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Milano, 12 dicembre 1969: una bomba esplode nell’atrio della Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana. Sono le ore 16.37. I morti sono 16, i feriti 87. Dal 1969 al 1980 in Italia ci sono state una lunga serie di stragi – bombe assassine contro inermi innocenti – troppo spesso rimaste impunite. È stata chiamata “la strategia della tensione”.
Ciò che è confermato dalla Storia, prima ancora che dalle inchieste giudiziarie e da sentenze di tribunali e indagini parlamentari, sono le responsabilità di personaggi provenienti da un ambiente dove si incontrano generali golpisti, la crema del padronato italiano, eminenti rappresentanti delle alte sfere vaticane, esponenti dei servizi segreti e – in sordina, ma pronti come sempre a vendersi al miglior offerente – i protagonisti dell’estrema destra italiana, gli organizzatori della variegata area neo-fascista che sarà utilizzata come manovalanza nelle stragi e che in cambio dei propri servizi riceverà da parte di questo intreccio eversivo, coperture, finanziamenti e protezione.
In un contesto storico di grave crisi sociale, le bombe servirono alle classi al potere per far montare il terrore nella società e applicare poi, sull’onda emotiva del risentimento popolare, politiche di reazione e intransigenza. All’epoca, vollero ricondurre al silenzio e al giogo il movimento operaio, le classi popolari, la sinistra extraparlamentare, i movimenti di emancipazione e gli studenti in lotta, continuando a garantire in tal modo profitti sempre più remunerativi al padronato, e consolidando infine i poteri più repressivi dello stato (Polizia e Carabinieri in testa).
Oggi come ieri, tra differenze e analogie
L’Italia di oggi è più che mai un paese allo sbando sotto il profilo politico e morale.
Il Vaticano impone allo stato italiano la sua posizione reazionaria su aborto, eutanasia, ruolo della donna, omosessualità e unioni civili, e contemporaneamente beatifica 500 tra preti e laici fascisti che sostennero il dittatore Francisco Franco ai tempi della guerra civile spagnola.
La magistratura, che da un lato porta avanti richieste pesantissime nei confronti dei manifestanti che nel 2001 contestarono il vertice del G8, è incapace di portare alla luce le responsabilità delle cosiddette forze dell’ordine durante quelle assurde giornate che culminarono con l’assassinio di Carlo Giuliano da parte dei Carabinieri. E su tutto questo grava anche l’incapacità dell’attuale maggioranza di governo di votare all’unanimità l’apertura di un’inchiesta parlamentare sui fatti di Genova.
La disoccupazione, il precariato diffuso, lo sfruttamento sempre più intenso, la mancanza di minime garanzie a tutela della salute, la totale di opportunità, la negazione di diritti primari come la casa, le disuguaglianze estreme, il malfunzionamento delle politiche sociali troppo spesso agite da clientelismo e da necessità elettorali, aggravano le contraddizioni sociali creando disagio, paura, egoismo.
Contraddizioni acuite ancor più dal passaggio storico che l’Italia sta affrontando, il passaggio ad una società multiculturale. In migliaia arrivano portando con sé la propria cultura e i propri costumi, spesso la propria disperazione, in alcuni casi comportamenti sociali inaccettabili. Fuggono da guerre, fame, povertà. Aspirano all’emancipazione, ad una vita migliore. Arrivano senza la mediazione di politiche d’accoglienza che questo governo, così come quello di destra in passato, si è guardato bene dall’approntare, e si scontrano con il disagio già presente tra gli abitanti delle periferie e nel ceto medio precarizzato delle metropoli. Spesso soli, senza conoscere la lingua, isolati individualmente o all’interno delle proprie comunità di appartenenza, sfruttati dagli stessi che li hanno trasportati, sfruttati da quelli che li prenderanno per un lavoro, sfruttati dalla stampa alla quale forniscono gli scoop più lucrosi, a volte sfruttati dai grandi imprenditori dei servizi sociali che si aggiudicano sulle loro spalle e quelle degli operatori, appalti milionari; sfruttati dalla politica che li usa come capro espiatorio. Milioni di persone si spostano nel mondo attraversando le asperità della natura e quelle della legge. Il “terrore a suon di bombe” messo agli italiani ai tempi delle “stragi di Stato” si incute oggi attraverso l’urlo dei media sui reati degli immigrati. Anche se, a dir la verità, i dati contenuti nell’ultimo rapporto sulla criminalità redatto dal Ministero degli Interni, affermano chiaramente la riduzione sensibile dei reati minori (scippi, furti e rapine) negli ultimi anni e la percentuale esigua di immigrati in questi coinvolti. “Rumeni uguale assassini”: questo il motivo dominante degli ultimi giorni di prime pagine e telegiornali.
Le dichiarazioni del leader del PD Veltroni, le posizioni prese dai sindaci-sceriffo alla Cofferati contro baraccati e lavavetri, il pacchetto sicurezza votato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri e il Decreto Legge del governo che concede il potere di espulsione immediata ai prefetti, producono già le prime conseguenze pratiche. Sgomberi di campi rom indiscriminati e di massa e le prime “spedizioni punitive” delle squadracce più o meno fomentate dalle innumerevoli formazioni di destra che agiscono ormai sul nostro territorio. Insomma, la “caccia alle streghe” è cominciata ancora una volta e subito c’è chi, come le formazioni neofasciste, la cavalca.
Verso il 12 dicembre
È per questo motivo che, in occasione della ricorrenza della strage di piazza Fontana, proponiamo a tutte le realtà sociali, così come lo scorso 14 luglio, di promuovere iniziative di controinformazione declinabili secondo modalità e forme autonome e a partire dai propri percorsi politici, che da una parte ricordino un frammento nascosto della storia d’Italia – quella delle vittime innocenti del terrorismo di Stato, delle responsabilità politiche e dei sicari – e che dall’altra riportino il ragionamento alla realtà odierna, rileggendo il presente alla luce della Storia. Sentiamo cioè la necessità di continuare a indagare quel “filo nero” che lega i protagonisti del neo-fascismo italiano di oggi alle stragi di ieri, contemplando al tempo stesso un’analisi attenta di quel contesto politico, economico e sociale che permette loro di muoversi indisturbati. Obiettivo ultimo di tali mobilitazioni continua voler e poter essere quell’arricchimento collettivo che genera ogni riflessione locale e generalizzata sul legame tra lotte sociali, territori e antifascismo. La proposta emersa dal Laboratorio Antifascista, quindi, è quella di partire dalle iniziative intorno al 12 dicembre per costruire una campagna politica e comunicativa che coinvolga tutte le realtà sociali in ogni parte d’Italia – e che contrasti e infine liquidi la politica dei “pacchetti sicurezza” che fascistizza i rapporti sociali, militarizza i territori e innesca derive razziste.
È necessario più che mai affermare un’altra idea di “sicurezza”: quella di una vita dignitosa, di un lavoro senza sfruttamento e precarietà, di servizi pubblici efficienti e aperti a tutti. Principi e diritti materiali che contraddistinguono una società ospitale, inclusiva e giusta, e che garantiscano il funzionamento di vere politiche d’accoglienza, la sicurezza del diritto allo studio e alla casa. Al posto della Polizia in ogni quartiere e del controllo ad ogni costo, chiediamo la certezza di poter sviluppare liberamente le proprie capacità e personalità, di essere rispettati e rispettate in quanto individui, sicuri di poter attraversare liberamente ogni frontiera. Sicuri di non voler più fare o subire le guerre.
Sicuramente insieme a tutti quelli e quelle che si ribellano!
Sicuramente Antifascisti!
Con Carlo, Dax, Federico e Renato, nostri fratelli, nel cuore!