|
|
A seguito di una serie di colpi d’arma da fuoco esplosi da funzionari di polizia durante scontri fra studenti e forze dell’ordine di fronte all’Università Bocconi di Milano, muore lo studente Roberto Franceschi e viene ferito gravemente l’operaio Roberto Piacentini.
due scritti:
Roberto Franceschi a cura della Fondazione omonima
un libro su Roberto Franceschi
———————————————————
da Reti invisibili
Roberto Franceschi
“Fondazione Roberto Franceschi – O.N.L.U.S.”
Roberto Franceschi nasce a Milano il 23 luglio 1952. Per ragioni di lavoro del padre tutta la famiglia si trasferisce per due anni in Sicilia, il primo anno a Gela dove egli termina il ciclo della scuola media dell’obbligo, il secondo anno a Catania dove frequenta il primo anno del liceo scientifico statale. Tornato a Milano completa gli studi liceali presso il Liceo Scientifico Statale “Vittorio Veneto” ottenendo la stima e la considerazione dei suoi insegnanti e l’affetto dei suoi compagni. Viene scelto a rappresentare la scuola milanese in un viaggio, organizzato attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione, per un gruppo di studenti italiani in Germania su invito delle autorità scolastiche di Bonn (1-26 luglio 1970). In tale occasione è ospite della famiglia del giudice Hans Stossel Presidente del Tribunale Regionale di Wurzburg. È l’amicizia tra un vecchio democratico tedesco e un giovane democratico italiano.
Inizia negli anni di liceo a sviluppare i suoi interessi sociali e politici aderendo all’allora Movimento Studentesco. Dopo la maturità, conseguita con il massimo dei voti, si iscrive alla facoltà di Economia politica presso l’Università “Luigi Bocconi” facendosi subito notare per la vastità del sapere, per la serietà e l’impegno non solo in campo culturale ma anche in quello sociale e politico. All’Università Bocconi è uno dei leader del movimento studentesco che cerca di arginare l’insorgere di quella mentalità che voleva l’attività politica prioritaria rispetto all’impegno culturale e la ricerca della via facile nello studio, convinto che l’essere dalla parte degli sfruttati significa mettere a loro disposizione il meglio della ricerca scientifica. Scrisse di lui un compagno di studi:
“Roberto era estremamente duro contro la superficialità, la faciloneria, il disprezzo per la cultura e la scienza: Egli era convinto che una attività politica non sorretta da una seria e continua analisi della situazione è sterile e cieca, per questo rifiutava la contrapposizione radicale tra politica e studio ritenendoli complementari: l’una stimola l’altro e viceversa. Ricercare lo studio facile per poter fare “politica” è il peggior servizio che un militante può offrire alla causa del socialismo. Roberto, la sua ferrea volontà, la sua onestà intellettuale, la sua incrollabile fede nella scienza, la sua costante ricerca della verità, il suo amore per la cultura, la sua illimitata fiducia nelle possibilità dell’uomo, dopo la sua morte, hanno aiutato me e molti altri compagni a superare le difficoltà, a correggere gli errori e ad andar avanti”.
La sera del 23 gennaio 1973 era in programma un’assemblea del Movimento Studentesco presso l’Università Bocconi. Assemblee di questo tipo erano state fino ad allora autorizzate normalmente e non avevano mai dato adito a nessun incidente e, nel caso specifico, si trattava dell’aggiornamento di una assemblea già iniziata alcuni giorni prima; ma l’allora Rettore dell’Università quella sera ordinò che potessero accedere solo studenti della Bocconi con il libretto universitario di riconoscimento, escludendo lavoratori o studenti di altre scuole o università. Ciò significava vietare l’assemblea e il Rettore informò la polizia, che intervenne, con un reparto della celere, intenzionata a far rispettare il divieto con la forza.
Ne nacque un breve scontro con gli studenti e i lavoratori e, mentre questi si allontanavano, poliziotti e funzionari spararono vari colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo.
Lo studente Roberto Franceschi fu raggiunto al capo, l’operaio Roberto Piacentini alla schiena. Entrambi caddero colpiti alle spalle.
LA FONDAZIONE
La Fondazione si è costituita, nel 1996, per ricordare Roberto, studente ventenne dell’Università Bocconi di Milano, colpito a morte il 23 gennaio 1973 da un proiettile di pistola in dotazione alla polizia, che quella sera presidiava la sua Università onde impedire una assemblea aperta agli studenti delle altre Università milanesi
La Fondazione si propone di svolgere attività culturale nel campo delle ricerche sociali, dei diritti umani, dell’educazione alla mondialità ecc. coerentemente con il percorso ideale, di forte impegno intellettuale e sociale, che Roberto avrebbe voluto seguire nella sua vita.
In questi anni la Fondazione ha offerto, soprattutto per i giovani, iniziative culturali e occasioni di riflessioni critica attraverso pubblicazioni edite dalla Fondazione, incontri, dibattiti sui diritti umani e civili, mostre ecc… anche in collaborazione con altre associazioni, ha provveduto all’erogazione di premi di laurea e svolto attività di ricerca per la documentazione in campo storico-sociale.
Le pubblicazioni, edite dalla Fondazione e presentate ogni 23 gennaio presso l’aula magna dell’Università Bocconi, sono state: La Costituzione della Repubblica Italiana; Dei Diritti dell’Uomo; Dei Diritti del Bambino; Dei Diritti della Donna e della Cittadina; Dei Diritti dei Popoli Indigeni; Del Diritto alla Buona Acqua; Alla Periferia del Mondo, il popolo dei rom e dei sinti escluso dalla storia; della collana Documenti, inoltre “Che cos’è un monumento”, “ Il Nome che abbiamo scelto” in collaborazione con i docenti della scuola media statale” Roberto Franceschi”.
Tali pubblicazioni sono frutto di ricerche storiche, di documenti e atti che la Comunità a livello internazionale, europeo e nazionale ha prodotto a riguardo, articoli scritti, appositamente per gli studenti, da qualificate personalità della cultura che hanno cercato di rendere accessibili anche tematiche non facili o principi di diritto internazionale.
La redazione ha cercato di offrire agli studenti ed ai loro insegnanti materiale di lavoro, difficilmente reperibile con i ristretti tempi scolastici, affinché potessero affrontare ed approfondire, a partire dai diritti umani, temi e problematiche con cui spesso siamo costretti a confrontarci.
Gli stessi libri sono anche disponibili e scaricabili dal sito della Fondazione: www.fondfranceschi.it.
La Fondazione Roberto Franceschi ha sede in Milano, via E. De Marchi,8.
***
LIBRI
«Roberto Franceschi: Processo di Polizia».
A colloquio con il curatore del volume, Daniele Biacchessi
di Giovanna Canzi
La sera del 23 gennaio 1973 all’Università Bocconi di Milano è in programma un’assemblea. Come accade spesso in quegli anni scoppiano dei disordini. La polizia spara. Viene ucciso uno studente di vent’anni, Roberto Franceschi, e ferito un operaio, Roberto Piacentini. Da quel momento inizia un’odissea giudiziaria che in ventisei anni non saprà mai dare un volto ai colpevoli. «Roberto Franceschi. Processo di Polizia», curato da Daniele Biacchessi, ricostruisce attraverso le documentazioni giudiziarie e le memorie depositate dalle parti civili depistaggi, manomissioni, reticenze di un caso di giustizia mancata.
Incontriamo il curatore del testo, caposervizio di Radio 24-Il Sole 24 Ore e autore di numerosi libri d’inchiesta.
Durante la presentazione di «Roberto Franceschi. Processo di Polizia», lei ha affermato che questo libro solo apparentemente appartiene al passato. Qual è il senso di questa affermazione?
Se rileggiamo le dichiarazioni di alcuni ministri dell’Interno nel corso degli anni ritroviamo il senso di questa affermazione. Il giorno seguente alla vicenda di Roberto Franceschi, in un clima molto acceso, alcune forze politiche chiedono spiegazioni al Governo su che cosa sia avvenuto la sera prima. La risposta dell’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor è propria di chi, pur non ignorando come sono andate le cose, difende l’operato delle forze dell’ordine e non si assume alcuna responsabilità. Parole simili sono state pronunciate ad esempio da Francesco Cossiga, ministro dell’Interno nel 1977, quando fu uccisa a Roma Giorgiana Masi e più recentemente dal Ministro Claudio Scajola, dopo i fatti di Genova del G8. Per questo motivo la vicenda di Roberto Franceschi non appartiene al passato e diviene anzi una storia emblematica, perché, pur essendo stata riconosciuta una giustizia civile, con relativo risarcimento per la famiglia, in sede penale nessuno fu dichiarato colpevole. Questa mancata trasposizione della verità storica trascende la vicenda di Franceschi e arriva a comprendere tutte le stragi (prima fra tutte quella di Piazza Fontana), in seguito alle quali per le migliaia di vittime non c’è stata alcuna giustizia: anche in quei casi, pur essendo state definite delle precise responsabilità, in tribunale non si è giunti a nessuna condanna.
Ha curato il testo a quattro, anzi a sei mani, ossia insieme alla madre di Roberto Franceschi, Lydia e a Marco Janni, avvocato della parte civile. Come è stata quest’esperienza?
È stata una bellissima esperienza, perché tutti e tre venivamo da strade differenti. Per me, che nel 1973 avevo 17 anni, l’uccisione di Roberto Franceschi ha rappresentato lo spartiacque che mi ha spinto all’impegno politico e sociale. Per Lydia è stato il dolore di una madre. Per Marco Janni è stato un caso difficile con cui confrontarsi. Abbiamo, quindi, visto questo libro da tre punti di vista diversi: il mio era di tipo narrativo. Sono uno scrittore e da dieci anni cerco di fondere l’inchiesta giornalistica con la narrazione e il racconto. Per Lydia è stato uno strumento per raccontare la vicenda di suo figlio e la sua, mentre per Marco Janni è la storia di un processo complicato, instradato male fin dall’inizio, con manomissione di corpi di reato e sottrazione di prove. Una vicenda giudiziaria delicata, che ha visto nel corso del processo, fra gli imputati, non solo gli agenti di pubblica sicurezza Agatino Puglisi e Gianni Gallo, ma anche il Vicequestore Tommaso Paolella, figura centrale nell’inchiesta.
Chi era Roberto Franceschi? E chi sarebbe diventato?
Sarebbe diventato uno dei migliori economisti italiani. Allora aveva vent’anni ed era un ragazzo straordinario. Era molto impegnato nelle letture, sia politiche, sia economiche. Penso che sarebbe diventato un economista keynesiano, fortemente orientato verso la trasformazione della società, pur mantenendo delle regole di carattere sociale, per salvaguardare la classe meno abbiente.
La storia di questo caso ci ha posto di fronte a uno Stato che cerca di autoassolversi a ogni costo e non riesce a riformarsi. A quali conseguenze porta questo comportamento?
Alle conseguenze che vediamo oggi. Facendo un piccolo passo indietro, dobbiamo ricordare che se si decide di fare politica, è necessario assumersi delle responsabilità. In Italia, invece, abbiamo assistito a un atteggiamento opposto. All’omicidio di Franceschi sono seguite non solo manomissioni di corpi di reato, ma anche testimonianze, sia in sede parlamentare sia in sede processuale, dell’allora capo della Polizia Angelo Vicari e del Questore di Milano Ferruccio Allitto Bonanno, che scaricarono ogni responsabilità, così come fece la classe politica. L’incapacità da parte dello Stato di riformarsi ha reso fragile e incrinato il suo rapporto con il cittadino.
Lydia Franceschi in un’intervista rilasciata a Corrado Stajano dice: «Roberto è uno dei morti della non memoria, della memoria mancata». Questo volume è in parte anche un tentativo per restituirgli quella memoria?
Sicuramente sì. Purtroppo c’è una lunga catena di morti uccisi in scontri di piazza, che non solo non hanno avuto una giustizia, ma che sono stati in parte dimenticati. Se noi ipotizzassimo una sorta di “tour” da Piazza Fontana alla Questura di Via Fatebenefratelli, da Via Mascagni a Via Mancinelli, scopriremmo una Milano costellata di lapidi. Ricordi di fatti che pesano ancora oggi su un presente, che può essere capito solo attraverso il passato. Ma questo è un paese di rimozioni. Il fatto che oggi un manipolo di personaggi, con le stesse caratteristiche di ieri, possa decidere di aspettare sotto casa Massimo D’Antona o il professore Marco Biagi, dimostra che la nostra società non ha capito le cause che avevano prodotto certi fenomeni. La violenza provoca violenza. E’ compito di una classe politica, disposta ad assumersi le proprie responsabilità, capirne le cause. Se però la classe politica non ha trovato alcuna risposta, questo non è stato fatto neppure da parte della società civile. Ecco perché Roberto Franceschi è un ragazzo della non memoria: la società non lo ha ricordato, perché non ha compreso le cause che hanno prodotto la sua morte, le stesse che hanno causato la morte di Carlo Giuliani tre anni fa. Ecco perché non è una storia del passato… ma del presente.
«Roberto Franceschi. Processo di Polizia»
a cura di Daniele Biacchessi
Edizioni Baldini Castoldi Dalai
Pagine 273, euro 14,10
13 aprile 2005
materiali storici