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LA RIFORMA DEL PARTITO
nelle tesi per il V
congresso del PRC
Sintesi del dibattito
A questo argomento le due tesi dedicano ampio spazio anche se dubitiamo, purtroppo, che questo tema divenga centrale nel dibattito. Le tesi di maggioranza partono da una severa critica nei confronti della vita interna al partito mettendone in rilievo i limiti di capacità a stare nei movimenti. Le tesi di minoranza invece fanno derivare il cattivo funzionamento interno del partito alla linea politica errata e alla mancanza di democrazia interna. L'area di Falce e Martello propone su questo punto un emendamento alle tesi di minoranza, al quale rimandiamo perché francamente non abbiamo capito la ragione per cui l'ha presentato.
La nostra posizione
Su questo tema le tesi di maggioranza sostengono posizioni e propongono soluzioni in gran parte da noi condivisibili (vedi il nostro Un nuovo modo di costruire i circoli). Il problema è il passaggio dalla teoria alla pratica: ed è lì che vediamo forti carenze da parte delle istanze di direzione del partito. Ce ne accorgiamo in prossimità delle elezioni, dove la tattica elettorale è sempre una sorta di rebus che l'insieme della militanza aspetta che Bertinotti risolva. Di tutto si può parlare fuori che la tattica elettorale è decisa dalla base del nostro partito. Nelle tesi di maggioranza non si forniscono indicazioni chiare e vincolanti, che sburocratizzerebbero di non poco il partito: ad esempio l'obbligo di rotazione dei dirigenti, dei consiglieri comunali, dei segretari... (vedi il nostro La rotazione: tabù organizzativo di partiti, sindacati, movimenti). Senza misure di questo genere si rischia che la riforma del partito diventi una sorta di litania recitata disinvoltamente anche da coloro che sono i diretti responsabili dei limiti organizzativi del partito.
Le tesi di minoranza del resto mettono in secondo piano ciò che per un partito comunista dovrebbe essere l'essenziale: stare dentro i movimenti, e mettono l'accento invece su un problema che certo, qui e là esiste (la mancanza di democrazia interna), ma che francamente non ci pare una questione attualmente molto rilevante. Il PRC oggi in realtà è un partito dove ognuno fa quel che vuole, e dove misure disciplinari di tipo burocratico sono una rarità. Il tipo di democrazia interna che chiedono le tesi di minoranza non è quella tesa a dare più potere alla base, dato che la minoranza teorizza e pratica al suo interno in prima persona un funzionamento sostanzialmente più verticistico di quello teorizzato e praticato da Bertinotti (vedi La rottura di Progetto Comunista). Si preoccupa invece di assicurarsi le garanzie affinché i propri vertici siano adeguatamente rappresentati negli esecutivi, nelle candidature elettorali, ecc. ecc. E' una richiesta che appoggiamo, ma per la quale non siamo disposti, per così dire, ad immolarci.
L'area di Falce e Martello propone un emendamento alle tesi di minoranza assai curioso. Non ci pare che si distingua in nulla, nella sostanza, da quello della minoranza, se non per il fatto che, temiamo, nei circoli si presterà a qualche battuta scherzosa. Questi compagni sono vissuti dalla base, a volte ingiustamente, come "corpo separato" dal partito, perché organizzano ogni cosa per conto proprio. Sentire criticare da loro l'eccesso di correntismo del partito fa un certo effetto, così come sentirli difendere un centralismo democratico che se nel PRC fosse davvero fatto rispettare vedrebbe loro come prime vittime.
spezzoni dalle Tesi di maggioranza
"il nostro partito soffre, da sempre, di seri limiti strutturali, che sono stati per altro ampiamente analizzati nel corso della conferenza di Chianciano. Ma, soprattutto, subisce una contraddizione apparsa fin qui insormontabile dovuta oltre che a difficoltà oggettive anche alle nostre incapacità a dar vita in questi anni ad un partito con reali caratteristiche di massa: quella tra un'architettura mutuata dalla tradizione del Pci e funzionale ad un partito in grado, fra l'altro, di disporre di un alto numero di funzionari a tempo pieno, e la realtà del corpo politico di Rifondazione comunista, fatto in misura preponderante di lavoro volontario, militanza mobile, collaborazione occasionale. Non siamo riusciti in nessun momento, anche per il ritmo convulso assunto da una politica sempre più "veloce" (e sempre più incentrata sulle continue scadenze elettorali), a sperimentare dentro questo modello correzioni significative o forme davvero innovative, anche per quanto riguarda il superamento del carattere monosessuato e "biancocentrico" del partito."
"In larga parte del territorio nazionale, il partito appare in seria difficoltà: spesso appesantito nella sua capacità di proiezione esterna, di radicamento sociale, di allargamento dei consensi; spesso scosso da divisioni, lacerazioni, personalismi; spesso, ancora, segmentato in comparti tra loro non comunicanti. Non è esente da queste contraddizioni neppure la vita del partito ai suoi livelli nazionali e centrali."
"la sua metodologia resta affidata a un modello gerarchico-burocratico puramente "verticale", sostanzialmente privo di verifiche e, quindi, anche di capacità tanto di sperimentazione quanto di correzione."
"Ad un partito più vivo e partecipato, in grado soprattutto di estendere i propri legami sociali, non può corrispondere un funzionamento che nei fatti riproponga forme di direzione di tipo verticistico. Il solo nudo dato di un turn-over di iscritti oramai endemico, che riguarda decine di migliaia di compagne e compagni "perduti" per strada, merita di essere oggetto di una riflessione organica e non aggiuntiva. Come pure la singolare contraddizione tra l'aumento della corrente di simpatia verso il partito - in particolare delle giovani generazioni - e la riduzione degli iscritti avvenuta negli ultimi anni."
"In primo luogo vi è la necessità di spostare il baricentro del partito dagli aspetti identitari e propagandistici alla capacità di costruire azione politica, relazioni con altri soggetti dell'alternativa, organizzazione di lotte, legami sociali, cultura critica."
"In questa prospettiva il militante di rifondazione comunista ha, insieme alla funzione di diffondere la linea del partito - e proprio per poterlo fare al meglio -, quella di tradurre e connettere tra loro linguaggi e culture inevitabilmente eterogenei: deve reinventare una capacità di connessione orizzontale tra le diverse esperienze di massa e, su questa base, una capacità di far convergere queste esperienze nella contestazione dei luoghi centrali e decentrati del potere."
"Un secondo elemento riguarda la costruzione di un partito come organizzazione collettiva, che superi una certa tendenza alla discussione politica generica ma individui con chiarezza le responsabilità e valorizzi davvero il "saper fare" dei propri aderenti, le diverse competenze, le capacità di ciascuno di diventare punto di riferimento politico nel proprio luogo di lavoro, o nel proprio ambito territoriale."
"Occorre inoltre cogliere l'enorme potenzialità che da Seattle al movimento zapatista al controvertice di Genova hanno dimostrato i nuovi strumenti dell'informatica e della comunicazione ai fini della diffusione del movimento, della circolazione delle idee, della controinformazione e del passaggio dalla conoscenza all'azione."
"La messa in discussione delle forme gerarchiche di organizzazione del lavoro, la tendenziale separazione tra incarichi di direzione politica e incarichi di rappresentanza istituzionale e l'introduzione del criterio della verifica come fatto normale e fisiologico nella costruzione dei gruppi dirigenti, possono costituire anche gli elementi per superare positivamente un eccesso di personalismo e di attenzione alla propria "carriera individuale" che costituisce un fattore di inquinamento della vita interna del partito. Questo dato, che è indubbiamente un segnale del più generale processo di crisi della politica, in cui il riconoscimento pubblico del proprio ruolo, l'assunzione di incarichi "importanti", la sottolineatura delle gerarchie sono elementi costitutivi; queste dinamiche non sono estranee alla vita del partito e debbono essere affrontate e discusse. Occorre superare le strutture gerarchiche troppo rigide e dare più spazio all'informalità non codificata delle relazioni tra le persone."
"Un partito capace quindi di operare al fine di ricostruire i luoghi del conflitto sociale, attivare le diverse sensibilità e i diversi soggetti sociali della lotta anticapitalista, contribuire con i protagonisti delle battaglie sociali e politiche a individuare i propri alleati e gli avversari contro cui combattere. Un partito impegnato a tessere la rete degli strumenti di lotta unitari e la convergenza dei diversi movimenti in una comune prospettiva di alternativa, nel quadro delineato della ricostruzione dei soggetti della trasformazione, di un nuovo movimento operaio."
"E' poi necessario riflettere sulle forme di organizzazione del dibattito interno. Rifondazione comunista non ha mai praticato il centralismo democratico: una modalità di vita interna che non solo non è "realistica", nell'era della comunicazione globale, ma che certamente confligge con le istanze diffuse di democrazia e l'esistenza di sensibilità, culture politiche, tendenze politico-culturali radicate da sempre nel Prc. Fermo restando che, in un libero dibattito interno quale vogliamo sviluppare, siano le compagne e i compagni stessi a poter scegliere, di volta in volta in funzione delle caratteristiche della discussione in atto e della dialettica che si produce nella riflessione del partito, la forma concreta con cui manifestare convergenze e divergenze, tuttavia riteniamo che l'alternativa al centralismo democratico non sia un regime correntizio, che tende a cristallizzare il confronto interno, inibisce la volontà dei singoli, precostituisce sistemi di pensiero "organico" anche la dove non è necessario."
"Questo progetto è realizzabile unicamente se i Circoli, oltre ad essere l'elemento fondamentale della costruzione del partito, della sua linea e della sua iniziativa, sapranno diventare un luogo di aggregazione delle soggettività sociali culturali e politiche che sul territorio si muovono sul terreno dell'alternativa.In questo quadro deve essere potenziata e valorizzata la possibilità per i soggetti sociali - giovani, donne, lavoratori - di organizzarsi direttamente nel partito per esprimere la propria soggettività. A partire dalla positiva esperienza dei giovani comunisti, che deve essere allargata e rafforzata, va favorita la costruzione sul territorio dei Forum delle donne, delle Consulte dei lavoratori e dei Forum dei migranti, allargando la funzione del partito rivolta alla costruzione di spazi utili all'autorganizzazione diretta dei soggetti sociali."
Vedi: TESI 56/TESI 57/TESI 58/TESI 59/TESI 60/TESI 61/TESI 62
spezzoni dalle Tesi di minoranza
"La natura del partito, la sua funzione, le sue forme d'organizzazione e di vita, non sono separabili dal programma che il partito persegue e dai caratteri della sua politica. Ed anzi: programma e politica del partito selezionano inevitabilmente la sua stessa natura. Lungo l'itinerario di dieci anni sullo sfondo delle scelte politiche e istituzionali compiute o perseguite e della rimozione di un progetto strategico anticapitalista, il nostro partito ha progressivamente accumulato un insieme di patologie largamente riconoscibili: la ciclica scissione delle rappresentanze istituzionali dal partito, a vari livelli; uno scarso coinvolgimento dei militanti nella definizione ed elaborazione delle scelte, una insufficiente trasparenza, agli occhi degli iscritti, del confronto politico interno al partito; il mancato sviluppo di una robusta rete di quadri, una crisi profonda e perdurante del radicamento sociale e di classe. In altri termini, il nostro partito ha difeso la sua propria esistenza, ma per molti aspetti non si è costruito. Si è riprodotto come importante luogo d'aggregazione, come strumento di mobilitazione, come presenza politica istituzionale, ma non ha sviluppato una vita collettiva di partito, né una incidenza reale sulla dinamica della lotta di classe.
"Da questo bilancio dovrebbe derivare la necessità di una svolta, tesa a rimontare il tempo perduto, in direzione della centralità della costruzione del partito e di una nuova politica che la trascini; una politica di alternativa anticapitalistica e di corrispondente egemonia nei movimenti. La sola politica che possa motivare realmente, al di là degli appelli, una cultura d'organizzazione, formazione, militanza, radicamento. Invece la proposta che viene avanzata ha un segno esattamente opposto: da un lato riconferma la continuità della linea politica e strategica, sul piano nazionale e locale; dall'altro lato, propone una maggiore diluizione del partito nei movimenti entro un attacco diretto, come mai in precedenza, alla concezione stessa dell'"egemonia". La tesi del "definitivo superamento" della funzione "d'avanguardia" del partito, il concetto di "pari dignità" tra sedi di partito e luoghi di movimento, la critica esplicita allo stesso concetto di "circolo" e di "federazione" da aprire invece alla "contaminazione" dei movimenti configurano nel loro insieme una linea di tendenza profondamente negativa. Invece che sviluppare finalmente una linea di egemonia del partito nei movimenti, si teorizza per la prima volta un principio di egemonia dei movimenti sul partito."
"L'assunzione della politica dell'egemonia anticapitalista nei movimenti richiede a sua volta una riforma profonda del nostro partito. Va affermata innanzitutto la concezione di un partito certo capace di presenza istituzionale, ma non istituzionalista. Un partito che quindi non finalizza la politica al voto ma chiede il voto a una politica: che non subordina la propria azione di massa alla propria rappresentanza istituzionale ma subordina la propria rappresentanza all'azione di massa, allo sviluppo dell'opposizione sociale, alla ricomposizione di un blocco anticapitalista."
"Abbiamo bisogno di rendere tutti i compagni "padroni di casa" nel proprio comune partito: di incoraggiare, non emarginare, le disponibilità dei giovani compagni; di valorizzare, non di comprimere, spirito d'iniziativa e indipendenza di giudizio, che sono lievito indispensabile per un partito vitale; e soprattutto di rendere tutti i militanti del partito partecipi delle elaborazioni e decisioni ai vari livelli del partito stesso: perché gli orientamenti democraticamente definiti sono anche quelli maggiormente sostenuti nell'azione pratica, mentre le scelte passivamente subite, quand'anche condivise, non mobilitano le energie e l'iniziativa."
"Parallelamente va affermato il diritto di ogni compagno del partito a conoscere il dibattito, le deliberazioni, le posizioni diverse che emergono nel partito e di contribuirvi consapevolmente (e non per impressioni ricevute magari dalla stampa avversaria). E' essenziale in questo senso uno strumento di dibattito interno nazionale, con verbali e atti degli organismi direttivi, a partire dalla Direzione nazionale, ed un'ampia possibilità di contributi delle federazioni, circoli, singoli o gruppi di militanti. Al contempo Liberazione deve essere aperto agli interventi dell'insieme del partito e rispettarne la vita democratica, senza alcuna intromissione politica da parte di redattori o responsabili del giornale."
"Abbiamo bisogno più in generale di un partito di liberi/e e di eguali, che fa della lotta costante al proprio interno contro ogni forma di burocratismo e di discriminazione il codice nuovo della propria costituzione materiale; va dunque ripristinata la facoltà di iniziativa del circolo contro ogni forma di controllo burocratico della federazione; vanno profondamente rivisti ruolo e natura degli attuali esecutivi regionali. Va ripristinato e realmente affermato il diritto delle federazioni a designare democraticamente le proprie candidature elettorali ai vari livelli, contro logiche di imposizione da parte delle istanze superiori del partito."
"Infine il nostro partito deve combinare la necessaria unità nell'azione esterna - fondamentale in una battaglia per l'egemonia - con la più ampia libertà di discussione interna e quindi con il rispetto pieno dei diritti delle minoranze (a partire da quello di poter diventare a loro volta maggioranza): solo questo rapporto di piena democrazia interna e di pari dignità reale (non formale) tra tutte le posizioni può educare alla concezione e alla pratica di un partito di liberi e di eguali e soprattutto può legittimare il principio dell'unità nell'azione esterna come principio assunto e interiorizzato dall'insieme del partito."
"Peraltro l'esperienza che abbiamo vissuto ha dimostrato che i veri rischi per l'unità del partito non stanno nel libero e leale confronto delle opinioni politiche diverse, ma nella manovra burocratica silenziosa, nello spirito di clan, nella logica del frazionismo burocratico e della cordata: che magari fino al giorno prima recitava l'unanimismo del voto e la "disciplina" di partito."
spezzoni dall'emendamento alla Tesi di minoranza
"L'esperienza di questi
ultimi anni mostra evidenti fenomeni di disgregazione organizzativa:
calo del tesseramento unito alla moltiplicazione nel numero di
circoli, crescenti difficoltà a mantenere una "massa
critica" di militanti sufficiente ad assicurare a una parte
rilevante dei circoli una gestione vitale e continua dell'intervento,
scarsissima capacità di formare nuovi quadri, ecc. Le teorie
sulla "contaminazione" non fanno che razionalizzare
queste nostre debolezze, aggravando i pericoli ai quali siamo
sottoposti. Al di là di qualsiasi intenzione soggettiva,
è evidente che il messaggio lanciato dal gruppo dirigente
in particolare nell'ultimo anno, messaggio secondo il quale le
strutture del partito (circoli e federazioni) non sarebbero di
per se sedi idonee alla costruzione di una forza comunista ha
assunto un carattere in molti casi apertamente smobilitante. Gli
slogan ripetuti abbondatemente secondo i quali "il partito
è il movimento", e simili non possono che porre la
domanda a tutti i militanti: se questo è vero, a che pro
impegnarsi nella costruzione del partito?
Parallelamente dopo l'ultimo congresso si è espressa con
maggiore chiarezza che in passato una crescente strutturazione
di aree e correnti all'interno del partito, in un processo che
coinvolge un numero sempre crescente di federazioni e di circoli."
"Si tratta di un problema complesso, che in ultima analisi può trovare una soluzione definitiva solo sul terreno del dibattito e, se necessario, della lotta politica all'interno del partito. Sarebbe sbagliato, oltre che illusorio, pensare che la rifondazione comunista possa approdare a un esito positivo senza un processo profondo di discussione nel quale le diverse tradizioni e filoni politici presenti al nostro interno si possano strutturare ed esprimere liberamente e con pari dignità di fronte a tutti i compagni."
"Per noi il centralismo democratico non è altro che l'applicazione più alta e cosciente, nel campo del partito, dei principi fondamentali dell'autunomia e dell'unità di classe: massima libertà nella discussione, massima unità nell'azione, costruzione del partito e dei suoi gruppi dirigenti al di fuori di ogni logica di cordata o pseudoparlamentaristica, ma in base a una reale selezione e a una verifica sistematica delle capacità e delle competenze di ogni compagno posto in posizione dirigente, ecc."
"Se questo è vero, è però altrettanto vero che il rispetto del diritto di tutte le voci a farsi sentire nel modo più adeguato non può significare una "correntizzazione" completa del partito in tutti i suoi livelli. Il nostro fine non può in nessun caso essere una struttura di partito che ricalchi il modello della democrazia parlamentare, con i congressi nazionali al posto delle elezioni politiche, gli organismi nazionali e locali come parlamentini pletorici e con gli esecutivi come coalizioni più o meno instabili di rappresentanti di diverse correnti. Questo sistema ha portato da un lato al rigonfiamento oltre ogni proporzione ragionevole degli organismi dirigenti a partire dal Cpn, che dovrebbero essere drasticamente ridimensionati. In secondo luogo, se ha creato il costume di un relativo rispetto formale delle posizioni alternative, in particolare nelle fasi congressuali, ha favorito un inaridimento della democrazia reale e sostanziale nel partito; gli organismi "sovrani" sono spesso e volentieri impossibilitati ad esprimere una funzione realmente dirigente sulle scelte politiche, che vengono trasferite a segreterie che spesso sono in realtà la conferenza dei "capicorrente" e che quindi svolgono impropriamente il dibattito politico che dovrebbe invece svolgersi nel Cpn e nei Cpf. Un ulteriore effetto negativo di questa situazione è stato lo sviluppo di una serie di "fedeltà" di corrente che nuocciono gravemente al dibattito complessivo del partito, soprattutto in quei contesti dove più forte si fa sentire la carenza di quadri formati con una indipendenza di giudizio politico e di proposta."
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