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31.08.22 La violenza che ci sommerge: Noi sappiamo
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2.11.21 Ferrara, aggressione omofoba contro un gruppo di giovani Lgbt. "Mussolini vi brucerebbe tutti"
16.08.21 Aggressione omofoba ad Anzio, 22enne preso a pugni mentre passeggia insieme al fidanzato
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25.01.23 L’ex camerata in affari con Fratelli d’Italia e le bastonate ai carabinieri
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Informazione Antifascista 1923
Gennaio-Febbraio - a cura di Giacomo Matteotti ·


pubblicato il 21.10.21
L’impero offshore del neofascista Delfo Zorzi gestito dall’avvocato svizzero di Licio Gelli
·
L’ex terrorista nero controlla segretamente decine di aziende, catene di negozi e proprietà dall’Italia alla Svezia, Francia, Svizzera e Giappone. Al vertice c’è il Thor Trust, amministrato da un famoso legale elvetico, condannato per il crack della Parmalat. Un telefonino anonimo usato durante la latitanza per comunicare con un leader di Forza Nuova

21 Ottobre 2021

Si chiama Thor Trust. È una tesoreria anonima, intitolata al dio guerriero della mitologia vichinga, con base a Panama. Custodisce le azioni di una ragnatela di società offshore, che controllano catene di negozi di abbigliamento, aziende di prodotti in pelle, imprese di import-export della moda italiana, stabilimenti e proprietà immobiliari, da Milano a Venezia, dalla Svezia al Giappone, dalla Svizzera alla Francia. I Pandora Papers ora ne svelano il titolare: Delfo Zorzi, ex terrorista dell’organizzazione nazifascista Ordine Nuovo, emigrato negli anni ’70 a Tokyo, dove è diventato milionario, ha sposato una ricca ereditiera e ha acquisito la cittadinanza nipponica con il nuovo nome di Hagen Roi.

Le offshore dell’ex terrorista nero sono gestite dai professionisti svizzeri della Fidinam, la più importante compagnia fiduciaria del Canton Ticino. I documenti riservati ottenuti dal consorzio giornalistico Icij e in Italia dall’Espresso indicano come «protector» del Thor Trust (cioè unico rappresentante dell’anonimo proprietario, con l’incarico di controllare e indirizzare gli amministratori fiduciari) uno dei più importanti avvocati elvetici: Gian Giorgio Spiess, uno dei fondatori della Fidinam, famoso in Italia soprattutto perché è stato lo storico legale svizzero di Licio Gelli. Il capo della P2 lo scelse come difensore di fiducia ai tempi d’oro della loggia massonica segreta e poi negli anni più difficili delle indagini sul crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e sulla strage di Bologna. In Svizzera, dove nascondeva centinaia di milioni, Gelli aveva bisogno di un avvocato di prestigio, con un’influenza anche politica: Spiess a Lugano ha fatto parte dell’assemblea legislativa e dell’esecutivo e ha rivestito cariche di rilievo in società e fondazioni. Ha guidato per molti anni anche il calcio europeo come membro, fino al 2018, del comitato esecutivo della Uefa.

Il Thor Trust è al vertice di una piramide di offshore che controllano aziende e proprietà in Europa e in Estremo Oriente. A gestire tutta la costellazione di società anonime è proprio la Fidinam, che lavora per Delfo Zorzi almeno dal 2001. I primi documenti che emergono dai Pandora Papers riguardano la Vega Limited, una offshore dell’Isola di Man con sede operativa a Lugano. Le date sono inquietanti. Delfo Zorzi era stato incriminato a Milano nell’ultima indagine sulla strage di piazza Fontana e dal 1997 era un ricercato, con mandato di cattura internazionale. Il 30 giugno 2001 è stato condannato in primo grado all’ergastolo. In Svizzera la Fidinam ha iniziato a gestire la sua offshore due mesi dopo, nell’agosto 2001. Ma lo ha registrato come cittadino giapponese, con il nome di Hagen Roi.

Per sbrigare le pratiche legali del Thor Trust e delle altre società collegate, la fiduciaria svizzera si è rivolta allo studio Alcogal di Panama, una delle 14 fabbriche internazionali di offshore che sono al centro dei Pandora Papers. Nelle carte trasmesse a Panama non viene mai citato il nome italiano del cliente e non si trova alcun riferimento alla strage di 17 innocenti a Milano, che segnò l’inizio del terrorismo politico in Italia. Come titolare effettivo della Vega viene infatti registrato il ricco cittadino giapponese Hagen Roi, senza precisare che si tratta della seconda identità del terrorista nazifascista allora latitante.

In Italia Delfo Zorzi è stato poi assolto in appello, nel 2004, per insufficienza di prove e nel 2005 la Cassazione ha confermato la sua innocenza. Il suo ex capo, Carlo Maria Maggi, leader dell’organizzazione nazifascista Ordine Nuovo nel Triveneto, è stato poi condannato in via definitiva come organizzatore della strage di Brescia (28 maggio 1974, otto morti e 102 feriti) insieme a un collaboratore del Sid, il servizio segreto militare allora dominato dalla P2, che era ancora segreta.

La Vega Limited e altre società estere, lussemburghesi e portoghesi, gestite da una factotum italiana di Zorzi, furono svelate per la prima volta nel 2005 da un’inchiesta giornalistica dell’Espresso firmata da Alessandro Gilioli. Già quegli articoli indicavano l’ex terrorista nero come il vero proprietario, dietro lo schermo di quelle sigle anonime, di alcune aziende italiane di abbigliamento, tra cui la catena Oxus, che tra l’altro aveva un negozio, concesso in affitto a prezzo molto basso dal Comune di Milano, nella prestigiosa Galleria di fronte al Duomo. Quel favore immobiliare al nazifascista diventato milionario scatenò polemiche e proteste contro la giunta di centrodestra che allora governava Milano.

Ora i Pandora Papers confermano quelle informazioni e allargano il quadro, facendo luce sulla catena di controllo di decine di società estere che fanno capo a Delfo Zorzi. In cima c’è il Thor Trust, che è attivo da molti anni e risulta ancora operativo nel 2017, quando si fermano i documenti disponibili. Almeno a partire dal 2009, questo fondo offshore funziona come tesoreria centrale dell’impero economico di Zorzi. Il trust, in particolare, custodisce le azioni di almeno sei offshore, tra cui la Vega Limited. Questa ha operato tra l’Europa e l’Estremo Oriente, quantomeno dal 2001 al 2015, nell’import-export di vestiti e prodotti in pelle. Un’altra offshore, attiva almeno fino al 2016, si chiama Cachak Comercio e Marketing, è collocata nel paradiso fiscale di Madeira e ha un ruolo di holding: controlla altre società operative, comprese alcune aziende italiane del settore dell’abbigliamento che hanno stabilimenti e magazzini tra Milano e Mestre, la città d’origine di Zorzi.

Un’altra cassaforte finanziaria del gruppo, Meadcraft Holdings Ltd, ha sede a Cipro: dagli atti risulta che ha prestato 3,2 milioni di euro alla Vega Limited, ma nel 2006 il debito è stato condonato.

Zorzi ha una società anonima anche a Panama, chiamata Tormes Trading Inc: è nata nel 2002 ed è stata gestita per anni da Daniela Parmigiani, la factotum in Italia di Zorzi, che negli ultimi tempi sembra però aver rotto i rapporti con lei.

Zorzi ha usato invece una offshore dell’Isola di Man, chiamata Raven Limited, per comprare una proprietà immobiliare in Giappone, non meglio precisata.

La stessa Raven, nel 2006, ha acquistato da una ditta olandese una quota di una società di prodotti d’abbigliamento con il marchio Hobbit, con una decina di filiali in Francia. Nel 2008 la offshore controllata segretamente da Zorzi ha rivenduto quelle azioni per 850 mila euro all’azienda francese Vob, che ha sede a Marsiglia.

Nel mondo dell’estrema destra questo nome, tratto dai romanzi di Tolkien, richiama i «campi Hobbit», i raduni dei giovani neofascisti organizzati a partire dagli anni ’70.

Alle offshore di Zorzi inoltre fanno capo, attraverso la società anonima lussemburghese Tall International, altre società italiane di abbigliamento, come la Fin Fashion, che ha sede in provincia di Venezia ed è tuttora operativa, e il Gruppo Italiano Pelle (Grup).

In Svezia ha fatto scalpore la scoperta che è sempre Zorzi-Hagen a controllare segretamente, tramite la stessa catena societaria, il gruppo Mullbeck, che importa e rivende borse e vestiti dei più celebri marchi della moda italiana, in una serie di magazzini e negozi di lusso tra Stoccolma e Goteborg. La televisione svedese Svt, che fa parte del consorzio Icij, ha dedicato al caso un programma d’inchiesta in prima serata, spiegando come il nazifascista italiano, attraverso le società anonime ora smascherate dai Pandora Papers, è riuscito a infiltrarsi nel tessuto economico della nazione che è stata la culla della socialdemocrazia. Come rappresentante della proprietà, nei registi pubblici svedesi compare il nome di una signora del Montenegro. Contattata al telefono, la donna dice che bisogna rivolgersi all’avvocato della Mullbeck, che però non risponde alle chiamate e alle email inviate dalla tv svedese e dal consorzio Icij.

La rete di offshore di Delfo Zorzi è servita anche a tenere i rapporti con altri ex terroristi di destra latitanti all’estero. Nell’estate del 1997, in particolare, la polizia di Milano ha intercettato un telefonino svizzero intestato alla Vega Limited, scoprendo che veniva utilizzato da Zorzi, mentre era ricercato, per trasmettere ordini e comunicazioni riservate. Nel tentativo (fallito) di sfuggire ai controlli della Digos, il latitante aveva organizzato una triangolazione di telefonate: lui chiamava dal Giappone il cellulare svizzero, a rispondere era un suo dipendente italiano che trasmetteva i messaggi ai destinatari. Tutto con nomi in codice: Zorzi veniva chiamato Gm, che sta per General manager, il suo portavoce Dottor C.

Quelle intercettazioni giudiziarie documentano che Zorzi, anche mentre era ricercato per la strage di Piazza Fontana, continuava ad avere rapporti strettissimi con alcuni neonazisti romani. E con un capo storico dell’eversione nera, che allora era latitante a Londra: Massimo Morsello, condannato per terrorismo e banda armata insieme a Roberto Fiore, con cui nello stesso 1997 ha fondato Forza Nuova. Quell’estate la polizia italiana registra, attraverso il cellulare della Vega, continui colloqui a distanza con Morsello, con punte di 17 chiamate al mese. Riassumendo i risultati delle intercettazioni, gli agenti dell’antiterrorismo denunciano l’esistenza di «una struttura ramificata in più Stati: una Internazionale Nera che finanzia gruppi europei di estrema destra e fornisce supporto logistico per la latitanza all’estero di terroristi neofascisti italiani».

Nei lontani anni di piombo, Fiore e Morsello erano i leader romani di Terza Posizione, l’organizzazione nazifascista da cui è nato il gruppo stragista dei Nar. Sfuggiti all’arresto, i due terroristi di destra hanno trascorso insieme quasi vent’anni di latitanza a Londra, dove sono diventati milionari affittando alloggi e posti letto per studenti con la loro impresa Meeting Point, poi ribattezzata Easy London. Fiore e Morsello hanno creato anche una ricca rete di trust. Rimasti liberi, sono riusciti a far cadere in prescrizione le loro condanne definitive e alla fine degli anni ’90 sono rientrati in Italia, accolti come leader da centinaia di neofascisti. Morsello è morto nel 2001, mentre Fiore ha continuato a fare politica ed è tuttora il leader del movimento neofascista, che da qualche mese cavalca le proteste contro i vaccini e nei giorni scorsi ha scatenato la giornata di devastazioni e violenze squadriste a Roma.

Per la strage di Piazza Fontana, Delfo Zorzi è stato assolto in appello con un verdetto approvato in via definitiva dai giudici della Cassazione su richiesta della Procura generale. La stessa sentenza che lo ha scagionato, però, conferma che Zorzi è stato un terrorista di Ordine Nuovo e ha sicuramente commesso altri due attentati, senza vittime. La Corte d’assise d’appello, in particolare, spiega che Zorzi ha collocato personalmente una bomba con 5,7 chili di esplosivo, nella notte del 4 ottobre 1969, sotto le finestre di una scuola elementare di Trieste, frequentata dai bambini della minoranza slovena. Un mese dopo, il 6 novembre, sempre Zorzi ha piazzato un ordigno esplosivo con le stesse caratteristiche a Gorizia, vicino al cippo di confine tra l’Italia e la Jugoslavia di Tito. Entrambe le bombe non sono scoppiate perché il timer era difettoso. Ai due attentati hanno partecipato, insieme a Zorzi, altri tre neofascisti, che molti anni dopo hanno confessato tutto.

Le definitive sentenze giudiziarie chiariscono che i due ordigni erano programmati per esplodere di notte: l’obiettivo non era uccidere, ma terrorizzare le famiglie slovene che vivono in Italia. Quindi entrambi gli attentati, senza vittime, sono finiti in prescrizione ancora prima che iniziasse l’ultimo processo per Piazza Fontana. Dove poi è caduta anche l’ipotesi di un collegamento con la strage di Milano: per i due attentati contro gli sloveni, Zorzi e i suoi camerati hanno usato candelotti di gelignite, una sostanza dinamitarda di tipo comune, di produzione industriale; mentre per l’eccidio del 12 dicembre 1969, come attestano tutte le perizie, gli stragisti hanno utilizzato un mix di due esplosivi molto più potenti, di provenienza militare. Anche la sentenza definitiva della Cassazione, che ha assolto Zorzi, conferma però che la strage di piazza Fontana va attribuita al gruppo veneto di Ordine Nuovo. E Delfo Zorzi, che seppe tutto a cose fatte e ne parlò ai suoi fedelissimi poche settimane dopo, è uno dei pochissimi che conoscono la verità sulla strage di Milano, la madre di tutte le bombe nere. Nel curriculum giudiziario di Zorzi, oggi, compare solo una vecchia condanna definitiva dopo un arresto nel 1968 per possesso di armi ed esplosivi.

In questo quadro, il ruolo della Fidinam solleva interrogativi pesanti. La spiegazione più semplice è soltanto economica: i fiduciari svizzeri accettano clienti di ogni tipo, il consorzio Icij ha contato ad esempio 13 arrestati della Tangentopoli brasiliana, basta che siano ricchi e paghino la parcella. La presenza di Spiess personalmente al vertice dell’impero offshore di Zorzi, però, fa pensare a legami più profondi. Il potente avvocato e politico svizzero aveva difeso Licio Gelli negli anni più neri, segnati dall’omicidio di Roberto Calvi a Londra, le indagini milanesi sul crack criminale dell’Ambrosiano, la scoperta della P2, il primo arresto del capo della massoneria segreta in Svizzera, il sequestro dei suoi conti esteri con oltre 300 milioni rubati alla banca fallita, la clamorosa fuga in elicottero dal carcere di Ginevra, l’insabbiamento a Roma delle inchieste sulla loggia, fino alla cattura e all’estradizione in Italia. Dove Gelli è stato incriminato e condannato, con la sua cordata di ufficiali piduisti dei servizi segreti, anche come burattinaio dei più gravi depistaggi delle indagini sulla strage di Bologna, un altro massacro eseguito da terroristi nazifascisti. Il ruolo cruciale di Spiess nelle strategie difensive per salvare Gelli è descritto anche nelle sentenze milanesi sul Conto Protezione, uno dei capitoli più importanti del libro nero di Tangentopoli.

Il nome di Spiess si collega però anche a un’altra bancarotta italiana di portata storica: il crack della Parmalat. Nel dicembre 2003, quando il fallimento del colosso del latte italiano rovinò migliaia di risparmiatori, l’ex patron Calisto Tanzi giurò di non aver rubato nulla e di non avere mai avuto alcun conto estero. A Milano però i pubblici ministeri Francesco Greco ed Eugenio Fusco scoprirono che Tanzi mentiva: aveva nascosto in Svizzera almeno 20 milioni di euro, su conti esteri personali, schermati attraverso società anonime intestate proprio a Spiess. Incriminato a Parma per complicità nella bancarotta, l’avvocato elvetico ha ammesso di aver svolto il ruolo di fiduciario per Tanzi, cioè di prestanome di lusso, e ha patteggiato una condanna a due anni e due mesi, con la condizionale, evitando il carcere. Al processo è emerso tra l’altro che i soldi trafugati dalle casse della Parmalat venivano riportati di nascosto in Italia, in valigie piene di contanti, da corrieri di valuta reclutati dalla Fidinam. Dopo il crack della Parmalat, nel 2004 Spiess è uscito dal consiglio di amministrazione della holding al vertice del gruppo elvetico, ma è rimasto fino al 2011 nel direttivo di una controllata, Fidinam Partecipazioni. E nonostante la condanna italiana, si è rimesso a fare il fiduciario per un personaggio come Delfo Zorzi, assumendo la carica di protector del suo trust quantomeno dal 2008 al 2012, gli anni a cui si riferiscono i documenti disponibili. L’intreccio fa venire il dubbio che avesse ragione l’allora procuratore di Parma, Vito Zincani (che come giudice istruttore aveva smascherato la trame esplosive tra terroristi neri e P2 per la strage di Bologna), a dirsi allarmato nello scoprire tanti personaggi vicini a Gelli anche nel crack da 15 miliardi di euro della Parmalat.

Interpellata più volte dal consorzio Icij con domande molto dettagliate, la Fidinam ha fornito solo una breve risposta generale: «La nostra società rispetta e ha sempre applicato con diligenza tutte le leggi valide in Svizzera e le norme applicabili a livello internazionale». Sulle offshore di Zorzi, la Fidinam non ha fornito alcuna spiegazione, appellandosi alla «privacy» e al «segreto professionale sui rapporti con i clienti».

L’Espresso, Icij e la tv svedese hanno inviato già in settembre numerose domande anche a Delfo Zorzi, per sapere tra l’altro perché abbia scelto di fare affari attraverso anonime società offshore, chi lo abbia presentato alla Fidinam, come mai abbia affidato il suo trust all’avvocato Spiess. Gli è stato chiesto anche come commenta le sentenze definitive sugli attentati contro gli sloveni e la condanna di Maggi per la strage di Brescia. Da Zorzi-Hagen, nessuna risposta.

https://espresso.repubblica.it/dossier/pandora-papers/2021/10/21/news/pandora_papers_delfo_zorzi_ordine_nuovo-323102986/

documentazione
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