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Il 1945 e la storia d’Italia senza le grandi bugie
Gianluca Scroccu, 06 settembre 2007
Memoria
Una riflessione a partire dal libro di Guido Crainz, “L’ombra della guerra. Il 1945, l’Italia”, edito da Donzelli. Una ricerca importante, che ci restituisce il dolore e la violenza di quei drammatici mesi
Domenica scorsa, nella prima puntata della nuova serie di “Blunotte”, Carlo Lucarelli si è soffermato in maniera assolutamente perfetta (partendo dalle vicende dell’ “armadio della vergogna” in cui vennero occultati per decenni i fascicoli giudiziari contenenti il materiale processuale sui crimini tedeschi e fascisti) sulla rimozione dalla coscienza nazionale di quelle stragi che insanguinarono l’Italia del centro-nord arrivando ad annientare la popolazione innocente di interi paesi e i cui responsabili sono riusciti ad evitare la giustizia per ragioni imputabili soprattutto alle stringenti logiche della realpolitik.
Una puntata forse desueta, dopo anni in cui siamo stati abituati a parlare solo di “sangue dei vinti”, e delle grandi bugie di una sinistra che avrebbe nascosto gli eccidi della Resistenza, oltre che dei diari (falsi) di un Mussolini contrario alla guerra (vi ricordate la puntata di Bruno Vespa sul clamoroso ritrovamento dei diari del Duce da parte di Marcello Dell’Utri? Una delle pagine più vergognose e false della storia del servizio pubblico per cui nessuno ha avuto richiami formali). Se attraverso questo uso pubblico della storia si è via via scarnificata la coscienza storica nazionale sulla quale è nata la nostra Repubblica e si fonda (ancora per quanto?) la nostra Costituzione, la storiografia più seria ha continuato le sue ricerche in archivio e attraverso la comparazione delle diverse fonti.
Come nel caso del bellissimo e tragico libro di Guido Crainz, “L’ombra della guerra. Il 1945, L’Italia”, appena edito da Donzelli. Una ricerca importante, che ci restituisce il dolore e la violenza di quei drammatici mesi; la liberazione e l’ansia di pace, ma anche l’esplodere di un odio covato da decenni e tenuto nascosto sotto la cappa del totalitarismo fascista. Con un lavoro approfondito sulle relazioni prefettizie conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato e mettendo a confronto una moltitudine di fonti giornalistiche e di memorialistica, oltre che importanti ed efficaci pagine delle opere di romanzieri e poeti, Crainz ci restituisce tutta la violenza del 1945, le gioie e le speranze ma anche le contraddizioni e i desideri feroci di vendetta da parte di un Paese che tornava finalmente alla democrazia.
È un’Italia sporca, lacerata e annichilita dal dolore, coperta di sangue e polvere, quella che ricostruisce lo storico dell’Università di Teramo; una nazione che usciva da un ventennio di dittatura, da una guerra atroce e drammatica per tutti gli italiani e da una Resistenza che insieme ad una guerra patriottica era stata anche una guerra civile e di classe. Ostilità reciproche e crudeltà che esplosero in una situazione di estrema precarietà istituzionale, all’interno di quelle tante terre di nessuno che, secondo Crainz, componevano il “mosaico” italiano durante l’occupazione tedesca e l’avanzata alleata. Ed ecco, quindi, la frustrazione dei soldati italiani allo sbando dopo l’otto settembre, il contrasto fra la ricchezza dei militari alleati e la miseria della popolazione italiana; e poi le violenze del dopo-Liberazione, che l’autore stima, sulla base dei documenti conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato, in 9364 persone colpite (ben sotto, quindi, la vulgata neofascista che si attesta su una cifra intorno a ventimila, accreditata anche nella retorica di libri vendutissimi e sponsorizzati in questi ultime stagioni autunnali televisive). E questo Crainz lo scrive senza annacquare la drammaticità di quei lutti, ma cercando di ricostruire pagine dolorose della storia nazionale che non si possono non valutare secondo le sensazioni di chi visse allora quei momenti e non certo, invece, secondo il metro della contingenza odierna finalizzata alla costruzione di una precisa legittimazione politico-mediatica che con la ricerca storica non c’entra nulla.
Scommetto che del libro di Crainz, in televisione, non si parlerà quasi per nulla. Ci sono altre incombenze e poi non servono le ricerche serie che aiutano a comprendere meglio la storia d’Italia. Sono sicuro, però, che tra ottobre e dicembre torneremo a sentir parlare del fascismo buono, della responsabilità della sinistra che ha taciuto sulle stragi partigiane contro i fascisti, della necessità di una memoria condivisa che riconosca le ragioni di tutte le parti in causa: in quei mesi le librerie saranno invase (per non parlare dei supermercati) dai nuovi libri di Giampaolo Pansa (“I gendarmi della memoria. Storie proibite della guerra civile”, in cui il giornalista se la prende contro gli intellettuali che terrebbero sotto chiave la verità storica sulla Resistenza) e Bruno Vespa (“Donne del potere. Storia d’Italia attraverso l’amore. Da Rachele Mussolini a Veronica Berlusconi”, un titolo che è tutto un programma). E il circo mediatico che prospera e che gestisce il supermarket della storia si rimetterà in affari.
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