pubblicato il 4.10.08
Massacro del Circeo. Il gioco macabro di tre "bravi ragazzi" ·
Massacro del Circeo. Il gioco macabro di tre "bravi ragazzi"
lunedì 29 settembre 2008
Il 29 settembre del 1975 prendeva corpo uno dei peggiori fatti di cronaca nera della storia italiana. Tre giovani neofascisti romani sequestrano e massacrano le diciassettenni Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, in quello che passa alla storia come “il massacro del Circeo”.
di Cecilia Dalla Negra
UN GIOCO DA BRAVI RAGAZZI - Un promontorio isolato, che racchiude le acque del golfo di Gaeta, in provincia di Latina. Lazio, Italia, secolo scorso, ma di poco. È la noiosa fine d’estate del 1975 quando tre giovani di alto rango e dalle simpatie politiche destrorse, decidono di spezzare la routine alto borghese e viziata rendendo l’idilliaco panorama laziale - rifugio estivo della Roma bene – nel teatro di un massacro dalla ferocia inaudita. Che riempirà le cronache fra disgusto e rabbia, con i dibattiti scatenati fra gli intellettuali che litigano sulla natura più o meno politica di un atto di barbara violenza compiuto contro due ragazze inermi. Tra gli strascichi umani e processuali della vicenda ci sarà lo spazio in cui far entrare gli alterchi intellettuali, le divisioni politiche e le lotte femministe: su tutto, spiccherà una giustizia incapace di punire tutti i colpevoli, capace invece di rimetterne alcuni in libertà, lasciandogli la possibilità di compiere nuovi fatti di sangue. A colpire l’immaginario collettivo e indignare la pubblica opinione oltre alla violenza del gesto, gli artefici. Il massacro del Circeo passerà alla cronache per essere stato compiuto da tre “bravi ragazzi” dell’alta borghesia romana. I figli invidiati, gli studenti modello, che nascondono sotto abiti di marca realtà assai diverse.
Un gioco violento il loro, per rompere quell’ozio e quella noia viziata che sono propri di chi nella vita non ha dovuto ottenere nulla, perché ogni cosa è dovuta. Anche il corpo di una donna – considerata niente più di questo – da seviziare, violentare e massacrare per interrompere il ciclo della noia di fine estate. Ma nel loro gesto atroce non scelgono due donne qualunque: Rosaria e Donatella sono due ragazze umili, figlie dell’emarginazione e del degrado di una grande capitale che dimentica le proprie estremità, le proprie appendici periferiche. È la lezione da dare quindi in quanto classe sociale dominante a chi deve sottostare per ceto e appartenenza. E se di genere femminile, ancora di più.
GLI AUTORI, LE VITTIME - Giovanni Giudo, Angelo Izzo e Andrea Ghira sono tre ventenni dall’aspetto rassicurante. Vestono elegante, hanno orologi pregiati ai polsi, macchine sportive e all’ultima moda. Forse un sogno di emancipazione per due ragazze di 17 anni che vengono dalla periferia romana fatta di quell’isolamento tanto caro a Pier Paolo Pasolini. Ragazze di borgata, di umili origini, che della vita hanno perso l’illusione del sogno ancora prima di cominciare. Rosaria Lopez nemmeno ha finito le scuole medie per occuparsi dei genitori anziani, con cui divide due stanze all’Ardeatino, giù al sud, lontano dal centro sfavillante della dolce vita. Donatella Colasanti è figlia di un impiegato e di una casalinga, ed è stata lei a conoscere i suoi aguzzini qualche giorno prima, al “bar del Fungo” all’Eur, fra un caffè e un aperitivo. ghiracirceo.jpg
Sono giovani, affascinanti, dall’aspetto affidabile. Solo all’apparenza però, perché dei tre Giovanni Guido, studente di architettura, è l’unico incensurato. Gli altri “fratellini”, come si chiamano fra camerati, sono compagni di giornate, scampagnate, rapine e stupri. Figli della Roma che conta, Angelo Izzo e Andrea Ghira sono famosi in città per la prepotenza che li caratterizza, e per passioni non propriamente convenzionali. Se il primo è in cura da uno psichiatra che gli diagnostica nevrosi maniaco-depressive, il secondo subisce una pericolosa fascinazione per tutto ciò che è discriminante: in casa sua verranno ritrovati busti di Hitler e Mussolini, scritti di Julius Evola che inneggiano alla supremazia della razza. Al liceo ha abbracciato la causa squadrista, ed ha fondato un gruppetto neofascista che teorizza la violenza e il crimine come forma di affermazione sociale. È lui il capo della banda, e si fa chiamare Jacques. Per non essere riconosciuto, certo, ma anche per la sua ammirazione verso quel Berenger, criminale marsigliese, che ha messo a segno rapine e sequestri su Roma proprio negli anni ’70. Ma non finisce qui. Perché Izzo e Ghira sono già noti alla polizia per aver compiuto rapine, sequestri di persona, violenze sessuali. Sono stati arrestati per stupro, ma sebbene condannati non hanno mai scontato un giorno di carcere. “Era prassi consolidata nel gruppo stuprare le ragazze”, ammetterà candidamente Izzo, durante un’intervista recente.
Le due prede che incontrano nel bar dell’Eur, poi, devono apparir loro particolarmente ambite, se oltre ad essere giovani donne sono anche parte di quella plebe che tanto disprezzano.
guidocirceo.jpgL’INCUBO - Iniziano così, fra i tavolini di un bar, 36 ore di incubo per Donatella e Rosaria, che culmineranno con la tragedia. I ragazzi danno loro appuntamento per lunedì 29 settembre alle 4 del pomeriggio. “Andiamo a una festa, ci divertiamo, vedrete” dicono loro, mentre le caricano sulla Fiat 127 di Guido. Parte la corsa verso Villa Moresca. Residenza estiva della famiglia Ghira, è una grande abitazione disposta su due piani, giardino, taverna, garage. Affaccia sul bel panorama dell’Isola di Ponza ed è isolata, immersa nel silenzio come ogni villa del Circeo. Un inferno, se sei stato sequestrato, perché nessuno può sentire le tue grida. Sono le 18.30 quando arrivano e, puntando le pistole contro le ragazze, le chiudono nel bagno. Per Giovanni Giudo c’è anche il tempo di tornare a casa, a Roma, e cenare con i genitori come nulla fosse. A vigilare sulle ragazze sequestrate resta Angelo Izzo, che le costringe a turno ad avere rapporti con lui. Sono le 23 quando rientra Guido, questa volta insieme a Ghira: sono drogati, e da questo momento inizieranno sevizie, violenze sessuali, percosse. Donatella approfitta di un attimo di distrazione, striscia fino al telefono, chiama il 113. “Mi stanno ammazzando” riesce a dire, prima che una spranga di ferro le colpisca la schiena. Sente le grida di Rosaria che arrivano dalla stanza accanto, come se qualcuno la stesse affogando. Ed è proprio quello che stanno facendo, perché Rosaria Lopez, 17 anni, dopo le violenze subite viene annegata nella vasca da bagno. Donatella riuscirà a salvarsi solo fingendosi morta. È a questo punto che i tre chiudono i corpi dentro due sacchi di plastica, nascondendoli nel baule della macchina con cui erano arrivati. Sono le 21 di martedì 30 settembre, il supplizio delle ragazze è andato avanti per 36 ore. Rientrano a Roma, parcheggiano l’auto nei pressi di via Nomentana e cercano una pizzeria. Come non avessero massacrato e violentato due ragazzine sino a quel momento. Come non ne avessero nascosto i cadaveri nella propria auto. Ma Donatella è viva, e si fa sentire. Un metronotte, richiamato dai suoi lamenti, la trova agonizzante e coperta di sangue nella notte inoltrata: in quel bagagliaio, accanto al cadavere dell’amica, c’è rimasta quasi tre ore.
Le immagini del ritrovamento faranno il giro del mondo, e lasceranno l’Italia attaccata allo schermo di una tv in bianco e nero, che quel sangue e quella violenza li lascia solo immaginare.
L’ITER GIUDIZIARIO - Gianni Giudo e Andrea Izzo vengono arrestai poche ore dopo il ritrovamento di Donatella Colasanti. Ghira inizialmente non è neanche indiziato, e nei lunghi anni del processo non verrà mai catturato. Conosciuti dalle forze dell’ordine per i precedenti, i “bravi ragazzi” vengono mandati in primo grado nel luglio del 1976. Mentre i primi due vengono accusati di omicidio pluriaggravato e condannati all’ergastolo, Ghira è fuggito. Arruolato nel Tercio, dicono, la Legione straniera spagnola, da cui sarebbe poi stato espulso nel 1994 per abuso di droga. Morto di overdose e sepolto nel cimitero di Melilla, con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Almeno questo è quello che sostiene l’esame del Dna effettuato sul cadavere riesumato nel 2005. Non è quello che sosteneva invece Donatella Colasanti, parte civile al processo, che ha continuato a denunciarlo per anni senza ascolto: “Ghira non solo è vivo, ma abita ancora a Roma”. La Cassazione, nel 1981, confermerà le condanne per Izzo e Guido. La loro storia però sarà costellata, da questo momento in poi, da tentativi di evasione più o meno riusciti, che porteranno addirittura Izzo a uccidere ancora. Ottenuto il regime di semilibertà nel 2001, nel maggio 2005 ucciderà la compagna Maria Carmela Limucciano e sua figlia Valentina, di 14 anni. Un “errore” della giustizia, come tanti altri. Forse più grave, se si tiene conto della ferocia con cui si erano mossi i colpevoli di questo terribile caso di cronaca nera. Che sarà capace di scatenare dibattiti intellettuali sulle colonne dei giornali, tra firme come Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini. E la cui vicenda giudiziaria sarà accompagnata dai movimenti femministi, anche loro costituitisi parte civile al processo contro gli aguzzini. Un processo condotto e vinto dall'avvocato Tina Lagostena Bassi, portavoce dei diritti delle donne calpestati dalla violenza maschile.izzocirceo.jpg
EPILOGO TRISTE - Donatella Colasanti è sopravvissuta alle violenze di quel giorno, ma non al loro ricordo. Una donna distrutta, rovinata, che se n’è andata silenziosamente nel 2005, dopo una lunga malattia. Continuando a chiedere che venisse fatta giustizia, con quella morte negli occhi che appartiene solo a chi la morte l’ha sfiorata, e l’ha vista da vicino. Difficile pensare di poter dimenticare, nel corso di una vita, violenze tanto gravi che sono state subite. Ancora più difficile se nella consapevolezza che a muoverle fu la bestialità di ragazzini arroganti e annoiati, che sotto le camicie inamidate nascondevano un’identità per troppo tempo impunita di violenti criminali.
Cecilia Dalla Negra
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