. S'avvicinano giorni incandescenti". (Repubblica, 24 agosto 2002).

La bacchettata forse più forte alla Moratti viene nientedimeno che dal sindacato Gilda, vicino agli ambienti del ministero e particolarmente alla sottosegretaria Aprea, per bocca del coordinatore nazionale Alessandro Ameli, che afferma: "Anche in presenza del ricorso al Consiglio di Stato, il ministero dell'Istruzione deve provvedere immediatamente all'aggiornamento delle graduatorie dei docenti in attesa di assegnazione dell'incarico", e giudica "incomprensibile l'ostinazione a non voler modificare le graduatorie permanenti" (7).

Tra i molteplici risvolti di questa faccenda ci sembra interessante quello colto da Giunio Luzzatto, ex direttore dei corsi di abilitazione all'insegnamento dell'Università di Genova, che sostiene: "E' difficile comprendere se le azioni ministeriali siano state determinate da insipienza o da deliberata volontà di nuocere, da colpa o da dolo. E' certo che qualcuno vuol far apparire ingestibile il sistema delle graduatorie, in linea con le posizioni di chi vorrebbe puntare ad una discrezionalità dei Presidi nel chiamare, per le supplenze, personale a propria scelta" (Vedi Repubblica, 23 agosto 2002).

Come si vede una guerra tra poveri, sulla quale il governo inserisce i suoi giochi e le sua furbesca arroganza, allo scopo di screditare sempre più il sistema scolastico pubblico e di aprire nuovi solchi tra i lavoratori, lasciati senza diritti (con le mancate assunzioni) e messi gli uni contro gli altri.

Solo con il mantenimento dell'unità e la compattezza dei lavoratori della scuola, già manifestata in precedenti occasioni, e la ripresa su vasta scala delle mobilitazioni, alle quali i sindacati e in primo luogo la CGIL devono dare un apporto sostanziale e deciso, si potrà sperare di stoppare il governo nella sua opera sistematica di demolizione della scuola pubblica.

 

Note

(1). Questo scambio di missive è trapelato su un paio di giornali ed è apparso poi su alcuni siti sindacali. In una lettera protocollata a Moratti e Frattini del 9 novembre 2001 (Prot. n. 10567), Tremonti si sentiva obbligato a "evidenziare un tendenziale andamento crescente delle dotazioni organiche del personale del Ministero dell’istruzione" e si appellava al rispetto "dell’impegno assunto dal Governo di contenere la spesa corrente". Pertanto richiamava Moratti a dare luogo "alle iniziative compendiate in otto punti nella lettera del Ministro dell’istruzione in data 2 agosto 2001, indirizzata a me e al Ministro per la funzione pubblica".

In quella lettera infatti, Moratti illustrava le linee della programmazione triennale (2000-2003) delle dotazioni organiche della scuola. Dopo aver giustificato la necessità di incrementare le assunzioni [sic!] per coprire gli oltre 100.000 posti vacanti tra docenti e ATA (di cui 40.000 autorizzati per il 2000-2001 e 37.700 richiesti per il 2001-2002) immettendo "sia pure gradualmente" in ruolo i vincitori del concorso del 1999, si impegna o onorare il contenimento della spesa con una serie di provvedimenti i più importanti dei quali sono riportati nell'articolo.

Un impegno formale del ministero coi sindacati avrebbe dovuto portare all'immissione in ruolo di 30.000 lavoratori, docenti e ATA, nel corso dell'a.s. 2002-2003, per sanare parzialmente i 60.000 posti a tutt'oggi ancora vacanti. torna al testo

(2) I provvedimenti indicati nella lettera del 2 agosto sono:

1. la ridefinizione dei criteri di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, d’intesa con le Regioni e con gli Enti locali;

2. la promozione della mobilità professionale e intercompartimentale del personale appartenente a ruoli che presentano situazioni di esubero (per esempio: insegnanti tecnico pratici, docenti di educazione tecnica e di educazione fisica). Le posizioni di esubero ammontano a oltre 8.000 unità;

3. la destinazione di una quota percentuale dell’organico di ciascuna istituzione scolastica (tale percentuale potrebbe corrispondere alla "quota locale" del curricolo che il DPR n. 275/99 quantifica nel 15% dell’orario complessivo settimanale) preferibilmente a contratti d’opera;

4. la trasformazione, per i docenti dell’istruzione secondaria, dell’orario di cattedra in "orario annuale di lavoro" rispetto al quale dovrebbero essere previste, ove necessarie, prestazioni aggiuntive obbligatorie, da retribuire in eccedenza, e il consequenziale contenimento delle supplenze brevi;

5. la razionalizzazione delle classi di concorso per una utilizzazione ottimale del personale;

6. la ridefinizione del profilo professionale dell’assistente tecnico e della funzione docente dell’insegnante tecnico pratico, creando le condizioni per eliminare o ridurre i tempi di compresenza;

7. la riduzione del numero dei docenti "specialisti" (circa 11.000) impegnati nell’insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare facendo ricorso in misura più ampia alla formazione del personale e favorendo il reclutamento di docenti che abbiano superato la prova di lingua straniera;

8. la ridefinizione dei compiti e dei ruoli del personale Ata, nel quadro dell’autonomia degli istituti, attraverso un miglior impiego delle tecnologie informatiche e l’esternalizzazione delle funzioni strumentali. torna al testo

(3) "Quanto a notizie di stampa su una presunta chiusura di 2000 scuole, il Ministero precisa che si tratta di notizie destituite di ogni fondamento". Comunicato stampa del MIUR, 1 agosto 2002. torna al testo

(4) I tagli degli organici si effettuano in vario modo. Una circolare ministeriale del febbraio scorso indica, tra gli altri, i seguenti (vedi circ. n. 16, del 19 febbraio 2002, con relative indicazioni operative del Direttore Generale del MIUR, Zucaro):

  • garantire l'insegnamento della lingua straniera solo nel secondo ciclo delle elementari (dalla terza quindi), sottraendola agli specialisti (insegnanti formati per insegnare la lingua straniera) per affidarla agli insegnanti specializzati (insegnanti "normali" che hanno frequentato corsi di formazione o aggiornamento);
  • portare l'orario in classe dei docenti delle superiori a coprire interamente le 18 ore settimanali, fino a un massimo di 24 ore su base volontaria, a scapito di tutta una serie di attività sia didattiche (es. apertura biblioteca, cura dei materiali audiovisivi, ecc.) che di quotidiano funzionamento della vita scolastica (es. copertura con le ore a disposizione di colleghi assenti)
  • disaggregare gli insegnamenti per consentire la formazione di cattedre tendenti alle 18 ore mediante la scissione di materie comprese in un'unica classe di insegnamento. Ad esempio: se il piano degli studi prevede in una classe 4 ore di italiano, 2 di storia e 2 di geografia, l'insegnante (unico) di quelle materie avrà in quella classe 8 ore di lezione, la sua cattedra sarà composta di due classi per un totale di 16 ore di insegnamento (8+8) e 2 di completamento orario (il più delle volte a disposizione della scuola per supplenze orarie giornaliere). Con la disaggregazione quell'insegnante può avere una cattedra formata da due classi più 2 ore di storia o di geografia, in una terza classe, o addirittura una cattedra di tre classi (8+8+8) se accettasse interamente le 24 ore. Tutto ciò non solo contrae i posti (stimabili in 1 ogni 7-8) ma va detrimento del rapporto insegnanti-studenti con classi che vedrebbero proliferare il numero dei loro docenti.
  • accorpare nella stessa scuola gli spezzoni orari dei corsi serali con analoghi spezzoni orari del diurno (gli spezzoni sono le ore residue che comunque rimangono dopo aver formato le cattedre a 18 o a 24 ore) torna al testo

(5) Il confronto governo-sindacati ha dato come unico risultato l'istituzione di nuovi posti in organico di fatto, cioè la possibilità per un anno di derogare dalle cifre prestabilite affidando dei pacchetti di posti ad ogni regione (ad esempio 220 in Lombardia). Ben misera cosa, visto che questi pacchetti sono garantiti solo per l'a.s. 2002-2003, sono esigui (basti dire che il funzionario ministeriale della Lombardia ne chiedeva il doppio di quelli ricevuti) e i loro effetti compensativi sono totalmente annullati, come si è visto, dal taglio dei progetti. torna al testo

(6) Da una nota della CGIL del 17 luglio 2002 si apprende che quello stesso giorno, in un incontro coi sindacati "il Direttore Generale del Personale ha reso noto che non sono più possibili assunzioni a tempo indeterminato entro il 31 luglio. Le ragioni sono da addebitare al ritardo nell’emanazione del Decreto della Presidenza del Consiglio contenente il contingente di posti su cui effettuare le assunzioni, ritardo dovuto a verifiche finanziarie imposte dal Ministero dell’Economia. Effettuare le assunzioni a tempo indeterminato dopo il 31 luglio significa che avranno solo la decorrenza giuridica in questo anno scolastico, mentre la presa di servizio e la decorrenza economica avranno effetto dall’anno scolastico 2003/04".

Così commenta il sindacato: "La decisione di non assumere o di assumere in modo limitato rispetto agli oltre 100.000 posti vacanti è una scelta sbagliata che produce risparmi irrisori per lo Stato (comunque si devono pagare i supplenti), danneggia i lavoratori che hanno maturato il diritto all’assunzione, aumenta il precariato e dequalifica la scuola pubblica. È, inoltre, inaccettabile che il Governo non sia in grado di rispettare le scadenze che esso stesso si è dato: il decreto Moratti (poi convertito nella legge 333/01) un anno fa ha introdotto la scadenza del 31 luglio per concludere le operazioni di utilizzazione e assunzione del personale. In un anno l’amministrazione non è stata in grado di riorganizzarsi e di coordinarsi con il Ministero dell’Economia ed ora le conseguenze le pagano tutti i precari che saranno assunti solo con decorrenza giuridica e non anche economica". torna al testo

(7) Riportiamo integralmente l'intervento del coordinatore della Gilda, reperibile insieme a quelli di altri esponenti politici di maggioranza e di opposizione, su una rubrica web della CGIL-scuola del 24 agosto (http://www.cgilscuola.it/rubriche/politica/23_agosto.htm):

"Anche in presenza del ricorso al Consiglio di Stato, il ministero dell'Istruzione deve provvedere immediatamente all'aggiornamento delle graduatorie dei docenti in attesa di assegnazione dell'incarico. E' quanto sostiene, in sintesi, il coordinatore nazionale del sindacato della scuola Gilda, Alessandro Ameli in una nota nella quale giudica 'incomprensibile' quella che definisce 'l'ostinazione' del ministero dell'istruzione 'a non voler modificare le graduatorie permanenti. Secondo Ameli lo stesso ministero, in riferimento alle recenti sentenze del Tar, ha ripetutamente affermato che si tratta di pochi casi isolati, ma se ciò è vero allora perché non si provvede rapidamente a sanare la situazione e a ripristinare la situazione di diritto così come la sentenza del Tar Lazio ha sancito? Sentenza che al contrario di quanto affermato da alcuni non è una normale sentenza di un qualsiasi TAR regionale, ma ha valore 'erga omnes', il giudice regionale infatti non si è limitato a dare ragione ai ricorrenti, ma ha parzialmente annullato la circolare ministeriale n. 69 per la parte che consentiva il cumulo di punteggi. In pratica - a parere del leader della Gilda - tutti gli atti conseguenti alla applicazione della circolare annullata sono da considerare nulli e questo vale per tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalla volontà del ministero. In teoria - afferma ancora Ameli - tutte le graduatorie dovrebbero essere rifatte, seguendo la normale procedura e almeno formalmente anche tutte le nomine già fatte andrebbero rifatte, anche quelle di candidati non interessati a modifiche di posizione in graduatoria. A dover risolvere il problema non è solo il ministero, lo sono anche i dirigenti scolastici regionali e provinciali ed i capi di istituto che sono in ultima istanza coloro che debbono firmare i decreti di assunzione. Alcune regioni oltretutto avevano già opportunamente disatteso le indicazioni della circolare ministeriale n. 69, palesemente illegittima, ed avevano correttamente applicato i criteri dettati dalla prima sentenza del Tar Lazio, così è stato in Sardegna e in Basilicata, così sembra si apprestano a fare Sicilia e Campania. A complicare la faccenda c'è il fatto che la mancata applicazione di una sentenza del TAR è un reato penale e i dirigenti scolastici periferici e i presidi saranno disponibili ad incorrere nel rischio di una condanna penale per far contento il ministero? L'allarme della Associazione nazionale presidi nasce evidentemente proprio da questa preoccupazione. Il ricorso al Consiglio di Stato per di più non modifica la situazione, la sentenza del Tar Lazio è immediatamente esecutiva e va applicata se poi il ministero dell'istruzione avrà ragione ci sarà sempre la possibilità dei ricorsi al giudice ordinario per gli eventuali danni dei singoli e il caos sarà totale, oppure il Consiglio di Stato, come è prevedibile darà torto al Ministero, che si troverà ad anno scolastico iniziato a dover rifare tutto daccapo creando a questo punto danni pesanti e disagi agli studenti. La soluzione più logica e meno dolorosa è che il Ministro dia seguito alla sentenza con rapidità, colmando il vuoto normativo determinatosi, i tempi ci sono ancora. D'altronde non si governa la cosa pubblica con l'ostinazione determinata, quando sono in ballo gli interessi di molti, soprattutto degli studenti, è necessario ricorrere alla forza dell'umiltà". torna al testo