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Martedì 15 aprile 2008 18:16 Al via lo stralcio bolognese del processo contro Forza nuova Rimini
Al via lo stralcio bolognese del processo contro Forza Nuova Rimini per il tentato assalto e aggressione al Laboratorio Paz e ad alcuni dei suoi esponenti.
Alla sbarra del Tribunale bolognese 9 forzanuovisti, arrestati la notte del 24 settembre 2007, sette dei quali con rito abbreviato, due con patteggiamento.
Le richieste del Pm Melotti vanno dai 3 anni e 4 mesi, ai 4 anni e 2 mesi, mantenute le richieste relative alle due aggravanti: terrorismo ed eversione, oltre a tentato incendio e tentato sequestro di persona.
All’udienza di oggi erano presenti anche l’avv. Paola Urbinati, rappresentante di parte civile dell’ass. No Border e di Valter Naldi, e l’avv. Maurizio Ghinelli, del Comune di Rimini.
Entrambe le costituzioni sono state accettate, tranne quella del Prof. Marco Enrico Mangia, membro del direttivo comunale dei Verdi di Rimini, anche lui uno degli obiettivi della spedizione punitiva proprio per la sua vicinanza alle attività del centro sociale.
La prossima udienza, dove si terranno le arringhe difensive degli avvocati dei 9 imputati, sarà il 31 maggio 2008, mentre la sentenza il 10 giugno.
da Il Manifesto del 15 aprile 2008
Attentatori mancati. A processo
Global Project Rimini – Martedì 15 aprile 2008
Imputati per l’attacco a un centro sociale alcuni militanti neofascisti, tra i quali tre minori Il gruppo, guidato dal segretario cittadino di Forza Nuova, tentò di incendiare il centro sociale Paz di Rimini come protesta contro le occupazioni. I fascisti, intercettati dai carabinieri, sono stati arrestati.
Bruciare il centro sociale cittadino era diventata la loro ossessione. Più di Mussolini, più dei negri, più degli immigrati che affollano la Romagna specie d’estate, attratti dal lavoro stagionale che qui non manca mai. Loro niente, pensavano solo a come dar fuoco al Laboratorio sociale Paz di Rimini. E il 24 settembre 2007 ce l’avrebbero fatta, se i carabinieri che li intercettavano da tempo non li avessero fermati poco prima che spargessero quindici litri di solvente infiammabile e rapissero l’uomo che vive nella struttura. Oggi, nove dei tredici militanti neofascisti arrestati l’estate scorsa saranno processati a Bologna: un giudizio a luci spente, in camera di consiglio, con due patteggiamenti e sette «riti abbreviati» (solo uno degli accusati sta subendo da un mese il processo ordinario, mentre per i tre minorenni bisognerà aspettare ancora).
Anche se riflettori e telecamere saranno lontani, però, stavolta sarà difficile pensare a questo gruppuscolo come lontano dalla politica elettorale, perché il leader degli incendiari Cesare Bonetti è anche il segretario della sezione di Forza nuova di Rimini e perché del come e quando dare una «bella lezione ai compagni» si discuteva ogni lunedì, proprio durante le riunioni politiche a casa del capo.
Basandosi su un criterio prudenziale, la pm di Bologna Elisabetta Melotti porterà in aula solo il più grave degli episodi di cui il gruppo è ritenuto responsabile, quello della notte del 24 settembre, quando i seguaci di Roberto Fiore (ma non tutti gli imputati sono iscritti a Fn) tentarono di appiccare il fuoco al Paz. All’epoca, il «laboratorio occupato» che potrebbe essere sgomberato in questi giorni dallo stesso sindaco parte civile contro i neofascisti, era già a rischio sfratto. I militanti di Forza nuova, però, non erano soddisfatti, volevano una reazione energica del comune contro le occupazioni illegali, non gli bastava l’ordinanza di sgombero emessa ma non applicata, volevano «massacrarne due o tre, massacrarli pero» , dar fuoco all’edificio e colpire i leader «così vedi che si acquietano e mollano tutto», come hanno continuato a ripetersi a casa di Bonetti poco prima di uscire in missione e come le intercettazioni ambientali raccontano nel dettaglio.
La prima azione seria, con un rapimento ed un vero incendio, ma non il primo atto violento. I carabinieri li tenevano sott’occhio da tempo per «attentati incendiari e fatti di danneggiamento»: il 3 febbraio alla macelleria islamica El Mansoura, il 1 giugno in un’altro negozio musulmano, il 23 febbraio già al Paz, quando per la prima volta avevano lanciato della molotov contro l’ingresso della struttura. «Da allora, e poi per mesi, mi sono sentita colpita, praticamente paralizzata – racconta Manila Ricci, portavoce del Paz ed una dei possibili “obiettivi” della spedizione punitiva – E’ stata la rottura di un piano simbolico, solo col passare del tempo mi sono resa conto che c’era una strategia, che siamo diventati un bersaglio per il nostro impegno sociale».
La notte del 28 luglio il gruppetto aveva già dato fuoco a due automobili pareccheggiate proprio di fronte al centro sociale. La notizia aveva fatto clamore, aveva convinto il sindaco ad accelerare i tempi dello sgombero perché non ci fossero tensioni. E ora Bonetti e i suoi volevano il bis. I carabinieri li hanno fermati la notte del 24 a bordo di tre automobili, prima ancora che si dividessero tra incendio al Paz, rapimento dell’unico residente e spedizione punitiva a casa dei due leader dei «compagni».
Addosso gli hanno trovato cartografia e foto degli “obiettivi”, uno schizzo degli interni della sede del “Paz”; tre taniche con circa 14 litri di nitro-diluente antinebbia infiammabile e nocivo; ricetrasmittenti; pistole a gas con altrettante bombolette di gas e una scatola di piombini, una pistola a salve, dieci coltelli a serramanico, tirapugni, due catene di ferro, due bastoni in legno, due pugnali, tre manganelli, ma anche tre baionette, due piedi di porco, un taglierino, due passamontagna e una calza di nylon. Eppure, persino all’interrogatorio davanti al Pm uno di loro, Andrea Ceschi, classe 1972 ha continuato a ripetere quel che diceva nelle intercettazioni: «Facciamo almeno una cosa simbolica, tanto per far qualcosa. Se non altro (i giornali, ndr) ne parlano ancora e la gente si ricorda».
di Sara Menafra
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