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Torino antifa: dossier devastazione e saccheggio
Network antagonista torinese Wednesday,
Sep. 27, 2006
“DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO”
Questo reato prevede una pena che va dagli 8 ai 15 anni e permette la carcerazione preventiva. Gli arrestati, insieme ad altri dieci denunciati a piede libero,sono colpevoli di aver partecipato attivamente a due manifestazioni: unaavvenuta a maggio in solidarietà con la popolazione immigrata detenuta nel CPT di C.so Brunelleschi, e l’altra indetta in seguito all’aggressionefascista e al ferimento di due occupanti del Barrocchio Squat di Grugliasco.Entrambe le manifestazioni si sono concluse con alcuni momenti di tensione escontro con le forze dell’ordine.
Non vogliamo con questo fare alcun tipo di vittimismo in quanto non è nostra pratica politica e siamo soliti rivendicare pienamente le lotte che portiamo avanti nelle parole d’ordine e nei metodi che utilizziamo, assumendocene pienamente le responsabilità. Rivendichiamo l’essere militanti dei centri sociali, che ancora oggi, in questa città, continuano ad essere realtà vive e luoghi del conflitto urbano.
Pensiamo di non esagerare quando individuiamo nella procura torinese un fare persecutorio e militante nei nostri confronti, che grazie ad un’azione portata avanti con metodo, fa sì che ad ogni momento di lotta ne corrisponda uno di legge. La devastazione contestata a seguito delle manifestazioni di piazza nulla ha a che vedere con la vera devastazione; quella che il potere statuale commette ogni giorno, quella dello sfruttamento, del dominio, della negazione di qualsiasi affermazione dei bisogni personali e collettivi, quella dei territori devastati in nome del profitto, come per il progetto TAV/TAC in Val di Susa, quella della nostra città cantierizzata per un evento di cui nessuno usufruirà e che il tessuto urbano mai riassorbirà. Nell’ultima motivazione emessa infine, insieme al rifiuto di concedere misure alternative agli arresti domiciliari, ci viene chiaramente spiegato come siano le personalità dei soggetti a essere messe sotto processo, quelle personalità giudicate pericolose perché segnalate dalla Digos come attive a decine e decine di manifestazioni e iniziative di movimento. Ad essere messi sotto accusa non sono i fatti compiuti, ma l’appartenenza degli imputati ad ambiti di lotta antagonisti.
CRONOLOGIA DI UN REATO
Iniziamo con il ricostruire lo svolgimento delle iniziative antirazziste e antifasciste che portarono agli arresti e alle accuse che vedono coinvolti venti compagn* torinesi.
Nel mese di maggio furono organizzate a Torino alcune iniziative in solidarietà agli immigrati detenuti all’interno del Cpt di Corso Brunelleschi. In quel periodo molti di loro avevano intrapreso un lungo sciopero della fame e numerose erano state le rivolte scoppiate all’interno del centro represse duramente dalle forze dell’ordine. Si verificarono diversi atti di autolesionismo tra gli immigrati che protestavano contro le condizioni di detenzione e contro le ragioni stesse della loro ingiusta incarcerazione. Il 19 maggio in particolare, furono moltissime le persone che accorsero fuori dal Cpt di corso Brunelleschi in solidarietà alla lotta che si era sviluppata all’interno e per protestare contro la repressione attuata da polizia e carabinieri chiamati a sedare le rivolte. All’arrivo dei manifestanti, la situazione si presentò drammatica; molti immigrati erano arrampicati sulle recinzioni e sui tetti dei container e innalzavano lenzuola macchiate di sangue.
Durante il presidio i manifestanti riuscirono a comunicare con i detenuti che chiedevano di essere liberati. Alcuni salirono sulle mura di cinta per documentare con alcune fotografie quanto stava accadendo all’interno. Altri scelsero di mettere in atto un’azione simbolica che richiamasse l’attenzione sulla situazione che gli immigrati erano costretti a vivere e aprirono uno spiraglio sul muro di cinta esterno: un piccolo gesto che voleva sostenere le rivendicazioni di libertà e di giustizia di chi è costretto a vivere rinchiuso per la sola colpa di non avere un documento.
Durante l’azione simbolica la polizia schierata in assetto antisommossa fece partire una carica contro i presidianti che cercarono di resistere e di rimanere nei pressi del Cpt per continuare l’iniziativa di solidarietà. Al termine della manifestazione un compagno del Collettivo universitario autonomo venne fermato, portato in questura e dopo qualche ora tradotto in stato d’arresto al carcere delle Vallette con l’accusa di resistenza e lesioni aggravate in concorso. Giovanni rimase in carcere per tre giorni e successivamente venne liberato con l’obbligo di firma, misura che si protrae tutt’ora.
Il 12 giugno intorno alle 5 del mattino, una dozzina di fascisti armati di coltelli e bastoni si introducono nella casa occupata Barocchio di Grugliasco e aggrediscono alcuni degli occupanti che si erano nel frattempo svegliati allarmati dai rumori. In particolare due di loro vennero feriti in modo grave. Dino riportò tre ferite, di cui una all’avambraccio che recise un’arteria, mentre Massimo venne colpito a pochi millimetri dall’occhio, al torace e infine una coltellata gli perforò il diaframma sfiorando l’intestino.
Un’aggressione gravissima come non se ne vedevano da decenni a Torino, ma che perfettamente si inserisce nello scenario degli attacchi dell’estrema destra a livello nazionale a danno di centri sociali, case occupate e militanti antifascisti.Il movimento antifascista torinese scelse di rispondere a quella vile aggressione con un corteo cittadino che comunicasse alla popolazione cosa era accaduto e che richiamasse l’attenzione di tutti e tutte sulla presenza nella nostra città di formazioni neofasciste intenzionate a colpire non solo il movimento, ma anche le fasce più deboli ed emarginate della società come gli immigrati. Anche per queste ragioni si decise di partire da San Salvario, quartiere multietnico colpito quotidianamente dalle retate della polizia e insieme dal razzismo neofascista.
Il corteo sfilò completamente blindato dalle forze dell’ordine che lungo tutto il tragitto continuarono a cercare di imporre divieti sul percorso. Nonostante queste difficoltà, il corteo – grazie ai numeri dei partecipanti e alla loro determinazione – riuscì a giungere fino a Via Po con l’intenzione di terminare al Fenix (posto occupato in Corso San Maurizio) passando da Piazza Castello per un volantinaggio che comunicasse le ragioni della manifestazione.
Dopo qualche minuto di trattativa in Via Po, la polizia decise di caricare ingiustificatamente per sciogliere il corteo. Fu una carica breve ma violenta e i manifestanti, nel tentativo di resistere e di difendersi dalle manganellate, si riversarono correndo sotto i portici della via ed eressero poco prima di Piazza Vittorio una piccola barricata per impedire l’avanzata della polizia, che noncurante dei passanti e dei dehors dei commercianti, travolgeva tutto ciò che gli si presentava di fronte.
Una volta ricompattatosi, il corteo proseguì nel quartiere di Vanchiglia e terminò davanti al Fenix dove si scoprì che intanto, durante le cariche, quattro manifestanti erano stati fermati. Due di loro furono portate in stato d’arresto al carcere delle Vallette, dove rimasero per ben due settimane; altre due furono rilasciate dopo qualche ora di fermo in questura.
Qui di seguito uno stralcio del racconto di Andrea, uno dei fermati.
“Appena è partita la carica è cominciato un fuggifuggi generale e sono caduto per terra; neanche il tempo di capire cosa era successo che mi ritrovo circondato da poliziotti intenti a manganellarmi. Non so stabilire per quanto tempo possa essere durato questo “pestaggio”, ma sta di fatto che a me è sembrata un eternità, sono stati momenti terribili…ho creduto veramente di morire. Scorgevo gli sguardi dei poliziotti che ci pestavano, sembravano assatanati. Poi è intervenuto un altro poliziotto (sicuramente di grado superiore ai picchiatori) che ha detto: “basta è finita.. portatelo via”. Dopo essere stato ammanettato vengo portato via da un agente che mi tira degli insulti gratuiti del tipo: “muoviti!!! pezzo di merda adesso vedrai”. Io gli chiesi solo se poteva fare piano, gli dissi che avevo un problema motorio dall’infanzia e che non riuscivo ad andare più veloce, ma lui fece finta di niente. Sono stato anche vittima di uno sgambetto, per poco non mi sfasciavo i denti… Poi preso dal braccio da un altro poliziotto sono stato condotto dentro la questura. Il mio trascinatore ha notato che camminavo in maniera irregolare cosi mi ha detto “smetti di fare la commedia, non far finta di strare male” e gli ho detto: “guarda che sono invalido non faccio finta”. Dopo cinque minuti cominciai a lamentarmi perchè stavo male, sentivo dei crampi fortissimi alla pancia, nausea, capogiri e ovviamente la schiena a pezzi. Continuavo a ripetere che stavo male e che volevo un medico…Il referto dice: trauma cranico più contusioni multiple. Da quanto ho capito mi è stato cambiato il capo d’accusa a causa dei miei problemi motori. Prima ero accusato per resistenza e devastazione ora dovrei essere accusato di manifestazione non autorizzata”.
All’alba del 20 luglio, giorno tristemente famoso per l’omicidio di Carlo Giuliani, 17 abitazioni di compagn* furono perquisite. Nel mentre venne perquisita anche la casa occupata Barocchio, sgomberato e posto sotto sequestro il Fenix, luogo incriminato per aver accolto il ritorno dei manifestanti dal corteo del 18 giugno. Durante le perquisizioni vennero arrestati e portati in questura sei compagni. Un altro compagno fu invece arrestato al campeggio No Tav di Venaus. Tutti e sette trascorsero venti giorni nel carcere delle Vallette. Altri tre compagni colpiti dal mandato di cattura non risultarono reperibili; due di questi (imputati soltanto per l’iniziativa del Cpt) si presentarono successivamente in questura, mentre il terzo venne arrestato durante un’iniziativa in Piazza Vittorio. Pochi giorni dopo il Gip confermò gli arresti sostenendo che si trattava di soggetti pericolosi che avrebbero potuto reiterare il reato. Trascorsi quindici giorni gli avvocati si rivolsero al Tribunale del Riesame che decise di trasferire i sette imputati agli arresti domiciliari. Dei tre arrestati successivamente, i primi due che si presentarono in questura nel mese di settembre rimasero in carcere una settimana e furono in seguito posti ai domiciliari fino all’inizio di dicembre, quando venne loro dato l’obbligo di firma. Il terzo trascorse alle Vallette ventuno giorni e successivamente venne portato agli arresti domiciliari..
Durante il periodo trascorso ai domiciliari, numerose sono state le richieste degli avvocati difensori al Gip – e successivamente al Gup nell’udienza preliminare – per ottenere la scarcerazione. Tutte le richieste sono state negate con le seguenti motivazioni: “preso atto del parere contrario del Pm, ritenuto che la considerevole gravità dei fatti renda tutt’ora attuale il pericolo di recidivanza, pericolo che può essere salvaguardato quanto meno con la misura degli arresti domiciliari, il Gip respinge le istanze proposte”. “Ritenuto che persistano, nei confronti di tutti gli imputati, le esigenze cautelari, già illustrate nelle ordinanze applicative, nelle ordinanze del Tribunale del Riesame e nelle numerose successive ordinanze, per le ragioni già in esse indicate e che devono intendersi richiamate, evidenziando come il periodo trascorso, in assenza di altri elementi e soprattutto mentre sono ancora in corso rispettivamente il giudizio abbreviato e l’udienza preliminare, peraltro prossimi alla conclusione, non possa, di per sé, essere giudicato sufficiente a far ritenere cessato o anche scemate tali esigenze e a far ritenere misura cautelari diverse da quelle in corso idonee a rassicurare in ordine al controllo della pericolosità degli imputati; il Gup respinge dunque le istanze”.
Oltre ai dieci colpiti da misure cautelari, altre dieci persone sono coinvolte nelle indagini che riguardano le iniziative sopraccitate. Gli otto compagni sono accusati di devastazione e saccheggio in concorso, resistenza aggravata a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate. Di questi otto uno è accusato per entrambe le iniziative, mentre gli altri sono imputati soltanto per la manifestazione antifascista. Dei dieci a piede libero, i due arrestati durante il corteo del 18 giugno sono accusati di devastazione e saccheggio, mentre gli altri otto di resistenza e lesioni per l’iniziativa al Cpt.
Una settimana dopo gli arresti, il 28 luglio, venne organizzato un corteo per la liberazione dei 7 compagni. Parteciparono alla manifestazione circa cinque mila persone; la solidarietà attiva giunse non solo dall’intero movimento, ma da centinaia di torinesi, da partiti come Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani, dai sindacati di base, da alcune aree della Cgil cittadina e da diverse associazioni locali. Fu una grande manifestazione che diede una risposta forte e immediata ad una vicenda che fin dall’inizio appariva destinata ad assumere toni e significati di più ampia portata.
E’ importante sottolineare che la maggior parte degli imputati sono incensurati e che nonostante questo, essi vengono più volte definiti soggetti pericolosi per il semplice fatto di aver una grave accusa sulle spalle, accusa non ancora dimostrata e confermata in sede processuale ma che tuttavia continua a fornire ai magistrati torinesi la giustificazione per una detenzione così lunga. Alcuni degli imputati sono giovani studenti, altri lavoratori, uno di essi è padre di una bambina piccola e sicuramente la detenzione in carcere come la costrizione ai domiciliari ha reso loro la vita quasi impossibile. Non vi sono motivazioni che possano legittimare una così lunga detenzione preventiva: infatti il reato di devastazione e saccheggio è tutto da dimostrare e in dibattimento si renderà evidente che quanto successo non ha nulla a che vedere con questo grave capo d’accusa che prevede una reclusione dagli otto ai quindici anni. Per rendere l’idea, questa accusa è stata utilizzata negli anni passati all’interno del processo contro la catastrofe del Vajont, i cui responsabili furono tra l’altro assolti. E’ chiaro a tutti come quello che è successo in Via Po il 18 giugno non possa essere assolutamente paragonato a una tragedia come quella del Vajont che causò centinaia di morti e la distruzione di interi paesi.
Accusare di devastazione e saccheggio persone che hanno partecipato a delle iniziative così importanti nella nostra città, fa pensare che si sia voluto creare un caso politico più che giudiziario. Ricordiamo che i pm che hanno gestito e organizzato l’ennesima montatura giudiziaria a danno del movimento antagonista torinese, sono Maurizio Laudi e Marcello Tatangelo, gli stessi che imbastirono la vicenda dei cosiddetti “Lupi Grigi”. In quell’occasione fecero arrestare per terrorismo (anche qui preventivamente) tre giovani, di cui due – Sole e Baleno – si suicidarono durante il periodo di detenzione.
Alla fine del processo tutti e tre furono prosciolti dalle accuse di terrorismo.
L’accanimento della magistratura è ancora una volta assolutamente ingiustificato, ma ben si inserisce nel clima che si è instaurato in città negli ultimi mesi di vigilia olimpica. Torino si appresta infatti a farsi vetrina mondiale e necessita di ripulire e nascondere ogni aspetto dissonante che potrebbe “rovinare la festa”.
Priorità della giunta comunale e della questura insieme è stata ed è quella di tentare di zittire ogni dissenso e di ricostruire per l’occasione la facciata della città: sgomberando i posti occupati, rinchiudendo gli immigrati nel Cpt, costruendo cantieri ovunque e arrestando che si oppone a questa operazione. Da non dimenticare inoltre che tutta questa vicenda giudiziaria è stata gestita dalla magistratura e dalla questura più come una campagna pubblicitaria e promozionale da vendere ai cittadini e al Ministero degli Interni. Gli imputati hanno visto le loro facce, i loro nomi, le loro storie personali, la loro vita privata, sbattute in prima pagina da giornali e televisioni. Le loro ragioni e le loro azioni (queste sì tutte politiche) sono state invece trasformate in banali atti di teppismo.Tutta questa vicenda si fonda sulla presunta pericolosità dei soggetti inquisiti. Bisognerebbe chiedersi chi siano i veri pericolosi…Teniamo a precisare che su dodici estremisti di destra indagati di duplice tentato omicidio in concorso per l’aggressione al Barocchio, soltanto uno è stato arrestato e dopo un anno liberato.
Il 9 Gennaio l’ennesimo rifiuto da parte del tribunale del riesame, per Fabio e Sacha della concessione di una misura alternativa alla detenzione. E’ grazie al ” lavoro preciso” della Digos che il giudice emette una chiara sentenza politica, che incrimina i compagni per chi sono, per cosa pensano e non per i fatti specifici.
“Ritiene questo tribunale che la richiesta non possa essere accolta, in quanto, per la gravità dei fatti e, soprattutto, per la personalità degli indagati, sussiste tuttora il pericolo di reiterazione di fatti criminosi analoghi a quelli per cui è processo, e solo una misura custodiale (...) possa garantire contro la ripresa dell’attività criminosa. Particolarmente illuminante, in proposito, appare il contenuto delle “schede” della Questura sui nominati soggetti, che, sebbene assai giovani, hanno un curriculum di partecipazioni ad atti di violenza di tutto rispetto. (...)
Tale pervicace partecipazione ad atti lesivi dell’ordine lascia intendere che, ove totalmente liberi, i predetti facilmente riprenderebbero frequentazioni e comportamenti consimili, non neutralizzabili con misure cautelari diverse da quella in atto.
Per questo motivo respinge l’appello in ordine alla richiesta di revoca misura cautelare agli arresti domiciliari, ovvero di sostituzione della stessa con l’obbligo di presentazione alla P.G.”
Il 14 gennaio si è tenuta l’udienza relativa agli imputati per i fatti del CPT, indagati per resistenza e lesioni aggravate. I compagni avevano deciso di intraprendere il procedimento del processo con la formula del rito abbreviato; il pubblico ministero richiede pene fino a 3 anni e 6 mesi . Il 17 gennaio arrivano le condanne per i riti abbreviati che già scontati di un terzo della pena, condannano i compagni in primo grado a pene che raggiungono l’anno e due mesi. Gli 8 compagni vengono rinviati a giudizio per devastazione e saccheggio e il tribunale, nonostante l’immediata richiesta del PM, si riserva entro 5 giorni di decidere sul proseguo della carcerazione.
Il 19 gennaio dopo 6 mesi tra galera e arresti domiciliari gli 8 compagni vengono scarcerati e alcuni di loro vengono sottoposti all’obbligo di firma presso l’autorità giudiziaria tre volte a settimana.
Il 7 giugno, a venti giorni dall’inizio del primo grado del processo, vengono revocati gli obblighi di firma che duravano ormai da 5 mesi.
Il 27 giugno la prima giornata del processo viene subito rinviata al 2 ottobre; nel frattempo arriva la prima condanna per devastazione e saccheggio nei confronti di 18 compagn* milanesi arrestati durante il corteo antifascista dell’11 marzo 2006. La condanna è di 4 anni di reclusione.
Network antagonista torinese
Csoa Askatasuna
Csa murazzi
Collettivo universitario autonomo