Lo scenario macroeconomico della ribellione indigena in Chiapas.
Il Plan Puebla-Panamà..


di Roberto De Maria e Christian Elevati, maggio 2003

Introduzione

Per comprendere meglio ciò che è accaduto e che sta accadendo oggi in Chiapas, così come nel mondo della guerra permanente e preventiva, può essere utile collocare e interpretare i fenomeni sociali e politici all’interno del contesto economico in cui sono nati e si sviluppano.

Nel continente americano è in atto da tempo il processo di costruzione dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA). L'ALCA è essenzialmente l'espansione del NAFTA (il Trattato di libero commercio del Nord America), entrato in vigore il primo gennaio 1994 in Canada, USA e Messico.

Il Plan Puebla-Panamà (PPP), pensato per il Messico e per l’intero Centro America, rappresenta un significativo passo intermedio per realizzare l’ALCA.

In questo servizio ne tracciamo inizialmente una descrizione sintetica:

e successivamente approfondiamo alcuni aspetti essenziali:

per concludere con alcune

Considerazioni critiche sul Plan Puebla-Panamà

Una fabbrica di povertà

Lo studioso Julio Boltvinik sostiene (Pobreza y distribución del ingreso en México, Siglo XXI, México, 1999) che la percentuale di popolazione messicana che vive in condizioni di povertà è passata dal 68,9% nel 1984 al 73,8% nel 1989, per arrivare al 75,1% nel 1992.

Nel 1996, circa 73 milioni di messicani (il 70% della popolazione totale) vivevano in condizioni di povertà, e gli indicatori mostrano che da allora la situazione si è costantemente aggravata.

Naturalmente la povertà non affligge solo il Messico, dato che l’intero sistema economico mondiale attuale è una gigantesca fabbrica di povertà.

Secondo la Banca Mondiale (BM) nel 1998 vi erano al mondo 1 miliardo e 200 milioni di persone in condizioni di povertà "estrema", ossia con un reddito medio giornaliero inferiore a un dollaro.

Inoltre, sempre secondo i dati della BM riferiti all’anno 1998, quasi la metà della popolazione del pianeta - circa 2 miliardi e 800 milioni di persone - viveva in condizioni di povertà, cioè con meno di due dollari al giorno.

L’obiettivo della BM, dichiarato nel giugno del 2000 con la pubblicazione titolata "Un mondo migliore per tutti" (A better world for all), era il seguente: ridurre la povertà "estrema" a 900 milioni di persone entro il 2015. Come sempre, però, le buone intenzioni devono fare i conti con gli strumenti impiegati e con i reali interessi in campo.

Anche il PPP è stato presentato dal Governo del Messico come una strategia per fare uscire dalla povertà i 28 milioni di abitanti della regione più povera del paese, il Sud-Est, più i 37 milioni di abitanti dell’America Centrale.

Il documento ufficiale che presenta il PPP:

"si propone un nuovo schema di sviluppo regionale che, partendo dalla premessa che lo sviluppo è delle persone altrimenti non è sviluppo, contempla, fra l’altro, nuove politiche pubbliche per lo sviluppo umano (prestando particolare attenzione allo sviluppo integrale delle comunità e delle popolazioni indigene), la lotta contro la povertà e la promozione di investimenti e di sviluppo produttivi, la realizzazione di investimenti strategici in infrastrutture che permettano alla regione di comunicare meglio al suo interno e sfruttare le potenzialità iscritte nei trattati di libero commercio del Messico, una nuova politica di prezzi e tariffe di beni e servizi produttivi per il settore pubblico e programmi per assicurare la sostenibilità ambientale della crescita economica".

Lo stesso documento prosegue con una lista di buoni propositi, fra i quali si citano i benefici che permetteranno di recuperare il ritardo esistente, migliorando la qualità della vita degli abitanti ecc.

La "mano visibile" del mercato e la resistenza zapatista

"Molte volte, dall’inizio della nostra insurrezione, il 1° gennaio del 1994, abbiamo lanciato un appello a tutto il popolo del Messico a lottare insieme e con tutti i mezzi, per i Diritti che ci negano i potenti.

Coerenti con il cammino che voi ci avete chiesto di seguire, abbiamo dialogato con il potente e siamo giunti ad accordi che potrebbero significare l'inizio della pace sulle nostre terre, la giustizia per gli indigeni del Messico e la speranza per tutti gli uomini e le donne onesti del paese. Questi accordi, gli Accordi di San Andrès, non sono prodotto della sola volontà nostra, né sono nati da soli. A San Andrès sono arrivati rappresentanti di tutti i popoli indios del Messico, lì la loro voce è stata rappresentata e sono state presentate le loro richieste. Non erano soli gli zapatisti in San Andrès né i loro accordi. Accanto e dietro ai popoli indios del paese c'erano e ci sono gli zapatisti. Come allora, oggi continuiamo a camminare insieme a tutti i popoli indios nella lotta per il riconoscimento dei loro diritti. Non come avanguardia né come direzione, solo come una parte di loro.

Noi abbiamo rispettato la nostra parola di cercare la soluzione pacifica. Però il supremo governo ha mancato alla sua parola e non ha rispettato il primo accordo fondamentale che avevamo raggiunto: il riconoscimento dei Diritti indigeni.

Alla pace che avevamo offerto, il governo ha contrapposto la guerra con caparbietà. Da allora, la guerra contro di noi e contro tutti i popoli indios è continuata. Da allora, le bugie sono cresciute. Da allora si è ingannato il paese e il mondo intero simulando la pace e facendo la guerra contro tutti gli indigeni. Da allora si è cercato di dimenticare l'inadempienza della parola governativa e si è voluto occultare il tradimento che governa le terre messicane."

dalla Quinta dichiarazione della Selva Lacandona, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

La strada scelta per lo "sviluppo" del Paese ha ripetuto — e sta tuttora ripetendo — modelli già tristemente noti anche al resto del mondo, sia nella logica che li ha prodotti sia nei nefasti effetti sui diritti fondamentali delle popolazioni (salute, alimentazione, lavoro, educazione, abitazione) e sull’ecosistema:

  • privatizzazione selvaggia dei principali beni comuni e delle risorse naturali, dalle ferrovie alla terra dedicata all’agricoltura, dalle risorse minerarie all’acqua, acquisiti sistematicamente da imprese transnazionali statunitensi ed europee che già oggi controllano, direttamente o indirettamente, la politica, l’economia e i principali mezzi di informazione;
  • controllo e mercificazione del flusso migratorio proveniente dall’America Centrale verso gli Stati Uniti, con impiego dei migranti come mano d’opera a bassissimo costo nelle maquiladoras, fabbriche che confezionano abiti o che assemblano componentistica elettronica per la realizzazione di prodotti destinati ai mercati ricchi;
  • sfruttamento della biodiversità, brevettando piante medicinali o da coltivazione tradizionalmente impiegate dagli indigeni;
  • distruzione di vaste aree di foresta tropicale a favore di monocolture intensive;
  • "riconversione" massiccia delle risorse naturali per scopi turistici, attraverso la costruzione di strutture ricettive, di svago e di servizio, senza alcun rispetto per le comunità locali e per l’ambiente.

Nella Selva Lacandona, controllata in parte dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, si trovano un quarto delle acque del Messico dalle quali si produce il 55% dell’energia elettrica nazionale, oltre alla metà delle numerose specie vegetali del paese e ricchi giacimenti di petrolio, che ne fanno una zona di grande importanza strategica.

La ley indigena approvata il 28 aprile 2001 dal Congresso dell’Unione e soprannominata "legge truffa", in quanto nega agli indigeni messicani qualsiasi diritto, ignora gli accordi di San Andrès e stravolge la proposta di riforma costituzionale elaborata dalla Commissione di Concordia e Pacificazione nazionale (COCOPA).

E’ evidente che le rivendicazioni di "autonomia includente" (per il pieno riconoscimento come cittadini messicani) e di diversità culturale degli indigeni - 10 milioni secondo fonti governative, 18 milioni, di cui 2 milioni in Chiapas, secondo fonti non governative - sono in forte contrasto con questi nuovi progetti.

Le radici del Plan Puebla-Panamá

Dopo la vittoria alle elezioni presidenziali del 2000, Vicente Fox (PAN, Partito di Azione Nazionale) sostenne che con lui era finalmente stata instaurata la democrazia nel paese, e promise riforme per "far uscire il paese dal sottosviluppo e dare una chance ai milioni di poveri", pur sottolineando che il suo "governo è formato da imprenditori per gli imprenditori".

La privatizzazione delle aziende di stato — industria petrolifera e settore elettrico inclusi - e il Plan Puebla-Panamà (PPP), costituiscono il nocciolo duro del suo programma presidenziale.

Il PPP coinvolge diversi stati messicani (Veracruz, Puebla, Guerrero, Oaxaca, Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatàn e Quintana Roo) e altri stati centroamericani (Belize, Guatemala, Salvador, Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panamà).

Suscita un certo sospetto un piano di sviluppo nazionale che coinvolge esplicitamente altri stati sovrani, così come il fatto che lo stesso nome trascuri i confini nazionali per concentrarsi sulle città che costituiscono idealmente i due estremi dell’area interessata (non si chiama, infatti, Piano Messico-Panamà ma Puebla-Panamà).

In realtà, secondo l’opinione di molti in Messico, il piano non è opera di Fox ma di enti e organismi sovranazionali, fra cui spiccano la Banca Mondiale e il Banco Interamericano di Sviluppo.

Per citare un esempio, per quanto riguarda la biodiversità, il PPP riprende esattamente le linee guida del CBM (Corredor Biologico Mesoamericano), un piano realizzato dalla Banca Mondiale già nel 1993.

A conferma di questa tesi si consideri che già l’ex presidente Ernesto Zedillo, nel suo Piano Nazionale di Sviluppo Urbano 1995-2000, aveva disegnato una riorganizzazione del territorio nazionale tramite la costruzione di sette corridoi interoceanici che collegassero la East Coast statunitense al Pacifico.

Oggi li ritroviamo tali e quali, presentati da Fox come una sua idea innovativa e riproposti in tutte le versioni nazionali e internazionali del PPP.

Gli obiettivi del Plan Puebla-Panamà

Formalmente, gli obiettivi del PPP sono:

  • tutelare la biodiversità dell’intero corridoio mesoamericano;
  • costruire infrastrutture di transito interoceanico, che permettano alla regione di comunicare meglio al suo interno;
  • riorganizzare economicamente, attraverso il ridisegno dello spazio demografico del paese, lo sviluppo di una industria maquiladora (assemblaggio di prodotti) e affermare un nuovo concetto di turismo di élite.

Biodiversità e biopirateria

La ricchezza naturale più importante del Chiapas non è il petrolio né i minerali né l’acqua.

La sua principale forza produttiva è la biodiversità (presenza di differenti specie di piante e animali), che offre nuove materie prime alla rivoluzionaria ingegneria genetica.

Per comprendere la dimensione della questione si consideri che Messico e Centro America rappresentano meno del 2% del territorio mondiale ma ospitano circa il 20% della biodiversità dell’intero pianeta. Da un punto di vista commerciale ciò costituisce una fonte di guadagno incalcolabile, soprattutto quando si riesce nell’opera di appropriazione di specie sconosciute o semplicemente mai brevettate da altri.

È accaduto, per citare un esempio, nel 1996, con un fungo che cresce sulle radici dei pini e che contiene particolari sostanze curative (per opera della Novartis, una multinazionale farmaceutica), ma è accaduto altrettanto spesso nel settore agricolo, come nel caso di una specie di fagiolo, il frijole amarillo, anch’esso brevettato.

Gli introiti (protetti dalle regole del WTO), sia per i derivati farmaceutici sia per le spese che i contadini devono sostenere se vogliono coltivare una specie brevettata, sono enormi (vedi la mappa Le coltivazioni transgeniche in Messico 1982-2000).

Si consideri che la Novartis si è dichiarata disponibile a pagare un milione di dollari agli indigeni che hanno collaborato alle ricerche pur di non concedere una percentuale sugli incassi.

La pratica dei brevetti è un vero e proprio furto a fini commerciali, non solo delle risorse naturali ma anche delle conoscenze che gli indigeni hanno accumulato in migliaia di anni di convivenza con il proprio ecosistema.

Solo negli ultimi anni le comunità stanno cercando di opporsi, in particolare in Chiapas tramite l’Associazione dei Medici Tradizionali (Consejo de Organizaciones de Médicos y Parteras Indígenas Tradicionales de Chiapas, COMPICH).

In base a quanto fin qui descritto, non stupisce che all’interno del PPP si trovino programmi di privatizzazione di aree naturali protette e di rilevanti aree idrologiche, la creazione di banche genetiche e lo sviluppo di attività di bioprospezione (ricerca e acquisizione di specie e dei relativi codici genetici).

Nella salvaguardia della biodiversità bisogna includere anche la lotta contro le monocolture intensive, veri e propri "deserti verdi" dove anche un singolo insetto è considerato un pericolo. Si tratta di colture che fanno largo uso di diserbanti, concimi chimici e di sementi geneticamente modificate.

In tal senso in Messico si sta rapidamente diffondendo, fra le altre, la monocoltura dell’eucalipto, impiegato essenzialmente per la produzione di carta.

Se un eucalipto non modificato deve crescere 7 anni prima di poter produrre carta con il suo tronco, a un eucalipto transgenico ne bastano 4-5, ma richiede un utilizzo di acqua tale da svuotare in breve tempo le falde freatiche.

Una piantagione di eucalipto, per essere economicamente redditizia, deve occupare un’estensione di almeno 60-70.000 ettari, perché la sua coltivazione e la sua raccolta è totalmente gestita da enormi macchinari. Per fare posto a tali piantagioni vengono bruciati continuamente ettari di foresta tropicale.

Per di più le terre su cui i grandi proprietari tentano di impiantare monocolture intensive sono spesso piccole proprietà gestite da cooperative di contadini e da Comunità indigene, che vengono cacciate con promesse ingannevoli, espropriazioni, intimidazioni e sgomberi (si vedano, per un approfondimento, i precedenti articoli dedicati alla storia del Chiapas e allo stato d’assedio in cui si trovano a vivere le popolazioni indigene chiapaneche).

Corridoi di transito interoceanico (vedi la mappa Corridoi di transito in Messico secondo il PPP)

Altro obiettivo prioritario del PPP è creare delle vie interoceaniche di transito che mettano in comunicazione l’est (Oceano Atlantico) ricco e industrializzato degli Stati Uniti con la costa occidentale, il Pacifico, la Cina e il Sudest asiatico.

Tra il fiume Mississippi e la costa atlantica degli USA si concentra l’80% dell’economia statunitense, quasi tutte le principali risorse petrolifere e carbonifere, le più importanti industrie siderurgiche e le terre più fertili, risorse strategiche che si trovano poco o per nulla nell’ovest degli USA, se si esclude la zona costiera e la penisola californiana.

Si tenga inoltre presente che le comunicazioni fra l’est e l’ovest degli Stati Uniti sono rese difficoltose, oltre che dalle distanze, anche dalla presenza delle Montagne Rocciose, di vaste aree desertiche e di altre zone montagnose, che implicano grandi costi in termini di tempo e di denaro. Infatti a oggi i principali canali di comunicazione fra le due coste statunitensi sono essenzialmente tre: quello che al nord giunge a Seattle, quello che al centro tocca San Francisco e quello che a sud porta a Los Angeles.

Si tratta di "ponti terrestri" (land bridges) attraverso i quali le merci viaggiano essenzialmente su TIR o su ferrovia, in container di dimensioni standard facilmente trasportabili su qualsiasi mezzo marino, aereo o terrestre.

E’ così che assumono importanza strategica le fasce istmiche del Centro-America.

Non a caso le zone maggiormente interessate dai progetti di corredores de tránsito interoceánico del PPP sono Panamá, l’Honduras e l’Istmo di Tehuantepec, quest’ultimo situato proprio nel Sudest messicano. Si tratta di regioni per nulla o poco montagnose, in cui la distanza fra i due oceani raggiunge al massimo poche centinaia di chilometri e popolate da una povera e abbondante umanità, che può essere utilizzata per assemblare prodotti (vedi la mappa Corridoi energetici in Messico).

La riorganizzazione economica della regione e le maquiladoras

Secondo gli estensori del PPP, lo spazio demografico del paese sarebbe mal strutturato, con Città del Messico che contiene un quinto della popolazione nazionale in contrasto con le zone rurali, dove vi sarebbe un livello di dispersione tale da impedire l’accesso ai servizi essenziali.

La leva correttiva consisterebbe nella spinta simultanea affinché sia da Città del Messico sia dalle zone rurali si migrasse verso le città di medie dimensioni; la migrazione contadina è considerata prioritaria. Infatti il problema fondamentale consiste nel fatto che la presenza di questa popolazione agraria impedisce lo sfruttamento delle risorse agricole, dell’acqua, del petrolio e della foresta, mentre la sua concentrazione nelle città di medie dimensioni favorirebbe lo sviluppo dell’industria maquiladora.

Situate per ovvie ragioni di convenienza logistica vicino alle grandi vie di comunicazione (i corredores di cui si e’ più sopra detto), le fabbriche di assemblaggio, dette maquiladoras, impiegano manodopera indigena soprattutto femminile, analfabeti, migranti, bambini e povera gente per lavori di semplice assemblaggio manuale, tanto che nelle maquiladoras è raro vedere dei macchinari.

I lavoratori sono quasi sempre privati di qualsiasi diritto o tutela, lavorano mediamente 12 ore al giorno e percepiscono salari estremamente bassi, anche di 20 centesimi di dollaro l’ora.

Ciò consente alle multinazionali che assegnano i lavori ai proprietari delle maquiladoras di risparmiare notevolmente sui costi di produzione (si veda a tal proposito il sito www.cleanclothes.org).

Le proteste per i maltrattamenti o le vittorie sindacali sui salari sono spesso causa della chiusura della fabbrica. Le maquiladoras, infatti, aprono e chiudono con disinvolta facilità, secondo gli interessi e le opportunità economiche del momento.

Non sono rari i casi di sequestro dei documenti personali o di prigioni interne alle fabbriche, create col preciso scopo di punire e intimidire chiunque si azzardi a invocare i propri diritti.

Il documento preparatorio del PPP parla espressamente dell’obiettivo di trasformare la regione nella zona economicamente più dinamica del mondo, in concorrenza con la Cina e le "tigri asiatiche".

Nella realtà, però, la tanto decantata "flessibilità", che in base alle intenzioni dichiarate da imprenditori e tecnocrati dovrebbe creare sviluppo e occupazione per tutti, qui ha lasciato da tempo il posto alla precarietà, allo sfruttamento e alla negazione di ogni diritto a favore dei pochi ricchi, che in questo modo perpetuano, consolidandola, la propria posizione di potere.

Quale turismo?

Al turismo convenzionale di località quali Cancun, il PPP aggiunge piani per la creazione di servizi all inclusive di "turismo culturale" e di "ecoturismo", espressamente rivolti a clienti della classe media del "primo mondo" (USA, UE e Giappone).

Tali piani prevedono innanzitutto la privatizzazione di tutte le zone archeologiche non solo del Messico ma anche del Guatemala e dell’Honduras, con conseguente costruzione di hotel e di strutture di accoglienza all’interno di aree storicamente protette, molte delle quali tuttora abitate dagli indigeni e per loro sacre.

Il PPP prevede anche la costruzione di ranchos (grandi tenute terriere) in cui sono cresciute ed allevate specie animali appositamente per i clienti che desiderino passare le vacanze dilettandosi con battute di caccia, in una sorta di videogioco — per nulla virtuale — sul modello dei safari africani.

Non è un caso se negli ultimi anni si sono registrati segnali evidenti in Messico del fatto che numerosi imprenditori messicani e nordamericani stiano spostando i propri investimenti proprio sul settore del turismo.

Considerazioni critiche sul Plan Puebla-Panamà

Come già anticipato, una parte importante del Piano riguarda il cosiddetto Corridoio Biologico Mesoamericano (CBM), un programma di conservazione di Aree Naturali Protette che prevede attività di ecoturismo e bioprospezioni, piantagioni a monocoltura perenne, centri di agriturismo e ranchos.

Si tratta di una proposta che, con la scusa di mirare alla conservazione delle aree naturalisticamente rilevanti, prevede l’espulsione dei contadini e degli indigeni e la svendita della maggior parte dei territori messicani ai latifondisti nazionali e transnazionali ben informati di biotecnologia e privi di ogni rispetto per le culture e le tradizioni locali.

Invece di proporre forme che permettano di espandere, completare e rafforzare le catene produttive esistenti, il Piano vorrebbe sostituire in massa la vecchia catena industriale (compreso il cuore dell’apparato produttivo messicano, l’industria petrolchimica) con una pseudo-industria maquiladora che non rafforza la domanda di materie prime nazionali, non stimola la nascita o la crescita di altri rami industriali e nemmeno favorisce la ricerca e l’inventiva nazionale; al contrario, giustifica lo smantellamento del sistema nazionale di educazione pubblica avviata a formare manodopera qualificata.

La riforma delle reti di trasporto, più che lo sviluppo del Sudest messicano, si propone di realizzare vari corridoi interoceanici collegati con le zone più ricche e industrializzate degli Stati Uniti.

L’integrazione delle reti rimpiazzerà la centralità radiale di Città del Messico con la centralità radiale di Chicago, New York e di tutto l’Est degli Usa, senza migliorare, come demagogicamente si dice, la connessione autonoma tra le diverse zone della regione messicana.

Per di più alcune nuove linee ferroviarie messicane sono già passate a essere proprietà privata, principalmente statunitense.

Sullo squilibrio demografico il piano parla di una necessaria fuoriuscita di milioni di persone da Città del Messico. Però, a differenza dell’attacco frontale all’agricoltura nazionale, nel caso di Città del Messico non raccomanda l’applicazione di programmi specifici di spopolamento e sfollamento forzoso così come già sta accadendo nelle regioni rurali del sudest del Messico. Semplicemente, le regole del gioco dentro questa città non permettono l’applicazione di strategie di manipolazione massiva né la violazione palese dei diritti umani.

In Chiapas si promuove la riduzione demografica mediante l’applicazione di politiche pubbliche che strangolano la media e piccola economia contadina e distruggono le forme di proprietà collettiva della terra, ma anche mediante programmi pubblici di educazione, alimentazione e salute, apparentemente destinati ai più poveri e in realtà finalizzati a spingere i contadini verso i centri urbani più vicini.

Se da un punto di vista puramente teorico questa strategia demografica può risultare valida in alcune regioni del mondo, nel caso del Sud-est del Messico, risulta disastrosa, perché finisce per promuovere la scomparsa della popolazione indigena, l’unica fino a oggi dimostratasi in grado di preservare le risorse naturali e culturali del territorio.

La produzione messicana di cereali, in gran parte proveniente dal Centro e dal Nord del paese, viene smantellata non per dare spazio a quella che potrà essere la futura produzione del Sud-est, ma per cedere il passo alla produzione agricola degli Stati Uniti, sempre più basata su specie transgeniche.

D’altro canto, si vuole realizzare l’esportazione di prodotti tropicali del Sud-est messicano per fornire il Nord-America di materie prime industriali quali olio, carta, legno, resine e alcuni prodotti esotici che difficilmente si possono coltivare negli Stati Uniti.

Il centro gravitazionale della riforma agricola proposta è nello stomaco senza fondo delle imprese transnazionali agro-farmaceutiche statunitensi ed europee e non nelle necessità dei messicani, e ancora meno nelle necessità degli indigeni.

In conclusione, il PPP rappresenta una forma di controllo globale, che punta a dominare due fattori strategici di rilevanza mondiale: le vie di comunicazione interoceaniche tra l’Est e l’Ovest degli Stati Uniti e le risorse naturali e archeologiche dei paesi centro-americani.

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Fonti:

- Economìa politica del Plan Puebla-Panamà. A. Alvarez - A. Barreda - A. Bartra. Editorial ITACA, México, 2002

- Interviste con:
Andrés Barreda (Facoltà di Economia Politica dell’UNAM, Universidad Autònoma de México)
Raul Castro (CIEPAC, Centro de Investigaciones Ecònomicas y Polìticas de Acciòn Comunitaria)

- Terzo Informe della Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti Umani

- Atlante di Le Monde Diplomatique, 2003

Articoli e dossier sul PPP nella Rete:
http://www.asej.org/ACERCA/ppp/webliography.html

 

Roberto De Maria (robertodm@virgilio.it)

Christian Elevati (ailender@tiscali.it)

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