|
|
da Aprile
Giustizia. Ieri la sentenza del tribunale per i fatti di corso Buenos Aires dell’11 marzo. Liberati 19 ragazzi da mesi in carcere. Nove assoluzioni e 18 condanne a quattro anni
Scontri di Milano. Mano pesante dei giudici
Applausi, abbracci e lacrime di gioia fuori dalle mura di San Vittore per i 19 ragazzi scarcerati ieri, dopo quattro mesi di reclusione preventiva per gli scontri avvenuti l’11 marzo a Milano. Duecentocinquanta persone, lì fuori, ad attenderli. Diciannove ragazzi finalmente liberi, gli ultimi rimasti dei 34 inizialmente arrestati per i fatti di corso Buenos Aires, quando una manifestazione organizzata dai centri sociali in risposta ad un raduno dei militanti di Fiamma Tricolore si trasformò in una guerriglia urbana che scosse il centro del capoluogo lombardo. La gioia, però, è destinata a durare poco. Nove di loro sono stati assolti, due hanno patteggiato per reati minori, ma per altri 18 la pena inflitta dal giudice per le udienze preliminari Giorgio Barbuto è stata durissima: quattro anni di reclusione, sebbene con la concessione degli arresti domiciliari.
Di quell’11 marzo si è letto in abbondanza sui giornali. I fatti recenti sono presto detti. Dopo tre mesi di indagini, dei 34 ragazzi inizialmente arrestati ne restano 27, di cui 2 a piede libero. L’imputazione è per tutti concorso in devastazione e saccheggio. Il 10 giugno si apre il processo con rito abbreviato. Il pm Piero Basilone basa le sue accuse sul concorso morale: “Sono giovani che hanno assistito alla prima carica, erano di fianco alla barricata accanto a persone armate e travestite. Questa è una partecipazione significativa di adesione a ciò che stava accadendo”. La richiesta del pm è di 5 anni e 8 mesi di carcere per 25 ragazzi e 6 anni per i restanti due, che hanno precedenti penali. Ma gli avvocati difensori insorgono: “L’istituto del concorso morale è indecente, questi ragazzi rischiano il carcere solo per aver manifestato l’antifascismo, di alcuni di loro non si è neanche riuscito a dimostrare la presenza in piazza”. Intanto, si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà per i 25 in carcere ormai da 4 mesi. Oltre alle campagne promosse dai genitori e da decine di associazioni, c’è quella firmata da 150 parlamentari che ne chiedono la scarcerazione. La stessa richiesta arriva da migliaia di ragazzi, che il 17 giugno sfilano per il centro di Milano.
Ieri, la sentenza viene letta in tribunale e i genitori dei ragazzi vengono tenuti fuori dall’aula. Le agenzie di stampa rilanciano le dichiarazioni di questo o quel politico schierato a favore o contro il provvedimento. L’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli la ritiene una sentenza “non solo giusta, ma anche educativa”. Gli ricorda, giustamente, l’eurodeputato della Sinistra unitaria europea Vittorio Agnoletto che tuttavia ci sono state nove assoluzioni: “nove persone che si sono fatte quattro mesi di carcere senza aver commesso alcun reato. Mentre personaggi in vista, rei di crimini ben peggiori, tornano a casa dopo pochi giorni”.
Raggiunto telefonicamente, Daniele Farina – deputato di Rifondazione comunista e vicepresidente della commissione Giustizia, leader storico del centro sociale Leoncavallo di Milano – non si è mostrato particolarmente stupito per le reazioni di Castelli e di altri esponenti del centrodestra: “Parlano di sentenza esemplare – dice – ma a me sembra che le nove assoluzioni diano ragione a quanti abbiano evidenziato preoccupazioni sull’inchiesta stessa”. Un’inchiesta sommaria, seguita da un processo svoltosi con rito abbreviato, in cui è stata resuscitata la preistorica imputazione di “concorso morale”, in base alla quale chi si trova nel luogo in cui viene commesso un reato e non riesce ad impedirlo rischia di essere condannato solo per essersi trovato “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. In base a questo capo di imputazione, prosegue Farina, per quei ragazzi “l’essere stati lì presenti ha equivalso ad assumersi la responsabilità dei reati commessi, cosa che mi sembra assolutamente abnorme”. Ma non è tutto. In parallelo a questa doveva svolgersi un’altra inchiesta, annunciata per il corteo neofascista che è la causa prima di quei fatti. Un’inchiesta di cui, tuttavia, “ad oggi non abbiamo nessun segno di esistenza in vita”. Uno strano doppio binario ma, evidentemente, “la giustizia ha tempi e intensità diverse per tutti”, due pesi e due misure.
Un’ultima cosa. Ricorre oggi il quinto anniversario della morte di Carlo Giuliani, ucciso nei turbolenti giorni del G8 di Genova. A quanti, in linea con Castelli, auspicano che i magistrati che si occupano dei processi di Genova tengano conto di quanto stabilito ieri a Milano, è forse il caso di ricordare, come faceva ieri sempre Agnoletto, che si tratta di due cose ben distinte. Per Genova, si tratta di individuare le responsabilità dei vertici delle forze dell’ordine e dello Stato che ordinarono la mattanza. E in questo caso non si parla di un effimero concorso morale, ma di responsabilità diretta. Se dovesse valere la logica aberrante di Castelli che brinda ai quattro anni per i ragazzi di Milano, allora per i torturatori in divisa di Bolzaneto e della Diaz dovremmo aspettarci decine e decine di anni di condanna. “Noi – diceva Agnoletto – ancora non abbiamo capito il perché di quelle giornate cilene. Forse proprio Castelli, che era all’epoca ministro della Giustizia, potrebbe aiutarci”.
[Vittorio Strampelli]
MANIFESTO
Il processo contro gli arrestati per gli incidenti di corso Buenos Aires si è concluso con 18 condanne a 4 anni per devastazione e 9 assoluzioni. Concessi gli arresti domiciliari per tutti Non sono state individuate responsabilità personali, ma è stato accolto il teorema dell’accusa basato sul «concorso morale» e otto innocenti sono rimasti in carcere quattro mesi. Precedente inquietante, si sottolinea a sinistra.
Una sentenza di compromesso, che ha ben poco a che vedere con la giustizia. Si conclude così il processo contro i 29 manifestanti antifascisti arrestati per gli incidenti dell’11 marzo in corso Buenos Aires: quaranta minuti di fronteggiamento con la polizia, due vetrine a pezzi, un negozio di An in fiamme e qualche macchina bruciata. Poco dopo il centro di Milano venne deturpato dalla parata nazifascista della Fiamma tricolore al grido di «boia chi molla». Da quel giorno 25 ragazze e ragazzi, tra venti e trent’anni, sono rimasti chiusi in carcere. Ieri il giudice per l’udienza preliminare, Giorgio Barbuto, ne ha condannati 18 a quattro anni di detenzione da scontare agli arresti domiciliari per lesioni, incendio e soprattutto devastazione e saccheggio, e ne ha assolti nove. Altri due hanno patteggiato e sono stati condannati rispettivamente a un anno e a 50 euro di multa. Dopo la sentenza, il presidio di fronte a palazzo di Giustizia si è trasformato in un corteo di 300 persone che ha raggiunto piazza Duomo. Poi a San Vittore e Bollate ad aspettare la scarcerazione.
Significa, innanzitutto, che otto innocenti hanno passato quattro mesi di carcere preventivo solo perché quel giorno sono state fermate in corso Buenos Aires. Un abuso che da solo spiega la natura tutta politica di questo processo basato sulla ambigua nozione giuridica di «concorso morale». Per il pm Piero Basilone basta aver partecipato alla manifestazione per essere direttamente colpevoli degli incidenti, senza bisogno di dover dimostrare alcuna responsabilità personale. Si è voluto colpire nel mucchio, a volte sulla base di qualche foto, in altri casi senza alcun elemento di prova. Bisognava punire i teppisti come gridavano i media e come voleva buona parte del mondo politico, di destra, centro e sinistra. Così è stato fatto. E’ difficile spiegare ai genitori dei ragazzi assolti – in questi mesi hanno fatto di tutto perché non venissero dimenticati – che i loro figli si sono fatti mesi di galera per niente. Una ragazza, ad esempio, è rimasta in carcere perché avrebbe portato dell’acqua ai manifestanti.
«Finalmente una sentenza non solo giusta ma anche educativa – ha commentato l’ex guardasigilli leghista Castelli – tutti questi facinorosi che pensavano di ottenere l’immunità per il semplice fatto di devastare una città quali esponenti di sinistra ricevono una severa lezione. Spero che i magistrati di Genova che stanno svolgendo il processo sul G8 tengano conto di questa sentenza». Quanti anni dovrebbero allora dare ai «torturatori in divisa» di Bolzaneto?, chiede Vittorio Agnoletto. Pochi giorni fa anche il pm Basilone ai giornali parlava di «compito educativo» delle famiglie. C’è da chiedersi quale compito educativo abbia avuto questa vicenda e come possano queste famiglie spiegare quanto avvenuto ai loro figli innocenti. Ieri questi genitori non sono stati neppure ammessi in aula per ascoltare la sentenza, il gup ha letto il verdetto senza alzarsi in piedi e senza parlare «a nome del popolo italiano». I genitori, scandalizzati, hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica, definiscono la sentenza «devastante per la nostra Costituzione».
Qualcuno l’11 marzo ha bruciato le auto e rotto le vetrine. Ma questo processo non è stato in grado di dire chi. Lo si è capito con chiarezza ascoltando le udienze. Lo dimostra il fatto che, in attesa delle motivazioni, sia difficile capire cosa distingue gli assolti dai condannati e soprattutto perché le pene comminate non fanno distinzioni: 4 anni indiscriminatamente per tutti. L’impressione è che fosse più importante creare un precedente giuridico: tutti sono stati condannati in concorso morale per devastazione e saccheggio, un reato che risale agli anni Trenta, quasi mai applicato in processi politici e assolutamente sproporzionato rispetto a quanto accaduto in corso Buenos Aires. «Il ricorso ad accuse gravi ed improprie viene ormai teorizzato in diversi procedimenti – ha commentato il consigliere regionale del Prc Luciano Muhlbauer – e sempre in casi di manifestazioni politiche. Occorre aprire nel paese e nelle istituzioni una battaglia di civiltà per impedire l’affermarsi di una visione della giustizia subordinata alla politica».
Certo, viste le accuse, poteva andare peggio. Il pm aveva chiesto pene da 8 a 9 anni, ridotte da 5 anni e 8 mesi a 6 anni solo in virtù del rito abbreviato. La sentenza del gup dà un colpo al cerchio e uno alla botte, assolve pochi e condanna molti, conferma l’accusa di devastazione eppure concede gli arresti domiciliari. Per questo Mirko Mazzali, avvocato della difesa, tutt’altro che soddisfatto, ha detto: «E’ un primo passo verso l’accertamento della verità. Anche rispetto alle condanne di cui attendiamo le motivazioni e contro cui faremo appello». Almeno i condannati sono fuori dal carcere, anche se ora per loro e per le loro famiglie inizia un altro calvario per ottenere giustizia.
————————————————-
*I giustizieri di Milano. *
A Milano c’è un evidente problema di ordine pubblico. Da ieri sono in libera circolazione, tra le mura di casa loro, e qualcuno anche a piede libero, tutti i ventinove criminali sovversivi e devastatori che lo scorso 11 marzo hanno messo a ferro e fuoco mezza città. Raccolti i cocci, tre vetrine infrante, due auto incendiate, e un altro de profundis per la sinistra milanese, proprio mentre i neonazisti facevano la loro sporca marcetta poco distante da corso Buenos Aires. Li hanno scarcerati. Stiamo parlando di persone (gli arrestati, non i neonazisti) che per la pubblica accusa non hanno rispetto per la vita umana, e che giustamente hanno incominciato il loro lungo percorso di rieducazione morale con 130 giorni di carcere preventivo, e che adesso, come auspica il pm educatore Basilone – un quarto d’ora di celebrità al Tribunale di Milano non si nega a nessuno – dovrebbero ricevere una bella raddrizzata della schiena anche nel tinello di casa. Non tutti però. Quei nove che sono stati assolti, dopo mesi di galera – più di Ricucci, più del «principe» traffichino, più dei galantuomini del Sismi – forse riceveranno un mazzo di fiori dal pm. Ma tutti gli altri? Sono devastatori, lo conferma la sentenza pronunciata sottovoce dal gup Barbuto, che se non altro, dicono i presenti, ha avuto l’accortezza di non pronunciarla in nome del popolo italiano. Deve essersi dimenticato la formuletta, come anche il fatto che la nostra Costituzione prevede che la responsabilità penale sia personale. Però li ha dovuti condannare ugualmente, a quattro anni, forse amalincuore, e senza fare distinzioni, perché nessuno è stato inchiodato di fronte a responsabilità oggettive, a un fotogramma sbiadito. Non c’è una prova, ma erano lì. Ci sono ragazzi condannati perché ripresi con una bottiglia in mano (d’acqua). Quindi da oggi, per finire dentro, basterà stare in un corteo dove qualcuno viene accusato di aver combinato qualcosa. Un problema di ordine pubblico. Come diceva quel tale a proposito della magistratura che non deve fare politica?
repressione