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AGGRESSIONI RAZZISTE - CRIMINI DELL'ODIO
12.12.24 Padova Spedizioni punitive anti gay: sgominata banda di giovanissimi
12.12.24 Castel Volturno, fermati 4 minorenni per il tentato omicidio di un coetaneo
7.07.24 La denuncia dell’artista di strada Clown Idà: “Botte e insulti razzisti fuori da un locale a Torino. Mi dicevano ‘torna al tuo Paese'”
2.02.24 Bastonate e insulti omofobi al Gay Center di Roma in zona Testaccio: video del blitz ripreso dalle telecamere
31.08.22 La violenza che ci sommerge: Noi sappiamo
16.11.21 Mirko minacciato davanti alla gay street da 4 ragazzi armati: “Fr*** di mer**, ti tagliamo la gola”
2.11.21 Ferrara, aggressione omofoba contro un gruppo di giovani Lgbt. "Mussolini vi brucerebbe tutti"
16.08.21 Aggressione omofoba ad Anzio, 22enne preso a pugni mentre passeggia insieme al fidanzato
11.06.21 Torino, 13enne picchiata per la borsa arcobaleno: “Mi urlavano cagna e lesbica schifosa”
30.05.21 Palermo, due ragazzi gay aggrediti con lancio di bottiglie. Uno ha il naso fratturato
29.04.21 Foggia, sparano da un fuoristrada in corsa contro un gruppo di migranti: ferito al volto un 30enne del Mali
21.03.21 “Gravissima violenza a San Berillo: lavoratrici del sesso massacrate dalla polizia”


manifestazioni MANIFESTAZIONI E INIZIATIVE ANTIFASCISTE
Le mille strade del rugby popolare
- Lo scrittore Giorgio Franzaroli restituisce il premio Acqui Edito&Inedito: “Non voglio essere accomunato a un autore neofascista”
- A Milano i cortei contrapposti contro la guerra: da una parte i neofascisti, dall'altra il movimento antirazzista
- Apre nuovo spazio di Casapound, corteo di Firenze Antifascista
- La Sapienza, dopo le cariche occupata la facoltà di Scienze politiche
- Tensioni alla Sapienza per il convegno con FdI e Capezzone: scontri tra polizia e studenti
- Il nuovo movimento degli ex di Forza Nuova a un anno dall’assalto alla Cgil
- Bologna, femministe contro patrioti alla manifestazione "a difesa delle donne": insulti e tensioni
- Bologna Non Una Di Meno torna in piazza e dilaga: “Risale la marea!”
- Elezioni, contestatori al comizio di Giorgia Meloni a Trento: cantano “Bella ciao” e urlano “siamo tutti antifascisti”
- L’Anpi torna a chiedere lo scioglimento di Casapound alla vigilia dell’inaugurazione della nuove sede di Latina
- No alla manifestazione fascista di Casapound il 28 maggio prossimo. Lettera aperta al Prefetto di Roma

ARCHIVIO COMPLETO

ARCHIVIO REGIONI

documentazione Documenti e Approfondimenti
5.12.24 Presi i neonazisti di Telegram: «Pensavano di colpire Meloni»
14.11.24 Bologna 9 novembre 24: Comporre l’antifascismo, agirlo nel presente
13.09.24 Breve storia di Meridiano Zero: quando il ministro Giuli era fascista
6.09.24 La testimonianza di Samuele, ex militante 19enne Il pentito di CasaPound
25.07.24 Ignazio Benito LaRussa Nero per Sempre
23.07.24 Inni al Duce, la paura dei residenti di via Cellini.
23.07.24 È la «Torino nera» quella che sabato sera si è scagliata contro il giornalista de La Stampa Andrea Joly
13.07.24 Dentro la Verona “nera”, i tre episodi che hanno segnato la cronaca della città e messo nel mirino i sostenitori di Casapound
10.05.24 "La ragazza di Gladio" Le stragi nere? Misteriose ma non troppo.
2.03.24 Faida tra neofascisti per il controllo della Curva Nord dell'Inter
2.06.23 Difendere l'Europa bianca: CasaPound in Ucraina
26.05.23 La “Legione per la Libertà della Russia” e l’offensiva di Belgorod
16.03.23 Dax, 20 anni fa l’omicidio. Parla l’avvocato che difese la famiglia
13.03.23 «Saluti romani, odio e camerati: i miei sei mesi da infiltrato nelle cellule neofasciste del Nord»
3.03.23 Gruppo armato anti-Putin penetrato nel confine russo con l'Ucraina - Tra loro il neonazista Denis "White Rex" Nikitin
30.01.23 Il neofascista Roberto Fiore smentito dall’Interpol: “Viveva con Gilberto Cavallini”
25.01.23 L’ex camerata in affari con Fratelli d’Italia e le bastonate ai carabinieri
9.12.22 La nuova ultradestra
18.11.22 Quel filo che dall’Ordine di Hagal arriva a CasaPound
19.10.22 Giorgia Meloni firma la Carta di Madrid di Vox
7.10.22 GRUPPI NEONAZISTI USA
16.09.22 L’Europa nuovamente alle prese con l’avanzata dell’estrema destra
15.09.22 Ultradestra, la galassia nera torinese messa in crisi dall’ascesa di Meloni
10.09.22 Sette decenni di collaborazione nazista: Il piccolo sporco segreto dell'America in Ucraina
28.08.22 Inchiesta su M. 2/3

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Informazione Antifascista 1923
Gennaio-Febbraio - a cura di Giacomo Matteotti ·


pubblicato il 12.03.14
"Ecn 1992 Seminario sulla Nuova Destra"
·
"REVISIONISMO E NUOVA DESTRA"
BOLOGNA: Assemblea dei 25 febbraio 1992. Facoltà' di Lettere e Filoso-
fia. INTERVENTO INTRODUTTIVO

DI RUDY LEONELLI

Abbiamo considerato la conferenza di Ernst Nolte che i CP [Cattolici Popolari] intendevano tenere in quest'aula come un evento non semplicemente «culturale», ma come una manovra di potere alla quale era necessario rispondere con la mobilitazione. Organizzare insieme la forza della critica significa tentare di coniugare, con tutte le difficoltà che comporta, l’elemento della lotta e quello della riflessione. Il volantino di convocazione aveva questo orientamento: vogliamo evitare le semplificazioni. Nolte non è «un nazista», ma il suo lavoro, e questa iniziativa dei CP, non si iscrivono nel «libero confronto delle idee», ma in un campo di rapporti di forza sul quale è necessario misurarsi.

In primo luogo occorre considerare che Nolte è un tipo di storico molto particolare: la sua non è un’attività accademica di stampo tradizionale, ma è immediatamente collegata ai grandi mezzi di comunicazione di massa. Anzi, in gran parte, nasce e si sviluppa nei media. Nolte non è importante per la ricerca sulle fonti: utilizza cose già note agli storici, le poche «rivelazioni» documentarie che produce sono arbitrarie e, nei casi più clamorosi, del tutto gratuite. Il suo non è un lavoro di ricerca, ma di «montaggio»: Nolte costruisce una griglia per coordinare eventi già conosciuti fornendo ad essi un nuovo senso, un senso politico immediato che viene speso in campagne d’opinione e in investimenti politici diretti.

Per evidenziare alcuni aspetti del suo «metodo» faccio riferimento all’ultimo dei suoi libri tradotti in lingua italiana: «Nietzsche e il nietzschianesimo». In questo testo Nietzsche viene preso in considerazione come un «intellettuale» della seconda metà dell’Ottocento; si esclude così (tranne che per un breve capitoletto) il suo rapporto con il pensiero occidentale a partire dai Greci, al fine di costruire un’immagine distorta e dei tutto riduttiva dell’importanza di questo filosofo non solo per la storia della filosofia nel suo complesso, ma per il nostro secolo. Il perno della collocazione storica di Nietzsche da parte di Nolte è costituito da alcune frasi estrapolate dagli ultimi scritti e, soprattutto, dai «biglietti della follia», nei quali Nietzsche dichiarava «guerra», tra gli altri, proprio agli antisemiti. Nolte pretende di spiegarci che Nietzsche, in realtà, non ce l’aveva con gli antisemiti in quanto tali, ma con i socialisti, e con l’incombente comunismo... Così, Hitler, con lo sterminio spinto fino all’estremo della «soluzione finale», non farebbe che applicare, un po’ grossolanamente, l’«idea» di «annientamento» di Nietzsche. Solo che Hitler, che aveva come bersaglio i comunisti, per una qualche alterazione della percezione e alcuni piccoli accidenti della storia, ha sterminato gli ebrei... [risate]... Sto semplificando, ma non troppo. Perché, su questo punto, il discorso di Nolte non è molto più raffinato. Oltre alla produzione di un ennesimo tassello da inserire nello schema della «guerra civile europea» ‘ uno schema che tende a relativizzare lo sterminio nazi presentandolo come «copia» del gulag ‘ c’è questo dato politico e culturale estremamente grave: Nolte tenta di legittimare (e contribuisce trasversalmente a «rilanciare») l’interpretazione nazista di Nietzsche, contro la quale, in questo secolo, ci si è battuti con passione e con grande rigore filologico.

La promozione di Nolte da parte dei CP non è un fatto limitato alla sventata conferenza di oggi: il settimanale «Il Sabato», gestito da Comunione e Liberazione, gli ha dedicato un’intervista per preparare questa tournée italiana. Dunque è importante che Ernst Nolte, se nella sua agenda aveva scritto: «Bologna ‘ aula III di Lettere e Filosofia» [i.e. Aula magna della Facoltà], abbia dovuto tirarci una riga sopra, e ripiegare altrove. Quella riga trascrive i rapporti di forza che stiamo mettendo in campo, e segnala che oggi, in Europa, stanno nascendo nuovi ed efficaci focolai di resistenza. Quanto ai CP, il loro rapporto con la reazione non è casuale né episodico: il «Sabato» ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo eloquente: «E se gli skin avessero un cuore?» Nel ‘90, contro la Pantera, i CP hanno creato un raggruppamento unitario coi fascisti del FUAN: «Proposta universitaria». A Bologna, dati i rapporti di forza a loro sfavorevoli, si sono limitati a volantinare, a fare delazione mediante il controllo telefonico sui locali occupati, e a tentare qualche fallimentare contromanifestazione. Ma in altre città, come Bari, sono passati direttamente allo squadrismo, aggredendo fisicamente, in modo pesante, gli studenti.

Questi signori volevano riprendersi oggi l’aula magna, con il fragile pretesto del «dibattito culturale». Si tratta di un’aula in cui, da anni, non sono ospiti graditi. Quindici anni fa, nel quadro della tensione innescata da un’iniziativa di Comunione e Liberazione, in questa città le forze dell’ordine hanno ucciso uno studente universitario: Francesco Lorusso. Da allora, dall’undici marzo 1977, quest’aula ‘ che è un epicentro storico della rivolta universitaria ‘ non è più stata aperta per i CP, per nessuna ragione. E non è aperta per loro neppure oggi, grazie a tutti noi: compagni, studenti e docenti. Le connivenze delle amministrazioni locali di sinistra con questo pantano sono palesi e gravissime: è nota la sponsorizzazione della conferenza di Nolte da parte della Provincia e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Bologna. Le tardive prese di posizione dei dirigenti della Sinistra Giovanile, che hanno diffuso un volantino nella tarda mattinata di oggi, quando i giochi erano ormai fatti, quando la protesta di massa ‘ alla quale non partecipano ‘ era già in piedi e i CP avevano comunicato la propria frettolosa ritirata, costituiscono un maldestro e imbarazzato tentativo di autogiustificazione. Perché non si sono accorti prima di questa mossa dei CP? Cosa ci stanno a fare in Consiglio comunale se non hanno prestato a tempo debito la necessaria attenzione verso questa manovra? Perché sostengono ‘ e continueranno a farlo ‘ la maggioranza che amministra la «cultura» nella persona dell’assessore socialista Sinisi? Queste responsabilità ci indicano che, quando parliamo di «reazione», dobbiamo spingere lo sguardo oltre gli storici confini della «destra», e iniziare a vedere, a nominare, a cartografare il ruolo della «sinistra di governo» nella materialità dei processi di restaurazione.

C’è un’ultima questione che vorrei sollevare, almeno come problema e come compito. Sappiamo che, nel quadro della «disputa tra gli storici», la critica di Habermas costituisce un punto di riferimento importante, che ha saputo mostrare, in senso non banale, il carattere apologetico del revisionismo storico tedesco. Ma Habermas assume come punto di partenza e come orizzonte ultimo il «patriottismo della Costituzione». Per noi ‘ diversamente da Habermas ‘ i valori dello Stato democratico non possono essere separati, o contrapposti come un modello ideale, alla storia effettiva della democrazia. Questa storia, in Italia come in Germania, ha visto questi valori funzionare come un elemento di legittimazione della materialità del dominio, come una barriera contro le istanze di trasformazione sociale e come un’arma rivolta contro i movimenti autonomi ed extraistituzionali. In particolare, nella situazione italiana degli anni Settanta, il mito dello «Stato nato dalla Resistenza» (l’omologo nazionale del «patriottismo della Costituzione») è servito come grande copertura del sistema dei partiti, e delle trasformazioni della costituzione materiale che hanno svuotato lo stesso «stato di diritto» dall’interno. Non mi riferisco alla Resistenza come fatto storico, politico e militare, che resta per noi un dato imprescindibile; ma all’iscrizione mitologica della «Resistenza» nei fondamenti dello Stato: immagine agiografica e consolatoria votata a legittimare tutti i compromessi e tutte le «emergenze» imposte da una nuova ragion di Stato. Una risposta radicale all’offensiva revisionista deve, a nostro avviso, avere la capacita di smarcarsi dalla fissazione normativa ‘ sostenuta da Habermas ‘ dei valori «originari» della Kultur, dello Stato democratico e perfino della Nato. Una critica all’altezza dei conflitti del presente ha la possibilità e il compito di individuare come referente i soggetti concreti della resistenza ai dispositivi di potere. Su questi soggetti la teoria critica habermassiana resta sintomaticamente taciturna, mentre la pratica sociale ne registra ‘ oggi stesso ‘ l’emergenza. In questo scarto si apre uno spazio di riflessione e di ricerca che possiamo tentare di percorrere collettivamente.


INTERVENTO DI ANTONINO MANCINI
all'incontro seminariale
"REVISIONISMO E NUOVA DESTRA"
svoltosi nell'aula H della facoltà di Magistero, Bologna, 31 marzo/ 1 aprile 1992.

Il tema del mio intervento e’ di natura affatto particolare, e ciò' sotto un duplice aspetto: sia perche’ tratta quasi interamente dell’operazione storiografica condotta da Nolte, sia a causa di quella peculiarità’ del revisionismo tedesco rappresentata dall' ineludibile questione dell' Olocausto.
Una considerazione tuttavia si impone sin da subito: e' necessario riferirsi al revisionismo come tecnica di costruzione di un evento; e ciò' in considerazione non solo del modo e del luogo entro cut questo dibattito si e' svolto, sia per le possibili ricadute che esso istituisce a livello costituzionale e politico. Ci e’ sembrato opportuno, cioè’, riferirci al revisionismo come ad un fenomeno che trascende di gran lunga il contesto della sua originaria affermazione, per dispiegare concretamente i suoi effetti sulla realta’ attuale. Invero, la tecnica dei revisionisti consiste proprio in un sapiente montaggio degli avvenimenti del passato, che recide violentemente alcuni luoghi della memoria collettiva, e costruisce direzioni prospettiche alternative capaci di incidere sulla formazione delle coscienze e dei comportamenti. Si e' parlato a questo proposito di uso pubblico della storia, dove pubblico non sta tanto ad indicare il carattere di massa di questo dibattito, quanto la sua natura prevalentemente politica, al punto che il revisionismo potrebbe quasi essere qualificato come "politica della storia", intendendo con ciò' la sua capacita' di tessere una trama universale ed effimera, ma non per questo meno efficace quanto agli effetti di condizionamento e disciplina sul presente. Questa possibilità' della storia di essere impiegata per finalità' politiche ci rivela nel discorso storico il dispiegarsi di una pratica di potere, con i suoi meccanismi di esclusione e di selezione, che periferizza e discrimina come accessorio tutto ciò' che non e’ utile, o ancor più’ dannoso, sotto il profilo politico. Considerato sotto questo aspetto, appare alquanto riduttiva una valutazione del revisionismo come fenomeno di mero supporto ideologico di scelte politiche maturate altrove, perche’ esso, invece, consegue i suoi effetti proprio nell'essere parte costitutiva nella definizione degli assetti politici attuali, nel tentativo di adeguare gli ordinamenti politici alle nuove esigenze di governo sociale. Nell’erosione, dal punto di vista costituzionale, di spazi di democrazia conquistati in anni di lotte ed azioni collettive. Fatta questa considerazione preliminare, le cui implicazioni verranno chiarendosi nel corso della relazione, inizierei proprio partendo da quello che e’ stato definito Historikerstreit, in Italia tradotto con "disputa tra storici’’, ma che sarebbe forse più’ opportuno tradurre con "lotta tra storici", rendendo maggiormente questo termine il carattere furioso e violento della polemica che ha coinvolto e diviso gli storici tedeschi. Del primo articolo di Nolte a partire dal quale ha inizio questa lunga lotta, ci interessa sottolineare anche alcuni aspetti formali ed extratestuali: pensato come relazione a un ciclo di conferenze pubbliche, esso viene invece pubblicato nel giugno 1986 sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» col titolo "Il passato che non vuole passare". La scelta di affidare la divulgazione delle tesi ivi esposte ai mezzi di comunicazione di massa e' "giustificata" dal timore di una presunta censura a livello accademico, come viene rimarcato anche dalla nota che precede la pubblicazione: «Riteniamo che queste riflessioni non debbano essere escluse dalla discussione». Ora, ciò' che interessa non e' tanto il "giallo" che avvolge la vicenda o i toni scandalistici cui essa da’ luogo, quanto la ricostruzione della meccanicadi questa operazione, dello scenario entro cui essa e 1 allestita e prodotta, poiché l'uso degli organi di stampa riesce a coinvolgere un vasto pubblico e il dichiarato tentativo di censura cattura la sua attenzione ed emotività’. Nel superamento del «mito negativo» e di un passato che pesa «come una spada di Damocle sospesa sul presente», Nolte indica le intenzioni e gli obiettivi polemici del proprio discorso: la distanza temporale -sostiene- esige un rapporto più' sereno col passato nazionalsocialista, consente allo storico di riapprocciare e riappacificarsi con quella parte di storia finora negatagli, superando un'identità’ lungamente segnata dall' «ossessione della colpa». A definire il rapporto dello storico con il proprio passato e’ dunque un'esigenza immediata, avvertita come dovere politico e che attiene alla riqualificazione dell'identità' dei tedeschi. Questa funzione edificante e compensatoria della storia, tra 1’ altro, e' apertamente rivendicata da un altro storico, successivamente intervenuto nel dibattito, Sturmer, che individuando nel «pluralismo dei valori e degli interessi» un fattore disgregativo delle attuali società', invoca «un piu' alto conferimento di senso», inteso come recupero di un'identità’ fondata sulla tradizione e di una storia come fattore di integrazione nazionale:«in un paese senza storia conquista il futuro chi colma la memoria, conia i concetti e interpreta il passato». Inoltre, il tema della serenità’ serve anche a Nolte per accampare una pretesa "scien tificita' " al proprio lavoro, in nome e per conto della quale ogni giudizio storico contrario può essere denunciato come fazioso e precostituito: «Ignorare deliberatamente certe verità’ è una violazione dell'etica scientifica».
Questa dell'autorità’ e dell’ autonomia della scienza -la cui unica preoccupazione è quella dell'obiettività' e che, come tale, esula da ogni considerazione di carattere politico o filosofico- è un motivo comune anche ad altri revisionisti: cosi' Hildebrand, che invita a «prendere atto di fatti storici che, appunto, non si trasformano categoricamente in qualità' politica, bensi’ affermano soltanto la liberta' di pensiero ed ampliano la liberta’ d'azione»; cosi’ , ancora più’ esplicitamente, Fest, che non nega l’eventiuale relativizzazione dei crimini nazisti, ma nota che bisogna accettarla per amore della scienza il cui unico scopo e’ quello di porre domande e fornire risposte. Vediamo allora qual’e’ la domanda che Nolte formula in questo primo articolo e che per certi versi può’ considerarsi un po' come il manifesto del revisionismo tedesco: «Non compi' Hitler, non compirono i nazisti un’ azione "asiatica'‘ forse solo perche’ consideravano se' stessi e ? loro simili vittime potenziali o effettive di un'azione asiatica? L'Arcipelago Gulag non precedette Auschwitz? Non fu la sterminio di classe dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello sterminio di razza dei azionalsocialisti?» L’efficacia di tali domande non consiste soltanto nella supposta comparabilità’ dei due eventi, quanto nelf insinuare la sussistenza tra essi di una relazione di tipo causale, la possibilità’ cioè’ di disporli secondo un prima e un dopo, di modo che l'uno (bolscevismo) possa essere inequivocabilmente indicato e riconosciuto come la causa dell'altro (nazionalsocialismo). Il lavoro di Nolte è di natura progettuale e politica, esso consiste nel reperire nelle profondita' della storia, nelle sue discontinuità', quelle continuità’ ininterrotte che impediscono di riferirsi agli eventi nella loro irriducibile singolarità perchè ogni tratto singolare viene ad essere diluito e disperso nella tirannia del sempre-uguale e della ripetizione. In questo modo Nolte può’ relativizzare i crimini nazisti nella sola comparazione con quelli compiuti dal bolscevismo che, per la semplice ragione di essere precedenti, fa perdere ai primi il loro carattere di unicità. «Ma come un assassinio, anzi uno sterminio, non può’ essere "giustificato" con un altro assassinio,non meno profondamente fuorviante e’ un atteggiamento che osserva solo quell' assassinio e quello sterminio, e non vuole prendere atto dell'altro, anche se, verosimilmente, fra i due esiste un nesso causale». Poco importa se poi questo nesso -vera e propria pietra angolare della costruzione storiografica di Nolte- non incontri successivamente alcuna legittimazione sul piano argomentativo, se la sua validazione sia affidata, un po' goffamente, alla mera constatazione che esso può' essere ritenuto probabile, verosimile e, limitatamente a questo, accettato come « verità'». Ne’ può’ giovare in questo caso servirsi dell'appellativo di "non scientificità" come titolo di dequalificazione dei revisionismo, poiché l'efficacia di queste argomentazioni non ha bisogno di essere ne’ ripresa, ne' suffragata da una presunta "trattazione scientifica", basandosi essa unicamente sul valore mediatico che quell'accostamento linguistico rivela. Sul successivo saggio di Nolte, "Nazionalsocialismo e Bolscevismo", si depositano le attese che il recente dibattito aveva suscitato, nel senso di verificare sino a che punto e in che misura veniva in qualche modo giustificato quel nesso causale o in che modo veniva riproposta, come si evince dalla stessa enunciazione del titolo, quella comparazione. Di questo testo ci interessa mostrare la sua strategia discorsiva, le modalità’ di funzionamento di quello schema razionale precostituito che funge da selettore dei fatti storici e inquadramento degli stessi all'interno di quello che potremmo definire una sorta di "storicismo della guerra civile", i protagonisti e le forze motrici di questa storia che Nolte racconta essendo i partiti della guerra civile che, dopo essersi fatti stato, si trasformano appunto in Stati della guerra civile. Ci preme far osservare come, all'interno di questa meccanica, il nesso causale funga contemporaneamente da categoria interpretativa e giudizio di valore, giustificazione storica e sentenza assolutoria. Ciò che viene presentato come risultato, dunque, è solo l'ipotesi della ricerca, e le premesse che governano tutta l'impostazione storiografica si guadagnano nel corso della narrazione il titolo di conclusioni. Ho distinto per comodità' il discorso di Nolte in tre tronconi che mi sembrano, nella loro interna articolazione, rendere abbastanza il senso di questa operazione. In primo luogo si tratta di riconoscere ed attribuire all'Unione Sovietica il primato nella concezione della guerra civile nel mondo ad opera del proletariato. Il secondo, e conseguentemente, e' il fatto che il punto centrale del nazionalsocialismo non e' più' rappresentato dai suoi obiettivi e programmi di guerra, da quelle che Nolte chiama «ossessioni antisemite», ma dal suo rapporto di paura ed odio con il comunismo. Il terzo ed ultimo punto, sul quale porrei maggiormente l' attenzione, e' come questo tipo di ragionamento operi una dislocazione potente dei termini del problema, nel senso che esso diviene adesso quello di spiegare il perchè di una interpretazione antisemita delle giuste aspirazioni anticomuniste di Hitler e dei tedeschi. Il primo punto chiama in causa direttamente l'istituto della comparazione, la legittimità' o meno del suo uso. Uno storico tedesco intervenuto nel dibattito, J.Kocka, ha denunciato l'inadeguatezza di un siffatto tentativo, rilevando come ogni comparazione sia sottoposta ad una sorta di vincolo logico per quanto riguarda la sua adozione, nel senso che i due termini della relazione devono presentare un medesimo o accettabile grado di omogeneità' per potersi comparare fra loro, il che non può' assolutamente dirsi per quanto riguarda il bolscevismo e il nazionalsocialismo. Ma, indipendentemente da questa critica, a noi interessa notare l’uso esclusivamente strumentale di questa comparazione, che non consiste solo nel mostrare le eventuali specularita' o complementarietà' del bolscevismo e del nazionalsocialismo (il che, come ha giustamente osservato Mommsen, «serve semmai a scambiare per costitutivi certi aspetti comuni meramente esteriori»), quanto a poter confermare 1’ anteriorità' dell’uno sull'altro: col bolscevismo, cioè, nasce per la prima volta l'attribuzione collettiva di colpa ad una entità sovraindividuale. Nolte e' a tal punto ossessionato dal mostrare questa anteriorità' che finisce per pervadere di essa anche alcuni aspetti meramente formali del testo. D sottotitolo infatti è "La guerra civile europea 1917- 1945", significativamente retrodatata al 1917, e soprattutto il titolo del primo capitolo e' "Conclusioni e preludio 1933: la presa del potere antimarxista in Germania", dove la definizione in prima istanza del nazionalsocialismo non si avvale degli aspetti intrinseci, della sua specifica identità', ma può’ darsi solo in negativo, a partire cioe’ dalla sua negazione del marxismo. In sostanza, 1’ istituto della comparazione serve ad eleggere le azioni condotte dall'Unione Sovietica a principio di intellegibilita' della reazione hitleriana e tedesca. Ora, l'applicazione di questo principio -ed e' questo il secondo punto del nostro discorso- qualifica il nazionalsocialismo esclusivamente nel suo rapporto imitativo con il comunismo, in quanto la differenza tra i due si porrebbe lungo un continuum sostanzialmente omogeneo e si scorgerebbe solo per gradi, per sfumature. Il nazionalsocialismo, cioè, si configura, al pari del bolscevismo, come assunzione dell'attribuzione di colpa collettiva e se ne differenzia solo perche’ ne opera il trasferimento da una base classista ad una biologica. I tratti tipici del nazismo vengono cosi' ad essere stemperati sullo sfondo d'azione rappresentato dall'Unione Sovietica. E qui Nolte e' abbastanza esplicito: dichiara infatti che le bandiere sovietiche appaiono a Hitler e ai suoi contemporanei come stella di David, riproponendo il problema dell’interpretazione psico-patologica di Hitler e dei tedeschi di fronte alla minaccia sovietica, e potendo scaricare cosi’ le responsabilità' naziste, come sostiene Collotti, «nel campo metastorico e metapolitico dell'antropologia e della psicologia individuale e sociale». Se questa è la componentistica di cui si avvale Nolte, credo sia importante adesso leggere un passo di questo testo che si trova proprio all'inizio, e che può' essere considerato un pò come una dichiarazione di intenti, un'anticipazione che Nolte ci fa dello spirito complessivo che anima il suo discorso: «Questo libro parte dall'ipotesi che il centro motore dei sentimenti e dell'ideologia di Hitler fosse effettivamente il suo rapporto di paura ed odio con il comunismo e che quindi egli esprimesse in maniera particolarmente intensa quello che numerosi contemporanei tedeschi e non tedeschi sentivano. Tutte queste sensazioni e tutti questi timori non sono quindi soltanto comprensibili ma in gran parte anche popolari e fino a un certo punto persino giustificati... La questione decisiva sta quindi nel chiedersi perche’ una reazione prevedibile e sostanzialmente giustificata abbia avuto un carattere cosi’ esorbitante da portare non solo alla più' grande guerra della storia mondiale ma anche a singolari crimini di massa ... Possiamo dare alla domanda una risposta concisa in anticipo dicendo che il carattere fondamentale di ogni ideologia è un sovrappiù' e che questo sovrappiù è inevitabile anche quando, anzi proprio quando, una ideologia suscita una controideologia. Noi possiamo spiegare come questa controideologia sia risultata vittoriosa in un grande stato sebbene il sovrappiù maggiormente gravido di conseguenze, cioè' l'interpretazione antisemita dell'esperienza anticomunista, fosse chiaro e significativo solo per una piccola parte della nazione, esclusivamente perche’ Hitler potè collegare in maniera convincente con quel motivo ideologico fondamentale altri motivi più semplici e di gran lunga più popolari, come per esempio il motivo della Revisione di Versailles e quello dell'unione di tutti i tedeschi». Ricapitolando il senso di questa citazione, la successione logica proposta da Nolte e’ la seguente: la reazione di Hitler al rapporto di paura ed odio con il comunismo è non solo comprensibile ma perfino giustificata ... l'interpretazione antisemita di quella che è la giusta aspirazione antibolscevica è frutto di un surplus di ideologia ... e tuttavia, proprio questa interpretazione, abilmente sfruttata da parte di Hitler, costituisce la base per il superamento dell'instabilità politica della Germania e per l'unita' della nazione tedesca. Qui, se possibile, viene addirittura superata la relativizzazione dei crimini nazisti, perchè la figura di Hitler può essere recuperata in senso positivo, vedendo in Hitler l'artefice di un progetto di conciliazione tra le classi per la difesa della nazione tedesca e dell'intero Occidente dalla minaccia asiatica e dalla sua barbarie. Queste considerazioni ci rivelano in modo intenso le strategie disposte dal revisionismo, nel senso che esso non si limita a rimuovere i crimini nazisti alla maniera della vecchia destra tedesca ma, attraverso un'operazione più’ sottile, può procedere alla loro neutralizzazione facendosi apologia di determinati assetti dei presente e/o del futuro. E soprattutto, in questo modo, consegue anche un secondo obiettivo, non meno importante: la mancata definizione in prima istanza dei caratteri peculiari del nazionalsocialismo consente di depurarlo, di liberarlo del fardello del razzismo e dell'antisemitismo. Come se il razzismo non fosse un dispositivo che possiede proprie istituzioni, che organizza i propri discorsi, che costituisce le sue pratiche di potere e d' azione. Come se l' antisemitismo non fosse un tratto distintivo e costitutivo dello stato nazionalsocialista» ma un aspetto tutto sommato marginale, come si diceva prima accessorio, e quindi in qualche modo trascurabile dentro questa immagine della storia come luogo dell'eguale e dell'indistinto. Ora, riconosciuti in questi passaggi i tratti caratteristici dell'operazione condotta da Nolte, un ultimo punto che volevo toccare è quello rappresentato dal cosiddetto "pensiero geopolitico". Si tratta di un discorso che sembra interessare solo marginalmente Nolte, e che coinvolge invece al tri revisionisti come ad esempio Sturmer e Hillgruber, ma che e' opportuno considerare in questa sede perche' esso rappresenta un pò il rovescio della medaglia del discorso del primo. Con esso ci troviamo inseriti in una dinamica tutta politica, che non disdegna di manifestare i propri progetti espansionisti e la ambizione per il vecchio Reich. Si tratta in sostanza del tentativo di riabilitare, anche sul piano storiografico, Fuso di concetti e categorie derivati direttamente dalla collocazione geografica degli stati, al fine di spiegare la loro storia passata e, presumibilmente, di condizionarne anche quella presente e futura. Molto esplicitamente Sturmer sostiene che la collocazione geografica della Germania, esposta «all' onore della posizione centrale», la condanna ad una logica di «geografia di potenza» a cui non potrebbe sottrarsi: «Il luogo della storia tedesca, al centro in Europa, continuerà' ancora a lungo a costituire anche la suaprima condizione». Più eleborato e sottile è invece il discorso di Hillgruber che, presentando due saggi già' conosciuti all'interno di un'unica pubblicazione dal titolo "Doppia caduta", istituisce una equivalenza tra «lo smembramento del Reich tedesco e la fine dell'ebraismo europeo». Dopo aver osservato che le due «catastrofi sono affini fra loro », Hillgruber fa valere un obbligo di identificazione da parte dello storico che, considerate tutte le alternative possibili, non può che schierarsi al fianco dei tedeschi impegnati sul fronte orientale, «che cercarono di salvare la popolazione dell'Est tedesco dalle orge di vendetta dell'Armata Rossa, dagli stupri di massa, dagli assassinii senza motivo e dalle deportazioni indiscriminate». Fatta salva questa scelta di identificazione, Hillgruber imputa la cacciata dei tedeschi dai territori orientali agli «obiettivi a lungo meditati dalle grandi potenze avversarie, e manifestatisi con maggiore chiarezza durante la guerra», così che l'esito del conflitto, oltre alla «catastrofe ebraica» e alla «catastrofe tedesca», conosce un'altra vittima rappresentata dal centro d'Europa, «frantumato in guerra», che rimane una questione ancora «aperta come allora». Abbiamo fatto questo breve excursus sul pensiero geopolitico perchè esso ci consente di individuare alcuni obiettivi comuni ai revisionisti tedeschi e di chiarire pertanto i fini politici cui questo discorso si presta. In sostanza, il ruolo peculiare della Germania, basato com'è sulla sua "straordinaria" posizione centrale, non le consente alcun disimpegno o neutralismo; al contrario, gli imperativi geo-politici impongono una riqualificazione del rapporto tedesco con l'Occidente non più sulla base della «memoria della colpa», ma sulla sua storia e geografia politica. La teoria della posizione centrale rinvia cioè direttamente all' esito del secondo conflitto mondiale (smembramento del Reich) e alla necessità di ricostruire un centro europeo, di riscattare la Germania da una condizione di minorità, considerando lo scarto tra la sua potenza economica, industriale e finanziaria e il suo sottodimensionamento politico. Considerato il fenomeno sotto queste diverse prospettive, il problema che il revisionismo storico ci pone è di tipo metodologico da una parte, e storico, nel significato più pieno e corposo del termine, dall'altra. Nel senso che attraverso il riconoscimento del carattere politico di questo movimento, ci si rendono palesi una serie di nessi e di implicazioni che spesso si coltivano all'ombra della quiete accademica. Nel senso che esso ci propone il terreno della storia, e della storia contemporanea in particolare, come terreno di scontro e di azione, come luogo della mistificazione e della manipolazione, dove porzioni di sapere si costituiscono in pratiche di potere, in discorsi dell'ordine. Il revisionismo ci mostra la vicenda storica e la sua metodologia come sede di interessi e vittorie, di consolidamenti istituzionali e di incursioni politi- che: ci mostra dunque in primo luogo l'oscenità di ogni indifferenza o presunta imparzialità della scienza. Ci impone di ripercorrere criticamente il terreno della storia per liberarla ogni volta dall'ideologia dell'obiettività, per denunciare al contrario la partiticità d'ogni dichiarazione di neutralità. Il problema che allora dovremmo porci è propriamente questo: può bastare quest'opera di demistificazione? E' sufficiente a realizzare le nostre istanze di ricerca e a soddisfare il nostro interesse al sapere sociale? La storia è pervasa e organizzata da un principio di scissione: i punti di vista non sono indifferenti rispetto alla collocazione del soggetto che li agisce, ai conflitti e alle forze che si danno nell'attualità. Essi non disegnano un orizzonte di equivalenza, entro cui ognuno si scambia vicendevolmente con il suo opposto. Ad esempio, noi non possiamo usare la categoria stato per coprire secoli di storia, pretendendo del pari un'efficacia interpretativa di tale categoria. Ma pure, quando dello stato abbiamo una definizione storicamente consapevole, dobbiamo inseguire dietro la generalità ell'espressione le sue movenze concrete, il modo in cui esso sceglie e discrimina tra gli interessi dati, e la determinazione conflittuale, antagonista che questo rapporto di potere ogni volta riproduce. Così dietro l'ambiguità della categoria stato, sarebbe possibile riscoprire il flusso delle resistenze, la direzione delle alternative che volta per volta si danno. Voglio dire che la nostra critica per essere realmente radicale deve associare al momento negativo della demistificazione, pure uno positivo e costruttivo che insista sulla scissione e sulla natura conflittuale della scienza; che sappia riconoscere dietro il modo in cui una pratica discorsiva si fa apologia di determinati assetti del presente o del futuro, la materialità dei conflitti, lo spessore soggettivo di questo rapporto; che sappia, insomma, reinterpretare questo rapporto di dominio dentro un'ottica potente


LA QUESTIONE DEL "CONSENSO" NEL REVISIONISMO STORIOGRAFICO DI DE FELICE
di Rosario Piccolo

Ora occorre vedere e non guardare in aria. Occorre agire e non parlare questo mostro una volta stava per dominare il mondo i popoli lo fermarono ma il grembo da cui nacque e' ancora fecondo. (Bertolt Brecht) Il fascismo è il nodo fondamentale della storiografia contemporanea: in una realtà in continua trasformazione politica in Europa e in particolare in Italia, è necessario, anche da un punto di vista d'impegno politico e culturale "militante", approfondire da un Iato l'analisi del fascismo storico, in particolare la sua azione di modernizzazione e, dall'altro lato, la continuità politica, economica, istituzionale, tra fascismo e società contemporanea. Possiamo dire con K.H. Roth: "Il dibattito sul fascismo acquista una connotazione esistenziale. Ogni fine teorico in se stesso gli è estraneo. Ha effetti immediati sulla prassi". () Ciò' non vale solo per noi. Queste parole ci sono tornate spesso alla mente, quando abbiamo analizzato i momenti centrali del discorso del revisionismo storiografico condotto da De Felice sul fascismo. E' insita, infatti, in tale discorso, un'operazione culturale e politica, di grande portata in grado di condurre attacchi formidabili al mito fondativo di quella che viene definita in Italia Prima Repubblica. A partire dal 1975, anno del librointervista di De Felice sul fascismo, sempre più' chiaramente e’ emerso 11 seguente obiettivo politico: utilizzando ampiamente i media e quindi traducendo l'operazione storiografica in operazione culturale per il grande pubblico proporre una visione nuova del ventennio fascista che consentisse di criticare a fondo e infine di eliminare quel paradigma antifascista che da decenni costituisce la legittimazione non solo della Costituzione del 1948, del sistema dei partiti, ma anche, in una visione affatto diversa dalla cultura e dalla prassi antifascista istituzionale, dei movimenti politici antagonisti presenti sulla scena del sociale a partire dagli anni '60. De Felice, autore di una smisurata biografia di Mussolini, non ancora terminata, con queste sue posizioni si inserisce a pieno titolo nel dibattito sulle riforme istituzionali, che dovrebbero adeguare la costituzione formale alla costituzione materiale e segnare il passaggio alla Seconda Repubblica. Secondo il suo giudizio: "...l'antifascismo, inteso come ideologia di stato, non può' essere un discrimine storicamente, politicamente e civilmente utile per stabilire che cos'è' un'autentica democrazia repubblicana, una democrazia liberaldemocratica"; in altre parole, la prima riforma costituzionale dovrebbe abolire le norme che vietano la ricostituzione del partito fascista: "Un partito fascista cV, è il Msi, ed e’ sopravvissuto a tutte le tempeste; sopravvive al tempo, giudice implacabile. E dunque?" (2) Non è irrilevante l'osservazione che l'attuale dibattito sul fascismo sia stato aperto non da un saggio storiografico, bensì da un'intervista. Ciò' testimonia ancor più' il fatto che il revisionismo storiografico, di cui D.F. e’ il maggiore rappresentante in Italia, e' suscitato piuttosto che da fonti prima sconosciute, da riflessioni maturate in sede politica. Con questo non si intende suggerire affatto un rapporto di mera dipendenza dal potere politico; anzi il revisionismo e' partecipe a pieno titolo della formazione di nuovi assetti politici, la sua forza d'attrazione sta nel suo essere interno al discorso del potere, costituendone una parte integrante sia in sede politica che nel campo dell'industria culturale e nel mondo accademico. L'attacco all'antifascismo e la lancia spezzata a favore del Msi, significano, in sede storiografica, una rivalutazione del fascismo, tendente a negarne i tratti di reazione di classe, giungendo al risultato di consegnare un fascismo per la gente comune, ridotto a dimensioni "quotidiane" popolate da uomini comuni con i loro vizi e virtù’. Un’operazione culturale, rivolta soprattutto alle classi medie, che ha come primo obiettivo quello di avvicinare l'esperienza del ventennio fascista al grande pubblico, senza quei suoi caratteri negativi, truci, "demoniaci", suscitanti riprovazione e memoria circa sofferenze, lutti, guerre, e di far filtrare il messaggio: in fondo il fascismo, al di là dei suoi eccessi, rappresenta pur sempre un modello di ordine politico e di mediazione dei conflitti sociali (corporativismo). In linea con tale impostazione, D.F. si preoccupa quasi ossessivamente di distinguere il fascismo dal nazismo, di allontanare dal primo il peso delle responsabilità dei gravi crimini, in primo luogo dell'olocausto, di cui si e' macchiato il regime hitleriano. Lo sforzo e’ perseguito sia per annullare ogni connotato di affinità tra i due regimi, sia per sostenere in via concettuale un’autonomia della linea politica di Mussolini rispetto a quella di Hitler, che poi di fatto viene smentita di continuo dalla loro reciproca interdipendenza. Questa preoccupazione di ordine politico viene, da un punto di vista storiografico, affrontata con una contestazione: con la negazione, cioè, della validità della formulazione di una teoria generale del fascismo al fine di esasperare il peso delle specificità nazionali. La volontà di negare l'esistenza di un fenomeno generale di fascismo in Europa, serve, tra l’altro, a D.F. per decontestualizzare a livello europeo lo stesso fascismo italiano, ottenendo in tale modo due obiettivi; da un lato la riduzione falsa e provocatoria del regime fascista alla mera accentuazione degli aspetti autoritari della tradizione della destra liberale (3), e, dall’altro lato, l'eliminazione dell'interpretazione "bellicista’’ della politica estera di Mussolini: cade la pregiudiziale antifascista del dinamismo aggressivo come momento distintivo del fascismo, la guerra come risultato della logica di quel tipo di sviluppo. Questa visione si sposa oggi con l'interesse di alcuni partiti di riassorbire nell'arco costituzionale riformato l'estrema destra verso il centro, di rimettere cioè' in gioco ufficialmente una forza politica che potrebbe essere compresa nelle nuove regole del gioco di partecipare eventualmente a nuove maggioranze di governo. Msi e Leghe sono forze indispensabili per affossare la prima Repubblica, ma non e' detto che siano disposte ad essere "costituzionalizzate" nel nuovo sistemaQuesto disegno spiega l'attenzione politica rivolta alla pubblicità’ di una visione appagante del fascismo, trasmessa dai mass media, di "fare cultura’’, presentandosi come visione meramente "documentaria’’ e antiideologica si pensi alle iniziative televisive in occasione del centenario della nascita di Mussolini, e alla mostra del Colosseo dei 1984 sull’economia italiana tra le due guerre. E' in questo clima che si comprende l'attuale fortuna di D.F. Cosi’ come si comprende tutta l’importanza per la cultura antifascista e per il Movimento antagonista di denunciare sempre più’ con forza operazioni culturali e politiche di questo genere denuncia che diventa parte di un progetto culturale, solo se ha la forza di valorizzare una storiografia altra in grado di opporre una valida alternativa al dilagare del revisionismo. Questo in campo storiografico. In primo luogo e’ necessario conoscere il nemico, conoscere cioè le sue tecniche. La tecnica utilizzata da D.F. è quella di un diverso montaggio degli avvenimenti, che ha la caratteristica nei passaggi fondamentali di fare propri giudizi e interpretazioni filtrati attraverso fonti fasciste, in particolare le memorie dei gerarchi e le fonti ufficiali del regime. Quello di D.F. e’ stato definito un "centrismo storiografico": la tesi di fondo e’ quella che individua nei ceti medi la forza propulsiva del fascismo interpretazione che conserva una sua validità, che D.F. utilizza però al fine di presentare il fascismo come forza autonoma, indipendente, rispetto al grande capitale. Ci si trova di fronte ad una ricostruzione e ad una interpretazione che finisce per alimentare simpatie e per sollecitare identificazione tra ceti medi e fascismo. E’ questo un qualunquismo storiografico che emerge anche dall’eclettismo con cui sono di volta in volta accettati i contributi di studiosi di diversa provenienza, anche marxista, non per animare una dialettica interna o un dibattito storiografico, ma per dare forza alle proprie tesi, anche se ciò comportai’ estrapolazione di concetti dal loro contesto originario e conseguentemente un loro uso strumentale. (4) Lacerazione di D.F. alla fine si può sintetizzare in un obiettivo: la svalutazione della cultura e della storiografia antifascista. Ciò che si vuole negare e’ che la ricostruzione dei fattori portanti di un certo tipo di sviluppo politico ed economico-produttivo, costituisce la premessa fondamentale per una reale interpretazione del fascismo. Quanto detto finora, ci e’ servito per tratteggiare il contesto in cui l’opera di D.F. si situa. Nella necessita’ di delimitare gli argomenti, la scelta e’ caduta sulla questione del cosiddetto "consenso’’ trattato con particolare cura dal revisionismo storiografico. Per questa ragione, in questo intervento, si dedica un'attenzione più specifica alla questione del "consenso" di cui, secondo De Felice, il regime avrebbe goduto nella società italiana, ivi compreso alcuni strati della classe operaia. Pertanto, faremo riferimento soprattutto al quarto volume della biografia, Mussolini il Duce, Gli anni del consenso 1929-1936. E' quasi superfluo aggiungere che queste sono poche note, per rompere il ghiaccio, rispetto ad una problematica tanto complessa e che richiede uno studio ben più sistematico e approfondito.

LA REVISIONE STORIOGRAFICA La parabola di D.F. è sintomatica per comprendere il clima di destra istituzionale, di "Nuova Destra", di neofascismo. Negli anni ‘70, quando la cultura ufficiale antifascista era ancora solida e cresceva una generazione di storici di Movimento, l’opera di revisione storiografica veniva decisamente attaccata e svelata nei suoi obiettivi politici. Negli anni ‘80 si assiste, invece, ad una diversa fortuna dell’opera defeliciana; essa ha fatto più’ di una breccia anche a sinistra. Molte cose sono cambiate: la caduta del cosiddetto socialismo reale, la nascita del Pds, la trasformazione della forma-partito, il sopravvento di politiche e culture della destra neo-liberista, hanno creato un clima favorevole ad un mutamento di egemonia culturale, che in campo storiografico da’ ragione della fortuna della corrente del revisionismo. E’ significativo che l'interesse degli storici, in questi ultimi anni, si sia concentrato su una questione che tende arisultare determinante: il problema dei consenso. Il motivo e' semplice: un governo e un regime, che hanno avuto "consenso" dalle masse vedono giustificati i dispositivi messi in atto per garantire la "legalità’", dal momento che quest’ ultima e’ sorretta dal principio della "legittimità"'. Chi ha consenso ha, in altre parole, "legittimita"'e un regime siffatto non può’ definirsi semplicemente uno "stato di polizia". L'errore evidentemente sta nel creare un rapporto meccanico, secondo cui laddove cV "legalità'‘‘ (cioè' l'insieme delle funzioni di uno stato, compreso naturalmente i dispositivi coercitivi), c'e’ anche la "legittimità’’’ di un sistema sociale e politico, la sua accettazione reale e cosciente da parte delle "masse’’ termine che astrae dagli individui reali, dalle classi (la "legittimità"‘ invero esiste se i soggetti possono a loro volta mettere in campo dispostivi correttivi e di trasformazione-sviluppo di un sistema). La partita che si gioca da questo lato e’ dunque strategica. Nel suo discorso D.F. cerca di recuperare al fascismo la "legittimità’’’ la costruzione di "senso" tra regime e classi sociali in modo da gustificare la "legalità’’ dei meccanismi coercitivi. Questa costruzione reggerebbe a due condizioni: 1) che il fascismo fosse l'unica fonte di "legittimità'‘'; 2) che il consenso fosse non passivo, ma attivo, indicatore di partecipazione reale con potere di trasformazione.
Per il primo punto, e' opportuno ricordare che la monarchia e la chiesa nei momenti cruciali dimostrarono di essere espressioni di forze sociali e politiche fondamentali. Per quanto concerne la classe operaia, essa non diede spazio e credito nella sostanza al regime. Perii secondo punto, entriamo più' in particolare nell’argomento. L'aspetto preliminare da analizzare è la scelta e l'uso delle fonti da parte di D.F. Nel volume Mussolini il Duce, gli anni del consenso 1929 -'36, le fonti utilizzate possono dividersi in quattro gruppi: 1) l’Archivio centrale dello stato, 2) il Ministero degli esteri, 3) le fonti ufficiali del regime, 4) gli ambienti fascisti: la memorialistica e gli archivi privati dei protagonisti fascisti dei ventennio, oltre che le loro testimonianze e indicazioni. Le tante e fitte note a pie’ di pagina pullulano di citazioni dalle carte di Mussolini e dei maggiori gerarchi, un posto particolare occupano i rapporti di polizia, che sono accettati spesso come indicatori del consenso. Salta agli occhi il rapporto quantitativo a favore dell'uso delle carte e della segreteria personale del "duce", rispetto alla documentazione economica proveniente dai ministeri. Quest'ultima è piuttosto scarsa e presa in blocco, non vengono utilizzate nemmeno studi di carattere economico e in genere la storiografia antifascista. Questo punto è di estrema importanza. D.F. non ha alcuna competenza riguardante studi economici e analisi di carattere finanziario. L'asse portante della sua interpretazione del fascismo risulta connessa strettamente ad una generica descrizione della Grande crisi del '29 e in generale dei grandi processi economico-produttivi. Il cosiddetto consenso al regime si inserisce in questo scenario. La premessa che egli fa apag. 181 è sintomatica: "Il momento repressivo del "consenso" deve però, per cosi’ dire, rimanere sullo sfondo, non è infatti dubbio che a livello di massa esso, pur avendo un'importanza che non può essere sottovalutata, ne ebbe molto meno rispetto a quello che potremmo definire di formazione e di attivizzazione del consenso, premesse indispensabili per un'azione di fascistizzazione in profondita'. In questo senso il compito più' importante fu quello assolto dalla stampa, e, via via che vennero sviluppate, dalle radiodiffusioni’’.(5) Invece l'ampiezza e le conseguenze della repressione poliziesca della società’ italiana negli D anni '20 e '30 vanno ricostruite attentamente, come le resistenze e la conflittualità quotidiana al regime, proprio per far risaltare l'opposizione politica e sociale e mettere in evidenza un "consenso" superficiale e passivo nella sostanza, come tra l'altro, lo stesso D.F. riconosce esplicitamente in altre parti dei volume. Ce' un punto davvero critico in quelle pagine. Gli anni che vanno dal 1929 al 1936 coincidono con una crisi economica e del modo di produzione strutturale e non è di facile soluzione il mistero che, nonostante ciò, siano quelli gli anni del consenso. Le parole di D.F.: "Il regime fini’ sostanzialmente per fallire assai prima sul terreno di quei ceti borghesi che avrebbero dovuto essere il suo punto di forza che non sul terreno dei ceti operai e contadini" (6) non tengono conto che il binomio crisi-consenso e’ insostenibile. La crisi del '29 fu caratterizzata da un'estesa disoccupazione, da un allargamento della povertà negli strati già non sufficientemente garantiti, da una forte ristrutturazione finanziaria e industriale. (7) Più' volte i salari furono drasticamente ridotti a favore dei profitti. In questo contesto non si può' parlare nemmeno di "consenso" nella sola accezione di "sostegno", ciò' per il semplice fatto che nell'Italia degli anni Trenta il prezzo della trasformazione industriale fu pagato da contadini e operai. Qui naufragavano tutti gli sforzi della propaganda del regime: "Operai e contadini, nella società' italiana degli anni Trenta, costituivano insieme la maggioranza assoluta della popolazione. Era dunque impossibile che una politica economica imperniata sul rigoroso contenimento dei redditi di quelle due categorie non lasciasse tracce corpose nell'opinione pubblica. Basto’ infatti che un evento tragico e sanguinoso come la guerra s'incaricasse di mostrare quanto era fragile e vulnerabile quel regime, e quanto era clamorosamente menzognero l’apparato propagandistico imperniato sulla persuasione radiofonica, perche’ l'apparente consenso popolare si trasformasse in una visibile ostilità’. Questo atteggiamento dell'opinione pubblica assunse la massima evidenza proprio quando, nel 1944, Mussolini allestita con angosciosa precipitazione la gracile e truce Repubblica sociale tento’ di attuare una politica economica improvvisamente filo-operaia, proponendo la socializzazione delle imprese". (8) Un discorso sul consenso negli anni del fascismo non può’ farsi, senza ricordare, per es., che le corporazioni nascevano sulla distruzione dei sindacati liberi, sul divieto di appartenenza a partiti politici diversi da quello fascista, sullo scioglimento della libera stampa politica e sindacale, sulle discriminazioni operate sui luoghi di lavoro a carico di coloro risultanti estranei o impermeabili all'area di influenza del partito fascista. Le corporazioni, lontano dal raggiungere il fine di consenso per cui erano state istituite, erano piuttosto L’esplicitazione che la lotta di classe, non potendo essere eliminata, doveva essere irrigidita e controllata in un'istituzione che, nell’assicurare l’intermediazione tra i conflitti di classe, in pratica esprimeva solo gli interessi della borghesia, alla quale si garantiva l’appoggio della macchina statale. Le corporazioni, come la legislazione riguardante i rapporti di lavoro, andrebbero studiate sia nell'ottica di una risposta statuale ali’ opposizione operaia nelle sue varie espressioni, sia come indicazione della soglia su cui si attestava, grazie alla repressione, la stessa resistenza e spontaneità’ di classe. In questo contesto e’ necessario riattivare una storiografia del Soggetto che si vuole scompaia dall'orizzonte della storia. In essa la ricostruzione storica, durante il fascismo, dell'autonomia di classe, della sua conflittualità sociale quotidiana, dovrebbe rappresentare un aspetto essenziale. Raccogliendo preziose indicazioni proposte da Roth, risulta indispensabile recuperare gli interni momenti di costituzione della soggettività proletaria contro il piano capitalistico, nei suoi nessi essenziali tra produzione e riproduzione: far venire in maniera organica e sistematica alla luce quelle linee di resistenza e di offensiva della composizione di classe nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nella quotidiana riproduzione materiale dei bisogni, al fine di fare emergere la "legittimità’’' della classe e la sua opposizione contro la "legalità’" del regime. D.F., naturalmente, non prende in considerazione alcun momento di queste dinamiche, e’ lontana ogni considerazione di crisi avente la sua origine in questa mancanza di consenso da parte delle forze del lavoro sociale. E' da sottolineare, sotto questo aspetto, che egli spende quasi meta’ del quarto volume della biografia per sostenere che l'aggressione italiana all'Etiopia non aveva origine nella crisi del regime: un tentativo estremo per negare che la politica estera fascista nascesse da enormi problemi interni irrisolti, e come tra questi ci fosse anche quella classe operaia e contadina che non si era affatto integrata nel regime e le cui tensioni sociali e politiche acceleravano un passaggio inevitabile, di ampliamento del processo capitalistico, di un suo intervento in nuove aree di sfruttamento di forza-lavoro. Crisi di regime che si evince anche dai provvedimenti antiebraici del 1938. (9). Detto questo, e' necessario affermare che la questione del "consenso" assume un'importanza fondamentale per comprendere alcuni elementi specifici del fascismo, della sua modernità' nei rapporto con le masse. Infatti, il regime partiva dalla considerazione preliminare dell'enorme e strategica importanza delle tecniche della comunicazione di massa, ritenute indispensabili per la legittimazione della dittatura, (si pensi ai cinegiornali Luce, alla stampa, alla radio, al cinema). (10) D.F. ricostruisce il monopolio della comunicazione con le masse attraverso l'analisi delle diverse organizzazioni che inquadravano giovani, donne, lavoratori, e degli sforzi notevoli del fascismo nel campo dell’educazione e della cultura (peraltro si pensi alla continuità' di istituzioni che sono sopravissute al fascismo e che ebbero carattere di formazione del consenso, a livello scientifico e intellettuale quali il Consiglio nazionale delle ricerche e l'Enciclopedia italiana), senza andare al fondo del perche’ tali organizzazioni fallirono nello scopo di fascistizzare organicamente la società’ italiana nelle sue varie espressioni. (11) Egli non dice affatto che esse nel fallire lo scopo denunciavano il proprio carattere di controllo politico e sociale nell’ambito di un sistema di poteri che nessuno spazio decisionale accordava alle masse o al movimento delle masse. Ne’ si chiede perche’ l'uso spregiudicato e sistematico delle tecniche della comunicazione di massa non ebbe successo, con ciò’ rinunciando all'esame di aspetti fondamentali, che, se sviluppati, darebbero una visione diversa del regime. Da un lato le tecniche usate dovevano poggiarsi su una base repressiva e totalitaria della forma stato che, per sua caratteristica intrinseca, doveva continuamente esplicitare al massimo il messaggio, caricandolo di contenuti pedagogici, direttamente di propaganda politica per l’accettazione di un sistema di valori, che serviva a giustificare un sistema totalitario e questi furono i limiti obiettivi in questo campo del fascismo e, dall'altro lato, come già’ accennato, il fallimento della fascistizzazione aveva la sua causa strutturale nel fatto che il proletariato faceva riferimento ad un altro sistema di valori, aveva altri miti, altra tradizione politica, e conservava nella memoria le recenti violenze fasciste, che dall'inizio degli anni ‘20 in poi sistematicamente avevano distrutto le condizioni materiali e politiche per la riproduzione di quel mondo di valori. Per terminare, possiamo riassumere i termini della questione: 1) la definizione del fascismo: "democrazia autoritaria di massa" e’ inaccettabile, ciò’ per l’evidente assenza di ogni canale di comunicazione dal basso verso l’alto che negava ogni potere che non fosse quello dello stato (il fascismo si autonomizzo’ anche nei confronti della sua stessa base tradizionale, i ceti medi; anche nel partito nazionale fascista il rapporto era di mera trasmissione di direttive dal centro alla periferia, pertanto gli iscritti non partecipavano affatto alla loro elaborazione. Inoltre Mussolini progressivamente subordino’ il partito allo Stato, completando il processo di centralizzazione che rimetteva a se’ le decisioni e l’intermediazione con gli altri centri di potere: la borghesia, la monarchia, la chiesa); 2) il fascismo non poteva non tener conto almeno in parte degli umori delle masse, ma questo non significo’ un processo di partecipazione, ma al contrario si punto’ su un consenso puramente passivo, imperniato sulla fede al duce, intriso di irrazionalismo e di fideismo, che ricercava il rapporto diretto con il dittatore, facendo affidamento sul suo carisma e ascendente. Quest’ultimo punto introduce un altro aspetto della revisione storiografica, consistente nella ricostruzione in positivo della figura di Mussolini. Il cardine della valutazione defeliciana sta nella separazione tra il regime e Mussolini. Se da un lato il regime non offre appigli per affermarne la "legittimità’’’, e quindi D.F. può' soltanto relativizzare e sminuire il momento coercitivo e repressivo del consenso, la ricostruzione della politica e della figura di Mussolini dovrebbe recuperare la "legittimità’ ‘‘ al fascismo, nella sua veste di ideatore di una strategia dei "tempi lunghi'‘. Mussolini viene presentato come un attore autonomo, razionale, lungimirante, un uomo spinto da "grandi ideali’', che lavorava per la storia, per la costruzione futura di una capace classe dirigente e una vera ed effettiva società’ fascista, quella stessa che le condizioni attuali negavano... Ne esce una figura piena di contraddizioni, che si caratterizza per prendere decisioni politiche che D.F. inserisce in uno schema interpretativo particolare che nel mentre descrive i passaggi del dittatore in politica interna ed estera, li interpreta attraverso un inesistente conflitto in Mussolini tre la realta’ e la volontà’. Si giunge a risultati veramente sconcertanti, cosi’ sintetizzati dallo storico Santomassimo: " Questo Mussolini che non avrebbe voluto la conquista dell'Etiopia, che non avrebbe voluto impantanarsi nelle "sabbie mobili" della guerra di Spagna, che non avrebbe voluto in realta’ l'alleanza con la Germania, ma bensi’ l’accordo generale con l’Inghilterra, ne' avrebbe voluto il Patto d'Acciaio con le implicazioni in esso contenute, che non era razzista e che pure volle e impose le leggi razziali, che non avrebbe voluto l'ingresso in guerra e una volta "costretto" (il Mussolini di d.F. e’ sempre costretto da qualcuno o da qualcosa ad agire contro la sua volontà’) ad intervenire l'avrebbe fatto con vaghi intenti di "pacificazione", che in generale persegui' una politica "sostanzialmente pacifica" ma tenne il Paese costantemente impegnato in qualche guerra, appare francamente, e riguardato con distacco, a lettura finita, poco o punto credibile. La "biografia" già’ cosi’ poco biografica di D.F. assume sempre di più' le caratteristiche di una ricognizione aleatoria sulle intenzioni di Mussolini, su ciò’ che forse Mussolini avrebbe potuto fare se tutti i suoi contemporanei Y avessero pazientemente assecondato... Si tratta di un esito a dir poco sconcertante".(12) Quanto detto finora, tuttavia, non deve mettere in ombra le profonde ragioni storiche dell’avvento del fascismo e delia sua espansione in Europa in quegli anni. Il suo carattere peculiare fu quello di essere un fattore dato della modernizzazione capitalistica in alcuni paesi: il fascismo offri' un modello di soluzione ai problemi di crisi e di ridefinizione dello stato e ai problemi di crisi e di assestamento dei rappporti sociali tipici del periodo posteriore alla prima guerra mondiale e aggravati dal sopraggiungere della Grande Depressione. Dal 1926 al 1936 cresce l'intervento dello stato nei meccanismi economico-sociali: dal tentativo fallito di dare impulso ad un sistema corporativo, alla difesa della lira, alla formazione di un’industria di stato con Tiri. Sono questi gli anni in cui si gettano le basi strategiche dell'economia italiana, si potenziano i settori strategici auto, elettrico, chimico e s'inizia quel processo di capitalismo di stato, che se da un lato sarà caratteristico di ogni Paese, dall'altro costituirà un aspetto essenziale della storia italiana del dopoguerra. Se con il fascismo ci fu la crescita di una burocrazia parassitaria e di un ceto politico arretrato, dall'altra parte bisogna dire che il fascismo forni' gli strumenti per la costituzione di un ceto capitalistico e manageriale trai più' spregiudicati e dinamici. Modernizzazione e continuità' fascismoPrima Repubblica sono tali nelle strutture e nel ceto dirigente: "Un ceto dirigente che oscillo’ sempre tra la passività’ e l’impegno politico militante, soprattutto nel periodo della Resistenza, per cui si assiste di fatto alla crescita di una tecnocrazia del tutto neutrale sul piano delle ideologie e preoccupata soltanto dell'efficienza dello sviluppo, della redditività' dell'impresa, da un lato, e alla crescita di un riformismo borghese antifascista che trova le sue radici più’ solide nel keynesismo e i suoi orpelli ideologici nelle dottrine mazziniane o socialista, dall'altro". (13) D. F. affronta queste dinamiche in modo inadeguato, abbiamo detto, da un punto di vista di documentazione economica, di cui non utilizza nemmeno quella di parte industriale. Per es. f non sviluppa il discorso su istituzioni come Tiri (Istituto di Ricostruzione Industriale), che aveva il compito di finanziare a lungo termine le industrie in difficolta' e stimolare la ripresa produttiva. Particolarmente importante fu il ruolo che Tiri ebbe nei confronti delle banche (lo stato divenne proprietario della Commerciale, del Credito e del Banco di Roma, oltre che di una grande quantità' di partecipazioni azionarie di altre banche); Tiri assunse il ruolo di un ente pubblico imprenditore che offri’ al capitalismo privato alcuni strumenti pubblici di sviluppo e ne incoraggio’ le tendenze monopolistiche. Anche qui e’ necessario ricordare la continuità’ che queste istituzioni economico-finanziarie assicurarono con l'Italia postfascista: Tiri sarà' al centro della politica economica dei governi democristiani degli anni '50. L'intervento ampio dello stato nell'economia e' dunque una caratteristica che si struttura nel ventennio, senza peraltro modificare il carattere capitalistico dell'economia. Facendo affidamento sulle carte di Mussolini e dei suoi stretti collaboratori, D.F. arriva, invece, alla conclusione che il rilancio della produzione fu pagato dal mondo industriale "con una notevole perdita di autonomia e di coesione, cioè di potere, sul terreno politico" ; in questo modo il regime si sarebbe reso "in buona parte (...) autonomo dalle grandi forze economiche". Diversi sono i risultati della ricerca contemporanea, che evidentemente lavora su fonti diverse. E' pura astrazione presentare il fascismo come forza autonoma, indipendente da ogni altro condizionamento politico, economico, sociale. Anzi, il fascismo falli' proprio nel suo tentativo di autonomizzarsi dal grande capitale: "Dopo la costituzione dell’Iri il regime tento' di realizzare un controllo centralizzato di Piano sui processi di ristrutturazione e di sviluppo, in particolare con le norme sulla disciplina degli impianti e sui consorzi agrari. E’ a quel punto che si rivelo’ la mancanza di una tecnocrazia di "piano" autonomo dalle imprese e dal settore privato in genere. Cosi’ il fascismo, pur avendo messo in moto un processo d'intervento dello stato nell'economia che non ha paragoni in Europa, falli' nei progetti dirigistici diversamente da quanto accadde nella Francia di Vichy e nella Germania nazista’. (14) Ancora una volta, D.F. si contraddice quando scrive "Mussolini non imbocco’ mai la via di una vera e propria pianificazione degli interventi e programmazione degli obiettivi da realizzare..."; le basi del regime poggiavano su "compromessi" con la grande borghesia e la monarchia che non permettevano "uno scontro frontale con le grandi forze economiche scontro pressoché' impensabile". (15) Terminiamo qui questo excursus sul revisionismo storiografico di D.F., facendo un' ultima osservazione. Abbiamo messo più’ di una volta in evidenza il fatto che D.F. nel corso della stessa opera dice una cosa per poi affermarne il contrario, cadendo in palese contraddizione. Questo diventa un punto ulteriore di una contraddittorietà' generale della sua visione e interpretazione del fascismo: bastasse solo questa considerazione, probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di questo intervento. Si vuole dire con ciò’ che l'opera di D.F. (come qualsiasi altra) non e' scindibile dal clima politico e culturale che la produce. La fruizione dell'opera storica dipende non tanto e non solo dalla sua scientificità', ma dalla sintonia che essa ha con un certo clima sociale. La qual cosa, detta in altre parole, significa che il successo dell'opera di D.F. non risiede nella sua organicità’ e coerenza interna, bensi' nella sua capacita' di costituzione di nuovi modelli storiografici, culturali, politici, in sintonia con la nuova egemonia sociale della destra. E' questo clima che noi combattiamo e di cui l'opera di D.F. sotto certi aspetti e' la "narrazione". La stessa cosa si potrebbe dire per ciò' che riguarda Nolte. Le ultime note le dedichiamo alla continuità' tra Stato fascista e Stato "democratico". Togliatti con l'amnistia limito' fortemente l'epurazione delle burocrazie fasciste presenti nello stato. Per vent'anni i capi della polizia proverranno dalla Repubblica Sociale Italiana. Il capo della polizia dal 1953 al 1960, Giovanni Carcaterra, proveniva dalla segreteria personale dei ministero degli Interni fascista; Angelo Vicari dal 1 960 al 1 973 al posto di Carcaterra fece parte della segreteria particolare del "duce". In seguito Mario Scelba, sempre con il beneplacito di Togliatti, compi’ la restaurazione del fascismo nel ceto chiamato a esercitare la repressione statuale. Insomma il dispositivo di polizia per tutti gli anni '50 e' interamente nelle mani di funzionari di provenienza fascista. Si deve ricordare, inoltre, la funzione avuta dal Codice Rocco nella repressione delle lotte sociali in tutti questi anni. La coincidenza tra fascismo e diritto e’ dunque la caratteristica anche della Prima Repubblica, anzi c'e’ stato un palese peggioramento grazie alla legislazione d'emergenza degli anni '70, anche in questo caso avallata dal Pci contro i Movimenti antagonisti emergenza che e' poi diventata metodo di governo delle contraddizioni sociali, politiche, economiche. Più' in generale negli anni '70 fino ad oggi e' possibile ricostruire l'intreccio tra vecchio e nuovo fascismo, tra continuità' e innovazione, tra fascismo e Prima e Seconda Repubblica. Seconda repubblica già' in buona parte operante, che si definisce nella nuova forma stato attraverso rapporti di dominio e di potere, di rottura del patto sociale keinesiano e dell'integrazione nel sistema, in forme reazionarie, del Pds e dei sindacati, divenuti ormai segmenti dell'apparato dello stato. La delegittimazione della classe operaia, l'attacco formidabile condotto contro le sue conquiste, a cominciare dalla scala mobile fino ad arrivare al diritto di sciopero, alla spesa pubblica per servizi sociali, ecc., e’ la traduzione pratica della rottura avvenuta tra lotte operaie e sviluppo capitalistico. Lo stato si attrezza come macchina di guerra contro le istanze del sociale, riassume in se' fascismo e democrazia rappresentativa per meglio governare processi sociali, economici, politici, che necessitano di strumenti più’ raffinati. Il fascismo, quale che sia la sua forma storica, significa allora l’avvenuta rottura fra le lotte operaie e proletarie e sviluppo capitalistico, caratterizzato quest'ultimo da livelli alti di sviluppi e in presenza di di un'espansione della forza produttiva della composizione di classe. Se questa ipotesi ( 1 6) e' vera, il fascismo può' essere agli albori di una sua nuova e inedita stagione. "Non sarà' che quanto più' matura lo sviluppo capitalistico, quanto più' e' data la socializzazione del modo capitalistico di produrre, tanto più' il problema della separazione fra rapporti di produzione e forze produttive si ponga all'ordine dei giorno? Se una risposta positiva potesse essere data... la definizione di fascismo può' essere ricercata tenendo presente il livello della separazione o la diversità' radicale, ontologica, dei dispositivi tendenziali che presiedono rispettivamente allo sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici e, di contro, allo sviluppo delle forze produttive proletarie". (17) Rottura della dialettica e potenziamento qualitativo dei soggetti dell'antagonismo: la Seconda Repubblica e' già in atto, e' già' tutto questo. A noi con la critica e con l'azione il compito di opporci. )

NOTE 1 K.H. Roth, Autonomia e classe operaia tedesca, g Opuscoli marxisti, Feltrinelli. Vedi l'Appendice a questo m volume.
2 Vedi l'intervista di Giuliano Ferrara del 27 die. M 1987.
3 R. De Felice, Mussolini il duce, Einaudi, pag. 156 W
4 Vedi R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, a Laterza, pagg. 270-271, quando l'Autore chiama a sostegno delle sue tesi l'opera del trockistaGuèrin.
5 Vedi De Felice, Mussolini, Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi. In particolare i capitoli dedicati al "consenso". Riprendendo il nesso tra "legalità'" e "legittimità’", si deve notare che una ricostruzione storica del rapporto tra le classi e tra stato e società' basato sul "consenso", cioè’ su una astrattizzazione delle masse, e’ viziata da una visione sincronica dei fenomeni, attenta a considerare quest'ultimi nel loro funzionamento interno, indipendentemente dalla loro evoluzione storica. Chiunque vede come, attraverso l'ambiguità' e la non scientificità' della categoria del "consenso", qualsiasi sistema sociale, ogni forma stato, sia giustificata in senso positivo. Ciò’ proprio perche' l'analisi e' stata condotta in modo da far emergere la "legalità"' strappata dal suo nesso con la "legittimità"'. Ogni società', sia essa irrigimentata in un sistema fascista o di democrazia rappresentativa, può’ vantare la proliferazione di "momenti partecipativi", che in realta’ sono connessi ai mezzi della comunicazione e manipolazione di massa. Non per questo sono società' libere. Altra cosae' se la ricostruzione storica viene condotta da un punto di vista diacronico, di conflittualità' e antagonismo. In questo caso l'analisi poggia da un lato sull'indagine circa i grandi processi del comando a livello economico-produttivo, politico, sociale e dall'altro lato su uomini e donne in carne ed ossa, che formano ceti, gruppi, classi. Sotto la superficie apparentemente tranquilla del "consenso", agisce, insomma, il movimento reale; sotto il ghiaccio sottile della "legalità"', c'e’ la costituzione di "legittimità’" delle classi oppresse, che ricostituiscono continuamente l’autonomia di classe fatta di valori e di lotte, che tende a ricreare la tensione della rottura.
6 Ibidem, pag. 18 L
7 Vedi E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Ed. L’Unita' -E. Riuniti, 1967, pag. 15 e sgg. Per le lotte operaie in questo periodo pa. 22 e sgg.
8 Enzo Collotti, Fascismo, fascismi, Sansoni, pag. 45.
9 Ibidem, pag. 56.
10 Vedi il film "1 600 giorni di Salo'‘' curato da Rai3 con la consulenza di R. De Felice, il quale anche per la Rsi da' una ricostruzione legata al "consenso’’.
11 De Felice, o.c. pag 174 e sgg.
12 Vedi l'intervento di G: Santomassimo, in "Passato e presente", N.l, 1982, pag. 29.
13 S. Bologna, in Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Scienze Politiche 1, (Stato e politica), a cura di A. Negri, pag.151.
14 Ibidem
15 D. Felice, o.c.
16 A. Negri, Macchina Tempo, Feltinelli, Pag, 170 sgg.
17 Ibidem


INTRODUZIONE

LUCA Possiamo cominciare oggi la seconda giornata facendo qualche piccola valutazione. Negli ultimi tempi all'università’ e’ stato molto difficile produrre momenti di dibattito più’ o meno "alti’’ da parte del Movimento. Ci sono serie difficolta' a mettere in piedi luoghi stabili di elaborazione che siano capaci di dare battaglia sul sapere; e probabilmente questi possono essere considerati dei piccoli passi verso la costituzione di luoghi di questo tipo. La discussione di ieri, pur nei suoi momenti di conflitto necessari, ha prodotto quelle ipotesi di "salto in avanti" da parte nostra. Probabilmente creare dei contesti nei quali ci si riconosca in maniera spesso scontata e ci sia dia più' o meno sempre ragione, non e’ particolarmente produttivo. Le questioni che venivano affrontate ieri ci hanno permesso di avere dei binari di riferimento abbastanza precisi, giacche' dall'occasione della contestazione di Nolte si discuteva del Revisionismo storiografico e in particolare nel suo aspetto tedesco e nelle sue appendici italiane, che comunque ha caratteristiche diverse, e ciò’ costituisce il binario all'interno del quale ci si muoveva con una possibilità' di non andare troppo fuori dall'argomento anche se il dibattito si e' sviluppato non in maniera totalitaria su questo asse. Si e' andati anche fuori e chiaramente come tutti i contesti dove si esprime l'oralità' ci sono sempre degli sfilacciamene , delle frammentarietà'. Sara' necessario dopo questi due giorni verificare la trasposizione dall'oralità' alla scrittura e questo ci impegnamo a farlo chiaramente con i dovuti aggiustamenti che necessita il tradurre l'oralità' in scrittura. Oggi riprendiamo esattamente da dove si finiva ieri, pero' la questione diventa diversa e questo l'abbiamo già' visto tra quelle persone che hanno pensato alla realizzazione di questo seminario. Ci siamo resi conto da subito che il Revisionismo storiografico, anche per una questione accademica, disciplinare, ci avrebbe garantito una certa linearità' del discorso. Nel momento in cui veniva la seconda parte relativa alla "Nuova Destra'‘ ci siamo resi conto che tutto progressivamente si sfumava, cioè' non ci sono definizioni certe , non possediamo categorie sicure sull'argomento e non siamo ali’ in terno di un argomento disciplinareaccademico. Quindi si tratta di attuare un'esplorazione, una "navigazione a vista’’ per adesso e probabilmente già' su questo siamo in ritardo. L'importanza di questi due giorni, secondo me, dipende da due punti fondamentali: da una parte chi ha proposto questa iniziativa e’ una realta' fondalmentalmente militante e non particolarmente interna a discorsi specifici, che tenta di aggredire diverse questioni sociali, aggredire diverse tematiche. In questo senso il discorso di ieri sul Revisionismo può' essere definito "alto". Dall'altra parte la questione importante mi sembra quella che discutere di Revisionismo come poi sulla destra sociale e su forme di fascismi non ha in se' un fine teorico, ne' e' particolarmente gratificante leggere dei brutti libri come quelli che scrivono i revisionisti. Il fine fondamentale e’ quello di trovare una ricaduta sulla pratica ed e' in questo nesso che si collocano le due giornate. Siamo, ripeto, in ritardo rispetto ai fenomeni sociali che sono all'ordine del giorno sui quotidiani, come i naziskin, oppure forme politiche come le leghe ed altro, i quali hanno ricadute immediate, delle conseguenze sul nostro agire sociale. In alcune citta' d'Italia, a differenza di Bologna, lo scontro e' all'ordine del giorno; di conseguenza questo (il seminario) e' in ritardo e non solo questo. Quindi ci siamo dati un po' una mossa quando e' cominciato a scottare il terreno sotto ai piedi. Negli interverti di oggi,... stiamo aspettando Scarso, c'è Primo Moroni che si occuperà’ di quella che si definisce oggi "Destra Sociale" e in particolar modo dal suo osservatorio milanese, può darci alcune considerazioni importanti su quello che e' il fenomeno della Lega e di altre formazioni che vanno complessivamente sotto il nome di Nuova Destra Sociale non già' come fenomeno regressivo ideologicamente, non di regressione ideologica, ma visto come una necessita' che oggi si pone rispetto alle trasformazioni in atto nel modo di produzione. Quello che e' importante e' che oggi alla fine di anni di trasformazioni molto grosse vediamo realizzarsi in diversi ambiti delle questioni molto importanti: quello che va sotto il nome di riforme istituzionali, Seconda Repubblica, e ciò' costituisce un blocco importantissimo da analizzare, sul quale ragionare giacche' probabilmente e' già' realizzata, e' già' in atto e pero' noi siamo qui a chiederci come attuerà' le sue forme di dominio sulle classi subalterne. Questo fenomeno della destra sociale che in un certo modo, leggendo questo saggio di K.H.Roth intitolato "Nuovo Fascismo?" in diversi passi si parla di violenza interna alla classe e descrive come si e’ sviluppata fin dal periodo nazista ai tardi anni ‘70, e mi sembra oggi, in maniera molto empirica, che questo fenomeno ancora molto confuso che noi definiamo Destra Sociale sviluppi effettivamente questo ruolo: di alimentare fenomeni di violenza interna alle classi subalterne. Lo possiamo vedere da alcuni gravi fenomeni come possono essere gli attacchi che ceti sottoproletari fanno agli immigrati, le cosiddette guerre tra i poveri che si verificano un po’ in ogni parte d'Italia e probabilmmente in tante altre forme di di espressione. Oggi questo tipo di fenomeno ha sempre più’ rilevanza.

PRIMO MORONI
"Navigazione a vista" ha detto il compagno prima. Innanzitutto io parlerò' partendo da un "locale'‘, la Lombardia e il Veneto e parte dell’Emilia del nord, perche’ ha registrato un fenomeno elettorale in nuove forme di rappresentanza politica che e' il più’ importante nel dopo guerra in Europa. Nel senso che nemmeno Le Penn in Francia ha raggiunto su singole regioni un livello di forza elettorale in un tempo cosi' breve; in ogni caso non e' la stessa cosa .... sono le leghe sostanzialmente. Parto dal locale ma facendo un ragionamento a priori: io credo che oggi la contraddizione principale, caduti una serie di orizzonti di appartenenza, una delle categorie di lettura dei processi in atto nella trasformazione del modo di produrre merci (non nel modo di produzione nel senso classico marxiano, se no sembrerebbe che sia finita la forma di capitalismo, ma e’ una sua trasformazione o rivoluzione interna ) riguarda una categoria sociologica che possiamo usare come grimaldello che e’ il rapporto tra globalità' e localismo. Dall'altro c’e’ un percorso generale di unificazione della produzione a livello mondiale con una formazione di proletariato industriale enorme in alcune aree del globo e una sua diminuzione nelle aree centrali metropolitane storiche. In Corea del Sud c'e’ una percentuale di classe operaia che non c’era nemmeno in Italia negli anni '50 in rapporto di forza lavoro. Questo fatto nasce da una progressiva necessita’, da parte degli apparati industriali» di decentrare la produzione non solo sul territorio nazionale ma spostarlo a livello globale. Per fare l'esempio più' conosciuto diciamo che a Detroit, che e' la storica capitale dell'auto, dove e' nato il mitico ciclo dell'automobile che ha segnato la cultura , l'immaginario di molte generazioni di militanti di sinistra, ortodossi o eretici, non e' più' la capitale dell'auto e già’ a meta’ degli anni ‘70, circa 700.000 operai scomparirono misteriosamente nel nulla soprattutto dopo le grandi lotte degli operai neri che portarono in un solo anno ali’ uccisione di 75 capi operai, molto di più' di quanto non sia successo in Italia con le B.R., ma senza nessuna rivendicazione diretta o particolare , nel senso che questi capi operai uscivano dalla Chrisler o dalla Ford o da un’altra fabbrica e qualcuno da una finestra o da una macchina gli sparava semplicemente addosso ed eliminava il capo operaio. Ma questa era l'espressione violenta e armata di una ingestibilita' della forza lavoro di Detroit che era diventata processo sociale, soggettività’ .comportamento diffuso; per cui le grandi holding o corporation dell’automobile in quel periodo hanno deciso di spostare, in una prima fase, tutta questa fabbricazione di auto che aveva la sua sede esemplare a Detroit, ma più' tardi l’avevano fatto anche per la fabbricazione dell'acciaio a Shiattle, nel sud del paese. Le spostarono attraverso un processo che interno alla riflessione delle dirigenze industriali americane secondo cui quel proletariato del sud non aveva ancora sviluppato la soggettività’ o la capacita’ di organizzazioni di rottura dei modi di produzione raggiunta da quelli del nord attraverso 50 anni di lotte ; anche se poi la sconfitta storica degli ann'30 aveva segnato tutta la storia del movimento operaio americano. Com'è noto una parte di quelle organizzazioni industriali non esiste più' negli stati del sud degli USA, ma e’ stata trasferita per la gran parte in Messico, quindi in un paese terzo che produce per l'industria americana una parte rilevante della propria componentistica per un qualsiasi prodotto e a salari evidentemente diversi di quanto non sarebbero quelli di una citta’ degli stati del sud americani e ancor meno di quelli del nord e che avevano già’ frantumato l’aristocrazia operaia delle grandi corporation dell’auto, a salari diversi e con una mancata ricaduta di plusvalore per il territorio messicano perche’ poi questi prodotti non entrano nella distribuzione allargata messicana ma vanno tutti negli USA sostanzialmente. Il secondo esempio lo riferisco al modello Fiat attuale. La Fiat di Torino ha attualmente 150.000 dipendenti e ha invece 11.000 aziende o micro aziende che forniscono circa il 60% dei pezzi che compongono un’auto Fiat, che sono esterne, sono aziende autonome, rese indipendenti, che hanno comunque complessivamente 150.000 dipendenti: e cioè i dipendenti delle piccole industrie fornitrici di un auto Fiat sono superiori al ciclo centrale della fabbrica. Se si tiene presente che un altro 20% della componentistica e’ importato dall’estero: cioè’ un'automobile Fiat e’ fatta di 5000 pezzi, diciamo che circa 3000 sono fabbricati da queste 11.000 aziende che realizzano 150/1 60.000 dipendenti il che vuoi dire che sono piccole aziende di 10-12 ; un 20% viene importato dall’estero, per cui la fabbrica centrale in realta’ fa semplicemente assemblaggio e poi c’e' un 20% di componenti altamente specializzati. Tutto questo pero’ e’ stato possibile ( a parte che disegna un territorio sociale abbastanza diverso, un territorio sociale dove esistono 11.000 aziende di 10-15 dipendenti, sparse nei piccoli paesi del Piemonte che forniscono l’industria principale la cui vita e’ data dall’esistenza dell’industria principale. Quindi siamo ancora in un modello arretrato se teniamo presente il modello americano che ho citato prima il quale trasferisce direttamente in un’altra nazione, in paesi terzi la produzione per controllarla meglio) dall’introduzione massiccia, soprattutto nella piccola impresa, di quelle che vengono definite "tecnologie flessibili’’ o informatizzazione della produzione nel senso che essa permette alla centrale Fiat di avere sotto controllo costantemente, in tempo reale, just in time, la produzione di ogni singolo pezzo che viene prodotto in ogniuna dell 1 1 .00 aziende che forniscono la gran parte dei pezzi di un'automobile Fiat e che devono convergere in una centrale attraverso una specie di catena di montaggio virtuale che e’ continuamente e ininterrottamente controllata dal sistema di collegamento "just in time’’ dalle tecnologie flessibili. Senza questo tipo di rivoluzione, diapplicazione della tecnologia alla produzione questo fatto non sarebbe stato possibile. Questo dimostra perche’ la piccola industria italiana risulta avere un tasso di innovazione tecnologica che e’ normalmente superiore alla grande impresa. La grande impresa avrebbe dovuto investire enormi capitali nella ristrutturazione continua dei proprii impianti tecnologici; la piccola impresa ha bisogno, in termini di scala , di un investimento inferiore e in ogni caso tale investimento determina una continua innovazione di processo e di prodotto che vuol dire innovazione di un processo lavorativo e modifica del prodotto in rapporto alle esigenze di mercato. Ho fatto questa breve introduzione ( mica tanto!) di riferimento per dire di quello di cui vi parlo e' un ragionamento che ha a che fare coi processi materiali di organizzazione della produzione di merce e che sono alla base dell'emergere di una composizione politica o di un comportamento politico che può' essere definito metaforicamente Nuova Destra Sociale, che non e’ quindi il prodotto di una caduta delle garanzie fornite dallo stato di diritto cosi’ come l’abbiamo conosciute attraverso le lotte degli anni ‘ 70 o della democrazia in se' , ma che e’ un processo ben radicato e molto moderdo interno al nuovo modo di organizzare il lavoro, l'impresa, la produzione. Questo non e’ un processo specificatamente italiano ma e’ un processo di livello mondiale che riguarda la formazione di un proletariato, di cui non parlerò’ , dei paesi terzi e quarti e una tendenziale terziarizzazione e finanzirizzazione del capitale nei paesi centrali. L’alternativa alla fìnaziarizzazione, che vuol dire produrre denaro a mezzo di denaro, quindi non di investire in capitale fisso, non creare posti di lavoro, particolarmente originaria nel caso Italia, perche' studiato in Europa come un caso da imitare per controllare i conflitti, sta' nella teorizzazione fin troppo nota della meta' degli anni '70 che parla delle tre italie. La prima che sarebbe il nord industriale; una seconda che sarebbe il sud in qualche modo parassitario, che ha bisogno della politica e dello stato sociale o dello scambio politico tra voto ed esistenza produttiva; e unaterzache sarebbe appunto il localismo economico o localismo manifatturiero e cioè’ la piccola impresa. Ora, la piccola impresa esiste fin dagli anni '60 ed e’ diffusa in alcune aree specifiche della geografia economica italiana. Le più’ note sono il bacino di Prato, le Marche, gran parte dell'Emilia, una parte del Piemonte, massicciamente la Lombardia e il Veneto: modello veneto-emiliano. Quello che differenzia questo modello a partire dagli anni '60 e' il suo protagonismo, nel senso del suo rovesciarsi nei termini di importanza ai fini della produzione della ricchezza nazionale, il suo rovesciarsi in rapporto a quanto produce va precedentemente la grande impresa. Il nuovo meccanismo economico non gode di sovvenzioni statali, la grande impresa invece rastrella gran parte dei finanziamenti statali tra tutti la Fiat ( tutti ricorderanno che all'inizio degli anni '80 per ristrutturazione la Fiat ha avuto 40.000 miliardi sostanzialmente a fondo perduto dallo Stato); e quindi il contare sulle proprie forze o come viene definito nel libro "Le tre italie’’ da Bagnasco il protagonismo del signor Brambilla che e' stato una delle assi portanti che ha permesso una dilatazione del prodotto interno lordo (PIL) nazionale attraverso un lavoro che e’ stato definito, in modi diversi: economia sommersa, lavoro nero, lavoro informale: per informale si intende non registrato tramite forza lavoro dai sindacati, dagli uffici di collocamento. Categorie come "informale’’ e "flessibile’’, "sommerso’’ e "lavoro nero’’ sono strettamente interessate tra di loro perche’ sono un modo di produrre le merci che ha prodotto un'enorme ricchezza. Apriamo una parentesi, parallelo a questa produzione di ricchezza c'e’ stato com'è’ noto il capitale legale nel senso che un sesto un settimo del PIL di questo paese e’ formato da una massa di capitali legali che derivano dal commercio delle droghe e quindi contribuiscono massicciamente alla ricchezza nazionale anzi sono indispensabili alla ricchezza nazionale, e lalorocladestinizzazione e’ indispensabile. Servono altre forme per riempire queste 150/160.000 miliardi che contribuiscono a un 1/1.100.000 miliardi di PEL, non ci sono altri modi, per cui se venisse liberalizzato crollerebbe una parte di PIL nazionale e lo loro proibizione non e’ tanto per la difesa dei giovani e della moralità’ ma una necessita’ strutturale interna del rapporto tra capitale legale e capitale illegale. Ma questa e' una forma che e’ un sesto un settimo del PIL; diciamo che circa il 50%del PIL degli anni ‘80 e’ stato prodotto da quel che e’ stato chiamato localismo manifatturiero o industriale o piccola impresa. Faccio questo ragionamento per tentare di dare sintesi a questo lavoro che da tre anni facciamo di ricerca sia con una società’ che si chiama Aster, dove lavoro, sia con un gruppo di compagni che fanno riflessione sulla trasformazione del modo di produzione, sia con la Fondazione Nichetti di Brescia che e’ un osservatorio permanente sulle trasfomazioni politiche ed economiche dei modello industriale nordico e italiano. E che da questo tipo di soggetto viene distilato un soggetto, una composizione, un comportamento che produce un effetto politico ...ma se uno non rovescia e prima analizza i processi materiali alla fine la loro espressione politica definita Lega o Destra Sociale non e' più’ comprensibile, diventa nel cielo astratto del dibattito se e’ giusto fare sponda col PDS invece che con i Verdi o con un altro partito un supposto passaggio alla Seconda Repubblica di cui molti hanno terrore. Nel senso che quello che mi fa più' impressione girando per l’Italia, e per la prima volta anche i aree cosiddette di Movimento, posto che esista in questo momento nella sua frammentarietà’ ma per intelligenze sparse esiste sicuramente, e’ il timore di un'eventuale Seconda Repubblica. Personalmente sono convinto che la Seconda Repubblica sia iniziata grossomodo nel ' 77, ne avete avuto V esperienza diretta qui a Bologna pero' in maniera altrettanto profonda in altri luoghi, attraverso il governo di unita’ nazionale , solidarietà’ nazionale e tutta la legislazione successiva era in deroga alla costituzione dello stato di diritto. Si potrebbe dire per fare una battuta che il golpe casomai l’ha fatto la sinistra istituzionale in Italia non la DC (applauso), peche' senza la sua collaborazione non ci sarebbe stato, era pressoché’ impossibile da realizzare. In questo senso Cossiga ha ragione a ringraziare Pecchioli e Berlinguer di averlo aiutato a fare questo golpe perche' senza di loro e senza Lama e senza Trentin, senza Pizzinato e senza, soprattutto, un personaggio un po’ tragico che si aggira per le piazze, Garavini che e’ stato uno dei protagonisti dell’EUR, la svolta dell’EUR la quale li e’ alla bae di questa trasformazione politica. In una recente intervista a Radio Popolare, alla domanda di Piero Scaramucci.. ..se lui (Garavini) ripensando alla svolta dell’EUR cosa aveva da dire, Garavini ha risposto: "Io sono stato uno dei protagonisti della svolta dell’EUR: e' stato un gravissimo errore". Praticamente i sacrifici del partito di lotte, dei patto tra produttori, tra sfruttati e produttori. Tra l’altro e' divertente neir articolo di Trentin "Da sfruttati a produttori" della Vedonato che era un po' la base teorica di questo nuovo patto di alleanza tra classe operaia e ceto imprenditore, per un errore di stampa usci’ la prima edizione intitolata "Da sfruttatori a produttori". Venne subito ritirato.. ..e abbastanza divertente ....o un tipografo comunista sovversivo aveva fatto questo gioco... se no non si capiva come inai il titolo avesse funzionato in quel modo. Allora su questo fatto della Seconda Repubblica che porta molti soggetti, che con quegli anni per ragioni di età' hanno poco a che fare, a votare nel timore... io personalmente intendo ribadire che la Seconda Repubblica e’ iniziata allora e con una sentenza ufficiale della Corte Costituzionale la quale dalla fine degli anni' 70 sospendeva il proprio arbitrato di giudizio sulle leggi in nome dell'emergenza. "Emergenza" e' una categoria sfuggente, non si sa cosa vuol dire emergenza. Essa non ha ne' categoria giuridica ne’ categoriapoliticaecome ordine pubblico e nella sfera del diritto, anche del diritto borghese classico, non vuol dire in nome dell'emergenza di una supposta difesa della democrazia.. .sospendeva sostanzialmente la propria legittimità' di arbitrato sulle leggi che aveva votato autorizzando il governo a votare in deroga alla costituzione. Quindi quello che e' oggi il fenomeno principale e’ che la gran parte delle leggi votate, sia del lavoro, sia della riforma dell'ordinamento penitenziario, sia del nuovo codice di procedura penale e di molte altre ancora sono sostanzialmente, nella loro essenza culturale e filosofica che le sottende, in contraddizione con la costituzione . In realta’ non si tratta a questo punto di adeguare le leggi alla costituzione ma di fare viceversa: modificare la costituzione per adeguarla alle leggi. Ma il processo e' già’ avvenuto nell'aspetto formale delio Stato; e' avvenuto a tal punto che una parte della sinistra pensa che abbia ragione Santoro di Samarcanda, Intanto Samarcanda e’ la trasmissione più' amata dalla Lega Lombarda» noi abbiamo fatto 9.000 questionari sulla L.L., e' la trasmissione più’ amata perche' dimostra che il Sud e’ veramente mafioso e corrotto. Daltronde Santoro, per dire che splendido esempio di democrazia ha costui, il quale viene da Servire il Popolo dei partito ML di Salerno, che io ho conosciuto nel '72 perche' aveva organizzato un convegno contro il rapporto orale perche’ controrivoluzionario vi giuro che e’ assolutamente vero. Ce' un numero di Servire il Popolo in cui Brandirali ha scritto cos'è' il corretto orgasmo rivoluzionario, una pagina intera, tuttora esistente negli archivi di Servire il Popolo e Santoro ha scritto una pagina contro il rapporto orale per i motivi che attengono all'infanzia di Salerno, la privazione del seno materno e quant'altro. Quindi ha questa rigidità' che gli deriva da allora probabilmente. Pero' se lui dichiara dopo che e' stata proibita la sua trasmissione che basta con la presunzione di innocenza dopo il primo grado di giudizio ( cosi’ ha dichiarato Santoro alla trasmissione di Ferrara) e quindi e' d'accordo con Andreotti che vuole la presunzione di colpevolezza dopo il primo grado di giudizio e nel contempo dice in televisione che bisogna difendere la costituzione nata dalla Resistenza o e’ uno schizofrenico o e' un cialtrone. Nei senso che la costituzione stabilisce che l’imputato fino a giudizio definitivo ha la presunzione di innocenza. Anche negli aspetti formali della democrazia si e’ perso il baricentro o la cultura che le sottende ...per dire la confusione . Torno a questo fatto delle elezioni qui la Seconda Repubblica in realta’ e' questa.. ..Ma quello di cui mi interessa parlare e' che e’ una necessita' dei processi materiali, non e' una necessita’ delle elites politiche ovvero che le due cose si incontrano insieme... beh non sono separate, sono un processo globale e unico. Ora veniamo a un'analisi del fenomeno più’ clamoroso che e' la Lega Lombarda. La Lega Lombarda parte grossomodo intorno all’87, nasce a Varese che e' una delle province più' ricche della Lombardia come reddito pro capite. Ha circa il 7% dei voti sia li' che a Bergamo cosi’ a Como e un po' meno a Sondrio. Neil’89 il quadro si trasforma abbastanza: Bergamo passa dal 1% al 16%; Como dal 7% al 1 2% ; Varese dal 1% all’1 1 % , Sondrio all’1 1 % ; Brescia al 9% ; ma già' nel '90 tutto diventa più' chiaro: Bergamo, Sondrio, Brescia e Como hanno il 24-27%, un fenomeno in tre anni assolutamente straordinario. La domanda che ci siamo posti come Fondazione Nicheletti e come ricercatori era come era possibile questo di percorso. Quindi abbiamo fatto 300 interviste ad elettori della Lega, 9.000 questionari operai e poi 2 video di otto ore con gli elettori della Lega i quali hanno un forte protagonismo e non hanno paura di dire le proprie idee, lo rivendicano come identità’, socialità', non sono come quello di un quartiere intermedio milanese che ha timore di dirti che vota MSI; loro non hanno timore a dirti che sono leghisti e ti spiegano tutte le ragioni, hanno una loro cultura. Abbiamo fatto un video di otto ore che non proietteremo mai....,ne abbiamo invece uno di quaranta minuti che e' una sintesi delle otto ore in cui abbiamo individuato 10-12 esempi diversi di votatori leghisti, e quello che più' mi ha colpito e' che le categorie dei votanti erano due: la prima, compreso i 9.000 operai dei questionari ( si noti bene che questi sono tutti iscritti alla CGL quindi non operai privi di di una collocazione politica) circa il 38% aveva votato Lega, tanto che il segretario della CGL in Lombardia ha detto questa ricerca non la pubblichiamo perche' e’ come tagliarsi le palle. Da un lato quindi gli operai, dall'altro ci sono i piccoli imprenditori che sono una categoria che ha 10-15 dipendenti ma che in Lombardia ha una sua assoluta originalità’. Sono per la gran parte, a differenza del Piemonte, indipendenti dalla grande fabbrica di riferimento; hanno una propria produzione autonoma a fortissima elevazione tecnologica e ad altissimi regimi di lavoro. Quindi non hanno una dipendenza, questo potrebbe spiegare perche' hanno una grande difficolta' ... dico questo per dire a priori che., .grande difficolta' dell’emergere della Lega piemontesa perche' li' si tratta di impresa a rete e quello che decide la sorte e' l'impresa principale, la Fiat la quale determina anche la vita delle 11.000 aziende ad essa collegate; invece nel caso ....(interr.).... in continuo cambiamento in rapporto alle esigenze di mercato li rende veramente e totalmente indipendenti. Esempio, le forbici di Premana, che e' un paese di Sondrio dove la Lega ha preso la bellezza del 48%....

Fine lato A lato B
Moroni:... forbici di Premana che vengono esportate in Giappone, Germania o ovunque. Un tempo invece le facevano con la fucina a mano, mentre adesso le fanno con il computer o con le macchine a controllo numerico e con i torni elettronici. Costoro votano Lega Lombarda, a parte che c'e' una caratteristica che gli permette un confronto immediato con la vicina Svizzera. Come avete notato tutte queste comunità' sono transfrontaliere: si parla di un luogo che quando ha a che fare con una società' più' organizzata in termini di servizi, di organizzazione della società' e di vantaggi dati al contribuente, diventa un parametro di riferimento continuo. Quindi il paragone con la Svizzera e' costante: a parità' di produzione c'e’ un'estrazione fiscale minore in Svizzera rispetto all'Italia con una maggiore qualità’ dei servizi, più' efficienti. Ma quello che e' alla radice dell’ideologia di questa composizione sociale, che secondo TIRE, il quale e’ un istituto democristiano quindi attendibile per ciò' che riguarda questo tipo di aspetto perche’ e’ il partito più’ danneggiato prima egemone sia a Varese che a Como, Bergamo, Brescia, e’ che sono circa 600.000 queste famiglie lombardo-venete e di queste sono tutti lavoratori autonomi o imprenditori. 00 Lavoratori autonomi e' una figura alquanto misteriosa; generalmente e’ un soggetto ad alta qualificazione professionale che lavorava prima nella fabbrica, ha fatto un contratto con la fabbrica o con una ditta del terziario e lavora a casa propria dotandosi di mezzi tecnologici, di strumentazione tecnologica e si iscrive alla Camera di Commercio. In realta’ e’ un dipendente desalarizzato esterno alla fabbrica ma in cui ha puntato ia sua fisionomia di lavoratore nel senso che dilata enormemente la giornata, la settimana lavorativa, guadagna anche di più’, cosa che invece nella sua morale di lavoratore non sarebbe stato possibile nel conflitto di fabbrica che era invece rovesciato, ridurre la giornata lavorativa: il salario come si diceva un tempo come variabile indipendente dalla produzione. Se tu invece ti autonomizzi e hai l'autoregolazione della forza lavoro che si presta continuamente con fatturazione con ricevuta d'acconto, tu sei convinto di essere un imprenditore di te stesso, un autovalorizzatore della tua forza lavoro, saresti per fare una bizzarria per non fare polemiche un operaio sociale come diceva il prof. Toni Negri che pero' ha avuto un effetto diverso nel processo materiale di quanto non sia nella teoria. Non e’ esattamente cosi’ . E’ una fase transitoria questa intendo dire e quel tipo di soggetto prima o poi scoprirà' la truffa pero’ per adesso produce questo tipo di distillato sociale. Questo e' un tipo di e invece e’ un altro imprenditore. Ma come e’ avvenuto questo? E’ avvenuto attraverso la distruzione sistematica della grande impresa industriale. Allora alla fine degli anni ' 70 c'e' la distruzione della grande impresa industria: si chiama decentramento produttivo, questo fa si che centinaia di lavoratori siano posti do fronte alla condizione drammatica di un lungo periodo di cassa integrazione, di una difficolta' di trovare un posto do lavoro, l'aristocrazia operaia di quella componente sociale, politica esemplarmente simboleggiata nella Fiat 80: licenziamenti dei 23.000 e pero’ contemporaneamente e insieme alla marcia dei 40.000 con una fusione delle due componenti intendo dire. Decide allora di diventare autoimprenditore, di realizzare la propria valorizzazione della forza lavoro attraverso una sua progressiva desalarizzazione: questa e’ funzionale alle esigenze del capitale di quel periodo, ma e' anche la distruzione di un certo modello di aggregazione sociale che nella fabbrica produceva una concezione che aveva a che fare con la solidarietà/ la cultura o conflitto di classe, scontro politico o simile senza la quale evidentemente si forma una società' di tipo diverso che ci e’ per larga parte sconosciuta. Quindi primo processo materiale si decentrano, si creano una serie di micro imprese locali, prima piccoline che possono essere: so fare i falegname, l’artigiano, il meccanico, so riparare le automobili, sono un operaio specializzato in fabbrica e successivamente e molto rapidamente diventano invece piccole imprese che si interessano delle tecnologie nuove e organizzano la produzione sulla base delle nuove tecnologie. Parlano dialetto, sono "locali" e pero’ viaggiano in tutti i convegni internazionali tecnologici, le grandi mostre di innovazione tecnologica per la produzione industriale. Questo tipo di soggetto ha alla radice una serie di categorie che sono tipicamente dell'operaio storico comunista o democristiano che come e’ noto nella situazione nord e’ la stessa cosa: la professionalità’, la serietà’, l’efficienza, l’autoimprenditoria: sono esattamente l’ideologia del lavoro realizzata su cui tutti i movimenti degli anni '70 hanno combattuto. Una delle direttive fondanti era contro l’ideologia del lavoro, casomai con il rifiuto del lavoro come base dell'estensione della democrazia non a caso nel momento in cui e' e’ una tendenza generale, sociale, soggettiva, culturale, studentesca al rifiuto al lavoro si dilata lo spazio della democrazia quando si ricostruisce T ideologia del lavoro si restringono gli spazi di democrazia. E questa e’ una questione che riguarda il proletariato dalla Rivoluzione Francese in avanti. Io mi incazzo ogni tanto nei centri sociale quando si dice che la democrazia e’ un valore borghese perche' e' una semplificazione. E’ vero che e’ un valore borghese ma e' altrettanto vero che a partire dalla rivoluzione industriale in avanti e seguendo i pilastri fondanti, gli statuti che determinavano il concetto di democrazia e cioè’ la rivoluzione inglese, la rivoluzione francese, la rivoluzione americana, ciò’ che ha determinato l'assunzione di diritti da parte della gente e cioè’ il suffragio universale, il diritto allo studio, il diritto delle donne al voto, l'istruzione obbligatoria, il diritto alla casa e simili, sono tutti concetti interamente scritti negli statuti fondanti delle rivoluzioni borghesi ma che le borghesie non concedono mai se non attraverso lotte sanguinose del proletariato. Uno dei paradossi della storia del movimento operaio era che la dilatazione della democrazia era costringere la borghesia ad applicare nella sua radicalità’ ciò’ che aveva già' scritto nei suoi statuti. Senza queste lotte saremmo ancora allo statuto umbertino. Quindi pensate addirittura che all'inizio del 4 900 il servizio militare obbligatorio e' stata una conquista del sindacalismo rivoluzionario, perche’ prima lo potevano fare solo alcune categorie, ma era stato letto come processo rivoluzionario nel senso che l'esercito di professione veniva colto come un'elite contro il popolo e invece la leva obbligatoria, il diritto all'accesso alla leva da parte dei proletari era una garanzia per molte cose per l’uso delle armi perche' l'esercito poteva disgregarsi. Quindi qualsiasi cosa per esempio l'esercito professionale io la vedo con sospetto perche’ e’ un aumento delle forze dello stato addette alla repressione. Ciò' non vuol dire che poi e' obbligatorio agire dentro quella sfera dei diritti: vuol dire che se tu hai diritti puoi rifiutarli ma se non li hai sei un cittadino privato di una sfera delle liberta' . Sarebbe come dire non e' determinate per gli immigrati avere diritto al voto per la loro condizione di lavoratori ma e' determinante che loro abbiano il diritto e che dopo non lo utilizzino. Questa e' una delle contraddizioni storiche della democrazia. Quindi un processo che ha una sua radice, aveva una riflessione su cosa era l'organizzazione, la produzione della società' nella fase di capitalismo maturo; cito rapidamente Gramsci e le sue note su Americanismo e Fordismo non nella versione che ne ha dato D.P. che e’ delirante e tanto meno quella che ha dato il PCI in termini di blocco storico durante il '76 che e' quella addirittura di un'aberrazione, ma quando si dice che il fordismo non e’ semplicemente un modo di organizzazione della produzione, il taylorismo si; ma il fordismo e’ un modo di concepire l'organizzazione della società’ e la vita dei soggetti lavoratori in funzione della produzione. Quindi una cosa geniale. Si fa la casa in un certo modo, la citta’ in un certo modo, si incontrano ad esempio l'igenismo e la morale sessuale come componente determinante del fordismo, vuol dire che quell'operaio, quel lavoratore anche nella sua vita privata i suoi consumi non solo producono ricchezza per il capitale, ma producono un tempo storico necessario della sanità’ del corpo di quell'operaio che fa un lavoro nocivo e quindi va protetto con altre forme repressive e che deve diventare funzionale all'arricchimento del datore di lavoro, dell'imprenditore. Ora se si modifica questo orizzonte tutta la lotta degli anni '60 e ‘ 70 e' stata indirizzata contro la distruzione del modello fordista, non solo nella fabbrica ma nella organizzazione della società e quindi sia nelle controculture sia nell'organizzazione politica. Quando viene a cadere il referente cioè' la solidarieta' e l'organizzazione sociale nel luogo strategico della produzione della forza del modello fordista, che e' la grande fabbrica che diventa ingestibile, e in questo senso fuori dalle battute e’ vero che sindacati e PCI hanno contribuito alla distruzione della centralità' della classe operaia e della sua organizzazione democratica di base che sono i consigli di fabbrica, e' anche vero che il consiglio di fabbrica sparisce insieme al modo di produzione di cui ne e’ l'espressione per cui doveva inventare un'altra cosa e non riuscito ad inventarla. Quando viene distrutto questo tipo, perche' diventa ai fini della organizzazione sociale della società', se ne forma un altro ed e’ quello che viene chiamato variamente localismo manifatturiero o economico, decentramento produttivo, impresa a rete, lavoro autonomo che e’ stato una necessita’ storica del capitale in una sua fase di ristrutturazione che ha prodotto un soggetto sociale non più’ controllabile dalle forme di rappresentanza politica storica che si era dato il capitale stesso nel sistema dei partiti. Quella che e' stata un processo, una rivoluzione interna al capitale nel modo di produrre merci ha determinato un collassamento del precedente sistema di organizzazione della società'. Questa cosa qui e’ talmente vera che una delle elites più' intelligenti dei tardi anni '70 che e' stata la Trilateral Commition: che era un'organizzazione sovrannazionale la quale raccoglieva al di sopra dei governi gli esperti, i potenti veri non i politici, delle tre aree più’ industrializzate del mondo cioè’ l'Europa, il Giappone, gli USA, il loro esperto di organizzazione sociale si chiamava Untinton e diceva già’ nel '78 che il sistema dei partiti, il sistema di rappresentanza di democrazia parlamentare cosi' come l'avevano conosciuta dalla rivoluzione francese in avanti, era legata a un certo modo di produzione, grosso modo il taylorismo-fordismo che cadendo quel modo tutto andava rivisto in funzione della nuova organizzazione della società'. Diceva sostanzialmente Untitnton cose non molto diverse di quelle che dice Gianfranco Miglio della Lega Lombarda; ma se lo diceva Untinton e lo dice Miglio il quale e’ un grande costituzionalista di destra indubbiamente, posto che abbia un valore questa categoria in quel caso, ma consulente di Andreotti, di Bettino Craxi, capo dei Gruppo Milano ali’ università’ Cattolica che coordina venti docenti e che fa a pezzi interamente l’eredita’ delle forme di rappresentanza, quelle che Dalidof chiamerebbe Membership, citizen-ship, bonjouard, li fa a pezzi non servono più' per l’organizzazione della società’, vuol dire che questa e’ un'esigenza materiale di una composizione sociale che nel caso della Lombardia riguarda 600.000 famiglie e secondo Deaglio, esperto della Confindustria e direttore per tanti anni (Deaglio quello intelligente non lo scemo che viene da Lotta Continua... sono due tipi di Deaglio diversi) sono 5 milioni in italia questo tipo di soggetti che sono una nuova forma produttiva, uno sviluppo senza fratture, viene chiamato da Fua’ grande docente all'Università’ di Ancona. Questo tipo di soggetto che determina produzione e fusione ha due tre vantaggi: il primo recuperare la forza-lavoro in ambiente locale amicale, familiare locale ed e' quella forza-lavoro che e' stata fuori dalle grandi fabbriche, che trova nel locale una continua e flessibile possibilità' . E' regolata totalmente nei termini dell'organizzazione del lavoro: lavora al sabato, venerdi’ e la domenica, il suo problema e' valorizzare la forza-lavoro e in questo e' totalmente collaboratore del suo datore di lavoro, non e' conflittuale ad esso. Secondo, essendo deregolata sottrae una forte quota dei propri guadagni al fisco cioè’ e' difficilmente individuabile in quanto a ricchezza e questo vale per Prato, per Le Marche, la Lombardia e per larga parte delle piccole industrie emiliane occultate formalmente nel loro essere degli evasori fiscali dall'essere degli aderenti alla Lega delle Cooperative, nel senso che e' un mezzo per pagare meno tasse. Quindi in qualche modo e’ più' morale il modello rozzo, cinico, immediato lombardoveneto che invece paga di più’ di quello che guadagnerebbe con lo stipendio normale col singolo lavoratore, ma lo deregola cioè' lo lascia alla libera fluttuazione del mercato: un prodotto della deregolation. Questo tipo di comprensione sociale di cui vi do’ solo poche cifre consiste nel fatto che le seicentomila famiglie del lombardo indagate sono tutti imprenditori o lavoratori autonomi; hanno sostanzialmente come minimo tre case, quattro automobili, sono proprietari del 65% di tutti i BOT emessi in Lombardia e hanno mediamente 200-350 milioni in banca. Quindi sono una oligarchia determinata da un modo di organizzare la società' e la produzione e tale oligarchia e’ per il 75% leghista. Vota Lega lombarda attraverso uno scambio complesso che tocca indifferentemente gli aderenti alla DC al PSI certamente anche all’MSI ma che nella : i sua capacita’ di produrre egemonia come avviene quando c'e’ una nuova composizione sociale, tocca in profondita' ormai anche la classe operaia abbandonata in termini di difesa dei diritti dall'organizzazione sindacale. Il 38% degli operai della Franco Tosi di Legnano, o della Es Fac di Dongo voteranno Lega lombarda si sentono abbandonati nella difesa dei posti di lavoro e sociale dalla loro referente storica che e’ l’organizzazione sindacale. Basti pensare che una fabbrica come la Samas di Brescia che e’ occupata da 700 operai fuori un grande striscione rosso con scritto: "Di questo Stato non ne possiamo più’, Bossi pensaci tu!’’. Questo per dare un'idea di quello che e’ avvenuto. Pero’ tornando a quello da dove ero partito, ciò’ che caratterizza e' la ricostruzione intera attraverso un processo di autovalorizzazione, dell’ideologia del lavoro. La Lombardia e’ stata un luogo esemplare dell'applicazione della democrazia consociativa, come veniva chiamata negli anni ‘50, dell’ideologia della ricostruzione, dell'ideologia del lavoro e sulle direttive del lavoro e della ricostruzione si forma un concetto che e’ quasi morale. E’ vero che la Lombardia ha avuto la dominazione asburgica e tendenzialmente protestante e calvinista dove si e’ vicini all’area svizzera e queste sono prove delle tonalità’ emotive e nei processi sociali di disintegrazione della grande aggregazione sociale e complessiva che si forma quella che viene definita Nuova Destra Sociale. Tutti questi ingredienti esistevano da tempo, perche’ si realizzano improvvisamente neH'87? Faccio un inciso se uno segna questa geografia ipotetica dei successi della Lega Lombarda e quelli che io chiamo localismi manifatturieri, ma li chiama anche Bagnasco e Fua’ , partendo da Varese e segnando una linea immaginaria della ricchezza che e' una specie di cardiogramma che va da Varese fino a Venezia , per intenderci un unico asse industriale che comprende Brescia, Verona .... scoprirebbe con un certa sorpresa che l’emergere di una composizione, sia pure minoritaria ma inquietante, skinheads e’ sulla stessa linea sociale-economica dell’evoluzione dei localismi manifatturieri e della Lega. Quindi non nelle metropoli in questo caso nel Nord, adesso parlar di Roma .... altro discorso, ma sto parlando di un settore specifico Deiritalia e quindi a Saronno, a Gallarate, nella Brianza, nella bassa bergamasca, nella bassa bresciana, nella bassa veronese, dove la ricchezza diffusa e’ altissima attraverso questa continua autovalorizzazione deregolata della forza lavoro e questo modello produttivo. Perciò’ sono piuttosto la disgregazione di un tessuto operaio gli skinheads che non l'espressione dell'ideologia di destra che prende l'egemonia e che era preesistente. Sono più' la disgregazione di un tessuto operaio in una fase di transizione della riorganizzazione del modo di produzione nel determinato sistema capitalistico. Che questo sia simile in tutte le regioni economiche europee considerate come tali ( intendo la Catalogna, il Midi francese, alcuni cantoni della Svizzera, alcune parti dell'Austria e interamente il Baden-Wuttemberg tedesco che vengono da regioni di cui parlerò' della cultura) e che fenomeni consimili vengono proprio dalla stessa linea dove c'e' il nuovo modo di produzione o di autovalorizzazione della forza lavoro, dove emerge l’autoimprenditoria, la professionalità', l'ideologia del lavoro, la capacita' innovativa tecnologica, il proprio legarsi a mercati europei e dove dentro questo crolla qualsiasi legarsi di socialità' , per cui una risposta può’ essere la diffusione massiccia in tutta quest'area lombarda della cocaina nelle discoteche da 10.000 frequentatori a sera della Lombardia si vede tranquillamente, dove si vendono ma sarà' cosi' anche in Emilia suppongo. Si vende la cocaina, bamba detta in linguaggio locale, o l'extasi a kili e quelli che si impastano nelle discoteche e che vengono da una società’ disciplinare locale fondata sul lavoro, sulla ricchezza, sulla ricchezza, per cui ha 20-22 anni, hanno già' la BMW o la Volvo e su questo non hanno nessun altro tipo di referente che non di inventare una conflittualità' o un nemico o un modo di occupare la propria soggettività', di realizzare la propria esistenza dentro un processo che abbia un senso e non c'e’, perche’ c’e' solo ricchezza, non c’e’ disagio economico e che dentro questo ci siano influssi storici precedenti, che possono essere che lo skin ha bisogno di un nemico e nella sua nascita storica nel ‘69 a Londra il nemico sono stati i giamaicani, che l'arrivo di immigrati possa moltiplicare il proprio immaginario fino a diventare un moltiplicatore di quel comportamento per l'intenzione, questo si', ma tutto questo dentro la disgregazione di un modello organizzativo della società’ che ha retto per cento anni e che sta andando totalmente in pezzi e sul quale noi non mettiamo le mani nei processi materiali per capire che tipo di società' ipotizza o di organizzazione delia spazio, della vita, dei rapporti quotidiani, la socialità', la famiglia e di quantaltri cioè’ un distillato sociale dei processi materiali e non viceversa, non riusciremo a capire come si pone questo fenomeno di destra . Per chiudere e lascire spazio la dibattito e alle domande se noi non prendiamo in mano le recenti conferenze europee a cui ho avuto l’avventura di partecipare come ricercatore, di cui l'ultima 4 mesi fa’ a Bruxelles, organizzata da un grande democratico come Delord, democratico ma ....va beh! e' unodoMitterand, non si può’ mica dire che e’ Nuova Destra (?), puoi dire che e’ sinistra un po’ decotta, i consulenti della CEE che sono molto angosciati come politici: le espertocrazie europee hanno un problema che si chiama ECTA (European Community Tecnology Assestimen) e cioè’ la valutazione che danno per l’unita’ europea e’ che c'e’ una forza enorme prodotta dalle nuove espertocrazie che sarebbero le tecnologie, la forza della tecnologia e dei suoi apparati nella sua trasformazione produttiva ed economica che e’ ormai separata totalmente dalla capacita' dei politici di stabilire, di fare contratto, scambio politico con questi.... la forza dell'economia va oltre. Nella Germania Federale questo e’ realizzato direttamente perche’ il capo della Deuschtbank e’ contemporaneamente il presidente del consiglio. La Deuschtbank e' privata, come se il presidente della Banca Commerciale fosse Andreotti e prima di fare chiederebbe al presidente dellaCommerciale.Main Italia non ha senso perche’ sono tutte semilottizzate statalmente anche le banche. Nel caso tedesco non e’ tanto la Bundesbank quella che decide ma la Deuschtbank. Con questo capisco perche’ alcuni soggetti che proseguono la lotta armata in Germania hanno pensato di far fuori il direttore della Deuschtbank perche’ era un valore simbolico come potere reale. Questa separazione tra la forza della tecnologia e trasformazione che fa saltare la capacita’ di scambio politico dei partiti tradizionali con la società' nella sua trasformazione produttiva, cosache non avviene nel Sud perche’ e' il paese che ha bisogno della politica per sopravvivere, mentre il nord non ha più’ bisogno, e’ andato oltre, quindi produce una forma di rappresentanza sua che e’ la Lega Lombarda ma in realta’ tutti i discorsi che fanno gli altri leader a seguito sono più’ o meno di regionalizzazione, cioè’ di localismo. Ma se non fosse sufficiente questo nei discorsi delle elites economiche europee i consulenti per l’Europa del futuro sono vedicaso proprio Nolte e Furer. Altrimenti, se no, uno legge Nolte come se fosse uno storico tedesco un po’ bizzarro che ha delle teorie poco sostenibili e a volte un po’ folkloristiche, che si può’ dire che e' uno storico serio, ma sia Furer che e' uno storico francese il quale ha scritto un libro famoso alla fine dell’89 che si chiama Termine' la Rivolution, una rivisitazione totalmente arbitraria della Rivoluzione Francese e degli storici che ne hanno parlato, ecco lui li fa a pezzi sostenendo che li c'era un grande processo democratico in corso di all’arg amento degli spazi ai soggetti sociali al mondo del lavoro e alle borghesie emergenti e che ha rovinato tutto quanto la R.F. abbattendo la monarchia costituzionale. La differenza tra Nolte e Furer sta' che Furer e’ sponsorizzato direttamente da Mitterand; l'evento '89 a Parigi e' stato l'evento della distruzione dei fondamenti storici della R.F. E' stata tutta la spettacolarizzazione televisiva e culturale che ha fatto una star Furer e altri dieci, adesso cito i due perche' sono i capi scuola Nolte E Furer rispettivamente per la Germania e per la Francia. Allora se era una necessita' che realizzava a distanza di dieci anni la profezia di Untinton della Trilatera a far saltere tutte le forme cosi' come sono nate dalla R.F. in avanti il sistema di acquisisizione dei diritti, e vi invito a leggere quando vi capita G.Miglio: Unacostituzione peri prossimi trent' anni, vedrete che tutte le citazioni che lui fa a fondo pagina sono più' omeno di questi storici revisionisti e dintorni, con questo ragionamento che ha pero’ un suo fondamento nell'Italia produttiva e organizzata secondo un modello che deve annullare integralmente la tradizione precedente proletaria e sociale e soggettiva di dilatazione degli spazi di liberta' . Ma se non fosse sufficiente questo, una persona apparentemente insospettabile come f Giuseppe Devita, ex capo del CENSIS e oggi i presidente del , dice in un suo scritto in cui e’ rigorosamente sottolineato: si prega di non citare senza autorizzazione..., dice sostanzialmente: c'e' stato un lungo periodo in questo paese che e' stato deregolation. Abbiamo dato via libera agli imprenditori , alla società’ perche’ esprimesse i comportamenti più’ diversi. Ad esempio c'e’ stata tolleranza sulle droghe per tanti anni, dice.C'e’ stata una mancata fiscalizzazione o intervento dell'estrazione di ricchezza dell'asse portante sommerso. Il Censis e’ dal ‘65 che scrive che l'unica capacita’ di salvare l'Italia e' quella di fare l'economia locale. Quindi e' stata una sponsorizzazione da cui nasce poi la teoria dei sommerso e lateoria delle tre Italie. Adesso occorre fare la ri-regolation dice esattamente De Vita: l'Italia e' stat negli anni ‘80 quella che diciamo la mano di un monaco Zen, adesso bisognachiuderla non per fare la rivoluzione ma per ricentrare il potere verso il sistema dei partiti. Inizia quindi nell’86/87 questo processo, c'e’ un diritto dei singoli che va codificato per non correre il rischio che il vissuto non venga ridotto a grandi stagioni di vacanza soggettiva. Bisogna provvedere ad una riregolarizzazione dei comportamenti individuali e collettivi’’... come se ci fosse stata liberta' negli anni '80, pero' ecco, nella loro rilettura c'e’ stato questo tipo... Ora quando inizia tramite il governo socialista di Craxi una riregolazione, e sembrerebbe un paradosso, dei rapporti tra impresa locale e organizzazione dello stato, cioè’ intervento dei sistema p [2 dei partiti, inizia la rivolta leghista. Inizia esattamente quando si chiede a loro di dare conto di questa accumulazione e allora tutte le iniziative di Formica di andare a cercare ... fiscali, se hanno il panfilo, se hanno le case, inizia la rivolta leghista quando si tratta di fare questo scambio. Insomma e’ saltato il rapporto tra scambio politico e interessi locali in quello avviene questo tipo di frattura che determina quel fenomeno. Non sono daccordo di fare questo. La seconda vicenda e’ che in rapporto ali’ ingresso dell'Italia nella CEE la situazione di questa enorme struttura economica fatta di decine di migliaia di aziende la cui valutazione del potenziale economico da procurarsi e' impossibile in previsione del ‘93 e della unificazione europea, viene letta come un grande pericolo che ci arrivano più' scoperte, meno garantite di quello che siano invece le equivalenti svizzere o frncesi o catalane o del Baden Wuttenberg. Come reagisce, e qui chiudo, la CEE? Reagisce creando un modello Questo e’ un modello di quello che e' un pezzo dell’Europa del '93 : si chiama AlpenAdria e comprende, si da il caso, la Lombardia, il Veneto, il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia per l'Italia; tre cantoni svizzeri, il Baden Wuttenberg, quattro Lande austriache, quattro ungheresi, la Slovenia e la Croazia. Questa non e’ una cosa che e' venuta adesso con la guerra nei Balcani, ma e’ una cosa di sei anni fa. Leggo: "fondata AlpenAdeia il 20 Novembre del 1978" e comprende Veneto, Friuli, Slovenia e Croazia, Alta Austria, Carinzia, Stiria, Baviera; poi hanno aderito nell'85 la Lombardia, Trentino Alto Adige, i Comitati dell’Ungheria, Wass..., il Burgelland, il Comitato dell'Ungheria Wale... il Salisburgo e Canton Ticino. Ora cosa vuol dire una regione economica sovranazionale? Significa sostanzialmente che tutta la tendenza dei finanziamenti ad esempio questa cosa qua e' per una iniziativa dei bambini a Milano venuta a Palazzo Bagati-Valsecchi non più' tardi di un mese fa, che tutta la cooperazione sociale, culturale e’ al contrario di quanto sembrerebbe in un' epoca in cui globalismo e localismo sono e quindi uno penserebbe che la modernità' ha a che fare che e' rilevante pensare globalmente e agire localmente, ma che e’ devastante pensare localmente per agire globalmente. Pensare globalmente e agire localmente vuole dire fare Joyce che parte da Fingas pero' quando nasce il Sinn-Fein e la Lega Gaelica si spaventa, dice che questi sono impazziti e scappa a Parigi. Non crede all'invenzione della tradizione come appartenenza locale, come una qualità' . Vorrebbe, probabilmente, se ci fosse qui Marchetti può' darsi che un'osservazione cosi' l'abbia fatta perche' so che e’ una cosa che lo riguarda, e pero' noi degli anni '60 abbiamo investito enormemente sulla cultura popolare e' nato l'Istituto De Martino, le canzoni popolari, la ricerca perche' abbiamo pensato come un'ipotesi leninista, poi abbandonata, se Dio vuole, che il popolo, il proletariato, i contadini, avessero una cultura propria, indipendente, spontanea e autonoma, fuori da quella della borghesia e che su quella spontaneità' potevi agire per fare la rivoluzione. Per cui molti ancora pensano che l’appartenenza al locale sia un'invarianza antropologica. In realta' era una forzatura ideologica, uno strumento di lotta. L'appartenenza locale, la cultura popolare separata dall'orizzonte di classe diventa folklore, diventa Lega comunque, fuori dallo scontro di classe. In questo senso Marchetti parla su Bermani e dice che ha fatto dei danni, ma non era l'intenzione, era uno strumento politico. Invece quello che si fa in questo caso sui bambini e' ricostruire l’appartenenza locale, le tradizioni, la cultura e quant' altro a un livello molto più’ alto, lo stesso fa AlpenAdria cinematografica: c'e’ un festival a Trieste, tra cui vanno un mucchio di compagni, straordinario, ....com'è’ bella la usanza delle alpi croate, e questi films sono sono belli, fatti da questi registi locali e per la prima volta vengono finanziati dalla Cee. Allora cosa vuol dire: che da un lato si fa un processo di legittimazione delle culture locali che apparentemente sono in disgregazione nello Stato centrale ma in realta’ io si fa' perche' proprio attraverso questo radicamento della cultura locale di appartenenza e insieme agli interessi e' indispensabile un nuovo modo di produzione. Oraci sono le nazioni, si fanno società' regionali sovranazionali, si fa la stessa cosa a livello di vertice che della Lega Lombarda apparentemente letta come Destra Sociale. In realta’ il rapporto e' simile e si inserisce in un processo complessivo di una necessita’ storica del capitale e non c’e’ differenza tra questa progettazione, e' solo più' soffisticata di quanto non sia la rozza comunicazione di Bossi, che il processo di nuova organizzazione della produzione decentrata, locale, manifatturiera, tecnologica della merci di per se' e' un processo in atto che per adesso produce destra sociale, politica, economica. ‘


HIGH SPEED: IL NUOVO MITO BELLICO
Intervento di Roberto Bui
all’incontro seminariale "NEOREVISIONISMO E NUOVA DESTRA", cit.

Dicevamo prima con un compagno che parlare dopo Moroni e' come suonare dopo i Nirvana, in effetti il paragone calza abbastanza. Innanzi tutto questa non e' una relazione, più' che altro e’ una dichiarazione di intenti su un lavoro appena abbozzato: nelT ambito di questo lavoro seminariale sulla Destra Sociale, un gruppo di compagni ha iniziato a fare una specie di esplorazione del legame che c’ è tra il mito della velocità ( accompagnato dalla fusione tra arcaico e tecnologia e da una sorta di vitalismo reazionario) e l'aggressione dello spazio metropolitano nel vissuto della destra sociale. Questa esplorazione sicuramente richiederebbe un lavoro di ricerca che naturalmente ancora non abbiamo i mezzi, il tempo, la voglia di fare; pensiamo sia importante procedere in questa direzione perche' ci permette di analizzare in negativo qual’è il nostro rapporto con lo spazio della citta' : capire come il movimento antagonista usa o subisce la velocita' che struttura il tempo quotidiano. Prima di cominciare la narrazione devo riepilogare il significato e l'uso di alcune categorie d'analisi che sono: Spettacolare concentrato, Spettacolare diffuso e Spettacolare integrato soprattutto per quanti non abbiano una conoscenza della teoria critica situazionista, quella veramente CRITICA e RADICALE e non la risciacquatura attualmente di moda presso certo establishment culturale di sinistra. Molto in breve: le espressioni Spettacolare concentrato (S.C.) e spettacolare diffuso (S.D.) riguardano due modalità' di conservazione del rapporto sociale dominato dalla merce in due diversi tipi di capitalismo. Più’ propriamente tali espressioni sintetizzano qualV la spartizione dei compiti all'interno della classe al potere per fornire alla massa degli spossessati una rappresentazione naturalmente mistificatoria, ideologica del funzionamento globale della società' di classe. Questa rappresentazione e’ una vera e propria immagine sociale che dai situazionisti in poi e' chiamata "spettacolo". Lo spettacolo non e’, come disinformatori o confusionisti vari vorrebbero far credere, la semplice persuasione occulta da parte dei mass media, ma e’ la raffigurazione del funzionamento globale della società’ capitalistica, il monologo auto elogiativo del potere. Per quanto riguarda lo SC, esso semplificando all’estremo e sperando di non banalizzare appare in quei paesi dove lo sviluppo economico-industriale si realizza a strattoni, in maniera discontinua, e assieme ad esso anche la politicizzazione delle masse e l’accelerazione della vita sociale. Ne nascono traumi che disgregano il vecchio insieme dei rapporti sociali senza preparare i cervelli del socius a quello che verrà' dopo. Cosi' l'insieme dei proletari e degli spossessati si trova come pressato in un oscuro limbo temporale, scalpita, si ribella, e solo un'immagine sociale monolitica, consona al capitalismo dell'età' dell’acciaio (delle Hard technologies) può' garantire un ritorno all'ordine. Nei primi trent'anni del ventesimo secolo, seguendo dei rivoli diversissimi, i processi di concentrazione dello spettacolo sfociano da un lato nei fascismi europei, dall'altro iato nel fenomeno dello stalinismo, caricaturizzazione di una società' senza classi e aborto di uno stato operaio che in realta' non vedrà’ mai la luce. Lo SC e' basato sul Fuhrerprinzip, cioè’ sul principio del capo, sia nella sua variante fascista che in quella socialista. Il ruolo del duce, del fuhrer e' quello di "garante della coesione totalitaria" della società' , e' la figura in cui la massa e’ costretta ad identificarsi. Nell'imbrattatele di Braunau o nel figlio del fabbro di Predappio lo spettacolo raggiunge la sua massima densità' . Uno spettacolo pesante, di piombo e acciaio, che schiaccia gli spettatori durante i cerimoniali liturgici (manifestazioni, parate, comizi ). Per fare un esempio, il culmine della concentrazione dello spettacolo e’ raggiunto in una frase di Hitler dove egli usa una metafora che fa acquistare tattilità’ e pesantezza alle parole: "i miei discorsi sfondano il cuore del Volk come colpi di maglio". Ancora più' brevemente lo SD : e' quello che ha dominato in una società’ a noi più' familiare come ricordo. Ad esempio, può' essere quella dei films americani degli anni cinquanta, gli anni d’oro dell'età’ industriale, il libero mercato, l’abbondanza mercantile, e possiamo dire che questo tipo di spettacolo si e' costruito nei paesi che hanno conosciuto una certa linearità' dello sviluppo capitalistico (che assolutamente non vuol dire assenza di traumi sociali). Oggi c'e’ stato un salto qualitativo e quantitativo dello spettacolo ,lo Spettacolare Integrato : secondo Guy Debord questa e’ la forma attuale del dominio, e anche se la prima descrizione ‘ per forza di cose sommaria e’ stata fatta nei Commentari sulla società’ dello spettacolo , precedenti di un anno la caduta del muro di Berlino e di ben tre anni l'ascesa di Eltsin in URSS, e’ per noi molto facile vedere in questa "fruttuosa unificazione di concentrato e diffuso’’ la forma che ha assunto il dominio nel nuovo dis/ordine mondiale. Una forma caratterizzata: a) dalla confusione assoluta tra ; stato e mercato, che si imitano a vicenda per quanto ! riguarda il marketing e le pubbliche relazioni; b) dal segreto come base delle democrazie, nel senso che esistono punti in cui lo spettacolo e’ talmente concentrato da p 13 inspessirsi in modo che sia più’ visibile e più' oscuro (e' un paradosso che capiamo con vicende tipo Gladio, segreti spettacolarizzati oppure spettacoli che riarretrano nelle tenebre); c) dalla scomparsa dell'opinione pubblica, che già' nel moderno era un'astrazione, e di cui oggi viene conservato solo un "idolo" cui guarda caso ricorre (con sondaggi o plebisciti o con strumenti diversi) chi ha già’ preso decisioni indiscutibili; d) dal congelamento della sfera culturale in una specie di eterno presente dove ogni cosa rimanda a qualsiasi altra per illuderci sulla fine delle guerre ideologiche: dove tutto convive col suo opposto, deve per forza andare tutto bene; e) infine, il dato che più’ abbiamo di fronte nel quotidiano e'ia consapevolezza che ogni nostro più’ insignificante atto, dal trovare un parcheggio al chiedere un bicchiere d'acqua al bar, può' concludersi in uno spargimento di sangue. Questa incertezza del quotidiano e’ il dato più' visibile dello SI.: ci si può’ trovare casualmente sulla traiettoria di un proiettile o in un supermarket dove sta per esplodere una carica di semtex, e comunque ci e’ divenuto impossibile tutelarci dall’essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. L'ipotesi sulla quale stiamo lavorando e’ questa: il mito dromocratico , del dominio della velocita’ come assalto allo spazio e' stato nei primi venti anni del secolo la base fondante dello S.C., proprio come il mito della velocita' , della comunicazione in tempo reale e’ il mito fondante dello S.L e della destra sociale che ci sguazza dentro rappresentandone il soggetto immediatamente prodotto. Allora dobbiamo andare un attimo indietro: adesso inizia la narrazione. Il primo studioso ad affermare che la superiorità' dello squadrismo fascista nei confronti del suo nemico e "prius logico", il movimento operaio, fosse da imputare a una differente percezione dello spazio e' stato Angelo Tasca in Nascita e avvento del Fascismo (1935). In pratica Tasca dice che le squadre fasciste si facevano forti della velocita' dell'azione e del loro sradicamento. Essendo tutti ex arditi, ex combattenti, potevano vivere ovunque, dormire ovunque, potevano attaccare quando il nemico non se l'aspettava e poi su autocani (in un periodo in cui in tutta Italia circolavano poche migliaia di automobili) potevano "velocemente 44 passare da un comune all'altro, sbaraccare una casa del popolo o una camera del lavoro una dopo l'altra. Invece la cultura del movimento operaio socialista nei primi anni '20 del secolo e’ una cultura campanilistica e municipale , profondamente radicata in tanti piccoli feudi rossi dove il movimento e' forte, feudi disseminati per l'Italia e organizzati intorno alla casa del popolo, ma non in comunicazione tra loro. Giocoforza, il movimento socialista fatto bersaglio di questi attacchi non può’ reagire con la guerra di posizione perche’ il rapporto dei lavoratore socialista con lo spazio conquistato e materialmente costruito con anni di lotte e' un rapporto affettivo e simbolico, il compagno non si sente di SVENTRARE la Casa del Popolo per fortificarla o per barricarla; d'altronde, egli e’ troppo radicato nella sua terra, nel suo comune, nella sua Casa del Popolo, per poter passare alla guerra di movimento, per opporre una propria mobilita' alla mobilita’ dei fascisti. Per questo noi possiamo vedere nell’attacco squadrista agli spazi del movimento operaio il preludio a tutto un cambiamento nella percezione collettiva dello spazio; se nella Germania di Weimar le spranghe delle SturmAbteilungen apriranno la via al Moderno, offrendo al grande capitale il modello più’ convincente di organizzazione e controllo sulla forza-lavoro ( e non solo: spostando nella società’ gli imperativi dromocratici che iniziavano a svilupparsi all'interno della fabbrica ), cosi’ nell’Italia del primo dopoguerra le trasferte degli sradicati con fez e manganello segnano un cambiamento epocale nella percezione dello spazio, fino alla cristallizzazione dei due movimenti fascisti in regimi a spettacolare concentrato. Questo ha a che fare con la guerra interimperialistica che si era appena conclusa; soprattutto ha a che fare con il "mito dell'esperienza di guerra’’ che era stato vissuto dalla generazione dei volontari del 1914 come adesione entusiastica allameccanizzazione della vita sociale e alla sua accelerazione, e anche come evasione dalla noia dell'esistenza borghese. Questo mito era stato il motore dell’interventismo in tutti i paesi belligeranti, le sue scorie tossiche erano sopravvissute al conflitto, galleggiando nella vita politica e socioculturale. Flashback: basterebbero alcune citazioni per avere una rapida visione dell’epoca: le generazioni di inizio secolo in Europa si trovano di fronte ad un "caos d'esperienza", nel senso che la nuova velocita’ degli spostamenti sembra minacciare tutto il vecchio ordine sociale. Addirittura lo storico americano George L. Mosse scrive una cosa molto significativa: "gli uomini e le donne dell’epoca potevano ignorare le dimostrazioni operaie, potevano ignorare le bombe degli anarchici, ma non potevano sfuggire alla nuova velocita’ dell'epoca che sembrava minacciare il caos". Se mettiamo questo in relazione al fatto che il rampollo del borghese europeo era l'inquieto erede di una classe aggrappata con unghie e denti alla "stabilita"' conquistata dopo l'età' delle rivoluzioni ottocentesche ( cui era seguita quella che Karl Polanyi ha chiamato "la pace dei cent' anni") e quindi viveva in un ambiente di noia e di abitudine ( emblematica soprattutto una frase di Georg Heym, precursore e ispiratore dell'espressionismo tedesco, in una pagina del suo diario del 1907: "per quanto mi riguarda posso dire che solo se ci fosse una guerra starei bene di nuovo. Ora ogni giorno e' uguale al precedente, nessuna grande gioia, nessun grande dolore, tutto e' cosi' noioso"), dall'impatto di queste due circostanze ci risulta molto facile capire perche' nella generazione dei volontari del ' 14 l'accettazione della modernità' e l'euforia per la velocita' sfociarono nell'entusiasmo per la guerra. Praticamente questo entusiasmo, nella forma del mito, sopravvisse e porto’ ad una brutalizzazione della politica e della vita sociale nei paesi ex-belligeranti; brutalizzazione accentuata nelle nazioni che avevano subito una sconfitta o , com’e' nel caso italiano, una "vittoria mutilata", fino allo sfociare nei fascismi e nei traumi che ne seguirono. Arriviamo al giorno d'oggi: oggi ci troviamo di fronte ad un nuovo mito della velocita' . Nel corso della storia c 'e' stato un aumento inebriante della velocita' degli spostamenti umani dai piedi al cavallo all'auto al Concorde ( su cui addirittura circola una battuta, che "arriva prima di partire"). Paul Virilio ha studiato gli effetti di questa accelerazione sulla società' attuale. Virilio definisce "dromo visione" la visione dal veicolo, che e' secondo lui la simulazione di una "fugacità"' del paesaggio prodotta sulla percezione del passeggero quando sale sul veicolo e parte; oggi siamo in un'epoca ultra spettacolare e iperveloce, e la dromovisione ci fa vivere un vero e proprio "consumo del territorio", nel senso che la velocita’ sembra MANGIARE LO SPAZIO, nutrirsene: tutto quello che e' intorno e davanti al passeggero sembra non esistere più' dopo che egli lo ha raggiunto e superato. Tutto lo spazio intorno, procedendo ad un'alta velocita', sembra effimero e inconsistente, gli eventi stessi sembrano perdere spessore. Addirittura la distanza da un punto all'altro non e' più' misurabile spazialmente ("Sono 100 km. da qui a la"‘), ma e' vagamente percepibile con parametri temporali empirici ("Sono 20 minuti da qui a la'"), e non e’ più' vista come una grandezza fisica oggettivamente e concretamente quantificabile, ma come UN ISTANTE DA DIVORARE. La dromovisione e’ veramente l'eterno presente, che quindi non e' solo nella produzione culturale in senso stretto, nel pastiche, nell’incrociarsi dei simulacri. Questo ci porta a supporre che l’aumento della velocita' porti all'abolizione del viaggio: una volta, quando si parlava del viaggio, si parlava di una partenza, di un viaggio e di un arrivo, ed il termine intermedio corrispondeva al momento più' lungo dei tre; oggi con l'alta velocita' la situazione e' radicalmente mutata, perche' abbiamo una partenza ed un arrivo, con in mezzo una specie di trance, di sogno ad occhi aperti, che spesso e' il momento più’ breve dei tre (a parte, credo, perle Ferrovie dello Stato ): una volta, ad esempio, il viaggio dava il tempo di ordire intrighi sull'OrientExpress oppure dava il tempo agli indiani di attaccare la diligenza; oggi tutto l’immaginario del viaggio e' cambiato, il che non significa che morire durante il tragitto non sia facile quanto ieri. Anzi, e' diventato più' facile. La dromoscopia, l'osservazione dal veicolo, e' anche definita da Virilio "un gioco della guerra-lampo", un Blitzkrieg spiel, un perforare il territorio che diviene guerra pura, estrema, assoluta. Più’ aumenta la velocita’ e più’ gli avvenimenti perdono forza e spessore, esiste solo questo balzo in avanti che ha sostituito la sensazione "fisica", "reale’’, del CALCARE IL TERRITORIO, e a questo punto cito un’ allarmante osservazione di Virilio da L'orizzonte negativo : "questa ebbrezza delle grandezze che trascina il passeggero a superare certi livelli di accelerazione e' temibile: la grandezza del mondo e la sua estensione si confondono con la volontà' di potenza dei conducenti. E’ l'assalto che da’ alla luce le contrade del percorso, il territorio esiste solo grazie alla violenza del movimento in avanti, e la postazione avanzata dell’arrivo provoca il crepuscolo dei luoghi"‘ Cosi’ ci troviamo di fronte ad un nuovo mito della velocita’ che si affaccia sul presente e che coincide con un nuovo "mito dell'esperienza di guerra’’ su cui si basa lo spettacolare integrato. Questo nuovo mito bellico nasce dall’interagire degli spettacoli dell’Informazione, della Telecomunita’ mondiale, della comunicazione "in tempo reale", e percorre il nostro quotidiano che oggi e’ stato svuotato dei rapporti amicali, diretti, ed e' un deserto relazionale dove la riproduzione stessadella forza-lavoro e' affidata più' ai flussi multimediali che al contatto diretto (si sono insomma svuotate le chiese e le case del popolo). Questo deserto viene solcato dal nuovo mito bellico, un mito che al contario dei precedenti e' privo dell’apporto di ideologie prometeiche basate su consapevoli missioni storiche. Anzi, nasce dall’incombenza della "fine della storia" ( di cui ha iniziato tempo fa a parlare Fukuyama, diffondendo un clichè giornalistico amplificato e diffuso in tutto l’orbe terracqueo). Anzi, non e’ solo la fine della storia ad incombere, ma la fine del pianeta stesso su cui la storia si e' svolta, a causa delle catastrofi ecologiche; rischio di cui 10 spettacolo ha già’ fatto una condizione di autoriproduzione, "economizzandolo" e deviandolo in un discorso di dosi, percentuali e soglie di pericolo. Oggi sembriamo essere su quel "promontorio dei secoli" di cui scriveva Marinetti nel suo manifesto del 1 909, e T unica missione storica di cu i ormai non sembra ridicolo parlare e' la "missione" del capitale nella sua corsa livellante, avvelenante, distruttiva. Analogamente, Tunica esperienza di guerra che ci e' permesso di cercare e' una specie di cocktail di umori nichilisti ( non parlerei più’ di uno "slancio vitale", ma di uno "slancio letale", di una pulsione di morte), un miscuglio di sensazioni, di ebbrezze intossicanti, completamente funzionale al progetto del capitale di raggiungere una specie di nirvana economico, un'economia statica perfetta ( questa e’ l’utopia del capitale" di cui scriveva Cesarano). 11 fenomeno dei naziskins, soprattutto nelle metropoli dove e’ presente da anni, e’ T aspetto più’ appariscente - perche' più’ amplificato mediaticamente e forse più’ immediatamente adducibile al "mito dell’esperienza di guerra". Il carattere fascista delle teste rapate non e’ dato solo dalla zavorra ideologica e sottoculturale che si portano dietro, ma e’ dato proprio dalla loro concezione spettacolare del territorio. Attraversano lo spazio-tempo della metropoli, ne avvertono T inumanità’, pero’ il loro "assalto allo spazio" non si configura come una rivolta del corpo contro uno spazio in cui e' costretto e che non e' a misura del corpo ( lo spazio-tempo totale della produzione, lo spazio dell’urbanistica autoritaria ) ma si configura come attacco militare contro le diversità' etniche e culturali, quindi come ricerca di un ordine che, in definitiva, non solo costoro non hanno mai vissuto, ma che non e’ mai esistito come se lo immaginano e che sarebbe comunque irricomponibile ( questa e’ forse la componente volkische e arcaicizzante del nuovo mito bellico). Solo dopo può’ arrivare T ideologia nazista "consapevole" e dichiarata, e secondo me il carattere fascista di certi fenomeni e' dato più' dall’esperienza dello spazio che li connota. In questo caso lo spazio non e' vissuto come luogo da trasformare per poterci vivere come e' invece per noi dei centri sociali -, ma e’ un puro scenario da perforare, CONTRO CUI SPARARE, e questo e’ in linea con tutti gli imperativi dromocratici dei capitale. In questo senso, T elemento inumano della metropoli non viene avversato da questa finta rivolta: viene ristabilito in maniera efficace, difficilmente potremmo immaginare una maniera altrettanto efficace di ristabilire la spettacolare inumanità’ dello spazio urbano. Anche se T ideologia borghese tende a collocare ogni fenomeno nelle espressioni "teppismo", "violenza urbana’', etc, c'e’ una differenza enorme tra gli attacchi della destra sociale e le sommosse che periodicamente esplodono nella citta' postmoderna e postindustriale ( Brixton nell’85, Washington e Parigi lo scorso anno’’), perche' nel secondo caso l'assalto e’ proprio contro la non-vivibilita' del territorio urbano. E' cosi' anche per gli atti vandalici, a pensarci. Cito infatti i compagni francesi dell’Encyclopedie des Nuisances in un loro saggio dove si accenna al vandalismo endemico urbano: "il vandalismo e' l'umanità' minima che si richiama ad un linguaggio spaziale non avendo alcuna altra risposta possibile, e ciò' ogni volta che urta contro lo spazio totale, universale, omogeneo, senza memoria, divisibile e moltiplicabile all'infinito, progetto al quale lavorano da diverse decadi architetti urbanisti ed altri ingegneri sociali della geografia umana". E’ possibile un assalto allo spazio metropolitano che non sia un vagheggiare l'ordine; e' possibile reagire al caos della metropoli senza rimpiangere un ordine; quindi, vedere il caos non come qualcosa di inevitabilmente negativo, dove e' tutto pieno e non ti puoi muovere, ma come qualcosa di possibilmente positivo, su cui potere prosperare, in questo senso credo che i movimenti antagonisti e le forze antisistemiche debbano cercare un'altra esperienza della guerra, debbano premere per un uso liberatorio ed antitotalitario della velocita'. Sto parlando della guerra contro il dominio del capitale e contro il suo terrore planetario, e della velocita' del nostro corpo nel rivoltarsi contro una società' che ne nega bisogni e desideri. Insomma, sto parlando della guerra di classe. NOTE ‘ Gli incidenti provocati dalle orde di riders e motards a Le Mans poco tempo dopo lo svolgersi di questo seminario sono un esempio paradigmatico di cosa sia il nuovo mito di cui stiamo parlando: la velocita’ come volontà' di potenza, l'assalto allo spazio come unica possibile esperienza di guerra(N.d.A.). ‘‘La lista appare oggi incompleta: in seguito la "spettacolare inumanità’ dello spazio metropolitano" e’ stata efficacemente contestata a Los Angeles ed in altre citta’ statunitensi. I neri e gli ispano-americani, nel loro movimento di disarticolazione del comando capitalistico sul territorio, non vagheggiano alcun ritorno ad un ordine prossimo o remoto, poiché' T unico ordine precedente che hanno conosciuto o di cui hanno sentito parlare era, esattamente come quello attuale, fondato sulla loro schiavitù’ , sulla loro segregazione formale e materiale. L’esproprio di massa nei supermercati e' indubbiamente un modo di (letteralmente)

PROSPERARE SUL CAOS. (N.d.A.)
L’ANTIFASCISMO MUTANTE E LA FOGNA DIFFUSA
articolo a cura di ECN Bologna,
tratto dal n. 50 di AUTONOMIA, Padova, maggio 1991
BOLOGNA, marzo 1991.

Gli episodi delle ultime settimane ( raid e pestaggi fascisti , scontri nella zona universitaria in occasione delle elezioni dei rappresentanti studenteschi al Senato Accademico Integrato), l’immediata assonanza/associazione di tali episodi con la "strategia di stabilizzazione" vissuta da questa citta' nell’inverno scorso (uno stragismo decentrato e selettivo che non spara nel mucchio ma colpisce nomadi, immigrati, "devianti") e coi fatti avvenuti a margine di questa ( sgomberi a tappeto dei centri sociali occupati, "censimento" coatto degli extracomunitari), l'esercizio, da parte dei compagni, dell'autodifesa contro le squadracce di "Fare Fronte", tutto ciò' rischia di portarci al "delirio dell'interpretazione", alla cottura di un minestrone al cui interno, in nome della "nuova destra", convivano forzatamente ingredienti diversissimi tra loro. Pensiamo che occorra essere lucidi, e speriamo chei seguenti punti possano servire da contributo per una riflessione collettiva all'interno dei movimento. 1. Leggiamo in un volantino distribuito il 18/3 all'Università' di Bologna, firmato da alcune "forze" politiche tra cui DP: " Occorre riaffermare che, come sancito nella stessa Costituzione, non c'e' diritto di cittadinanza per quel fascismo che già' tolse la liberta' ali’ Italia, promulgo' le leggi razziali, ci trascino’ nel baratro della guerra, e che negli ultimi anni fu coinvolto nelle più’ odiose stragi e complotti’’. A parte l’immancabile richiamo alla Costituzione e l'implicita assurdità’ di alcune affermazioni ( Di che "diritto di cittadinanza’’ si va parlando? Quale sarebbe la "liberta’’’ di cui, a parere degli autori, godevano i proletari in epoca pre-fascista?), Terrore principale ( e tutt’ altro che infrequente nell'oratoria e nella pubblicistica "di sinistra’’) e’ quello di sacrificare T analisi del presente ali’ evidenziazione di una illusoria continuità’ tra il fascismo-regime ed i "fascisti di oggi. Quando parliamo di fascisti non stiamo parlando di fascismo. Il riemergere alla piena visibilità' di gruppi organizzati, dichiarantisi di estrema destra e "filosoficamente’’ riferiti al ricordo del fascismo-movimento o del fascismo-regime, e’ ben lontano dal costituire una riedizione di quelle forme sovrane. La struttura psicologica di un nazi-skin o di un "movimentista’’ rautiano ben poco ha a che fare con quella del fascismo di un tempo, e non capiremo fenomeni come il recupero da parte dell’ultradestra di parole d’ ordine dei movimenti (antiimperialismo, autodeterminazione dei popoli, contropotere studentesco) ed i conseguenti tentativi di sintesi culturale ( riviste come 'Tendenze’’ o "Ideogramma’’) se continueremo anche involontariamente -a ritagliarne la sagoma sullo sfondo dello squadrismo di ieri: il disperato ricorso ad una memoria storica passata al setaccio di mitologie ed edulcorazioni non può’ che portarci fuori strada. Ne consegue che, quando usiamo L’espressione ANTIFASCISMO MILITANTE, dobbiamo essere consapevoli che il filo rosso con l'antifascismo tradizionale del movimento operaio non può' in alcun modo reggere le nostre arrampicate Non che non esista un "filo nero" collegante la Repubblica di Salo', il partito della pagnotta, il governo Tambroni, Ordine Nuovo, le vacanze in grecia di "Caccola" Delle Chiaie, Piazza Fontana Italicus Piazza della Loggia-Boiogna-S. Benedetto vai di Sambro, Fronte Nazionale... Ma troppi cambiamenti sono avvenuti: all'impatto molare di "blocchi" ideologici ben definiti, alla battaglia a cielo aperto per il possesso dei segni, all’"egemonia culturale'‘ di matrice gramsciana, si e' sostituita la commistione "sotterranea" dei sottolinguaggi, la dittatura dello spettacolo sul senso, l’esposizione concentrata delle diverse ideologie sotto un’ unica bacheca. Per forza di cose, il nazionalismo tradizionale di quando il capitale aveva ancora una patria e dei vincoli territoriali e' diverso dalT odierno miscuglio di sentimenti populisti, xenofobici, localistici, razzisti accompagnante il processo di mondializzazione e la formazione del mercato totale. Oggi ci troviamo di fronte ad un nazionalismo postmoderno avente come "patria’’ il "nord" del mondo (il modello occidentale) P.15 proprio nella fase in cui i flussi migratori e quelli di informazione fanno saltare ogni rigida determinazione territoriale: il sud del mondo oggi non inizia più 'dal tropico del capricorno, ma nelle periferie della metropoli occidentale, sotto i porticati di Bologna, negli stabili occupati, nella fabbrica dove lavori e nella scuola dove va tuo figlio. Quello odierno e’ un NAZIONALISMO SPETTACOLARE DI MASSA la cui patria e’ immateriale. Cosi’ i fascisti restano topi di fogna, ma sguazzano oggi in tutt’altre fogne rispettto a quelle dei loro nonni. 2. I fascisti come ruderi premoderni, residui di un esaurito divenire storico, rottami arrancanti pesantemente nella sociosfera postindustriale? Ragionare in questo modo significa abbandonarsi a quello "stupore antifilosofico" di cui scriveva Benjamin nella più' famosa delle sue 'Tesi di filosofia della sto ria \ lo stupore eh e 4 'cose del genere" siano possibili al giorno d'oggi. Non lasciamoci imbottire il cranio dallo "spettacolo della fine di un mondo", finendo per decretare l'inattualità' di tutto ciò' che non abbiamo la capacita' di analizzare: in realta', nella società’ postmoderna ( o dello spettacolare integrato, o della sussunzione reale effettuale, o comunque la si voglia chiamare), nulla pare essere più’ innovativo di ciò’ che e' reazionario. Le forze politiche che organizzano e rappresentano il razzismo, la xenofobia, l'odio per il deviarne, non fanno che accompagnare l'incedere iperveloce del capitale mondiale integrato, A) indicando i capri espiatori a cui imporre il peso delle contraddizioni create dallo sviluppo, B) riallestendo lo spettacolo della "centralità’" di una forma-stato contemplabile nella figura di un leader o comunque di un "cuore" politico separato, impedendo cosi’ la visione della totalità' del dominio. Quanto ali’ attributo "reazionario’’, associarlo, per tutto il corso del xx secolo, alla "resistenza al progresso" (sociale, civile, culturale) e’ stato conseguente al fatto che la cultura del movimento operaio era pesantemente inficiata dal positivismo, dal mito del progresso traslato nell'apologia dello sviluppo delle forze produttive. Oggi e’ chiaro persino a molti m-1 che non sarà’ tale sviluppo a lacerare i rapporti capitalistici di proprietà, e che il "progresso’’ altro non e’ che il "movimento reale" di un capitale continuamente autoreplicantesi; oggi possiamo superare l'antinomia REAZIONE/INNOVAZIONE. ( purtroppo non possiamo soffermarci a lungo sul fenomeno delle Leghe, altrimenti questo scritto finirebbe per oscillare su troppe linee di fuga: ci limitiamo a dire che proprio queste ultime, cosi’ apparentemente arretrate, feudalistiche, sono il massimo portato della postmodernità’ : le leghe non fanno che recuperare e distorcere vecchi discorsi della sinistra istituzionale contro il "governo centrale", con iniezioni di federalismo radicale e populismo di chiara ascendenza m-l; non dimentichiamo che Renzo Del Carria, autore di "Proletari senza rivoluzione’’, milita oggi nelle file della Lega Lombarda, e con lui molti altri ex -quadri espressi dagli scorsi cicli di lotte; e ancora: la stazione radio della cosca di Bossi, con sede a Bergamo, dichiara d’ ispirarsi a Radio Popolare "com'era dieci anni fa", e lo stesso Bossi ha più' volte definito il MSI "cane da guardia del sistema'‘. E’ significativo che il migliore esempio di "COMMISTIONE LINGUISTICA" sia oggi fornito da queste schegge impazzite della sinistra italiana, da questi figli mongoloidi dell'asse Gramsci-Togliatti Longo-Berlinguer) . 3. E’ improprio dire che "l'intera società’ si sta spostando verso destra", come la contingenza ha obbligato a fare molti compagni durante le scorse assemblee. E' improprio perche’ cosi’ si riduce la complessità’ dei movimenti del corpo sociale e delle strategie di dominio a dicotomie proprie del politico, come appunto destra/sinistra. Si cerca di analizzare la totalità’ applicando categorie della separazione, inoltre si ipotizza un movimento "orizzontale" della società’ che non corrisponde al dato reale. E' improprio anche definire il PDS "nuova destra" proprio perche' questa nozione e’ troppo limitata di fronte alla marea degli avvenimenti in corso. Il capitale continua ad aver bisogno di un "braccio sinistro" ( PDS, sindacato neocorporativo). Nell'epoca d'oro del Welfare State il riformismo di matrice socialdemocratica o terzinternazionalista assicurava il confino delle lotte nella gabbia delle compatibilita' istituzionali e la loro integrazione in un processo di riforma in senso assistenziale finalizzato a porre le basi per la riproduzione della forza-lavoro ed il controllo su questa. Oggi il Welfare State rimane il referente principale, ma in senso negativo: nei paesi capitalisti avanzati non solo la riproduzione e’ stata avviata, ma e’ divenuta autopropellente grazie ai flussi multimediali di informazione che addestrano i lavoratori ("uomini di vetro") modificandone la percezione e allontanandoli dall’esperienza CORPOREA dello sfruttamento, vissuto sempre più’ come spettacolo. AH’ inizio degli anni '80 almeno per quanto riguarda l'Italia, non certo tra i primi paesi ad ultimare la ristrutturazione industriale e l'espulsione dalle fabbriche delle avanguardie di lotta lo stato assistenziale e' divenuto un FRENO al movimento reale del capitale, cosi' se ne avvia lo smantellamento, facendo leva sul "braccio sinistro" ( PCI oscillante tra il "farsi stato" e l'opposizione di facciata, sindacato che abbandona definitivamente la propria maschera consiliare). Anche oggi, nella fase ulteriore della ristrutturazione capitalistica verso la superpotenza europea, e' un'ipotetica "SINISTRA DEL CAPITALE" (la polizia neocorporativa) a coprire l’abbandono dello stato di diritto, il "patto tra i produttori", la nuova dimensione legale della repressione. 4. Ci sarebbe anche da dire che la ricolonizzazione spettacolare del passato ( leggi revisionismo storico, Nolte, De Felice in Italia, o le polemiche mediatiche sugli anni dell'immediato dopoguerra) accelera la dissoluzione dei vecchi scenari di lotta. A quest'offensiva non si può’ rispondere arroccandosi nella difesa dei vecchi mausolei :ricordiamo che l'edulcorazione della lotta partigiana, la sua istituzionalizzazione e riduzione ad epopea, e’ stata la base legittimante di gran parte degli orrori demokratici del dopoguerra, in primis la creazione del cosiddetto "arco costituzionale’’, la teoria degli "opposti estremismi", il frontismo subalterno del PCI che apri’ la strada alla repressione dell'autonomia operaia. La difesa a spada tratta della memoria antifascista non fu espressa in modo sufficientemente critico dalla generazione del'68, e porto' molti compagni ad aspettarsi il golpe da parte della destra militare e fascista, mentre il vero golpe, il "compromesso storico", veniva preparato da Berlinguer. Occorre liberarsi dalle ambiguità' gauchiste, occorre rilanciare, RIPENSARE la memoria, non accettare la guerra di logoramento. 5. Allo stato attuale, non e’ possibile alcuna conclusione. Ripetiamo, non e’ possibile alcuna conclusione. Comunicato diramato dal COMITATO SENZA FRONTIERE di Bologna ( Il 20 maggio il Fronte Nazionale ha immerdato i muri di Bologna con un manifesto che declamava: "Il conflitto razziale per l’alluvione di milioni di immigrati extraeuropei sarà nei prossimi anni il dramma vitale dei popoli europei, quindi pure del popolo italiano ... L'Italia non è terra di immigrazione’’ e via dicendo. Niente di insolito nella prosa di queste carogne. C’era invece sul cartello firmato da una sezione di svastica, il timbro: "AFFISSIONI COMUNALI 20 MAGGIO 1992’’. Era l'ennesima iniziativa del Comune di Bologna per una "città pulita"? La città che ha subito la strage del 2 agosto può’ farsi promotrice dei messaggi di Franco Freda e rampolli? Il Comitato Senza Frontiere di Bologna ha diffuso il 21 maggio un comunicato di protesta per denunciare la pericolosità di questa operazione:) "...Gruppuscoli organizzati come il Fronte Nazionale con questi messaggi intendono alimentare Todio razzista ed il proliferare di episodi di intolleranza violenta. Ricordiamo che a Bologna abbiamo assistito a pericolosi esempi di queste azioni: da fenomeni spontanei, come l’attentato al Pilastro contro le scuole Romagnoli, ad altri più' oscuri firmati dalla Flange Armata. A nulla servono le lacrime di coccodrillo dell’amministrazione comunale in occasione di questi eventi criminosi quando essa stessa si fa strumento della diffusione di propaganda razzista’’.
sottoscrivono: Associazione Altra Italia Associazione Pangea Gruppo consiliare Verde Centro di Comunicazione Antagonista Cobas Poste e Telegrafi Collettivo ImmaginAzione Comunità pakistana Bologna ECN Bologna Immigrati di via Stalingrado Partito della Rifondazione Comunista Radio Città 103 Radio Città del Capo Studenti della sala studio autogestita di via Zamboni 36 ‘ ‘

IL CROCIFISSO UNCINATO
Intervento di ANDREA...
al seminario cit.

All'interno di un dibattito sulla nuova destra sociale può' apparire interessante vedere quali canali di comunicazione e quali sponde politiche vengono offerte agii appartenenti alle frange più’ estreme di quest'ultima, da parte di movimenti più’ istituzionalizzati o, in ogni caso, più’ accettati dalla cosiddetta società' civile. Particolarmente vivo e ricco, se non a livello qualitativo, quantomeno a livello quantitativo, e' apparso lo scambio e il dibattito tra i settori più’ antioccidentali ed antiborghesi degli integralisti cattolici e dei fascisti. Esemplare e' il caso de "Il Sabato'‘, giornale legato al Movimento Popolare, il quale, pur kmij prestando molta attenzione al nuovo corso di Occhetto, vagheggiando un ipotetico "governissimo", appare sempre attento ai fenomeni e alle dinamiche interne all’estrema destra. Il caso di Giano Accame, rautiano ed integralista cattolico, ex direttore del ""Secolo d'Italia", e collaboratore fisso de "Il Sabato", può’ rendere chiaro questo legame. Un primo punto di contatto può' essere notato nel comune sentimento antimoderno ed antiborghese. La modernità’, figlia delle tre rivoluzioni (scientifica, francese ed industriale), viene rifiutata perche’ portatrice di "falsi valori", di interesse che "riducono la vita ad una funzione matematica '(Morra, Dio senza Dio), di spinte despiritualizzatrici che escludono tutto ciò' che non e’ materiaSi e’ sollevato l'uomo da una posizione centrale all'interno del cosmo per renderlo marginale, si e’ spogliata la natura da ogni sacralità’ per farla divenire solamente campo d'azione dell’uomo stesso, si e’ resa universale un'assiologia dei valori che prima apparteneva solo ad un’elite illuminata: mentre un tempo per il "popolo’' al primo posto vi era l’"anima’’ e per questa elite il potere da gestire con oculatezza, ora il potere più’ deteriore, inteso come denaro e dominio, e’ di importanza primaria per tutti. Tutti questi concetti, sia pur con qualche sfumatura diversa, possono essere rintracciati sia all'interno dell'integralismo cattolico, come e’ evidente nel già’ citato "Dio senza Dio", sia nei miti e nelle teorizzazioni tipiche della nuova destra. Ricordiamo infatti i cavalieri teutonici e l'impero romano fra 1 primi e il cosiddetto bioregionalismo tra le seconde. Figlia di questo sentimento antimoderno e’ la forte avversione alla borghesia, considerata la prima artefice dello sconvolgimento che prima abbiamo analizzato. Di qui la feroce condanna alle banche, tacciate di usura con una certa vena antisemita (i CP che condannano le banche e’ tutto da ridere) e la lotta al mondialismo. "Oggi la gerarchia dei fenomeni si e’ invertita e mentre la lotta di classe ha un ruolo minore rispetto al contenzioso emergente tra le nazioni, le religioni e le razze, il potere mondialista massonico-finanziario che manovra all'ombra dell’ONU, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale si sta affermando, come Pound lucidamente intuiva, quale vero soggetto dominatore delle sanguinose vicende da cui siamo coinvolti’’ (G.Accame, ne "Il Sabato", febbraio 1991). "I problemi di oggi ... sono piuttosto i problemi nuovi posti da quella plutocrazia planetaria che ultimamente Del Noce e prima di lui Ezra Pound, indicava come il grande soggetto egemonico con cui confrontarsi anche in termini di rivendicazione di autentiche sovranità’ nazionali e popolari, di vera democrazia appunto. Ma sono inoltre i problemi dei limiti ecologici ad un’estensione globale di quella variante alla niciana volontà’ di potenza che sta nel profitto. E soprattutto problemi non esauribili con soli beni e servizi perche’ derivanti dal sempre più’ assillante interrogativo religioso e sociale sul significato dell'esistenza a cui il liberalcapitalismo non si azzarda nemmeno a dare risposta, come usava intendere Are?, come suggeriva nella sua problematicità’ Settembrini, e come secondo noi lo stesso Matteucci, se rinfoderasse la scimitarra da intransigente adoratore e guardiano del vitello d’oro, non sarebbe alieno dal riconoscere’’ (G. Accame, in "Il Sabato’’ del 2 marzo 1 99 1 ). E’ inoltre da rimarcare il comune sentimento antioccidentale delle due sopracitate correnti di pensiero. Questo ha due fondamenti: una naturale avversione per gli USA, visti come i più’ fervidi fautori di un certo capitalismo viscerale e soprattutto una forte volontà’ di sganciamento dalla cultura e dal dominio anglo-americano, al fine di recuperare le proprie radici latino-romano-mediterranee, da rivendicare come base e legame di una unita’ nazionale più’ forte e cosciente e da contrapporre all'attuale modello anglosassone. "... la sconvolgente novità' di un pontefice che non si e’ appiattito di fronte al dramma del Golfo nelle vesti di cappellano di un occidente massonico ed anglosassone, rilanciando invece la diversa visione ecumenica di un occidente che fa perno non solo e non tanto, come banalmente gli si rimprovera, sulla Polonia cattolica, quanto sul mediterraneo ove gravitano le tre grandi religioni monoteiste. Un tema che in Italia si prolunga nel neopapismo del PDS, ma anche in una vistosa frangia dell'estrema destra oggi raccolta intorno all'eco della Versilia, l'organo polemico contro un certo qualunquismo missino che si richiama alla lezione nazional-popolare di Beppe Niccolai" (G. Accame, in "Il Sabato’’ del 2 marzo 1991 ). Il comune cammino delle due scuole di pensiero riguarda poi sia il ruolo della donna, vista come "angelo del focolare", ovvero esclusivamente come riproduttrice biologica e culturale, sia quello di una comune volontà’ di rilettura della storia. Il continuo riferirsi al cosiddetto revisionismo storico in Italia di De Felice, in Germania di Nolte, non e’ casuale. Infatti la rivalutazione di regimi che, sia pur nella loro effettuale modernità', si rifacevano in parte e moltissime volte solo a livello teorico, a tutta quella serie di valori esposti sopra, può' indubbiamente creare loro spazi di manovra meno angusti di quelli attuali. Viene infatti contestata da "Il Sabato" la teoria antidefeliciana del Vivarelli, che vede il fascismo come fenomeno patologico nel quadro della tradizione conservatrice europea, per ribadire come il fascismo sia in realta' figlio di vari radicalismi. "In positivo resta probabilmente utile la raccomandazione a non fermare il fascismo, che fu movimento pendolare, al polo rivoluzionario di sinistra, ma a valutare anche le sue oscillazioni in direzione opposta, il problema e' che il fascismo nasce da una simbiosi tra radicalismi di destra e di sinistra, contro i moderatismi delle rispettive aree e il centralismo giolittiano che tendeva ad assorbirli" (M: Veneziani in "Il Sabato’’ del 1 1 maggio 1991). Per quanto riguarda Nolte, ancora "Il Sabato" del 18 gennaio 1992, nella persona di Veneziani, lo porta come esempio e campione dell’emancipazione europea nei confronti degli USA. "La lettura di Nolte ... appare complementare alla lettura geostorica di Hillgmber, e non solo perche’ i due piani si integrano. C e' anche un altro filo che li unisce: Topera di entrambi, partendo da un impianto conservatore che assegna al comunismo il ruolo di male originale dell'epoca sfocia poi in una rivendicazione della Germania come cuore di un' Europache non coincidecon l'Occidente. In nesso causale tra bolscevismo e nazismo e il loro antagonismo assoluto, si rovescia strada facendo in una rivendicazione dell'autonomia tedesca ed europea dagli Stati Uniti. Si gettano le basi per un nuovo antagonismo. La riunificazione, il revisionismo storico e la fine dell'antagonismo con Test, hanno riacceso l'interesse per i vari Heidegger, Schmitt, Junger, Benn, Spengler, tutti non a caso "processati" per filonazismo negli ultimi anni. Perche’ in fondo non e' vero che i tedeschi parlino del presente pensando al passato, piuttosto parlando del passato pensano al futuro". A conclusione di questa breve analisi e’ doveroso sottolineare come quest'ultima, sicuramente deficitaria per motivi di spazio e di tempo, non esaurisca l'argomento, ma anzi non sia altro che un non esaustivo preludio di un momento di riflessione più' ampio e approfondito che possa chiarire fino in fondo la questione del rapporto tra integralisti cattolici e fascisti. La prima pietra e' stata scagliata... ?

ANTONINO Tra le esigenze che ci hanno indotto alla preparazione di questo seminario vi erano due istanze diverse e difficilmente compatibili fra loro: un'urgenza che potremmo definire di tipo militante, la necessaria difesa di spazi e modi del nostro agire politico-sociale, e, contemporaneamente, l'esigenza di superare un discorso meramente empirico e scadenzistico, nel tentativo di collocare il variegato universo di fenomeni che abbiamo identificato con i termini "nuova destra" o "destra sociale" in un quadro di riferimento più' ampio, che ne palesasse ogni sorta di implicazione, di natura politica, economica e statuale. Voglio dire che se ad un livello per cosi' dire immediato, l'interesse per la nuova destra era suscitato dal suo continuo incrociarsi/scontrarsi con le traiettorie disegnate dalle nostre politiche sociali - penso in primo luogo ai centri sociali e alla loro pervasiva capacita' di porsi come fattore di ricomposizione del proletariato urbano, ma anche agli extracomunitari e alle loro forme di autorganizzazione a volte, come in questa citta’, maturate all'interno dell'esperienza del centro sociale, più’ spesso definite da aggregazioni spontanee dall'altro, le dimensioni nazionali e internazionali di questo fenomeno, l'impossibilita' di riferirsi adesso come ad un "caso" isolato ed episodico, sollecitavano un approccio più' analitico che superasse un'interpretazione corrente e riduttiva della nuova destra, intesa come manifestazione residuale e tutto sommato marginale. Il nostro, dunque, e' un problema anche di ridefinizione categoriale, che non può' essere confuso o ridotto ad una questione meramente terminologica: si tratta di verificare l'efficacia dei termini adoperati, laddove l'espressione nuova destra appare chiaramente vaga, costretta alla descrizione di fenomeni alquanto diversi fra loro sia per il loro contesto d'origine, sia per le loro concrete modalità’ di azione. In altri termini, si tratta di verificare se e fino a che punto il termine nuova destra riesce a significare tanto l’insieme dei comportamenti che si danno sul piano sociale, che le metamorfosi che coinvolgono numerosi paesi europei. Nella giornata di ieri si e’ parlato, tra l'altro, anche della nuova configurazione che assume oggi il razzismo, che assieme alla violenza, all’intolleranza e alla xenofobia costituisce uno dei tratti tipici e rivelatori dei comportamenti della nuova destra. Si e’ parlato del razzismo a proposito della sua dislocazione, della sua trasposizione: mentre l'Italia fascista e la Germani a nazionalsocialista contenevano ancora inscritta nella propria costituzione un' idea di razzismo, questo, dopo che le due Repubbliche si rifondano nel dopoguerra rispettivamente sull’antifascismo e l’antinazismo, abbandona il terreno costituzionale per trasferirsi intatto, integro nel corpo sociale. Dunque, il razzismo, da principio costituzionale, diviene un principio di azione sociale. Ora, nonostante le suggestioni offerte da questo tipo di analisi, ci sentiamo di acconsentire ad un'ottica del genere solo a condizione che siano resi manifesti i meccanismi che presiedono alla produzione statale delle diseguaglianze. E’ solo, cioè’, se ci sbarazziamo definitivamente d’ogni arbitraria separazione di stato e società' che possiamo riconnettere la diffusione dei "razzismo sociale" alle forme e ai modi dell’organizzazione sociale e produttiva, dello sfruttamento e del controllo internazionale del mercato del lavoro. Ad esempio noi oggi ci troviamo di fronte al paradosso per cui il Sudafrica cancella dalla propria costituzione quello che sembrava l’imperituro sistema dell'apartheid. Il che e’ sicuramente da imputare ad anni di lotte e solidarietà’ internazionali, ma che pure ci pone un nuovo problema di interpretazione: non sarà’ che l'apartheid e’ espunta dalla costituzione formale del Sudafrica solo perche’ quel sistema si e’ trasferito altrove, ha invaso altri ambiti sociali, statali e nazionali? Non sarà' che forse l'aparthei e’ stata bandita da uno stato perche’ essa e’ diventata una condizione generalizzata e diffusa, al punto di poter parlare di sudafricanizzazione della società’, al punto che ogni metropoli occidentale contiene al suo interno un "sud’’ del mondo? Oggi questo sud, questi ghetti, queste zone che delimitano l'esclusione sono fatti oggetto di incursioni selvagge e violente da parte della nuova destra; sono il luogo dove si ricicla lo squadrismo fascista, spesso travestito da skinheads, ma dove si progettano anche nuovi discorsi: discorsi dell'ordine, del controllo, del disciplinamento sociale. Soprattutto essi non sono il risultato di uno sviluppo mancato: a differenza del senso comune sociologico che sa riferirsi al ghetto solo in termini di disaddattamento e di non integrazione sociale, essi non difettano affatto dell'intervento statale. E’ in questo contesto che, solo, e’ possibile superare l’"illusione ottica'‘ provocata da quella iniziale asserzione: e' possibile oggi parlare di un razzismo "sociale" nella misura in cui esso ha abbandonato le frontiere tra gli stati nazionali, per ritirarsi ai loro interno, per erigere nuove linee di demarcazione e nuove barriere gerarchiche. Ma questa nuova "qualità"‘ guadagnata dal razzismo non inibisce affatto l'azione statale; ne rivela al contrario l'esclusiva centralità’ . Oggi, la condizione prospettata per milioni di proletari e' quella dello sfruttamento e della fame, della violenza contro ogni istanza di autodeterminazione e di miglioramento della qualità’ della vita. Il Nuovo Ordine e’ un efficace strumento di comando che dispensa miti di superiorità’ razziale e di purezza incontaminata della cultura eurocentrica occidentale per "proteggere'‘ i livelli di vita e di consumo del Nord, che possono mantenersi solo a costo di una subalternità’ materiale dei paesi del Sud. Ma oggi questa nuova geografia dell’esclusione si dilata sino all'interno di ciascun stato: contro l'unificazione della società’, contro le aspirazioni solidaristiche e comunitarie della società' multirazziale, il capitale e lo stato mettono in atto motori di divisione e segmentazione; producono rotture insanabili, reticolano tutto lo spazio sociale. Progettano attraverso rigorosi meccanismi selettivi nuove sacche di povertà’ e di miseria, di malattia e di devianza. "La società’ duale e’ la società' attraversata da una lama acuta ed efficace, quanto e’ insensata e grossolana. L’"apartheid’’ e' l’ideale del capitalismo odierno. Costruendo la società' duale contro l'unificazione proletaria della società’, il capitalismo reimporta nella metropoli strumenti finora solo usati dall'imperialismo e dal colonialismo...’’ (A.Negri, Fine Secolo). Questo disporre da parte dello stato degli strumenti dell’imperialismo e del colonialismo fa si che esso costruisca sul razzismo e sul sessismo, sulla diseguaglianza e sulla gerarchia la propria idea regolativa della società’ , il criterio di funzionamento delle proprie azioni. Fa si, soprattutto, che ognuno nella scala delle gerarchia sociale possa interiorizzare il concetto di nemico e riprodurre i rapporti di dominio e di esclusione verso chi si trova ad un livello immediatamente inferiore. Il neo-razzismo può’ dirsi sociale precisamente in ciò': che esso e' tanto più’ efficace quanto più’ le sue funzioni sono socializzate da una parte della società’ che sì fa essa stessa "garante'‘ della segregazione e della separatezza, dell’incompatibilita’ e della differenziazione. Ma, al contempo, questo razzismo può’ dirsi pure espressione dei profondi mutamenti che coinvolgono la stessa forma stato e che esaltano le sue funzioni di sovradeterminazione e di comando. Nella misura in cui le condizioni dell’accumulazione capitalistica su scala sociale possono essere garantite solo grazie ad un surplus di comando, l’integrazione di stato e società' si risolve nei termini di un’ "occupazione" di questa da parte dello stato, ovvero in una sovrapproduzione degli strumenti coercitivi e di controllo che attengono alla trascrizione di ogni figura sociale nelle diverse collocazioni de IT organizzazione produttiva sociale. Sul terreno della fabbrica sociale, ogni mediazione e’ tolta, il rapporto dialettico sviluppo-sottosviluppo, lotte operaie-sviluppo capitalistico e’ irrimediabilmente perduto. Il capitale misura solo ciò’ che può’ direttamente comandare. Le modificazioni che questo scenario induce, dal punto di vista delle articolazioni delle funzioni statali, possono essere seguite attraverso le vicende che hanno coinvolto il diritto. Abbandonati gli attributi di generalità’ e astrattezza che lo avevano accompagnato sin dall'origine, la nuova configurazione dei diritto può’ designarsi come un esasperato processo di soggettivizzazione : non più’ produzione seriale di norme e forme sanzionatorie, ma la loro modulazione individuale; procedure e dispositivi volta a volta singolarizzati, attualizzati. Il diritto attesta cosi' l’avvenuta rottura del nesso dialettico nel rapporto capitalistico: da misura di un’ astratta uguaglianza esso si fa tecnologia del controllo, strumento dell’apparato repressivo-autoritariò dello stato. L'analisi di questo processo e’ descritta in Italia dalla vicenda dell’"emergenza", che costituisce da questo punto di vista non solo un proficuo laboratorio di strumentazione legislativa, ma anche l’inaugurazione, avallata da tutto il quadro istituzionale e apertamente invocata dall’allora PCI, di un nuovo metodo di governo. Dentro questo contesto, che prefigura il terreno di coltivazione della Seconda Repubblica, si realizza la convergenza di fascismo e diritto. Nel senso che il suo farsi diretta espressione del comando capitalistico e statuale non e' più' il risultato di una momentanea rottura, di una "interruzione" dello sviluppo, perche’ invece proprio quella rottura e quello sviluppo sono alla base delle nuove rigidità' dello stato e del diritto. Nel senso che la costruzione di questa macchina da guerra e’ condizione normale della definizione dei rapporti di dominio e di potere attuali. Allora, quando parliamo di nuova destra dovremo riferirci senz'altro alle forme nuove del razzismo sociale, ma pure all'insieme di trasformazioni che attengono al diritto e allo stato nel suo complesso, e dalla cui reciproca implicanza e’ possibile solamente ricostruire un quadro sistematico e coerente. In questo senso e' chiaro eh a ancora molto lavoro resta da fare, ne' questo seminario ha alcuna pretesa di esaustività’ . Ma esso avrà' raggiunto il suo scopo se riesce a socializzare un'istanza critica, se riesce a farsi strumento di conoscenza.


DELLE PALESI MANOVRE OCCULTE ( Note sulla ragion di Stato)
Editoriale dal n.3 del bollettino "ECN Bologna’’ giugno 1991.

L'omicidio di Auro, arso vivo nella notte tra sabato 18 e domenica 19 maggio nell’attentato contro il centro sociale "Corto Circuito" di Roma, doveva, nelle intenzioni degli assassini e dei loro complici, passare come "un incidente’'. Domenica sera il Tgl, nel poco spazio dato alla notizia, riportava il parere dei "tecnici": incendio fortuito causato da una stufa a gas. L'atteggiamento di questo e altri media (omertoso il Tg2, sibillino il Tg3, etc. etc. ) apre una nuova fase: dalle stragi impunite alle stragi occultate con il notevole precedente di Ustica. Dall'epoca di Piazza Fontana il triangolo "media-inquirenti-terrorismo’' perimetra un'area rilevante dei procedimenti che assicurano la governabilità’, ma dentro questo spazio sono avvenuti spostamenti, correzioni di rotta, innovazioni tecniche, metamorfosi. Assistiamo ad una svolta cruciale nelle pratiche di governo. Le trasformazioni istituzionali non sono che la punta di un iceberg, una dimensione importante ma non esaustiva, mentre molte delle innovazioni decisive interessano i dispositivi semilegali e illegali del potere, quella dimensione extragiuridica che vi appartiene fisiologicamente e che ne garantisce il funzionamento "normale". Viene operata una nuova definizione del lecito e dell’illecito, la frontiera tra il segreto e ciò’ che viene rivendicato apertamente si sopsta con rapidità: Cossiga plaude Gladio e beatifica molti galantuomini della P2 e in modo complementare il pds fa la sua parte dei lavoro chiamando tutti a raccolta per il referendum a favore della preferenza unica "a garanzia contro i brogli elettorali’’, proprio nei giorni in cui intraprende la riabilitazione di Antonio Gava, nuovo interlocutore privilegiato della DC, fino a ieri individuato e denunciato come il massimo artefice e il maggiore beneficiario di quegli stessi brogli, un uomo di punta alla cerniera tra la faccia legale della DC e i grandi apparati camorristico mafiosi. In questo quadro generale, cui viene imposto un accelerato processo di ristrutturazione, formulare un’ ipotesi di inchiesta e’ al contempo arduo e indispensabile. Alcuni compiti minimi li stiamo già svolgendo: volevano il silenzio su Auro, non l’hanno avuto. I centri sociali romani, RadioOndaRossa, ECN, le assemblee e le manifestazioni di cui diamo parziale resoconto con questo numero del notiziario hanno prodotto una prima , immediata, mobilitazione, ma tutto questo non basta. Dobbiamo acquisire la capacità di coniugare il dolore, la rabbia, la disponibilità alla lotta con una nuova volontà di sapere. Possediamo spezzoni di analisi, alcune tessere del mosaico, ma siamo ancora lontanissimi dall’aver cartografato le nuove dimensioni e le innovazioni strategiche del potere. Se non procederemo in questa direzione saremo condannati ad una visione parziale delle dimensioni dello scontro, a rispondere sempre e solo dopo aver subito un colpo, una ferita, un attacco politico e/o militare. Affrontiamo la necessità evidente di radicalizzare e generalizzare la nostra lotta, di dotarla di capacità di analisi e dio di anticipazione. In questa prospettiva proponiamo la pratica dell'inchiesta che dev'essere riformulata rispetto alle esperienze storiche precedenti, nella consapevolezza che siamo a più' di vent'anni da Piazza Fontana e che alcune apparenti analogie come i grossolani tentativi di coinvolgere settori del movimento anarchico in alcuni "casi misteriosi" (il neostragismo decentrato bolognese, un attentato dinamitardo a Carrara) non sono indicatori attendibili di continuità. Lo stesso concetto di "CONTROINCHIESTA" potrebbe essere fuorviarne se non sapremo assumerlo in un significato nuovo, adeguato ad una situazione radicalmente mutata: "Si è sentito dire di tutto per tentare di spiegare occasionalmente questo nuovo genere di misteri: incompetenza delle polizie, stupidità dei giudici istruttori , rivelazioni inopportune della stampa, crisi di crescita dei servizi segreti, malanimo dei testimoni, sciopero settoriale dei delatori, eppure Edgar Allan Poe aveva già trovato la direzione sicura della verità, con il suo celebre ragionamento del Delitto della Rue Morgue. 4 Mi pare che il mistero sia considerato insolubile proprio per il motivo che dovrebbe farlo ritenere di favcile risoluzione mi riferisco all'aspetto eccessivo sotto il quale appare. ..In indagini come quella che ci occupa, non dobbiamo tanto chiederci come si siano svolte le cose, quanto esaminare in che cosa si distinguono da tutto ciò che è successo finora.'"

(Guy Debord, Commentari, par.XXH) E) -PIERINO.

ECN.: MAGGIO '92, ULTIMA PAGINA) F) -K.H. ROTH: (DA SCANNERARE)

NELLO STATO D'EMERGENZA IN CUI VIVIAMO, IL PUNTO DI VISTA ESTREMO RACCOGLIE LA VERIT?'.
Volantino diffuso a Bologna nel gennaio 1991
BOLOGNA.

Il movimento delle occupazioni di case e spazi sociali trapianta sul corpo della città una rete per la creazione di un nuovo sapere collettivo, di zone franche dal controllo poliziesco, di momenti di riappropriazione della vita quotidiana/ I crescenti fenomeni di autorganizzazione tendono alla rottura dei confini, alla confutazione del dominio mercantile, all’attraversamento e alla ridefinizione dei territori, ad una gioiosa illegalità di massa/ 1 1300 occupanti extracomunitari hanno messo a dura prova le capacità di recupero della giunta rosa-pallido, sconvolgendo i progetti di ristrutturazione urbana e rispondendo a calci in culo allo spettacolo concentrazionario dei piani Moruzzi e Benecchi quest'ultimo non propone che una forma-gulag diffusa, sapendo che la capillarizzazione tecnologica del controllo rende obsoleti i vecchi metodi disciplinari-/ L'Italia sottopotenza in corsa verso il ‘92 vive una radicale revisione dell'apparato istituzionale, per adeguarlo a nuove strategie di dominio da giocarsi nella futura superpotenza europea/ Il sistematico rincretinimento televisivo; l'accentuarsi delle funzioni repressive ad opera di superprefetti idolatri del manganello; l'ennesimo remake della "strategia della tensione" per inscenare sopprattutto a Bologna la vecchia commedia dell'ordine e spostare il P.D.S. più a destra di quanto già non sia/ Queste sono le coperture, intrecciate in un unico megashow, del passaggio alla seconda repubblica reazionaria/ Bologna ridotta a poligono di tiro per branchi di anfetaminici neofascisti è l'epicentro di questa nuova strategia (diversa dalla vecchia in quanto più agile, puntiforme, costruita su un quotidiano stillicidio anziché su episodiche megastragi) in primo luogo perchè qui si giocano le capacità di gestione di quel P.D.S. la cui definitiva e ormai compiuta integrazione e' condizione necessariaper il nuovo salto del capitale; inoltre, perchè questa città è un gabinetto sperimentale dove la decomposizione del corpo sociale delle periferie prepara la distruzione di queste per l’annessione di nuovo capitale-territorio "polo tecnologico", Fiera District, ecc. -/ Nomadi, immigrati, occupanti, sono d'ostacolo a questa annessione e vanno spazzati via/ Se le ultime microstragi sono messaggi cifrati al P.D.S. c'è da dire che questo risponde bene: va riconosciuta la maestria del nostro sindaco nel chiedere la militarizzazione, oltre che del territorio anche delle coscienze, e nelT invitare la gente a fare quadrato intorno alle Istituzioni, spacciate come bersaglio delle ultime sparatorie quando è invece chiaro che nel mirino c'è la popolazione delle periferie, in primis gli immigrati/ Questi ultimi vengono perquisiti, arrestati, espulsi dal territorio nazionale, mentre i Centri Sociali autogestiti "Zanardi" e "Fabbrika" vengono sgomberati con metodi da golpe cileno, e "Capodilucca" e "P.P.M.8" sono oggetto di provocazioni da parte degli sbavanti "vendicatori" della Benemerita. Oggi non è più suffìcente evitare di prendere parte alla commedia o rifiutarsi di applaudirne le scene madri: occorre sabotarne la rappresentazione, occupare il palcoscenico per scaraventarne giù gli attori. Noi proponiamo una semplice soluzione:
AUTORGANIZZARSI, PER OCCUPARE TUTTO!
"Pulsione di morte" Via Capo di Lucca 25 occupata, gennaio '91


copia pirata stampata il 7/11/92 P.19

documentazione
r_emiliaromagna


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