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IL MOVIMENTO ANTIGLOBAL
nelle tesi per il V congresso del PRC


Sintesi del dibattito

Le due tesi concordano nell'assegnare una forte importanza al movimento antiglobal. Le tesi di maggioranza però lo sottolineano con maggior enfasi ("l'evento positivo del nostro tempo") e lo "incaricano" di riassumere le rivendicazioni di gran parte dei soggetti sociali oppressi e di costruire un "nuovo movimento operaio", mentre quelle di minoranza ne segnalano i forti limiti. Le tesi di minoranza contestano gran parte della cultura dominante nel movimento, mentre le tesi di maggioranza, pur con qualche distinguo, sostanzialmente vi aderiscono. Come vedremo in un'altra scheda (Il compito dei comunisti nel movimento antiglobal) ciò ha dirette implicazioni nell'azione politica.


La nostra posizione

Condividiamo nella sostanza l'impostazione delle tesi di maggioranza. Siamo d'accordo sull'importanza che queste tesi assegnano al movimento, e siamo d'accordo anche nell'aderire alle principali rivendicazioni e forme di lotta da esso espresse, dato che siamo convinti che dai movimenti (cioè dalle masse) i comunisti debbano imparare e non limitarsi a dare lezioni.

I limiti delle tesi di maggioranza su questo punto sono però due. Il primo è che non individuano i passaggi critici di questo movimento, che non sono quelli denunciati dalle tesi di minoranza (cioè le sue rivendicazioni e forme di lotta), ma le sue modalità di organizzazione: più volte abbiamo segnalato i pericoli legati al leaderismo, al settarismo, all'assemblearismo, all'incapacità di individuare obiettivi concreti e condivisi, ecc. (vedi i nostri articoli Social forum: quello che non va, La crisi del movimento antiglobal e altri alla pagina Globalizzazione). Il secondo è il tentativo di considerare questo movimento come il movimento che tutto dovrebbe inglobare, quando è evidente invece che di movimenti ve ne sono altri (quello sindacale, quello delle donne, quello della scuola) i quali, pur a volte incrociandosi con quello antiglobal, non sono in alcun modo ad esso assimilabili, per tradizioni, tipo di organizzazione prevalente, costumi, estrazione sociale dei militanti e interessi; se non si vede che quello antiglobal è, per lo meno al momento, uno dei piani di azione si finirà per sottovalutare la necessità di unificare, o di "federare" altri movimenti che per ora sono seccamente separati, in una prospettiva, per esempio, antigovernativa. Si darà cioè per acquisito un compito che ci sta tutto di fronte. Esemplificando: le simpatie del movimento antiglobal sono dirette soprattutto verso l'area del sindacalismo di base, eppure è del tutto evidente che questo rappresenta una porzione assolutamente minoritaria del movimento sindacale. Anche per questo è errato sostenere, come fanno le tesi di minoranza, che il movimento antiglobal deriva dalla "ripresa della lotta di classe". Di ripresa si può forse parlare in questi ultimissimi mesi (ma ne saremo certi quando rivedremo salire il grafico delle ore di sciopero in costante discesa dagli anni '80), ma il movimento antiglobal è nato ben prima: esso ha infatti molto più a che vedere con una radicalizzazione generazionale che con la lotta di classe.


Stralci dalle
Tesi di maggioranza

"La nascita dei "popoli di Seattle", del "movimento dei movimenti", costituisce l'evento positivo del nostro tempo, il primo movimento dopo la lunga fase della sconfitta che indica la possibile nascita di un nuovo movimento operaio.
Questo movimento - di cui i prodromi si erano potuti vedere già nell'esperienza zapatista come nella conferenze delle donne tenutasi a Pechino nel 1995 - avanzando una critica radicale all'attuale sistema di relazioni economiche, sociali e politiche dominanti e affermando che "un altro mondo è possibile", pone le basi per una risposta "da sinistra" alla globalizzazione capitalistica e alla sua crisi."

"L'aver delegittimato e demistificato la funzione di governo mondiale da parte di organismi antidemocratici quali il G8, l'aver contestato la natura iniqua della globalizzazione neoliberista, l'aver reso visibili le scelte politiche che generano l'insicurezza a livello globale, l'aver dato un volto ed un nome all'avversario e per questa via l'aver reso possibile percorsi di unificazione dei conflitti prodotti dalle diverse contraddizioni generate dal processo di globalizzazione, costituiscono il vero dato storico di questo movimento, che ha segnato la possibilità di riproporre il tema dell'alternativa a livello mondiale."

"Il movimento ha natura mondiale e potenzialmente maggioritaria. Contesta l'ordine capitalistico, ma progetta anche nuove relazioni sociali e politiche (Porto Alegre). Ripropone in termini inediti la questione della democrazia, della partecipazione e dell'unità, come si è visto nell'esperienza del Social Forum. Non aggrega soltanto le nuove generazioni, ma componenti significative del movimento operaio."

"Esprime, a partire dalla contestazione di fondo degli aspetti caratterizzanti l'attuale modello di accumulazione capitalistico, una carica anticapitalistica e mette in discussione il pensiero unico. Le categorie culturali in cui il movimento esprime la propria opposizione al neoliberismo sono certo assai variegate ed assistiamo ad una grande diversificazione e ricchezza di linguaggi e di riferimenti ideologici e culturali. Del resto dopo anni di deserto culturale, dominati dal pensiero unico e dal fallimento dell'esperienza dei socialismi reali, è del tutto normale che la critica al capitalismo si esprima attraverso una notevole dose di empiria e non sia sistematizzata compiutamente."

"Il movimento non si è limitato ad una azione contestativa ma in questi anni si è cimentato nella costruzione di proposte di modifica qualitativa degli attuali assetti sociali. Il Forum di Porto Alegre ha rappresentato uno snodo significativo di questo percorso e ha costruito una piattaforma che da un lato oltre a porre problemi di redistribuzione del reddito mette in discussione nodi di fondo dell'assetto capitalistico (pensiamo alle questioni relative alla socializzazione della proprietà intellettuale e delle risorse fondamentali come l'acqua) e dall'altra costituisce la potenziale base di unificazione progettuale dei diversi soggetti sociali coinvolti nel movimento (dalle questioni del lavoro a quelle dalla terra, dell'ambiente, del genere, del consumo) ponendo il problema del ridisegno delle condizioni della produzione e della riproduzione sociale."

"Il movimento eredita cioè quel lento accumulo di elaborazioni ed esperienze avvenuto nel corso degli ultimi venti anni nei mondi dell'impegno civile, dei saperi sociali democraticamente strutturati, dell'associazionismo, del volontariato."

Vedi TESI 22/TESI 23/TESI 24


Stralci dalle
Tesi di minoranza

"La nascita e lo sviluppo del movimento antiglobalizzazione su scala mondiale non è separato dalla ripresa della lotta di classe. Riflette la stessa crisi di egemonia del liberismo che alimenta la ripresa delle lotte sociali. Così come riflette quello stesso risveglio di ampi settori di giovani, che segna la svolta nella mobilitazione dei lavoratori. La stessa composizione sociale del movimento è spesso segnata da un'ampia presenza di giovani precari."

"Più in generale il movimento antiglobalizzazione ha capitalizzato e incanalato in un quadro largo tutte le istanze di contestazione dell'attuale ordine del mondo (sociali, democratiche, ambientali, di pace) da un lato riflettendo, dall'altro incentivando un mutamento diffuso della percezione pubblica del capitalismo. Le potenzialità anticapitaliste di questo movimento, per quanto latenti, sono dunque di grande rilevanza. Tuttavia limitarsi alla lode del movimento antiglobalizzazione o addirittura promuovere un culto della sua spontaneità, come di fatto fa oggi il nostro partito, costituisce un errore profondo. Decisiva infatti è e sarà la direzione di marcia del movimento, in ordine agli orientamenti programmatici che vi prevarranno, alle scelte politiche che ne derivano, al segno di egemonia sociale che esse riflettono."

"Larga parte delle culture oggi egemoni nel movimento antiglobalizzazione internazionale sono di tipo neoriformistico. Non si tratta di "disprezzarle" ma di coglierne la radice storico/sociale e la ricaduta profondamente negativa per le ragioni del movimento stesso. Sullo sfondo dell'arretramento del movimento operaio degli anni '80-'90, entro una situazione storica segnata congiuntamente dalla crisi di egemonia del liberismo e dalla crisi di credibilità del "socialismo" (nella sua rappresentazione storica ereditata) si è determinato un vasto campo di sviluppo di culture "critiche" del capitalismo ma non anticapitaliste: di culture e "programmi" tesi a ricercare un altro mondo possibile entro il capitalismo e non in alternativa ad esso. Queste culture politiche non sono omogenee ed anzi sono segnate da differenze profonde: comprendono tendenze apertamente collaborative con forze e istituti del capitalismo mondiale in una logica di pressione critica sul loro operato; tendenze neokeynesiane votate alla ricerca di una razionalizzazione antispeculativa del capitale (v. i vertici di ATTAC); tendenze basate sulle esperienze di terzo settore e sul recupero culturale di antiche suggestioni cooperativistiche (neoproudhoniane); tendenze anarco/ribelliste portatrici di una sorta di "neo-luddismo " (Black block). Ma il loro tratto comune è o la ricerca illusoria di un capitalismo "equo", o la rivendicazione di un proprio spazio antagonistico all'interno del capitalismo: comunque la negazione di una prospettiva socialista e della centralità della contraddizione tra capitale e lavoro come leva di un'alternativa sociale. In questo senso tali culture minacciano di deviare l'anticapitalismo latente del movimento e i sentimenti antiliberisti di milioni di giovani verso un orizzonte al tempo stesso utopico e subalterno: ostacolando obiettivamente lo sviluppo della coscienza politica del movimento e la sua convergenza di lotta con la classe operaia internazionale e con i movimenti di liberazione dei popoli oppressi."

Vedi Tesi 10