pubblicato il 5.12.24
Presi i neonazisti di Telegram: «Pensavano di colpire Meloni» ·
L’inchiesta della procura di Bologna contro la «Werwolf division»: dodici arrestati
C’è un albergo davanti al parlamento.
«Da lì puoi sparare dall’alto».
«Trovami un cecchino e attueremo il tuo piano».
Siamo nel 2023. Si discute di fare un attentato. L’obiettivo è Giorgia Meloni, colpevole di essere «una fascista che perseguita i fascisti». È questo il bersaglio più grosso tra quelli individuati dal gruppo di neonazisti arrestati ieri in mezza Italia con un’operazione organizzata dalla Dna e dalla direzione centrale della polizia di prevenzione. Venticinque gli indagati a vario titolo per associazione con finalità di terrorismo, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa e detenzione illegale di arma da fuoco.
DODICI sono finiti in carcere su richiesta della procura di Bologna, in attesa degli interrogatori di convalida. L’ipotesi investigativa è che il gruppo mirasse attraverso «azioni violente nei confronti delle alter cariche delle istituzioni» al sovvertimento dell’ordinamento democratico per «l’instaurazione di uno stato etico e autoritario incentrato sulla razza ariana». I piani, la stesura e la diffusione di materiale di stampo neonazista, razzista e antisemita venivano orditi sul Telegram, in due chat chiamate «Werwolf division» e «Movimento Nuova Alba». La prima aveva un’impronta, per così dire, più teorica. La seconda invece si concentrava sulla pratica, cioè sull’addestramento di supposti «guerriglieri» da sguinzagliare in azioni terroristiche di vario genere: dall’idea di colpire la premier a quella di prendere come bersaglio un economista del World Economic Forum.
PER GLI INVESTIGATORI, il vertice sarebbe stato costituito da quattro persone: i capi Daniele Trevisan e Andrea Ziosi, e gli organizzatori Federico Trevisan e Giuseppe Fallisi. Tra di loro usavano dei soprannomi: il comandante, l’editore, l’istruttore e così via. Tra i nomi iscritti nel registro degli indagati spiccano poi quelli di Simonetta Cesari nel 2015 eletta segretaria del Fronte Nazionale di Fabio Tuiach, ex Forza Nuova, ex Lega, famoso per aver animato, ai tempi del Covid, le proteste no vax a Trieste e dintorni. Nell’autunno del 2022, alcuni dei coinvolti nell’inchiesta si sarebbero incontrati al ristorante «La carriola» di Bologna per quello che, un po’ enfaticamente, è stato definito come «il primo congresso della Divisione Werwolf». All’inizio, per la verità, l’idea era di vedersi a Predappio, la città romagnola dove ha sede la cripta di Benito Mussolini, ma poi non se n’è fatto niente.
L’INDAGINE della procura di Bologna è nata come coda dell’operazione che, alla fine del 2022, ha portato allo smantellamento di un altro gruppo di matrice suprematista, «L’ordine di Hagal», attivo in Campania e per il quale proprio ieri sono arrivate a Napoli cinque condanne in primo grado, tutte tra i 3 e i 5 anni, per associazione sovversiva, lasciando cadere le accuse di terrorismo. Gli investigatori sono riusciti a ricostruire i legami e i contatti tra le due organizzazioni. La Digos di Bologna, per la verità, aveva messo i Werwolf i sotto stretta osservazione già dalla metà del 2022, in seguito al ritrovamento di un volantino in cui si parlava di distruzione del «regime liberale», tra simboli neonazisti e citazioni di Dominque Venner, l’intellettuale neofascista francese che nel 2013 si tolse la vita nella cattedrale di Notre-Dame come estrema forma di protesta contro il declino «dei valori europei» (o forse perché da tempo molto malato). «Nulla sarà compiuto finché i germi del regime non saranno sradicati fino all’ultima radice queste le sue parole riprese dai Werwolf -. Per questo bisogna distruggere la sua organizzazione politica, abbattere i suoi idoli e i suoi dogmi, eliminare i suoi padroni noti e quelli occulti, mostrare al popolo come è stato tradito, sfruttato e insozzato».
CON IL SUCCESSIVO sviluppo delle indagini, è venuto fuori che il gruppo era da consideare una «vera e propria cellula organizzata, già in fase operativa e in grado di realizzare attentati anche con le tecniche usate dai cosiddetti lupi solitari, sia suprematisti che jihadisti». Il tutto senza dare nell’occhio: al di là di qualche incontro e qualche volantinaggio, infatti, l’organizzazione cercava di tenere i ranghi ristretti e si definiva infatti come un circolo «segreto, composto da pochi camerati validi e fedeli, pronti ad agire».
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