pubblicato il 27.03.09
Il sindaco-prete dei neofascisti ·
Il candidato
Il sindaco-prete dei neofascisti
Il sacerdote lefebvriano di Forza Nuova Giulio Tam porta la sua crociata a Bologna. Aspira alla poltrona di Palazzo d'Accursio, ma la candidatura è simbolica: una "missione" nella roccaforte degli "atei marxisti". Lui, seguace di Mussolini, sogna uno Stato governato dalla sua versione della morale cattolica
di Andreina Baccaro e Melania Di Giacomo
“Dio, patria e famiglia” è il suo credo. E’ un sacerdote che non va a caccia di anime, ma di “camicie nere”. Quando tende il braccio non impartisce benedizioni. Esibisce un saluto di cui solo una minoranza sente la nostalgia. Pontifica dall’alto del suo metro e novanta, vestito in camicione nero, come i vecchi parroci, e anfibi, come i soldati. Giulio Maria Tam, valtellinese, è l’ultimo in ordine di arrivo degli aspiranti candidati sindaco di Bologna.
Appena qualche giorno fa si era meritato i titoli dei quotidiani per aver sfilato a Bergamo col braccio destro alzato alla testa di un corteo di picchiatori che marciavano armati di bastoni al grido "boia chi molla". Ora si ritrova simbolo dell’offensiva nera in terra rossa. I vecchi amici - lui preferisce dire camerati – di Forza Nuova l’hanno invitato alla “missione”. E don Giulio, che si dichiara un prete cattolico, ancorché dissidente, subito l’ha tradotta in una personale crociata contro l’individualismo liberale e il collettivismo comunista. Mali che solo un predicatore-miliziano può contrastare: “Oggi più che mai c’è bisogno di una politica dominata dalla morale cattolica, dall’invasione islamica non ci può difendere il liberalismo”. Le sue armi sono “mitragliatrici cariche con 50 colpi: 50 Ave Maria”.
Lo spirito militare/militante ce l’ha nel sangue, lo ha ereditato dalla zia Angela, repubblichina caduta per mano dei partigiani. Su quella traccia, lui che in famiglia ha anche un ex Ds eletto al consiglio regionale della Lombardia, ha indirizzato la sua educazione.
Si è definito gesuita, costringendo i gesuiti a una pronta smentita. Prima di correggere il tiro della sua affermazione: “Lo sono per formazione. Il mio padre spirituale è Sant'Ignazio di Loyola, per il suo spirito militare”. Del santo fondatore della Compagnia di Gesù esalta l'appellativo di Superiore Generale, che suggerisce uno spirito condottiero e la forte gerarchizzazione del suo ordine. Rimpiange la chiesa guerrigliera e i martiri che portavano in una mano le sacre scritture e nell’altra la spada. “Il Mediterraneo 1000 anni fa era un lago in mano ai saraceni, ora i papi si vergognano delle crociate”. Già, sono finiti i tempi in cui la Chiesa riusciva a far arretrare gli infedeli. “Ora si è superata la soglia dell’invasione”, “hanno dalla loro il numero e la giovinezza”. “Bologna rischia di diventare come Marsiglia. I liberali francesi dicevano ‘Ma va là, con due televisori e un frigorifero questi diventano come noi’. Invece ormai Marsiglia è Nord Africa”. Ma non sarà così per molto, profetizza. Il “corpo del malato” reagirà come solo un organismo che vuole sopravvivere sa fare. La paura riavvicinerà la gente come nella società tradizionale, quando si andava tutti insieme a messa e si facevano buoni affari comuni.
Una visione del mondo che con un’azzardata sintesi potrebbe dirsi cattofascista. Del resto Mussolini, per padre Tam, “è stato l’ultimo vero leader cattolico”, “non come i democristiani liberali”. Non importa se in camera da letto il duce ignorasse i comandamenti. “La vita privata è questione personale. Il duce avrà condannato la sua anima, ma avrebbe potuto salvarci tutti”. Il migliore esempio di buon cattolico che gli viene in mente, “padre di undici figli avuti dalla stessa donna” è Roberto Fiore (segretario di Forza Nuova), nonostante una condanna per banda armata e la paternità della formazione sovversiva neofascista “Terza Posizione” nel 1977.
Don Giulio nero lo è diventato quando aveva 17 anni, prima nella Giovane Italia (formazione che del patriottismo mazziniano riprende il nome), poi il Fronte della gioventù ed il Movimento Sociale.
Quando lo Spirito Santo lo illuminò la colse come una chiamata alle armi. Si rifugiò a 27 anni nel seminario di Ecône di monsignor Marcel Lefebvre, quando papa Paolo VI aveva già sospeso a divinis il vescovo scismatico, impedendogli di impartire i sacramenti. Prese i voti della chiesa tradizionalista, che la Chiesa cattolica di Roma non riconosce. Dopodiché ha iniziato le sue peregrinazioni. E’ stato otto anni in Sud America, tanto che – dice - ogni tanto sbaglia a parlare in italiano. Nel 1986 - ammette con orgoglio - “ho conosciuto anche il carcere”. Il 27 ottobre, nella Giornata mondiale di Preghiera per la Pace, convocata da Giovanni Paolo II, le religioni di tutto il mondo si incontravano ad Assisi. Don Tam distribuiva volantini fuori dalla Chiesa di San Pietro Martire. “Volevano portare una statua di Buddha sull’altare”. Il tentativo di impedirlo gli è costato una notte al fresco.
Adesso due sono le missioni a cui dedica le sue giornate. La “pastorale fascista”: “celebro messa per Mussolini a Predappio” . E la difesa della dottrina dei papi ‘di prima’ (quelli antecedenti al Concilio Vaticano II, ndr). Compito quest’ultimo affidatogli – assicura - da monsignor Lefebvre prima di morire. Motivo per il quale ha rotto anche con la comunità di San Pio X, quando, nel 2000, in vista di un possibile riavvicinamento alla Chiesa cattolica i lefebvriani gli avevano chiesto di deporre l’investitura.
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