Lo stato d'assedio in Chiapas.
Esercito, corpi di polizia e bande di paramilitari.


di Roberto De Maria e Christian Elevati, gennaio 2003
Il Chiapas si trova nel Messico meridionale, alla frontiera con il Guatemala e con un tratto costiero sull’Oceano Pacifico. E’ uno stato ricco con una popolazione povera; già nel 1992 la Banca Mondiale lo aveva ritenuto ad alto rischio di sommossa sociale.

Secondo statistiche governative, ci sono un milione di indigeni in Chiapas, appartenenti alle etnie tzotzil, tzeltal, chole, tojolabal, mam, mocho, jalateca, lacandona, cakchikel.

I dati ufficiosi ritengono che la popolazione india sia di gran lunga più numerosa: due milioni su un totale di 3.600.000 abitanti (1997).

Il contesto geopolitico

Il Chiapas è anche lo stato messicano più sottoposto al controllo del Governo federale tramite un massiccio impiego dell’Esercito, dei corpi di Polizia e dei paramilitari. Questo trattamento, che con un eufemismo potremmo definire "particolare", non si comprende se non lo si inserisce in un contesto più ampio sotto l’aspetto storico, sociale, politico ed economico (a tal proposito si vedano gli articoli "Chiapas: una storia che ci riguarda" e "Le Comunità zapatiste del Chiapas").

In particolare, considerando gli stretti vincoli che legano il Governo messicano a quello degli Stati Uniti, non si può prescindere dall’importanza che il territorio del Chiapas riveste nei megaprogetti di sviluppo panamericani nati sotto la spinta della superpotenza statunitense, primo fra tutti il Plan Puebla Panamà (PPP).

I progetti previsti dal PPP, che siano di grandi infrastrutture, di impianti produttivi industriali o di privatizzazione di risorse naturali (estremamente abbondanti e diversificate nel sud est messicano), presuppongono un riordinamento del territorio in ampie zone del paese, molte delle quali caratterizzate dalla pratica della proprietà collettiva della terra tipica dell’organizzazione sociale indigena, e da progetti autonomi formulati democraticamente dalle popolazioni locali.

Non si deve mai dimenticare che per gli indigeni, da sempre, il territorio in cui vivono (e non "il territorio" in senso astratto) è in senso forte il luogo in cui si costruisce la cultura, dove si produce e si riproduce l’intersoggettività e la visione del mondo, dove hanno luogo le relazioni sociali e la possibilità stessa di un futuro e, per la stessa ragione, dove rendere concreto il diritto all’autodeterminazione. Si tratta di spazio fisico carico di tradizioni, simboli, storia, cosmovisioni e utopia.

Più precisamente, la visione Maya del mondo è caratterizzata dal doppio dualismo montagna-valle e mascolinità-femminilità. Per i popoli Maya la Terra, nostra madre, è inscindibile dalla montagna, che rappresenta la mascolinità. È solo attraverso la combinazione di entrambe che si genera la vita dalla Terra. Intervenire con fabbriche, aeroporti, autostrade e complessi turistici sulla Madre Terra significa distruggere un equilibrio sacro millenario.

Insomma, il problema è ben più complesso di una disputa sulla terra intesa come pura e semplice mercanzia.

La "Legge Indigena" recentemente approvata dal Parlamento federale messicano, fedele ai progetti del PPP, di fatto nega ogni reale possibilità di autodeterminazione per gli indigeni, subordinandola a interessi economici sovranazionali. Sono stati così cancellati i risultati faticosamente raggiunti con gli accordi di San Andrés (firmati dal Governo e dall’EZLN il 16 febbraio 1996) parzialmente tradotti in forma giuridica dalla Iniziativa di Riforma Costituzionale della COCOPA (29 novembre 1996). È impressionante notare come alcuni dei principali emendamenti apportati all’Iniziativa della COCOPA dal Parlamento federale rispecchino letteralmente alcuni passi del PPP, in particolare dove si negano alle popolazioni indigene l’esercizio della libera determinazione, la proprietà collettiva della terra e lo status di "soggetti di diritto".

In questo quadro è più agevole comprendere l’imponente dispiegamento di forze che da oltre un decennio i diversi governi messicani succedutisi nel tempo hanno sempre mantenuto, quando non potenziato, proprio in questa piccola parte del paese, spesso mascherando le loro decisioni come necessarie per combattere il narcotraffico o l’immigrazione clandestina.

Militarizzazione

La massiccia militarizzazione di quest’area sud-orientale degli Stati Uniti Messicani prende corpo allo scopo di reprimere il cosiddetto levantamiento armato zapatista, avvenuto il primo gennaio 1994 e durato dodici giorni.

Per farsi un’idea quantitativa del fenomeno, si consideri che nel 1987 c’erano "solo" 4.000 soldati di stanza in Chiapas, mentre nel 1999 tra 60.000 e 70.000, oltre ai diversi corpi di polizia federale e statale.

In base a un'inchiesta di Darrin Wood, studioso di Violenza Politica e Conflitti Armati dell’ITESO (Instituto Tecnològico y de Estudios Superiores de Occidente, Università gesuita di Guadalajara), si tratta di soldati in molti casi addestrati negli Stati Uniti in appositi centri per corpi speciali.

La storia, come spesso accade, si ripete: i militari boliviani che catturarono Ernesto Guevara nel 1967 furono addestrati da Rangers statunitensi. Curiosamente, una ventina d’anni dopo, la tristemente famosa Scuola delle Americhe dell’esercito statunitense cambiò la sua sede da Panamà a Forte Benning, in Georgia. A dimostrare questo legame stretto e duraturo sul piano militare fra i due paesi si è aggiunta di recente la confessione del Generale dell’esercito messicano Mario Arturo Acosta Chaparro, il quale dichiara di aver seguito corsi di antisommossa e antiguerrilla a Forte Bragg, Carolina del Nord, nella Scuola di Guerra Speciale fra il 1969 e il 1971 (allora conosciuta come Scuola e Centro di Guerra Speciale John F. Kennedy). Forte Bragg è anche la sede del 7° Gruppo di Forze Speciali, i Berretti verdi incaricati di agire in America Latina.

Un altro Generale messicano formatosi alla Scuola di Guerra Speciale è Mario Renan Castillo Fernàndez, comandante della 7a Regione Militare in Chiapas dal 1994 al 1997. Renan Fernàndez è considerato da molti il "padrino" dei gruppi paramilitari del Chiapas. Di fatto, il gruppo paramilitare Paz y Justicia gli fu fedele dal giorno della sua costituzione.

La confessione del Generale Mario Arturo Acosta Chaparro, a suo tempo negli Stati Uniti prima di entrare nella Brigata Bianca e nella guerra "sporca", rappresenta soltanto un’ulteriore prova di ciò che può accadere quando gli Stati Uniti utilizzano forze armate per "mantenere l’ordine" in altre nazioni.

Subito dopo il suo insediamento come Presidente del Messico, avvenuto il 2 dicembre 2000, Vicente Fox dichiarò pubblicamente che la decisione di ritirare le truppe governative dal Chiapas sarebbe stata presa per soddisfare una delle tre richieste dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN):

  1. liberazione di oltre 100 prigionieri politici;
  2. applicazione degli accordi di San Andrès, favorendo l’approvazione della Iniziativa di Riforma Costituzionale della COCOPA;
  3. smantellamento di 7 dei 259 accampamenti militari in Chiapas: Guadalupe Tepeyac, Rìo Euseba, La Garrucha, Roberto Barrios, Cuxuljà, Jolnachoj, Amador Hernàndez.

L’obiettivo dichiarato di Fox era riavviare il dialogo di pace tra gli indigeni zapatisti e il Governo federale. L’EZLN sapeva che la richiesta dell’opinione pubblica nazionale e internazionale era il ritiro totale dell’esercito, però considerò che fosse altrettanto suo dovere offrire segnali della propria disponibilità al dialogo e alla soluzione pacifica del conflitto. Per comprendere lo sforzo di mediazione operato dall’EZLN bisogna considerare che le diverse forze militari e di polizia governative nel dicembre del 2000 occupavano 655 punti geografici del Chiapas, di cui "solo" 259 appartenevano all’esercito federale.

Purtroppo però, sebbene ci fu l’abbandono delle sette postazioni indicate dall’EZLN, il numero di effettivi presenti sul territorio non diminuì perché il Governo federale si limitò a ritirare mezzi e truppe in altri accampamenti, spostando alcuni distaccamenti a una distanza di 4 chilometri dalle posizioni originali.

Nel corso dei lavori della terza CCIODH abbiamo potuto costatare la persistenza di numerose caserme, pattuglie e posti di blocco, specialmente nel Municipio di Ocosingo, nella zona dei Monti Azules (Monti Azzurri) e in prossimità del confine con il Guatemala. In particolare, l’intenzione di cacciare gli indios dalla Riserva Naturale dei Monti Azules ha l’obiettivo di realizzare le inversioni produttive collegate con lo sfruttamento della biodiversità e del petrolio dell’area.

Numerose sono anche le cosiddette Basi di Operazioni Miste, controlli militari sull’emigrazione posti nella gran parte delle strade del Chiapas allo scopo di controllare la ribellione e individuare stranieri "perniciosi", ossia in grado di denunciare la situazione di ingiustizia e guerra nello stato

(tanti i posti di blocco, le perquisizioni e gli interrogatori cui siamo stati sottoposti durante i nostri spostamenti intorno alla Selva Lacandona).

Aerei da guerra continuano a sorvolare le Comunità indigene, seminando angoscia tra la popolazione civile; i militari hanno preso l’abitudine di improvvisare punti di controllo intorno ai villaggi per incalzare e intimidire i civili, sottoponendoli a interrogatori e impedendo il libero transito da e verso i campi (non si deve dimenticare che solo il 40% della popolazione chiapaneca è urbana, mentre il 60% è rurale).

Nei luoghi vicino alle caserme le Comunità denunciano la contaminazione dei fiumi e delle terre; in più la presenza militare ha provocato l’introduzione e la diffusione della prostituzione e il consumo di massa di alcol e droghe. Insieme all’esercito sono anche arrivate le violazioni dei diritti, il maltrattamento fisico e psichico dei bambini e delle donne. Nella comunità di Oventic, a quattro donne è stato diagnosticato l’HIV dopo essere state violentate da soldati. Le denuncie per molestie alle donne indie sono frequenti.

Il crescente utilizzo di esercito e polizia per sconfiggere il narcotraffico e la necessità di presidiare il confine con il Guatemala, assai sotto pressione a causa del disperato flusso migratorio proveniente dall’America Centrale e dal Sudamerica, hanno portato a confondere la difesa della sicurezza nazionale con il controllo dell’ordine pubblico, creando vasti spazi politici e operativi all’intervento militare intorno alle Comunità in resistenza pacifica.

Il Chiapas continua tuttoggi a essere uno stato militarizzato, e le popolazioni indigene sottoposte a persecuzione.a

Bande di paramilitari

Il fenomeno si inserisce in uno schema di controinsurrezione mascherato dietro aggressioni per problemi di terra, controversie tra partiti e conflitti religiosi, rivalità personali, stregoneria, vendette familiari o semplici incidenti, occultando in questa maniera la strategia paramilitare di controllo, destabilizzazione, divisione sociale e repressione selettiva come parte di una guerra sucia (sporca), disegnata e diretta dalle più alte strutture del potere.

Dopo il levantamiento dell’EZLN e l’implementazione di una strategia di repressione, la dottrina della sicurezza nazionale dell’esercito messicano subisce modifiche non da poco.

Nel manuale di guerra irregolare scritto dalla Segreteria della Difesa Nazionale nel 1994, così come in altri testi analoghi, si considera parte della strategia anti-zapatista la creazione di gruppi paramilitari o "forze di autodifesa" formate da civili reclutati tra la popolazione, come struttura parallela subordinata all’esercito.

Per la cronaca, i governi federali non hanno mai ammesso l’esistenza dei gruppi paramilitari, che ebbero una transitoria fase di riflusso dinanzi alla disfatta elettorale e alla cacciata del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) dai governi federale e statale, rimanendo orfani di quella che era stata la copertura ufficiale sino a quel momento.

Il 27 ottobre 2000 la Procura Generale della Repubblica emette un mandato di arresto per undici componenti del gruppo Desarrollo, Paz Y Justicia (nientemeno che Sviluppo, Pace e Giustizia), operativo nella zona nord del Chiapas. Tra questi Marcos Albino Torres, ex capo dell’esercito messicano e Samuel Sànchez Sànchez, ex deputato locale priista, accusati di associazione a delinquere, sequestro, furto e possesso illegale di armi da fuoco ad uso esclusivo dell’esercito. Questo evento creò aspettative sulla reale possibilità di dare avvio a una nuova fase, nella quale realizzare un’ampia e accurata indagine per accertare le responsabilità di chi ha addestrato e collaborato con i paramilitari.

Ciononostante, invece di cessare l’azione violenta di questi gruppi (i cui dirigenti sono inspiegabilmente e sistematicamente rilasciati) è continuata, generando conflitti, bloccando strade, applicando una politica di terrore, assassinii e aggressioni contro le Comunità e le basi d’appoggio zapatiste, con la complicità delle vecchie strutture municipali priiste e, spesso sotto forma di non intervento, da parte dell’esercito messicano e dei corpi di sicurezza dei diversi dipartimenti governativi.

Il 15 febbraio 2002, in coincidenza con la presenza in Messico della terza CCIODH, è stato arrestato Diego Vàzquez Pérez, dirigente di Desarrollo, Paz y Justicia, per la sua partecipazione a reati di sequestro e lesioni.

In conclusione, i gruppi paramilitari non sono stati né disarmati né disarticolati, continuando a esistere e conservando la propria struttura e organizzazione interna.

Le istituzioni ne tollerano la presenza, le autorità non agiscono, con il tempo i casi di violenza invecchiano impuniti e si sommano ad altri fatti avvenuti in passato.

Storie di crimini e delitti, persino massacri come quello di Acteal dove, il 22 dicembre 1997, un gruppo paramilitare priista composto da circa sessanta uomini armati attuò una sanguinosa offensiva contro gli sfollati di Las Abejas e i simpatizzanti zapatisti di Acteal (Municipio di Cenalhò), lasciando sul terreno 25 feriti da arma da fuoco e 45 cadaveri mutilati, tra cui 21 donne e 14 bambini. Il centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas denunciò che corpi di Sicurezza Pubblica erano rimasti a 200 metri dal luogo del massacro senza intervenire. Tuttora i veri responsabili di questo eccidio sono impuniti, e nemmeno sono state recuperate le armi utilizzate.

Guardia Blanca

Si tratta di eserciti privati un tempo reclutati, addestrati e armati dai grandi proprietari terrieri latifondisti, per respingere gli indigeni e i contadini ridotti alla fame che minacciavano di invadere le terre, oppure per soggiogare con la forza i lavoratori degli allevamenti o delle fincas, grandi proprietà rurali che per oltre un secolo hanno rappresentato il sistema di sfruttamento agricolo più diffuso in Messico. Come nelle haciendas, gli indigeni lavoravano in stato di schiavitù all’interno di un’economia chiusa in cui ciascuna finca emetteva la propria moneta, quando non pagava con alcol e il diritto a una piccola parte del raccolto. I debiti nella finca erano tramandati di padre in figlio, in modo che gli indios rimanessero schiavi per generazioni.

Le guardie bianche confluirono in seguito nei gruppi di paramilitari.

Conseguenze

Oltre che persecuzione, violenza e morte, come conseguenza diretta questa guerra sporca (detta anche guerra di bassa intensità) ha provocato decine di migliaia di sfollati di guerra. Ancora oggi esistono circa 10.000 desplazados, di cui solo 1.300 hanno potuto ritornare alle loro comunità di origine o a ciò che ne resta, in virtù degli "accordi di riconciliazione" promossi dal Governo statale. Questi "accordi" dimenticano il risarcimento dei danni subiti dagli sfollati, il disarmo dei paramilitari e l’imputazione dei colpevoli di assassinii e aggressioni, spesso identificati in quanto riconosciuti dalle stesse vittime.

"Senza giustizia non può esserci vera riconciliazione" ci hanno detto alcuni degli indigeni ritornati nelle loro terre. Sostengono che la decisione di ritornare è figlia della "tanta sofferenza accumulata durante tre anni e mezzo negli accampamenti di fortuna, caratterizzata da condizioni di vita disumane, sofferenza, mancanza di acqua potabile e dove la convivenza è assai difficile"

Il taglio degli aiuti umanitari ai desplazados, messo in pratica dalla Croce Rossa Internazionale (fino a un 60% in alcuni casi) negli accampamenti degli sfollati, è percepito come un altro fattore di pressione verso il ritorno a condizioni di rischio, terrore, precarietà e miseria.

Pertanto il problema degli sfollati per cause di guerra esiste tuttora. Le scorribande e gli assassinii subiti da migliaia di indigeni choles e tzotziles, per la maggior parte basi di appoggio dell’EZLN, rimangono impuniti.

Tutte le Comunità visitate dalla CCIODH (oltre 50) hanno denunciato casi di intimidazione da parte dell’esercito, dei corpi di polizia o delle bande paramilitari. Riportiamo qui di seguito uno stralcio dell’intervista fatta a 5 donne e 12 uomini rappresentanti di undici Comunità del Municipio Autonomo Ricardo Flores Magòn.

"Il 1° gennaio 1994 iniziò la militarizzazione dove c’erano basi di appoggio zapatiste. Nel 1995 il Governo iniziò a creare gruppi paramilitari nelle stesse zone, finanziando progetti per gente di Paz y Justicia. Allo stesso tempo cominciò il massacro: nel 1996 i paramilitari divennero operativi (…), le basi d’appoggio furono trattate come animali e alcuni non ebbero altra scelta che disperdersi; ci sequestrarono, violarono le nostre case e uccisero. Dietro di loro sempre i militari della Sicurezza Pubblica: fabbricano accuse e incarcerano le persone. Il Chiapas è ricco di risorse naturali, però non sono i contadini a beneficiarne. Il PRI è diviso in tutto il paese. Si parla di PRI vecchio (Paz y Justicia) e di PRI nuovo (USIAF). Anche i priisti sono poveri, ed è il sistema di governo che provoca il problema".

Prospettive future

La situazione attuale è caratterizzata da reiterate aggressioni alle Comunità indigene zapatiste, cui si contrappone la reazione pacifica e determinata delle stesse, sostenute da differenti settori della società civile nazionale e internazionale impegnati nella ricerca di una soluzione pacifica e democratica.

Ciò fa pensare che, come in occasione dell’approvazione da parte del Senato delle modifiche alla Ley COCOPA, il potere politico manterrà implicitamente una strategia di guerra sotterranea che si prolungherà per tutti i sei anni del mandato di Fox, alternando periodi di incremento della tensione (come quello attuale) ad altri di relativa calma.

Possiamo affermare, senza alcun timore di essere smentiti, che le più alte strutture di potere dello stato messicano oramai "attendono" con impazienza la resa degli indigeni chiapanechi ridotti alla fame e sotto assedio.

Per concludere, riportiamo un ultimo stralcio dell’intervista fatta al Consiglio Autonomo del Municipio Ricardo Flores Magòn:

"La guerra di bassa intensità non è solo la militarizzazione, il soldato oppure il paramilitare, ma è anche la guerra che patiamo silenziosamente tutti i giorni, la guerra che vive il nostro popolo dall’epoca dei nostri avi e ancor prima (…). Questa guerra è povertà, oblio, dimenticanza, sfruttamento e violazione dei nostri diritti umani individuali e collettivi.

Con questa guerra negano il nostro futuro, la nostra dignità, la nostra cultura e la nostra storia. Questa guerra nessuno la vede e la sente, anche se arreca più sofferenza dei soldati, dei proiettili e delle bombe. Perché è nei nostri cuori da molto tempo e mai si allontana.

Fu per questa guerra che siamo obbligati a lottare (…).

Con questa guerra ci incarcerano e ci uccidono perché lottiamo per la dignità, ci cacciano dalle nostre terre, bruciano le nostre case, distruggono i raccolti, ci negano cibo e medicine. I soldati, i paramilitari e i poliziotti che si fermano nelle nostre Comunità portano violenza, distruzione, morte, alcolismo, prostituzione, droga, inganno e falso progresso che un po’ alla volta divora le nostre Comunità, le divide rendendone più povera la vita quotidiana (…).

In diverse occasioni, come a Taniperla nel 1998, le Comunità sono state oggetto di offensive militari e paramilitari che le obbligano a fuggire per mesi, e al loro ritorno trovano tutto distrutto.

Nel Municipio Autonomo Ricardo Flores Magòn, che conta oltre cento Comunità, attualmente ci sono 8 caserme dell’esercito federale. Si calcola che nel nostro territorio ci sono circa 8.000 effettivi dell’esercito federale, che nei momenti di maggior pressione governativa arrivano a più di 15.000. La Sicurezza Pubblica ha due caserme e i gruppi paramilitari operano in diversi punti del territorio.

Le comunità dove vi sono i militari si trasformano in caserme e la scuola autonoma in latrina e bordello (…)".

Le foto 3, 4, 5, 6 sono tratte da: "Zapatistas". Testi di Dauno Tòtoro T. Foto di: Emiliano Thibaut, Grupo Editorial Tomo, 2001

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Nel prossimo articolo approfondiremo il tema della giustizia in tempo di guerra: tortura, discriminazioni, impunità diffusa, prigionieri politici e desaparecidos;

 

Roberto De Maria (robertodm@virgilio.it)

Christian Elevati (ailender@tiscali.it)

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