Dentro la
nuova fase.
Qualche
tempo fa dicevamo che la fase che è andata dal luglio 2001 al giugno
2003 (la fase dei movimenti) si era chiusa in maniera precipitosa, lasciando
di nuovo spazio a Berlusconi, ma che la radicalità politica espressa
dalle masse c'era ancora tutta, in attesa di potersi esprimere. I risultati
elettorali confermano questa analisi. REDS. Maggio 2005.
Qualche tempo fa (La nuova fase, La fase dei movimenti si è chiusa, Sinistre alla prova) scrivevamo che la fase che era andata dal luglio 2001 al giugno 2003 (caratterizzata dall'esplosione dei movimenti) si era chiusa, ma che la radicalità delle masse era ancora tutta lì, sommersa dai limiti della sinistra, in attesa di poter riemergere. I risultati elettorali delle regionali hanno in qualche modo confermato questa analisi: il centrodestra perde 6 regioni e rimane confinato al Nord-Est, dove peraltro il Polo registra il record di perdite elettorali. Dal 2001 il Polo ha perso 1,7 milioni di voti, e il centrosinistra ne ha guadagnati 2,2. Sia i guadagni che le perdite sono dovute in gran parte alla mutazione nella composizione degli astenuti. Nel 2001 si trattava dei delusi del governo di centrosinistra, che sono tornati a votare in funzione antiberlusconi; oggi parte dell'elettorato del centrodestra si rifugia nell'astensione, e un terzo cambia bandiera. I risultati hanno messo in rielievo quanto il governo Berlusconi non corrisponda più ai rapporti di forza che si sono determinati nella società. Il successo del centrosinistra è dovuto all'onda lunga delle lotte di questi anni: ora sono cessate, ma i lottatori sperano, attraverso il voto, di conquistarsi quello che la piazza non sempre ha ottenuto.
Il governo Berlusconi, a suo tempo sostenuto dalla Confindustria perché la facesse finita con la Cgil, è stato da questa sostanzialmente battuto sull'art.18. Per il resto è riuscito a suscitare nella società un attivismo e una radicalità che non si vedevano da vent'anni, e senza "portare a casa" alcun serio vantaggio per la borghesia. Questa paga il prezzo del proprio avventurismo: ora si ritrova con un tessuto produttivo in stagnazione e impossibilitato a competere a livello internazionale, dato che Forza Italia non è stata capace di farsi interprete degli interessi generali della classe dominante, ma solo di quelli, privatissimi, del suo leader. Il tutto era largamente prevedibile (e, per quanto riguarda REDS, previsto, vedi Dopo il 13 maggio), ma era troppo forte da parte della borghesia italiana la tentazione di superare la sua strutturale debolezza facendone pagare le spese ai lavoratori. Così ora il pendolo delle sue preferenze vanno al centrosinistra, ed ha adeguato di conseguenza i propri strumenti: direzione della Confindustria, direzione del Sole 24 Ore, direzione del Corriere della Sera. Tutti passati discretamente a sostenere il prodismo.
Il Polo si dibatte nella sua crisi senza in realtà poter trovare una via d'uscita. Forza Italia dipende totalmente dagli interessi privati e dai soldi di una persona, non potrà mai esprimere gli interessi di una classe. L'UDC di Casini si offre come strumento in grado di pilotare la formazione di un "vero" centrodestra, pronto a cogliere le esigenze della classe dominante. Ma il suo debole radicamento sociale non le consente di condizionare molto l'attuale assetto. Forza Italia non è così forte a caso: in essa si riconoscono una serie di ceti sociali i cui interessi non coincidono con quelli dell'integrazione europea. Tanto per fare un esempio, gli ordini professionali. Non è un caso che il Polo abbia varato una finta riforma: negli altri Paesi capitalisti "normali" non ci sono più gruppi parassitari come notai, avvocati, commercialisti e amministratori di condomini che campano grazie ai privilegi concessi loro dalla legge e da ordinamenti semifeudali. Ci sono vere e proprie imprese dove migliaia di avvocati, commercialisti e amministratori di condominio sono semplici pedine al soldo di capitalisti di servizi. Il ché fa sì che i prezzi di questi servizi (soprattutto per le imprese) siano più bassi di quelli offerti dai nostri vampiri. La ristrutturazione del centrodestra non potrà che partire dopo la sua sconfitta.
Lo scontro Prodi-Rutelli
Ovviamente, di questa crisi del Polo, il centrosinistra non sta approfittando. E' estremamente significativo quanto è avvenuto all'indomani delle elezioni. La cosa più ovvia di questo mondo era chiedere le elezioni anticipate. Ma il centrosinistra non l'ha fatto. Perché? Le ragioni sono tante, ma riconducono tutte ai limiti strutturali della nostra opposizione, specchio della debolezza dello schieramento di centrodestra. Fassino, Prodi, Rutelli e compagnia speravano che, stando zitti, avrebbero favorito le contraddizioni interne al Polo, e grazie a ciò, una magica eclissi del berlusconismo. Nella realtà ciò non è avvenuto e tutto si è risolto nell'indolore formazione di un Berlusconi-bis. Chiedere elezioni anticipate avrebbe significato, come minimo, far quello che aveva fatto il Polo ai tempi della caduta di D'Alema: promuovere manifestazioni, protestare, radicalizzare il confronto parlamentare. Ma la nostra Unione ha talmente paura che tale agitazione possa provocare una parallela radicalizzazione nella società che preferisce aspettare calma calma il prossimo anno. Non c'è niente che i dirigenti del centrosinistra possano temere di più come andare al governo sull'onda di mobilitazioni e aspettative di massa. Così, invece di motivare e mobilitare, si dedicano alle loro schermaglie miserevoli. Ultima delle quali è la lotta Rutelli-Prodi.
Come si sa la Margherita ha deciso di correre da sola in occasione delle prossime elezioni politiche, invece di presentarsi in un'unica lista insieme ai DS. Prodi invece puntava alla lista unica e, in prospettiva, al partito unico, e si è ritrovato in minoranza nel suo partito. I ragionamenti dei rutelliani sono all'apparenza di carattere numerico (e su questo hanno ragione: sia la Margherita che i DS prendono più voti là dove si presentano coi propri simboli), ma in realtà nascondono una diversa prospettiva politica rispetto a quella di Prodi. Tra essi non vi sono divergenze programmatiche. Entrambi sono convinti che il ruolo del futuro governo di centrosinistra sia quello di riagganciare l'Italia alla corsa competitiva mondiale, anche a costo di duri sacrifici da chiedere ai lavoratori. Ma differiscono sugli strumenti di governo di questo programma. Sanno che quattro anni di berlusconismo e di lotte hanno portato alle stelle le aspettative delle masse nei confronti del futuro governo dell'Unione, e per loro è essenziale far sì che la sinistra, condizionabile dai movimenti e dalla Cgil, sia messa sotto tutela perché non divenga canale di espressione del dissenso sociale. Per questo sono stati largamente favorevoli ad imbarcare il Prc nell'Unione e a fargli concessioni a livello di spazi politici (ma non sui contenuti programmatici). Questa è la ragione per cui la candidatura di Vendola in Puglia è stata meglio accolta da un Prodi che da un D'Alema. Il problema però è: e i DS? Per Prodi è necessario costruire uno strumento politico che li ingabbi, per questo pensa a una lista unica di centrosinistra alle elezioni, e in prospettiva ad un partito unico, che aiuti i DS a sganciarsi dai suoi riferimenti sindacali. Spera così di costituire un partito democratico, interprete degli interessi della borghesia, senza che abbia più nulla di "sinistra". Governando con un raggruppamento che sarebbe largamente maggioritario nella coalizione, Prodi spera di essere garantito sul fronte sindacale e dei movimenti.
Il resto della Margherita invece la pensa diversamente. Rutelli condivide la strategia di mettere sotto tutela la sinistra, ma con uno strumento "fidato", interamente nelle mani di chi non ha alcun obbligo di natura sindacale. Egli immagina, mantenendo un apparato politico separato, di costringere i DS al ruolo di "sinistra" e in questa maniera di potersi gestire in solitudine la relazione coi poteri forti e condizionare in questo modo l'intera coalizione. La Margherita non avrebbe alcun problema a costituire un partito unico coi DS se in tale partito le fosse garantita la totale egemonia. Ma come può accadere questo quando l'apparato e il radicamento dei DS è enormemente superiore al suo?
Il gruppo dirigente fassiniano-dalemiano invece vede con favore la prospettiva della lista unica. La ragione è molto semplice, ed è la stessa di Prodi. Si tratta di un gruppo dirigente che da anni lavora per eliminare l'identità dei DS come partito socialdemocratico, ma gli ostacoli a questo progetto sono... il partito stesso. Non tanto la sinistra interna, ormai impotente. Quanto la massa degli elettori, che si aspettano dai DS una politica di sinistra, e si aspettano un atteggiamento di fiancheggiamento della Cgil. La forza condizionante di questo vasto popolo s'è vista ai tempi dell'ascesa del cofferatismo (vedi L'ombra del cinese). Da allora il gruppo dirigente DS si muove con una certa prudenza, ma non ha certo abdicato ai propri disegni. La permanenza della Margherita come partito separato li costringe ad assumersi un ruolo da "sinistra", dato che lo spazio politico che vorrebbero sarebbe occupato da un soggetto più credibile, dato che nessun industriale può sentirsi tutelato da un partito che ha legami strutturali con la Cgil.
PRC e movimenti
La fase è caratterizzata dall'assenza dei movimenti, ma da una radicalità sociale che si esprime, passivamente, tramite le elezioni. Il PRC con il suo risultato intorno al 5% ha dimostrato chiaramente come l'attuale linea del partito sia assolutamente inadatta ad intercettare consensi nella nuova fase. E' certo che il popolo antiberlusconiano vuole l'unità per cambiare aria, ma vuole anche farlo con un programma che spazzi via le "riforme" di questi 4 anni. Se il PRC non si differenzia in nulla dai DS o da un PdCI o dai Verdi, non si comprende bene perché votarlo. E' significativo che anche in Puglia, dove Vendola ha vinto, il risultato del PRC non si differenzi da quello nazionale. Il PRC deve rapidamente apparire ed essere il miglior strumento politico per battere Berlusconi da sinistra.