Il XV congresso della CGIL. La posta in gioco.
Il
XV congresso della CGIL si svilupperà nella fase politica del declino
del berlusconismo e dell'ascesa del centrosinistra come alternativa di governo.
Nell'assenza di un documento alternativo si corre il rischio di un congresso
finto, già scontato nei suoi esiti. Di Michele Corsi. Agosto 2005.
E' già cominciato il percorso congressuale della CGIL e tra poche settimane si svolgeranno i primi congressi sul posto di lavoro. Con questo scritto vogliamo mettere in evidenza la posta in gioco di questo congresso per stimolare la riflessione necessaria ad affrontare questa scadenza in maniera consapevole e attenta.
La fase che si è aperta
La fase politica che si è aperta è quella del rapido declino del berlusconismo e dell'ascesa del centrosinistra al governo del Paese. Il centrodestra aveva vinto nel 2001, sostenuto all'epoca da potenti forze: la Confindustria di D'Amato, la Chiesa, l'alleanza proprietaria del Corriere della Sera, le associazioni del lavoro autonomo, ecc. L'obiettivo era molto semplice: in un quadro di accresciuta concorrenza internazionale i "poteri forti" immaginavano che la strada fosse quella di sconfiggere il movimento dei lavoratori in una battaglia campale, in modo da ridurre ulteriormente salari e stipendi e sicurezza sociale e liberare così risorse per affrontare le altre potenze, quelle vecchie e quelle emergenti. Il loro disegno, che spiegavano in maniera molto chiara negli editoriali dei maggiori quotidiani, era la totale deregulation: scuola e sanità privatizzate, vendita delle proprietà statali, eliminazione delle garanzie degli occupati, ecc. La situazione sociale si prestava ad alimentare queste speranze. Ricordiamoci gli anni precedenti il 2001: riflusso generalizzato, sfiducia nei confronti di una sinistra esausta e compromissoria, record negativo del numero di scioperi. Nonostante le stangate nella società non si era sviluppato alcun movimento dal basso, salvo quello della scuola contro il concorsone, e le tre giornate di Genova non c'erano ancora state. I sindacati avevano rinunciato da un pezzo alla conflittualità puntando tutto sulla concertazione. La situazione alimentava la speranza che un "colpo di grazia" potesse farla finita anche con quel che rimaneva di organizzato nella società: la Cgil. Questo sindacato rimaneva disponibile nei tavoli concertativi a "mollare" posizioni su posizioni, ma non con la velocità che sarebbe stata necessaria per affrontare il mercato internazionale senza il "peso" dei residui delle conquiste degli anni settanta. Non avendo di meglio, i "poteri forti" hanno puntato su Berlusconi per farne l'ariete di questo disegno.
Questo disegno è fallito. La coalizione di centrodestra, appena insediata, aveva subito caricato contro tutti, ma, in questo modo, ha resuscitato quelle forze oppositive che molti pensavano si fossero dissolte per sempre. Le bastonate contro i manifestanti di Genova hanno favorito il radicarsi di un movimento che poi è stato la base sulla quale si è costruita l'opposizione di massa alla guerra in Iraq; l'attacco all'art.18 ha costretto la Cgil a fare quel che non faceva più dall'inizio degli anni novanta: mobilitare i lavoratori; il movimento dei girotondi ha costretto il centrosinistra a svegliarsi e ad orchestrare un minimo di opposizione in Parlamento; la riforma della Moratti ha suscitato un movimento che nella scuola non si vedeva da venti anni. E, in più, Berlusconi ha dedicato gran parte delle proprie energie a salvare se stesso, preferendo difendere i propri interessi personali che quelli più generali dei poteri forti che avevano sostenuto la sua ascesa. La Confindustria si è accorta, così, che quel poco che ha ottenuto avrebbe potuto conseguirlo anche con un governo di centrosinistra e senza l'ingombrante peso di un arruffone incompetente e di una classe politica da barzelletta. Per questo, e con più forza dopo i risultati delle ultime regionali, ha deciso di cambiare cavallo, e di puntare sul centrosinistra. Alcuni segnali del cambio di strategia: l'elezione di Montezemolo a presidente di Confindustria, la richiesta di Corriere della Sera e Stampa di elezioni anticipate, i fischi al premier nelle assemblee delle associazioni di lavoro autonomo, ecc. Il loro disegno oggi è: puntare sul centrosinistra rafforzandone l'ala moderata, favorendo così una politica che sottragga altri "privilegi" ai lavoratori ma con la complicità delle loro rappresentanze, in modo da non suscitare proteste di massa.
La CGIL
La CGIL ha attraversato tutti gli anni novanta rapportandosi ai vari governi che si sono succeduti (e che, salvo poche eccezioni, vedevano il sostanziale sostegno del centrosinistra) con la cosiddetta politica della concertazione. In poche parole essa consisteva in un patto tra lavoratori e imprenditori: soffocare la conflittualità dal basso e dall'alto, in cambio dell'impegno a risolvere ogni disputa intorno a un tavolo gestito ai massimi livelli. Per i massimi dirigenti sindacali ciò significava preservare le proprie prerogative di forze indispensabili al governo reale del Paese, ed evitare la gestione di una conflittualità mal sopportata in un quadro politico che vedeva al governo forze "amiche". Lungo gli anni passati intorno ai tavoli concertativi nessuno riuscirebbe a ricordarsi di una qualche conquista a favore dei lavoratori, del resto non si vede perché gli imprenditori avrebbero dovuto cedere in assenza di conflitto. Questa politica ha portato al contrario a tutta una serie di arretramenti, i più clamorosi dei quali sono stati l'abbandono della scala mobile, la riforma Dini delle pensioni, la precarizzazione dei rapporti di lavoro. La stasi sociale era tale che a un certo punto gli imprenditori hanno cercato con D'Amato e Berlusconi di fare a meno della concertazione per vedere se ottenevano ancora di più, ma, come abbiamo visto più sopra, è andata loro male. Sono persone pratiche: vogliono tornare ai vecchi metodi che tanti vantaggi hanno loro arrecato.
Di fronte al tentativo di cancellare l'art.18, la struttura Cgil ha reagito con decisione. Anche il più moderato dei suoi dirigenti ha capito che in ballo non c'era solo una norma dello statuto dei lavoratori, ma l'esistenza stessa del sindacato. La posta in gioco era farla finita con la Cgil in quanto grande organizzazione di massa che comprende iscritti e delegati, ma anche numerosissimi funzionari. La determinazione esemplare con cui è stata condotta quella battaglia sta ad indicare chiaramente le potenzialità di lotta che ancora persistono tra i lavoratori ed anche ciò che potrebbero ottenere se si agisse sempre con quella energia. La campagna è stata vittoriosa non tanto perché l'art.18 non è stato tolto, quanto perché ha segnato la sconfitta del sogno padronale di farla finita con la Cgil. Il problema è che, una volta ottenuto questo risultato, il gruppo dirigente della Cgil si è seduto.
Il gruppo dirigente della Cgil ha preso sistematicamente posizione, posizioni corrette, contro le varie misure reazionarie del governo Berlusconi, ma, dopo la vittoriosa campagna sull'art.18, non ha più promosso lotte vere per contrastarle. Al contrario ha sistematicamente privilegiato l'accordo con Cisl e Uil. Per questo, pur contrastandola, contro la riforma Moratti non hanno mai organizzato uno sciopero specifico. Per questo non è stata fatta una vera battaglia contro la riforma Maroni delle pensioni. E, del resto, la Cgil ha lasciato nei fatti da sola la Fiom, quando la Federmeccanica ha firmato contratti separati con Fim e Uilm: la conflittualità dei metalmeccanici è stata sempre vista con fastidio. Anche gli episodi di lotta operaia più radicali, Melfi, autoferrotranvieri di Milano, Alitalia, si sono sviluppati senza il pieno sostegno da parte della Confederazione. La Cgil ha sviluppato una politica di contrasto al governo Berlusconi, ma non agli imprenditori e allo stato-imprenditore. I contratti vengono fatti scadere e rinnovati dopo un anno o due con enormi perdite di denaro da parte dei lavoratori. Il contratto della funzione pubblica e della scuola non è stato ancora firmato, a più di un anno e mezzo dalla scadenza. In poche parole il problema non è ciò che la Cgil dice: i suoi dirigenti, certamente, dicono che i contratti devono essere rinnovati. Ma quello che fa: assai poco per obbligare la controparte a rinnovarli. I lavoratori se ne sono accorti e le manifestazioni nazionali via via convocate, sono state sempre meno partecipate, perché ormai la gente "sente" quando le si chiede di scioperare sul serio o solo per far vedere che qualcosa si si sta facendo.
In realtà il gruppo dirigente della Cgil sta aspettando il cambio di governo. L'"interlocuzione" con la Confindustria è già avanti, ma per ripartire con la vecchia concertazione come il gruppo dirigente vuole, occorre che anche il governo sia "amico" della concertazione.
Il congresso
E' in questa fase di transizione che si situa il congresso della Cgil. Esso si celebrerà nella sua assemblea conclusiva a poche settimane dallo svolgimento da elezioni politiche che vedranno, presumibilmente, la vittoria del centrosinistra. Dovrebbe essere ovvio centrare la discussione congressuale su quello che da questo futuro governo ci si aspetta, rivedendo anche l'errore strategico di assenza di autonomia dai governi degli anni novanta. Il gruppo dirigente della Cgil punta invece ad eludere il tema, puntando su una serie di proposizioni programmatiche, alcune condivisibili (la lotta alla precarietà, ad esempio), ma che sostanzialmente non trattano del nocciolo della questione: come facciamo ad ottenerle? Con il conflitto e l'indipendenza dal quadro politico, qualunque esso sia, o con la concertazione? Chi non vuole che la Cgil compia i vecchi (e a volte persistenti) errori dovrà nel corso del percorso congressuale sforzarsi di spostare continuamente l'asse sul quale si cercherà di instradare la discussione. Il congresso Cgil eleggerà un gruppo dirigente e indicherà una linea politica che guideranno l'organizzazione sotto un governo di centrosinistra: gli iscritti hanno il diritto di capire come ci si rapporterà al nuovo potere, se, come tutti speriamo, Berlusconi perderà. La Cgil ha intenzione di tornare a fare sconti al futuro "governo amico"?
La sinistra sindacale
Da tre congressi a questa parte, la funzione di "critica" da sinistra al gruppo dirigente della Cgil la svolgevano delle aree programmatiche (che non facevano cioé riferimento a partiti) che nel corso degli anni hanno mutato nome e a volte anche composizione: prima Democrazia Sindacale, poi Essere Sindacato, quindi Alternativa Sindacale e infine Lavoro Società. Negli ultimi congressi queste aree promuovevano un documento alternativo a quello di maggioranza assicurando così lo svolgimento di congressi veri, fondati sul dibattio e il confronto strategico. Al di là dei limiti di queste esperienze il loro ruolo è stato importante: per il solo fatto di esistere e di essere canale dello scontento che spesso proveniva dalla base, queste aree hanno costretto il gruppo dirigente di maggioranza a scelte meno moderate di quel che sarebbe stato possibile in una organizzazione completamente omogenea. Quel che accade oggi, però, è che, in occasione della fase congressuale che si è appena aperta, il gruppo dirigente di Lavoro Società ha scelto di aderire al documento di maggioranza. E dunque al congresso si discuterà intorno a un solo documento.
La decisione del gruppo dirigente di Lavoro Società non è stato un fulmine a ciel sereno e le radici di questa scelta affondano in cause molto materiali. Nel corso degli ultimi quindici anni questi compagni hanno via via guadagnato posti di responsabilità nella struttura, molti sono divenuti funzionari. E' accaduto loro quel che succedeva a suo tempo al personale politico della maggioranza: una lenta e incessante burocratizzazione che comporta l'allontanamento dalla base e la mancanza di ricettività verso il suo scontento. Come sempre accade in questi processi di natura sociologica, la materialità è coperta da una serie di considerazioni ideologiche. Questi compagni giustificano la loro scelta di oggi affermando che la Cgil è cambiata, ma a cambiare sono stati loro.
Secondo le regole della Cgil, a comporre gli organismi dirigenti sono i compagni eletti in misura proporzionale ai voti presi dai documenti congressuali. Per questo nei tre congressi precedenti gli organismi dirigenti vedevano sempre la presenza di una percentuale variabile di compagni eletti sulla base del documento alternativo. Il problema dei dirigenti di Lavoro Società dopo aver deciso di sostenere il documento di maggioranza è stato: se rinunciamo al documento alternativo, come facciamo a garantire la permanenza nei posti secondo gli equilibri determinati dall'ultimo congresso? Per questo hanno promosso una intesa precongressuale, al di fuori delle regole Cgil, (denominata “documento di intenti tra i 12 segretari confederali nazionali”) dove in sintesi si dice che l’aggregazione "Lavoro e Società" aderisce al documento proposto da Epifani e quindi si impegna al proprio scioglimento come area programmatica congressuale per confluire nella nuova maggioranza; ma, a favore di questa aggregazione, i segretari confederali nazionali si impegnano a far sì che a questa venga riconosciuta la stessa base congressuale e la stessa presenza nelle segreterie e negli organismi dirigenti in misura pari alla percentuale che aveva nel precedente congresso. Che si tratti di una cosa poco pulita pensiamo sia chiaro anche ai non addetti ai lavori: si stabiliscono degli equlibri di potere, prima che la base congressuale li abbia definiti con il voto. Contro questo accordo è in corso una raccolta di firme.
Per questo al prossimo congresso non ci sarà un documento alternativo a quello di maggioranza presentato da Epifani. Di fronte a questa prospettiva molti si sono allarmati. Cinque dirigenti del direttivo nazionale (tra cui Giorgio Cremaschi, dirigente nazionale della Fiom) e delegati (molti facenti riferimento al Coordinamento RSU, una rete nata all'inizio degli anni novanta) hanno dato vita ad un percorso che puntava a presentare comunque un documento alternativo, raccogliendo l'adesione di molti delegati che nel precedente congresso avevano votato per il documento di Lavoro Società. Per presentarlo, secondo le regole della Cgil, occorrono cinque membri del direttivo nazionale o 400 dirigenti confederali provinciali o nazionali di categoria. Il 28 aprile in una affollata assemblea a Roma si è costituita con questo obiettivo quella che poi è stata chiamata Rete 28 aprile. Successivamente due dei cinque promotori (Danini e Baldini) si sono ritirati e le 400 firme necessarie tra i dirigenti locali sono state raccolte, ma non in tempo per la scadenza prevista. La possibilità di fare un congresso vero, dove i giochi non siano tutti fatti in anticipo, non sono però esaurite.
Il segrertario nazionale della Fiom, Rinaldini, presenterà infatti due tesi alternative al documento di maggioranza, una sulle politiche contrattuali e l'altra sulla partecipazione. In teoria si tratta di due emendamenti al documento della maggioranza, ma, dato che affrontano due nodi decisivi con un'ottica alternativa (anticoncertativa e democratica), nei fatti si configurano come una proposta di linea globalmente differenziata. Avendo saputo che Rinaldini presentava due tesi alternative, anche il gruppo dirigente di Lavoro Società ne ha presentata a sua volta una (sulla democrazia), per svolgere la funzione delle liste civetta nelle competizioni elettorali.
Votare le tesi della Fiom non significa determinare un'area con diritto ad eleggere delegati in maniera proporzionale ai voti presi, ma, far sì che conseguano più concensi possibile consente di lanciare al gruppo dirigente un segnale importante: una sinistra sindacale in grado di contrastare la possibilità che la Cgil ricada in una stagione concertativa con il prossimo governo, c'è, è in campo. La Fiom è una categoria che ha fatto una opposizione vera, sia nelle parole che nei fatti, a Berlusconi e a Confindustria, pagando prezzi salati. Intorno alle sue due tesi alternative si sta coagulando la parte migliore della sinistra sindacale, non solo la Fiom, ma anche la Camera del Lavoro di Brescia e pezzi significativi di varie categorie, oltre ovviamente alla Rete 28 aprile, che è il settore più determinato e che ha deciso, tramontata la possibilità di presentare un documento globalmente alternativo, di sostenere le tesi Fiom. Non è escluso che anche altri settori, nel corso del dibattito sostengano questa possibilità.
E' importante approfittare di questa occasione per fare in modo che non si chiuda la dialettica interna alla Cgil e che da questa esperienza possa ricostituirsi un'area programmatica della sinistra Cgil. "Area programmatica" significa che i compagni che condividono certe prospettive e certe preoccupazioni non cessino il loro impegno di critica all'indomani del congresso una volta definiti i gruppi dirigenti. Tra un congresso e l'altro la base (iscritti e delegati) che non sono stati eletti in un qualche organismo dirigente non ha la possibilità di influire sulle decisioni del sindacato. Per questo è necessario che la sinistra sindacale dia il "buon esempio", con una modalità di funzionamento interno che consenta ai compagni, anche al di là della scadenza congressuale, di rimanere collegati, attivi e propositivi. Solo se ci si struttura si può nutrire la speranza di essere influenti nella fase politica che si apre.
La fase che si apre non sarà una riedizione del 1996, quando vinse la coalizione guidata da Prodi. Il centrosinistra all'epoca andò al governo in una situazione di riflusso sociale le cui dimensioni più sopra abbiamo descritto. Oggi non è più così. Nei confronti del futuro governo Prodi c'è un'aspettativa di massa enorme cresciuta sulle lotte di questi anni contro il governo Berlusconi. Il calo dei movimenti che abbiamo registrato da un anno a questa parte è dovuto in parte anche questa aspettativa: la gente spera che sia la "politica" a risolvere il problema Berlusconi. Ma: gran parte del gruppo dirigente del centrosinistra non ha alcuna intenzione di fare quel che i suoi elettori sperano che faccia. Si prepara ad andare al governo un ceto politico che non ha pagato alcun prezzo per la sconfitta del 2001. Sono gli stessi che hanno avviato il pacchetto Treu, quelli del concorsone, quelli dei sacrifici per andare in Europa, quelli della bicamerale per far le riforme istituzionali con Berlusconi. A tutt'oggi non hanno dichiarato che abrogheranno la riforma Moratti, o la riforma Maroni, o la legge Biagi, o i CPT. Ma il problema, per quel ceto, è che la gente che li eleggerà non è più la stessa di prima, ed è molto meno disposta di prima a tollerare la vecchia politica.
La fase che si apre dunque è quella di un centrosinistra che andrà al governo con propositi moderati, ma con la massa degli elettori che voterà con propositi opposti. Il futuro governo cercherà di non togliere tutto quello che ha varato la Moratti: il movimento della scuola premerà perchè non solo sia cancellata la controriforma scolastica, ma perché si vada oltre, ad esempio verso l'obbligo ai 18 anni; il futuro governo cercherà di addolcire la legge Biagi, ma la massa dei giovani precarizzati cercherà di arrivare sino al pacchetto Treu; il futuro governo cercherà di evitare un ritiro delle forze militari alla Zapatero, ma ci sarà una forte pressione, invece, per intraprenderlo. E così via. Questa è la grande contraddizione, politica e sociale, che ci riserverà il 2006. Per stare all'interno di quella contraddizione per cercare di influirvi, occorrono però forze organizzate che siano in grado di dare espressione alle forze che, dal basso, premeranno perché l'Unione spazzi ogni residuo di berlusconismo e vada anche oltre. Se non saranno in campo questi canali organizzati di espressione del dissenso sociale, lo scontento e la delusione possono facilmente prendere strade estremiste e senza sbocco, come già accaduto in passato, oppure rifugiarsi nel disincanto e in un nuovo devastante riflusso, che preparerà altre sconfitte e l'ascesa di altri Berlusconi.
Costituire un'area programmatica, dunque, ha questo significato di prospettiva: vuol dire costruire una delle gambe su cui far marciare la pressione sociale per spingere il futuro governo a compiere scelte coraggiose, il canale in cui far fluire l'energia generata dalla aspettativa popolare verso il cambiamento. Di queste gambe, in campo, ce ne saranno poche: i partiti sarano tutti dentro il governo, e nonostante tutti i buoni propositi che animano alcuni di questi, saranno incastrati lì: difficile che qualcuno possa giocare contemporaneamente la parte del ministro e quella dell'oppositore di piazza. Nella società i movimenti, a parte quello della scuola in alcune città, si sono volatilizzati dato che l'ondata su cui sono cresciuti si è esaurita prima che riuscissero a radicarsi e a strutturarsi. Il gruppo dirigente Cgil sarà di nuovo tentato dai numerosi tavoloni concertativi che gli verranno offerti, e certo sarà assai riluttante ad alimentare una conflittualità sociale che, dopo la battaglia sull'art.18, non ha alimentato nemmeno sotto Berlusconi. Per questo speriamo che da questo congresso esca una forza che non rimanga rintanata negli organismi dirigenti, ma che presidi l'indipendenza della Cgil e quando ciò non si verifichi sappia rivolgersi direttamente alla società.