Il giorno dopo
Il governo ha convertito in legge il decreto 137. Lo ha fatto a gran velocità, come sta accadendo per tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l'università. Si è giustamente condannata quest'arroganza, ma non ci si è soffermati sul perché. Reds - Ottobre 2008


Perché contrarre i tempi, porre la fiducia, impedire dibattiti? Per disprezzo nei confronti delle Camere? Ma se dispongono di una maggioranza larghissima! La risposta è semplice: discussioni parlamentari prolungate avrebbero facilitato la circolazione di informazioni tra genitori e insegnanti, e dunque avrebbe aumentato la loro capacità di reazione.
I loro calcoli si sono però dimostrati sbagliati.
Il movimento, questo movimento, non cessa d'allargarsi. I nostri governanti, ed anche l'opposizione, non si rendono provabilmente conto di quel che sta accadendo nel Paese.
E' un movimento dal basso, molecolare, incontrollato che sta prendendo forma dall'inizio di settembre, anche se della sua esistenza i media hanno tardato ad accorgersene. Le sue molecole sono i comitati misti genitori-insegnanti delle elementari e delle scuole d'infanzia.
Solo nel milanese ne sorgono di nuovi quotidianamente.

Il governo dice che sono manovrati dalla sinistra. E invece sembra che, proprio la scomparsa della sinistra e di una credibile e combattiva opposizione, abbia fatto comprendere a tutti che per salvare la scuola si doveva far da sé, senza delegare.

Il Governo ha sperato che, grazie alla velocità d'azione, questa massa di gente sarebbe tornata a casa.

Di nuovo, si è sbagliando.
Le tappe forzate imposte da Berlusconi hanno aumentato la rabbia e l'indignazione di questo movimento. La frustrazione non si è trsformata in senso d'impotenza e depressione. Si è scatenata invece una forza che deriva dalla determinazione, dalla fantasia, ma anche da un fattore molto semplice, che ha spaventato sempre, nei secoli, qualsiasi governo in carica: la forza dei numeri.
E più il movimento si ramifica dalle grandi città sino ai piccoli comuni, più questi numeri diventano popolo. Ed è questo l'unico fattore in grado di fermare chi governa questo paese.

Berlusconi può ignorare il movimento, ma non i sondaggi che per la prima volta lo danno in calo, e proprio grazie alla scuola. E tra un po' ci saranno le amministrative... La Gelmini ha dato per persi gli insegnanti, altrimenti non direbbe tali e tante castronerie, nessuno può permettersi però di dar per persi i genitori. Il popolo della scuola è una valanga di lavoratori del settore, ma anche, e ancor di più: papà, mamme, nonni, studenti...

Qualcuno in qualche stanza sta cercando di mettere in pratica le parole che per l'età Cossiga dice ora a ruota libera, dopo averle nascoste per anni.
Ma anche di fronte a questi pericoli occorre non perdere di vista gli obbietivi della lotta. Non bisogna cessare di contare principalmente sul numero. E allargarlo, perché il movimento non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità.

Occorre pertanto ribadire alcuni concetti.
Quella che è stata approvata è una legge che è solo un pezzetto di tutti gli adeguamenti legislativi che dovranno essere votati per far passare i tagli, tagli che sono stati votati il 6 agosto con l'art.64 della legge n.133.
Devono ancora uscire le leggi che riguardano medie, superiori, università e scuole d'infanzia, devono ancora uscire i loro regolamenti attuativi, come del resto anche le misure previste dalla 137 prevedono altri passaggi prima di essere applicate.

Del resto i tagli saranno spalmati su tre lunghi anni.
Gli otto miliardi di tagli alla scuola troveranno piena sistemazione nella legge finanziaria, che deve essere ancora votata.
La lotta sarà necessariamente di lunga durata e dovrà essere in grado di affrontare di petto le questioni che emergeranno al momento delle iscrizioni e della formazione degli organici.

Non è la prima volta che una legge è approvata e i suoi contenuti non applicati.
Il movimento deve quindi attrezzarsi per questa lotta: consolidando le strutture di movimento, mettendole in collegamento tra loro, praticando l'unità dal basso, inventando forme di lotta prolungate e sostenibili...

Parlare in questo momento di referendum è un errore.
Significa mettere in piedi una macchina che assorbe una quantità enorme di energie per esiti per di più incerti, e in un momento in cui la lotta è appena cominciata. Se ne potrà parlare, certo, ma non prima di aver percorso sino in fondo ogni possiblità di mobiltazione nelle scuole, nelle università, nelle strade.
Nel frattempo le forze dell'opposizione istituzionale potrebbero fare una cosa molto carina: adeguare i loro programmi e le loro proposte.
Il PD dovrebbe non limitarsi a chiedere il ritiro della 137; dovrebbe affondare il colpo e chiedere anche l'abrogazione degli articoli della 133 che riguardano scuola e università. Sì, perché anche se si facesse il referendum sulla 137, rimarrebbe la 133, ovvero i tagli.

Lo sciopero del 30 ottobre ha mostrato chiaramente la strada da seguire.
Si è trattato di uno sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali maggioritarie, ma di cui tutto il movimento si è impossessato. Uno sciopero con manifestazioni dall'ampiezza senza precedenti.
Berlusconi sperava, approvando il giorno prima il decreto, di demotivare rispetto alla partecipazione; ma il successo di questa giornata gli avrà senz’altro mostrato l’erroneità delle sue valutazioni.
La contemporaneità della crisi economica e dei tagli a scuola e università costituisce una sorta di metafora. I governi di tutto il mondo, dopo averci per vent'anni catechizzato sulle virtù del mercato lasciato libero dall'intervento statale, i soldi (statali) per le banche li hanno trovati subito. E, nello stesso identico momento, tolgono soldi all'istruzione, in Italia, ma anche in Francia: i soldi, che poi sono i soldi dei lavoratori, scorrono e vanno da qua a là, dalle aule ai loro conti.