pubblicato il 5.07.18
Cile: omicidio Victor Jara, 18 anni carcere a ex militari Pinochet ·
Sono nove i colpevoli della morte di Victor Jara (qui il nostro approfondimento sul personaggio), il cantante cileno ucciso 45 anni fa – il 16 settembre 1973 – dalla nascente dittatura fascista di Augusto Pinochet, dopo il golpe messo in atto per spodestare Salvador Allende, capo di Stato eletto democraticamente eletto. Come si legge sul Guardian, gli assassini sono militari oggi in pensione: otto dei quali condannati a 15 anni di carcere per omicidio, più tre anni per il reato di sequestro, e uno chiamato a scontare cinque anni per complicità. Il giudice Miguel Vasquez che ha affrontato il caso ha emesso la sentenza alla fine di un lungo procedimento che ha permesso di individuare le singole responsabilità dei militari, ma anche quelle dell’allora direttore delle prigioni Littre Quiroga Carvajal. Nel giugno del 2016 i giudici di Santiago avevano già trovato un altro ex soldato responsabile della morte di Jara: Pedro Pablo Barrientos Nuñez, oggi cittadino americano del quale il Cile ha chiesto l’estradizione. Fuggì negli Stati Uniti nel 1989, subito dopo la fine del governo di Pinochet e le prime elezioni libere in Cile dopo quasi due decenni di dittatura.
L’ATTACCO ALLA MONEDA – L’11 settembre 1973, nelle ore in cui i militari di Pinochet attaccavano la Moneda, la residenza del primo ministro, Jara aveva 39 anni, era membro del partito comunista e aveva appoggiato la campagna elettorale di Allende nel 1970, facendo propaganda per Unidad Popolar e suonando gratuitamente in numerosi concerti. Musicista, poeta, regista e autore teatrale, era diventato uno dei protagonisti della rinascita culturale del Paese. Nei giorni seguenti si scatenò una violentissima ondata di repressione: Jara venne arrestato due giorni dopo il golpe e portato, con centinaia di altri prigionieri, nello stadio nazionale del Cile: negli spogliatoi, gli ufficiali dell’esercito e del ministero dell’Interno conducevano gli interrogatori. Lì gli furono spezzate le dita con cui aveva composto alcune tra le più belle canzoni della folk music che avrebbero ispirato, anni più tardi, cantautori come Bob Dylan, Bruce Springsteen e gli U2.
LE TORTURE ALLO STADIO – Insieme a lui vennero trasferite 5mila persone, tra militanti comunisti, socialisti o uomini e donne semplicemente sospettati di volersi opporre a quanto stava avvenendo. Il corpo senza vita di Jara venne trovato qualche giorno più tardi, vicino a un binario ferroviario nei pressi del cimitero di Santiago: aveva ferite causate da almeno 44 proiettili sparati da una mitragliatrice. Sua moglie Joan e sua figlia Amanda riuscirono a fuggire dal Paese: dopo una lunga battaglia giudiziaria, sono riuscite nel 2oo9 a far riesumare il corpo dell’artista per effettuare una completa autopsia. Solamente nel 1998 il giudice spagnolo Baltasar Garzón emise contro Pinochet un mandato di cattura internazionale: il dittatore, accusato di genocidio, terrorismo e tortura, venne fermato a Londra, ma non fu mai condannato. Tornato in Patria nel 2000, non è mai stato sottoposto ad alcun processo ed è morto a Santiago del Cile per un attacco di cuore, il 10 dicembre del 2006, a 91 anni.
VERITA’ E GIUSTIZIA – Nei primi giorni dopo il colpo di stato, lo stadio di Santiago (ora ribattezzato Stadio Victor Jara, ndr.), inaugurato nel 1938, venne trasformato in un centro di detenzione e tortura per migliaia di oppositori politici e attivisti Secondo la Commissione per la verità e la giustizia, durante il regime militare «furono uccisi almeno 3.100 oppositori politici: tra questi almeno un migliaio sono desaparecidos, cioè sono scomparsi e il loro corpo non è mai stato ritrovato». Jara non può raccontarci quanto successo, ma ci aiutano le parole di Lelia Pérez (in un’intervista di qualche anno fa al El Mundo e in una alla Abc), sopravvissuta, che venne arrestata (per la prima volta) a 16 anni dai servizi di sicurezza, insieme a dieci compagni di scuola. Divenne la cavia dei soldati, che la usavano per esercitarsi alla tortura. I detenuti erano tenuti sugli spalti dello stadio, con le mani legate e le mitragliatrici costantemente puntate contro. Lelia vi passò cinque giorni prima di essere liberata, senza alcuna spiegazione, e scaraventata in una strada, di notte. Alla fine del 1976, fu costretta a lasciare il Cile.
Quando mi torturavano, finivo in un mondo tutto mio, era come se stessi guardando me stessa da fuori, come se non stesse accadendo a me. Una cosa brutale… Perdevi rapidamente il senso del tempo, come se le luci fossero sempre accese. Capivi se era giorno o notte solo dal cibo servito ai militari che ci sorvegliavano… Ero stata costretta a indossare vestiti di persone che avevo visto morire… (Una volta liberata, ndr.) C’era il coprifuoco e le poche persone che circolavano si tenevano a distanza. La strada era piena di bordelli e alcune operatrici del sesso mi portarono dentro, mi fecero lavare e mi diedero dei vestiti. Entrai in quello stadio che avevo 16 anni, quando ne uscii mi sembrava di averne 60.
LA PARTITA FANTASMA – L’Estadio Nacional riprese la funzione “sportiva” alcuni mesi il golpe, in occasione della partita tra la nazionale cilena e quella dell’Unione Sovietica, valevole per la qualificazione ai Mondiali di calcio del 1974. L’Unione Sovietica chiese alla Fifa di non giocare la partita in quel “luogo del terrore”, ma quando la Federazione effettuò un sopralluogo, non trovò nulla di strano e rese tollerabile l’intollerabile: molti prigionieri erano stati spostati nei seminterrato e costretti a rimanere in silenzio. La Nazionale russa non scese in campo e quella cilena segnò un goal in pochi secondi con il bomber Carlos Caszely, senza avversario, qualificandosi il 21 novembre del 1973 ai Mondiali di Germania 1974. Nella vergogna. Una azione manovrata in una partita fantasma .
http://pochestorie.corriere.it/2018/07/04/cile-omicidio-victor-jara-18-anni-carcere-a-ex-militari-pinochet/
Jara e la roulette russa degli aguzzini
A quarant’anni dalla tragica morte, si è concluso a Orlando, in Florida, il processo per l’omicidio di Victor Jara (iniziato nel 2012), il cantante cileno ucciso a 39 anni, nei primi giorni della dittatura militare di Augusto Pinochet nel settembre del 1973. Come ricorda tra gli altri il Miami Herald, per l’uccisione del musicista, «torturato e ucciso con 44 colpi di proiettile nello stadio di Santiago», un tribunale statunitense «ha riconosciuto l’ex ufficiale cileno Pedro Pablo Barrientos Nuñez colpevole».
Conosciamo molte famiglie dei desaparecidos e ci hanno mostrato le fotografie dei loro cari scomparsi. Sono stati momenti che porterò dentro per sempre. Per i musicisti impegnati, Víctor Jara continua a essere un grande esempio. È un onore essere qui (Le parole usate da Bruce Springsteen il 12 settembre 2013 per introdurre la canzone “Manifiesto” di Jara, in occasione del concerto a Santiago del Cile, nell’anno del quarantesimo anniversario del golpe)
Barrientos, 67 anni, oggi vive negli Stati Uniti (dove è diventato cittadino americano) ed è stato condannato a pagare un risarcimento di «28 milioni di dollari alla famiglia Jara (e alla vedova Joan Turner, che ora ha 88 anni)». Le autorità cilene hanno però chiesto la sua estradizione. Jara è diventato uno dei simboli della brutalità del regime militare di Augusto Pinochet che ha governato il Paese per 17 anni. Barrientos, all’epoca tenente, «è accusato di essere stato a capo del gruppo di militari che torturarono Jara e gli spararono alla testa, uccidendolo». Sulla rivista cilena Cambio, si legge:
Dopo una giornata di tortura, Barrientos aveva “giocato” alla roulette russa nella nuca del cantante arrestato assieme a professori e alunni dell’Università Tecnica dello Stato (Ute). Alla fine lo uccise. Poi ordinò a cinque reclute che trasferissero il corpo, assieme a quello di altri detenuti, non prima di averlo fatto crivellare con 44 colpi. I suoi resti vennero ritrovati nelle vicinanze del cimitero Metropolitano
Lo stadio di Santiago (ora ribattezzato Stadio Victor Jara, ndr.) venne trasformato in centro di detenzione e tortura per migliaia di oppositori politici e attivisti nei primi giorni dopo il colpo di stato dell’11 settembre del 1973, con cui Pinochet prese il potere, destituendo il presidente Salvador Allende. Secondo la Commissione per la verità e la giustizia, durante il regime militare «furono uccisi almeno 3.100 oppositori politici: tra questi almeno un migliaio sono desaparecidos, cioè sono scomparsi e il loro corpo non è mai stato ritrovato».
Gli spiegavano come interrogare, come applicare la corrente elettrica, dove e per quanto tempo. Quando mi torturavano, finivo in un mondo tutto io, era come se stessi guardando me stessa da fuori, come se non stesse accadendo a me. Una cosa brutale
Così non può raccontarci Jara. Così racconta Lelia Pérez, sopravvissuta. Aveva 16 anni quando venne arrestata per la prima volta dai servizi di sicurezza, insieme a dieci compagni di scuola. Divenne la cavia dei soldati, che la usavano per esercitarsi alla tortura. I detenuti erano tenuti sugli spalti, con le mani legate e le mitragliatrici costantemente puntate contro. Intanto, all’interno dello stadio, venivano costruiti dei gabbiotti speciali. È qui che avvennero le peggiori torture. Lelia vi passò cinque giorni prima di essere liberata, senza alcuna spiegazione, e scaraventata in una strada, di notte. Alla fine del 1976, fu costretta a lasciare il Cile.
Perdevi rapidamente il senso del tempo, come se le luci fossero sempre accese. Capivi se era giorno o notte solo dal cibo fornito ai militari che ci sorvegliavano… Ero stata costretta a indossare vestiti di persone che avevamo visto morire. C’era il coprifuoco e le poche persone che circolavano si tenevano a distanza. La strada era piena di bordelli e alcune operatrici del sesso mi portarono dentro, mi fecero lavare e mi diedero dei vestiti. Entrai in quello stadio a 16 anni, quando ne uscii mi sembrava di averne 60
Quei giorni di terrore furono solo l’inizio di una vicenda terribile che portò Lelia attraverso alcune delle più famigerate prigioni di Pinochet. Nel corso di due anni, venne imprigionata tre volte e torturata.
http://pochestorie.corriere.it/2016/06/30/victor-jara-roulette-russa-aguzzini-cile/
materiali storici
r_internazionale
articolo precedente
articolo successivo