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Lydia Franceschi sulla Giornata della memoria per le vittime dello stragismo e del terrorismo
Un intervento della madre di Roberto, ucciso dalla polizia, richiama i vistosi buchi nella memoria collettiva degli anni 70
(www.reti-invisibili.net)
Lydia Franceschi
Il 9 maggio, giornata della memoria per le vittime dello stragismo e del terrorismo, voluta dal Parlamento, ha lasciato nel retro-cervello il ricordo di centinaia di braccianti, operai studenti, intellettuali, semplici cittadini che sono state vittime dell’uso indiscriminato delle forze di polizia durante manifestazioni per i più elementari diritti umani, civili e politici. in questa nostra Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
Ho ascoltato, in varie occasioni, i discorsi ufficiali, gli interventi politici al altissimo livello sull’importanza della nostra Costituzione e in alcune di tali circostanze venivano ricordati i caduti per la patria, quelli delle forze dell’ordine, le vittime sul lavoro, quelle del terrorismo di ambedue le collocazioni politiche, dello stragismo, le vittime della strada, della mafia, ecc.ecc… ma una categoria è sempre mancata: le vittime delle forze dell’ordine.
Quando politici, magistrati, intellettuali discutevano sull’indulto sentivo le perplessità che avevano rispetto al dolore dei parenti.
Mi sono chiesta e mi chiedo, soprattutto oggi dopo il 9 maggio, ma il dolore appartiene solo a certe categorie di parenti?
Nell’Etica di questo Stato di Diritto noi parenti delle vittime delle forze dell’ ordine abbiamo il diritto al riconoscimento del nostro dolore oppure siamo i reietti di questo paese?
Avevo ascoltato, alcuni anni or sono, l’intervento, alla Camera dei Deputati, di una importante personalità politica che esortava a ricercare le ragioni che avevano portato migliaia di ragazzi e di ragazze ad optare per la repubblica di Salò nel lontano 1943, ma non ho sentito l’invito a ricercare le ragioni per cui una intera generazione, quella del “68 per intenderci, è scesa in piazza per contestare il tipo di sistema politico, economico, sociale, giudiziario, culturale vigente in Italia senza prospettive e fortemente in contraddizione con i più elementari principi costituzionali.
Mai ho sentito ricordare, da coloro che coprono alte cariche istituzionali, i morti di Mussumeli, di Reggio Emilia, delle Fonderie Riunite di Modena, di Avola, di Battipaglia, di Genova o il nome di Ardizzone, Pinelli, Saltarelli, Serantini, Franceschi, Giuseppe Tavecchio, Giannino Zibecchi, Giorgiana Masi, Piero Bruno, Walter Rossi, Pierfrancesco Lo Russo… Carlo Giuliani e tantissimi altri giovani che hanno pagato con la vita l’ostinata caparbietà di non volere una democrazia solamente formale.
Non erano questi giovani dei terroristi, non erano degli scalmanati, non erano capipopolo, ma non erano neppure sudditi, erano giovani preparati e consapevoli che volevano un mondo più giusto, dove la ricchezza non fosse appannaggio di pochi, dove i bambini fossero rispettati e non sfruttati e dove l’eguaglianza economica diventasse realtà per molti popoli.
Questi sono i cittadini italiani di cui non si parla mai o se ne parla per criminalizzarli, facendo di ogni erba un fascio per bollarli e liquidarli come pericolosi sovversivi.
ESSI RAPPRESENTANO LA NON-MEMORIA DI QUESTA NAZIONE.
Afferma Sabina Rossa :” Manca nel nostro Paese una memoria storica collettiva sugli anni dello stragismo e del terrorismo.
Manca la consapevolezza di ciò che ha significato e ha rappresentato il terrorismo come pericolo per la democrazia.(...)
Terrorismo e stragismo di cui la storia ci restituisce tanti casi irrisolti, tante vicende mai chiarite, tante, troppe famiglie che ancora oggi piangono i loro cari senza conoscere i nomi dei loro assassini.
Occorre aprire un dibattito nelle scuole, nella cultura italiana, occorre parlare ai giovani e raccontare loro che cosa è stato lo stragismo e il terrorismo.(...)
I giovani studenti dovranno divenire i primi interlocutori di un processo di chiarificazione storica ad oggi tutt ‘altro che concluso.(...)
Mi sia permesso risponderle:
La storia non potrà mai essere obiettiva se si accetteranno i buchi delle memoria, se saremo circondati da notizie che non possiamo verificare, se si cercherà di omettere o di cancellare le tracce che possono portare verso la vera verità sui fatti di sangue che hanno caratterizzato il nostro Paese.
Noi parenti delle vittime delle forze dell’ordine, usate come braccio armato dei potenti, chiediamo di non essere più le ombre degli scheletri dimenticati nell’armadio degli orrori di questo Stato, di non essere più vittime di questo assurdo sistema che smembra ed esaurisce, quotidianamente, le nostre energie, che sfugge ad ogni tipo di spiegazione comprese quelle che cerchiamo disperatamente di darci, un assurdo che non ci permette di vivere con pienezza nessuno dei sentimenti umani come l’amore, il dolore e anche la ricerca di un po’ di felicità.
Vogliamo tornare ad essere cittadini nella pienezza dei diritti che la nostra Costituzione ci garantisce ma che il sistema di potere ci nega.
Come potete entrare nelle scuole e parlare di stragismo e di terrorismo se non presentate il quadro storico dove queste abominevoli deviazioni sono maturate spesso con il consenso , tacito naturalmente, di chi doveva svolgere un compito di educazione al senso civico delle coscienze dei giovani o prevenire lo svilupparsi di situazioni di insofferenza e malcontento dovute a negligenza o a tornaconto politico.
Uniamoci affinché il 12 dicembre diventi il giorno della memoria per quanti hanno portato o portano il lutto per la morte e per la mancanza di verità sulle circostanze che hanno determinato tali morti .
Finché il politici, i governanti, le alte cariche dello Stato non faranno questo sforzo di coerenza con i principi costituzionali e di onestà intellettuale cercando di divider persino i morti in categorie spendibili per la loro propaganda il nostro Paese rimarrà con una democrazia non solo incompiuta ma cieca, sorda e faziosa .
Non si conquistano così le nuove generazioni
Lydia Franceschi