Dopo il 13 maggio.
Una dettagliata analisi su come le classi sociali si dispongono allo scontro dell'autunno. L'evoluzione dell'atteggiamento della classe dominante verso il centro-destra, attraverso lo spoglio dei quotidiani e delle dichiarazioni di esponenti della classe dominante. Perché la CGIL è divenuta per la borghesia il nemico da battere. Giugno 2001. REDS.


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Le elezioni del 13 maggio 2001 segnano l'inizio di una nuova fase della lotta di classe. A molti questo termine, "lotta di classe", pare assai desueto. Noi invece analizzeremo sulla base delle dichiarazioni di singoli esponenti politici, confindustriali, degli editoriali dei maggiori quotidiani, come le due classi sociali fondamentali si stiano posizionando rispetto ad uno scontro che tutti collocano, più o meno, in autunno, quando dovrà aver luogo la verifica sulla "riforma" pensionistica. Studiamo questo posizionamento dal punto di vista della borghesia e cercheremo di dedurne i nostri compiti.

La borghesia e il centrodestra

La borghesia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non è una nozione astratta: delimita un gruppo molto concreto di persone in carne ed ossa. Per sapere cosa pensano basta leggere i giornali dei quali sono proprietari (dato che è improbabile che finanzino media che parlino male di loro) e le dichiarazioni che i capi delle loro organizzazioni rilasciano in grande abbondanza. Lo abbiamo fatto, seppur in forma più sommaria, in un precedente articolo (Cosa vota la borghesia?).

Sino ad un paio d'anni fa vi era un consistente settore di borghesia che pensava ancora di poter utilizzare il centro-sinistra per difendere i propri interessi. Alla fin dei conti questa compagine era riuscita, senza scontri, a far digerire alla cittadinanza e alla propria base sociale le più consistenti finanziarie della storia repubblicana e ad agganciare l'Euro. Da quel momento in poi però il centro-sinistra non ha marciato nella difesa degli interessi delle classi dominanti alla stessa velocità da quelle auspicato. Il diniego della CGIL di affrontare in anticipo la verifica sulle pensioni, e l'impossibilità dell'allora Presidente del Consiglio D'Alema di procedere senza il consenso del sindacato, avevano chiaramente fatto intendere alla borghesia che vi erano dei limiti strutturali all'azione di questo governo. E più precisamente il problema era il legame dei DS con la CGIL. Era dunque necessario che il compito fosse svolto da un'altra direzione politica, senza alcun legame con il movimento operaio.

All'epoca della caduta di D'Alema, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), chiedeva di andare subito alle elezioni per avere un governo stabile che riuscisse ad "affrontare i nodi strutturali del Paese". Ma ancora non si sbilanciava. Un anno fa le elezioni del nuovo presidente di Confindustria resero molto visibile l'orientamento maggioritario della borghesia, comunque già intuibile (vedi i nostri La borghesia chiama D'Alema alla neutralità dell'ottobre 1999 e La borghesia si prepara a cambiare cavallo dell'ottobre 1999) . Si formò una consistente maggioranza costituita da capitalisti influenti come Cesare Romiti, dalla Fininvest, dagli industriali del Nord Est, dai piccoli imprenditori del Sud, ed altri, che imposero l'elezione di D'Amato e sconfissero il candidato FIAT Callieri, la cui candidatura andava nella linea della continuità (concertazione, pressione lobbistica sul centrosinistra). Da quel momento la maggioranza damatiana, favorevole al centrodestra, non ha fatto che ingrandirsi. Il 17 marzo al convegno di Parma della Confindustria Berlusconi fu accolto da un applauso trionfale dalla platea. Sempre più pezzi della minoranza padronale si spostarono su Berlusconi. Il 23 marzo Tronchetti Provera dichiarava a Panorama che "dopo tante incertezze del centrosinistra l'Italia ha bisogno di una svolta". Poi fu il turno della FIAT.

Secondo Le Monde il 10 aprile Giovanni Agnelli sarebbe andato a Parigi a rassicurare personalmente il ministro degli esteri francese Hubert Vedrine sulla politica europeista del futuro governo italiano. Il 3 maggio dopo il famoso dossier de l'Economist che attaccava Berlusconi, Agnelli dichiarava: "Mi è dispiaciuto che si siano, non dico permessi, ma caratterizzati nel dare dei giudizi su quello che può essere un potenziale, un possibile presidente del consiglio, rivolgendosi al nostro elettorato come se fosse l'elettorato di una repubblica delle banane". Il repentino passaggio ha lasciato spiazzato il quotidiano FIAT La Stampa, che ha sempre portato avanti una linea discretamente antiberlusconiana: Barbara Spinelli, principale editorialista di quel quotidiano, il 6 maggio scriveva mestamente "non credo che i giornali stranieri, criticandoci, ci rechino offesa. Ci rivolgono consigli, hanno cura di quel che accade in una grande democrazia europea: una vera repubblica delle banane non riceve tutte queste attenzioni, queste parole di monito, e di incoraggiamento". Dopo la vittoria di Berlusconi poi, l'intera borghesia, anche i settori più recalcitranti, s'è precipitata sul carro del vincitore. Persino Piero Marzotto (tradizionalmente il più filocentrosinistra di tutti) all'assemblea della Confindustria del 24 maggio ha trovato la relazione di D'Amato "molto equilibrata, concreta, un ottimo punto di riferimento per il governo". Qualche giorno prima (20 maggio) al convegno di Cernobbio sul "dialogo europeo", Paolo Fresco, presidente FIAT, dichiarava che "Berlusconi farà bene per l'Italia. Consigli da dargli come imprenditore? Non ne ho: anche in quel campo è stato sempre tra i migliori" e il presidente dell'IFIL Umberto Agnelli: "L'alternanza politica è sempre positiva, anche a livello locale" dando così una mano per il ballottaggio al candidato del centrodestra per il comune di Torino. Solo Colaninno, amministratore delegato di Telecom è rimasto a presidiare la "concertazione" e il centro-sinistra, spaventato com'è che il centro-destra gli faccia pagare i favori concessigli da D'Alema. Massimo Giannini su La Repubblica del 25 maggio in un articolo intitolato "Confindustria va alla guerra. CGIL, ultimo nemico da battere" scrive: rispetto al '94 "la differenza è che oggi D'Amato è più forte di allora. Anticipando il carro del Cavaliere vincitore, il giovane imprenditore di Arzano è riuscito a rinsaldare le due anime confindustriali che si divisero proprio sulla sua elezione". Con il "governo di centrodestra Confindustria getta sulla bilancia delle relazioni sociali tutto il peso della sua forza contrattuale per invertire gli equilibri. Per concertare spostando l'asimmetria in proprio favore. Oppure per non concertare affatto se il confronto diventa conflitto."

Qualche preoccupazione ai borghesi rimane

Come già altre volte abbiamo affermato, la borghesia non sta firmando al centrodestra un assegno in bianco. Tuttora diffida. Vediamo di che si preoccupa.

Si preoccupa innanzitutto che Berlusconi possa utilizzare il suo peso politico per influire nelle battaglie che dividono il capitale italiano (basti pensare alle ultime vicende che riguardano Mediobanca e Montedison). Il giorno stesso delle elezioni Ferruccio De Bartoli, direttore del Corriere della Sera usciva con un editoriale ("La libera scelta degli italiani"), discretamente a favore del centrodestra, dove però chiedeva a Berlusconi "nelle prime due settimane" di governo delle "risposte convincenti sul conflitto di interessi, sulla netta separazione del politico dall'imprenditore". Il 25 lo stesso quotidiano sguinzagliava il terribile Giovanni Sartori che in un editoriale al vetriolo ingiungeva a Berlusconi di vendere le sue reti televisive.

L'altra preoccupazione riguarda la politica estera. La borghesia vuole integrarsi all'Europa e teme che per interessi squisitamente politici Berlusconi possa preferire un asse con gli USA. Franco Venturini in un editoriale del 17 maggio sul Corriere della Sera ("Il centrodestra tra Europa e America: la tentazione di nome Bush") scrive: "Viva l'Europa e viva l'America, risponde per ora un Berlusconi ecumenico. E risponde bene, perché proprio in questa tradizionale cornice è racchiusa la vera questione: quanta Europa e quanta America troveranno posto nella politica estera italiana prossima ventura?" E il timore è che: "Esiste in alcuni settori della Casa delle Libertà la chiara tentazione di accostare dalla parte di George Bush, che per il centrodestra ha tifato e che cerca un varco nell'Europa continentale orfana di Clinton. Non è casuale l'appoggio subito offerto allo scudo antimissile, come non lo è la comprensione per la scomunica americana degli accordi di Kyoto." Venturini spera che non sia così perché "la politica estera italiana non ha, e non ha mai avuto la possibilità di scegliere tra Europa e Stati Uniti: a entrambi è storicamente legata, con la differenza semmai che gli interessi vitali del Paese si identificano sempre più con la crescita dell'Unione".

Le preoccupazioni si sono rafforzate quando Tremonti, ministro dell'economia in pectore del futuro governo Berlusconi ha dichiarato i suoi dubbi sull'allargamento ad Est dell'Unione Europea. Il timore è che la Casa delle Libertà, per interessi politici immediati (il consenso elettorale al Sud), possa ritardare un evento che invece è atteso con una certa impazienza dalla nostra borghesia. Tremonti vuole che siano assicurati ancora i finanziamenti strutturali comunitari al Meridione. A quel punto molti si sono ricordati che nel '94 il primo governo Berlusconi cercò di impedire l'associazione della Slovenia all'UE, cosa incomprensibile per gli interessi dei capitalisti. Secondo quel che dice Fassino vi sono "sessantamila aziende italiane da Trieste a Mosca". E certo queste vogliono i loro movimenti ancora più agevolati. A Cernobbio Emma Marcegaglia, consigliere incaricato per l'Europa di Confindustria, propone addirittura di accorciare il periodo transitorio, attualmente di dieci anni, dei Paesi candidati all'entrata nella UE.

Ma se si tratta solo di schermaglie per giustificare un diverso regime fiscale e contrattuale per il Sud, allora si può ragionare. Luigi Rossi Luciani, presidente della Confindustria del Veneto dichiara che "le nostre imprese tendono a privilegiare gli investimenti all'Est, piuttosto che il Sud Italia. Lo fanno per questione di convenienza fiscale e di quantità e qualità della manodopera scolarizzata si tratta di rendere più attraenti gli investimenti nel Mezzogionro riducendo il carico fiscale e facendo emergere il sommerso." (Corriere 21 maggio)

Le preoccupazioni sullo scarso europeismo del centro-destra preoccupano anche la borghesia europea. Come osserva Sergio Romano sul Corriere del 12 maggio è ovvio che gli europei si interessino delle elezioni italiane poiché "dal loro risultato dipendono gli interessi di tutti coloro che appartengono al club dell'Unione Europea e delle grandi democrazie industriali". In qualche modo il dossier dell'Economist (inglese, ma europeista) riflette questa preoccupazione. Le preoccupazioni e le conseguenti rassicurazioni hanno preso la forma della telenovela sulla scelta del futuro Ministro degli Esteri del governo Berlusconi. L'Economist il 25 maggio interviene a favore di Ruggiero: si tratterebbe di un "fermo europeista" che "potrebbe migliorare l'immagine di Berlusconi all'estero". Anche Agnelli si spende ("nell'interesse del Paese") a suo favore (ex direttore generale dell'OMC, e collocato dal presidente onorario FIAT a vicepresidente della RCS): "data l'esperienza internazionale e il suo prestigio sarebbe il miglior ministro degli esteri che un nuovo governo potrebbe avere". Anche Berlusconi si rende conto, questa volta, dell'importanza di non inimicarsi i "poteri forti" e sarà ben felice, se i suoi alleati glielo consentiranno, di ottemperare a queste richieste. Massimo Mucchetti su L'Espresso del 24 maggio scrive: "per vincere alle urne basta il consenso delle partite IVA. Per governare il Paese ci vuole, invece, l'appoggio dei poteri forti [...] Il professor Tremonti può presentare la Casa delle Libertà come il governo dei padroncini, per accalappiare la Lega Nord. Ma Silvio Berlusconi ha lavorato sin dall'inizio per costruire il governo dei padroni."

Cosa spera di ottenere la borghesia da Berlusconi?

Il 24 maggio all'assemblea annuale di Confindustria D'Amato ha pronunciato una relazione dove elenca le richieste degli industriali al governo. Nel frettoloso addio che riserva ad Amato c'è tutto il senso della scelta politica di Confindustria: "grazie, ma tutte e due avremmo voluto fare di più". Come dire: ci avete fatto molti favori, ma poi vi siete fermati. L'elenco di richieste che D'Amato fa al governo comprende la riforma delle pensioni (innalzamento età pensionabile, diminuzione dei contributi, ecc.), tasso d'inflazione programmato bloccato sull'1,2%, flessibilità in uscita, recepimento della direttiva europea sui contratti a termine, diminuzione del prelievo sulle imprese (via IRAP, diminuzione IRPEG), lotta al sommerso al Sud (il che significa contratti e fiscalità differenziate). E' l'elenco di ciò che il centro-sinistra non è riuscito a portare a casa (cioè la casa della borghesia) e che la borghesia spera che invece il centro-destra realizzi: il centro-sinistra non poteva, ma il centro-destra può prendere decisioni anche senza la CGIL.

Leggiamo questa dichiarazione al Corriere del 21 maggio di Fabio Scacciavillani, senior economist di Goldman Sachs di Londra, facendo attenzione a sostituire la parola mercati con borghesia: "I mercati avvertono che il nuovo governo ha uno stile diverso: non cerca coesioni con tutti muovendosi con piccoli passi prudenti, è più decisionista. E' un metodo possibilmente più rischioso che cozza con interessi ben organizzati e non implica maggiori probabilità di successo. Ma i mercati sono più favorevoli a questo atteggiamento." Del resto varie dichiarazioni di economisti del centro-destra sembrano sorreggere questa speranza. Antonio Martino sul Corriere del 23 maggio: i sindacati "quando mobilitano la piazza per ostacolare un governo a loro sgradito, com'è accaduto, o quando pretendono di imporre diktat o veti a scelte che, riguardando l'interesse generale, sono di esclusiva competenza del governo e del Parlamento, come pure è accaduto, è necessario resistere alle loro pretese".

La borghesia ha scelto Berlusconi perché è la direzione politica più adatta, nelle condizioni date, a gestire uno scontro con il movimento operaio. Certo, vi saranno difficoltà: "il leader del Polo sa benissimo però che pensioni e licenziamenti sono terreni minati, dove i passi azzardati si pagano cari" poiché possono costituire "l'occasione ai sindacati per portare nuovamente in piazza lavoratori e pensionati come nel '94." (Riccardo De Gennaro, La Repubblica del 26 maggio). Il '94: un brutto ricordo per i padroni (la storia e l'analisi di quella lotta la trovate nel nostro Bilancio della lotta contro la finanziaria dell'autunno 1994). Massimo Gaggi sul Corriere del 25 maggio pensa che "probabilmente Berlusconi la notte sogna ancora un milione di lavoratori in piazza contro la sua riforma del '94". Ma se lo sognano anche i padroni. Massimo Giannini sulla Repubblica del 26 maggio racconta l'abbandono di Berlusconi da parte della borghesia: Agnelli fu "persuaso definitivamente nella cena del 12 novembre del '94, nella sua casa romana, quando il gotha dell'industria nazionale capì che quel primo ministro non avrebbe mai retto l'urto dei sindacati contro la finanziaria. Così l'intrigante attenzione per l'outsider lasciò il posto a una gelida diffidenza. Agnelli e Cuccia abbandonarono Berlusconi. Da allora sono passati sette anni. Berlusconi non è cambiato molto, ma è molto più solido il blocco sociale che rappresenta la maggioranza che lo sostiene."

Il nemico da battere: la CGIL

In una situazione in cui la sinistra politica è allo sbando, la CGIL rimane il nemico da battere. Per chi è abituato a contestare da sinistra la CGIL questo fatto appare inaccettabile. Ma è tale solo se si continua ad ignorare la natura sociale di una burocrazia operaia con basi di massa. Il nemico per la borghesia è la CGIL, non per il carattere sovversivo di questa organizzazione, ma per ciò che essa rappresenta. La CGIL è l'organizzazione di massa degli operai dell'industria, sconfiggere la CGIL significa sconfiggere quegli operai. La CGIL è costretta a resistere, perché ciò che le si chiede in pratica è l'abdicazione, la sparizione, e questo nemmeno la burocrazia cigiellina può permetterselo. Mentre CISL e UIL sono abituate a sopravvivere in un ambiente di totale riflusso, alla CGIL gli operai si iscrivono aspettandosi di essere difesi nei loro interessi elementari.

Massimo Giannini nell'articolo citato afferma che "A differenza di quel che accadde al suo primo governo quando lo scaricarono, costringendolo a capitolare dopo lo sciopero generale che il 12 novembre del 94 portò in piazza a Roma un milione e mezzo di persone, i poteri forti assicurano oggi al Cavaliere, in via preventiva, quello che gli negarono 7 anni fa." Questa strategia "precipita in un nemico da battere: Sergio Cofferati. E' lui che si oppone, è lui che resiste. Da solo, visto che dalla linea frontista verso Confindustria e Casa delle Libertà si è già sfilata la Cisl, e si è già defilata la Uil. Nella nuova legislatura, la Cgil rischia così di diventare per il governo di centrodestra quello che la Confindustria è stata a lungo per il governo di centrosinistra: l'unica vera opposizione temibile e organizzata. Per questo la tenaglia tra D'Amato e Berlusconi si stringe fatalmente su Cofferati. Il Cavaliere, per onorare il patto con il 'partito dei produttori' deve piegare la sinistra sindacale. Dopo averla battuta alle elezioni può invece permettersi il lusso di trascurare la sinistra politica".

Il centro-sinistra

C'è in effetti ben poco da sperare da un centro-sinistra allo sbando. Non analizzeremo qui la crisi verticale della strategia diessina. Notiamo solamente il ripetersi di un copione assai tipico della storia d'Italia di questo secolo. La sinistra ha fatto tante volte favori enormi alle nostre classi dominanti senza mai alla fine riceverne nemmeno un grazie. Oggi è il turno di questi ex figiciotti ansiosi di dimostrare ai borghesi di saper gestire il capitalismo meglio di loro. Sono stati abbandonati da una parte della propria base sociale senza aver vinto le diffidenze dell'altra. Ecco allora il Ministro dei Trasporti Luigi Bersani che dopo aver ascoltato la citata relazione di D'Amato si lamenta che "Ha dimenticato attraverso quali politiche siamo usciti dai guai. Il risanamento per disinflazione, le liberalizzazioni, la pace sociale. Avrei gradito un'analisi più attenta di ciò che è cambiato in questi cinque anni". Non chiedeva molto: un grazie, poveruomo. E Fassino è "deluso, molto deluso. La relazione del presidente di Confindustria è ingenerosa verso il centrosinistra". E via piangendo.

E i borghesi non solo non ringraziano, ma sperano vivamente che i diessini si tolgano per sempre dai piedi. Non perché non ritengano questi ex figiciotti dei bravi ragazzi, ma perché sanno che non potranno mai fare a meno del legame con la CGIL, e quindi, con i lavoratori. Sanno che se verranno meno a quella rappresentanza perderanno voti, come sempre è accaduto, e dunque risulteranno permanentemente ricattabili dalla propria base sociale. D'Amato è irritato che Salvi, Ministro del Lavoro "dica le stesse cose della CGIL... Sembra che Salvi e la CGIL leggano lo stesso bollettino". No, è che, malgrado loro, devono rendere conto alla stessa base sociale.

Ernesto Galli della Loggia riflette bene questo disprezzo per i DS su un editoriale del 22 maggio pubblicato dal Corriere. Nega la possibiltà che i DS possano trasformarsi in un partito democratico o socialdemocratico. Si felicita che siano state smentite le previsioni che davano il centro del centro-sinistra eterno vassallo della sinistra "tanto più se la Margherita riuscirà a restare unita e a trovare una unità di leadership, quella posizione di vassallaggio ora non esiste virtualmente più. In prospettiva, anzi, essa può rovesciarsi nel suo contrario, con un centro domani in grado di egemonizzare la sinistra". L'unica strada è un amalgama con il centro "ma un'amalgama alla pari, ormai: cioè con l'obbligo di rinunciare a vedere nella nuova formazione un proseguimento in qualche modo della propria vicenda e della propria identità, e invece, all'opposto, dovendo ammettere il totale esaurimento dell'una e dell'altra, con relativa inevitabile rinuncia a posti di direzione, a influenza di apparati, a guida politica. Di fatto insomma, sarebbe il rompete le righe, lo scioglimento dei Ds e l'inizio di tutt'altra storia". Una storia completamente slegata da legami organici con i lavoratori.

Il successo della Margherita ha fatto intravedere ai borghesi un roseo futuro dove al potere si alternerebbero due raggruppamenti senza legami con il movimento operaio, come negli USA. Nel comunicato della Confindustria successivo alle elezioni i capitalisti si dicono soddisfatti non solo perché dalle urne è uscito un "chiaro vincitore" ma anche perché sia nel centro-destra che nel centro-sinistra si sono "rafforzate le componenti più moderate", cioè Forza Italia e Margherita, "forze che avevano mostrato maggiore attenzione alle proposte avanzate da Confindustria a Parma". La Margherita risponde: Enrico Letta, popolare, Ministro dell'Industria si precipita a dichiarare che "Il centro-destra non si dissolverà con una manifestazione di piazza. Pensarlo sarebbe un errore sia tattico che strategico" e poi rispetto al sindacato "l'opposizione politica é altra cosa: deve essere dura, non concedere sconti al governo, ma si deve occupare soprattutto di costruire un'alternativa credibile nel medio periodo". E dal palco di Confindustria dice che ci si rivedrà tra qualche anno quando il centro-sinistra avrà proposte credibili "anche per voi".

La lotta di classe che verrà

La disposizione delle classi sociali è dunque chiara. Esse combatteranno non con i loro strumenti politici, ma con le loro "organizzazioni di massa". La CGIL da un lato e la Confindustria dall'altro, perché il governo Berlusconi sarà, oggi più che mai, il governo della Confindustria.

Il centro-destra si muoverà con accortezza. Non comincerà certo con la "flessibilità in uscita". La libertà di licenziamento è estremamente impopolare (un sondaggio dell'Istituto CIRM à i favorevoli al 24% e i contrari al 65%). E nemmeno metterà per ora in discussione i contratti nazionali (anche se ha intenzione di farlo come si legge nel "Manifesto del lavoro in un'economia sociale e di mercato" di Giuliano Cazzola e Roberto Brunetta dove si difende un "federalismo contrattuale"). Cominceranno probabilmente dalla flessibilità in entrata, cercando di applicare la direttiva UE senza passare per il consenso CGIL. Una volta che il lavoro sarà più frantumato, tra qualche anno, si potrà anche procedere con la flessibilità in uscita. C'è ancora tanto da fare: ad esempio in Italia i lavoratori interinali sono 250.000, lo 0,5% della popolazione economicamente attiva, mentre nel Regno Unito sono il 6%.

Gli altri comprimari di Berlusconi sgambettano, mugugnano che non vogliono appiattirsi su Confindustria (i cattolici devono tutelare anche altri interessi, e la Lega ha troppi voti operai per prendere sotto gamba uno scontro sociale), ma per ora non hanno alternative se non chinare la testa. Riemergeranno nel caso lo scontro di classe si facesse troppo duro, per ammorbidire e smussare.

Il confronto dunque non sarà sul piano del politico ma tutto su quello sindacale, con un governo che lavorerà di concerto con la Confindustria, e una CGIL che dovrà supplire il vuoto lasciato dalla sciagurata politica del centro-sinistra. Ogni attore della futura battaglia affila i suoi strumenti. Un primo assaggio si è avuto con lo sciopero generale dei metalmeccanici del 18 maggio, ampiamente riuscito. Cosa che ha impensierito i nostri avversari. Il Corriere qualche giorno dopo ha perorato con una lunga intervista la causa di D'Antoni Ministro del Lavoro titolandola significativamente "Saprei io come fermare l'autunno caldo". Cofferati sembra deciso a resistere e dopo aver snobbato l'assemblea di Confindustria ha commentato la relazione di D'Amato con "Se il futuro governo intende assecondare le richieste di Confindustria deve sapere che troverà la CGIL sulla sua strada". Deve farlo altrimenti il destino di tutta la burocrazia cigiellina è quella comicamente descritta da Maria Latella sul Corriere della Sera all'assemblea di Confindustria: i sindacalisti sono stati messi in quarta fila "e dire che fino all'anno scorso a loro toccava la seconda e poi li invitavano pure a pranzo. Stavolta nisba: un cappuccino al bar e tra di loro".

Ma contare sulla volontà di sopravvivenza della burocrazia CGIL sarebbe un po' avventuroso. Quando lo scontro si fa veramente duro, prima vacillano, poi scappano alla grande. La storia è purtroppo piena di esempi simili. Noi dobbiamo a partire dal prossimo congresso CGIL delineare con chiarezza con quale determinazione si deve affrontare lo scontro inevitabile che verrà, a partire dalla proclamazione di uno sciopero generale a favore dei metalmeccanici. E contemporaneamente dal basso costruire strutture e coordinamenti di delegati che superino in avanti le divisioni per sigla sindacale.