pubblicato il 1.10.09
Piazza della Loggia, il processo infinito ai fantasmi d’Italia ·
30/9/2009 (7:50) - REPORTAGE. 35 ANNI DOPO LA STRAGE DI BRESCIA
Piazza della Loggia, il processo infinito ai fantasmi d’Italia
Gabbie vuote degli imputati, testi-farsa nell’aula deserta
MICHELE BRAMBILLA
INVIATO A BRESCIA
A Brescia c’è un processo che sembra non interessare a nessuno. Si fanno due sole udienze alla settimana. Gli imputati non vengono mai. Sui giornali nazionali neanche una riga. Eppure il reato è strage: otto morti, 108 feriti. E’ l’ennesimo processo per la bomba di piazza della Loggia, 28 maggio 1974, una vita fa, un’Italia in bianco e nero. Chi furono gli indemoniati di quel giorno, e di tanti altri giorni di tante altre stragi, in buona parte lo si sa: ma quasi mai è stato possibile arrivare a condanne. Anche per piazza della Loggia si sono fatti processi su processi, si è perfino perso il conto, pare che questo sia il quinto dopo tre filoni d’inchiesta, ma i numeri ingannano e confondono: come ricostruire la verità giudiziaria dopo trentacinque anni, con millecinquecento testimoni da sentire e novecentomila pagine di verbali da leggere? I poveri morti di piazza della Loggia chiedono ancora giustizia, come la chiedono quelli di quasi tutte le altre stragi di quel tempo tremendo. E forse non l’avranno mai.
A lungo il Paese intero si è interrogato, domandandosi come sia potuto succedere. Ma oggi pare che vinca la rassegnazione. I familiari sembrano non sperare più, e gli imputati sembrano non temere più. Ieri nell’aula della Corte d’Assise l’atmosfera era quella di un’udienza in pretura per una guida senza patente. Otto persone tra il pubblico. Le gabbie degli imputati erano vuote come vuote sono sempre state fin dalla prima udienza, quasi un anno fa. Non è mai venuto Pino Rauti, ex leader di Ordine Nuovo ed ex segretario del Msi: è accusato di essere l’ispiratore della strage. Non è mai venuto Carlo Maria Maggi, medico veneziano già processato e assolto per piazza Fontana. Non è mai venuto Francesco Delfino, ex generale dei carabinieri accusato di essere al corrente del progetto e di non aver fatto nulla per impedirne l’attuazione. Non è mai venuto Delfo Zorzi, pure lui già processato e assolto per piazza Fontana. Non è mai venuto Giovanni Maifredi, estremista di destra legato ai servizi segreti, né mai più potrà venire: è morto poco prima dell’estate.
E’ venuto, ma solo qualche volta, non più di quattro o cinque, Maurizio Tramonte, anche lui ex neofascista ed ex informatore dei servizi. «E’ un surreale processo ai fantasmi», dice Manlio Milani, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: c’era anche lui quel giorno in piazza della Loggia, stava guardando negli occhi sua moglie quando se la vide spazzare via. Milani è uno di quelli che non si sono rassegnati: ha fondato una Casa della Memoria, la sua non è una battaglia ideologica ma umana e civile. Dice: «Questo processo sta comunque permettendo di scoprire ancora di più che cosa era l'Italia di quegli anni, quali trame si ordivano, quali folli progetti. Non so che cosa si stabilirà dal punto di vista giudiziario, ma dal punto di vista storico è un processo importante. Sono venuti a testimoniare ex neofascisti, abbiamo capito ancor di più le loro molteplici strategie: chi era per le stragi e chi no. Ma tra loro continua a prevalere un senso di solidarietà che porta all'omertà».
E' appunto la ricostruzione della verità giudiziaria ad essere difficile. Questo processo ne è una prova ulteriore. Ad esempio: Montanelli diceva che l’Italia è specializzata nel mescolare la tragedia alla farsa, e chissà che cosa avrebbe pensato se ci fosse stato ieri quando i giudici, per cercare di ricostruire la verità, hanno chiamato a deporre perfino Febo Conti, l’ex presentatore della Rai Tv, 83 anni. Ma che ci fa qui Febo Conti? Gli chiedono: «Le hai aderito alla Repubblica Sociale?». Lui risponde: «Non so, credo di sì». Lei ha conosciuto il principe Junio Valerio Borghese? «No, non mi pare, non ricordo». L’interrogatorio è senz’altro serio, ma finisce con il dare un’immagine da macchietta anche ai progetti più lugubri concepiti in quegli anni: «Signor Febo Conti, è vero che lei avrebbe dovuto aiutare il principe Borghese a occupare la Rai il giorno del golpe?». Il testimone è basito, non capisce, poi si mette un po’ a ridere, ed è quello che tragicamente viene a tutti noi pensando a un colpo di Stato annunciato a reti unificate dal presentatore di «Chissà chi lo sa».
Prima di lui avevano interrogato Pasquale Barra, «o’ animale», 67 omicidi nel curriculum, in galera dal 1970. E poi un ex estremista di destra bresciano, Carmelo Sorsoli. Dalla sua bocca escono storie che paiono da film con Tognazzi: «Andai a Peschiera sul Garda a una messa celebrata da monsignor Lefebvre, c’era anche il principe Borghese. Facevamo esercitazioni con le mitragliatrici. A chi sparavamo? A dei cespugli». La domanda più frequente ai testi è: «Riesce a collocare l’episodio nel tempo?» La risposta più frequente è: «Non ricordo».
Sfilano anche altre vittime di quella follia: gente che dalle bombe è stata colpita indirettamente. Si siede davanti alla Corte Ivana Buzzi. Suo fratello Ermanno era una testa calda, finì invischiato con l’estremismo neofascista. In primo grado gli diedero l’ergastolo per la strage di piazza della Loggia. In appello fu assolto, ma nel frattempo era già comparso davanti al giudizio di Dio: il camerata Pierluigi Concutelli l’aveva strangolato in carcere accusandolo di essere un infame. «Mio fratello in casa era buonissimo – dice Ivana Buzzi –. Ancora adesso i miei nipotini quando parlano dello zio Ermanno piangono. Per noi piazza della Loggia è stata una cosa tremenda». La signora se ne va provata e preoccupata: la Corte ha convocato anche sua madre, 97 anni.
Difficilmente si verrà a capo di qualcosa. Ma intanto in quest’aula si sta rifacendo la storia della notte della Repubblica. Sono già sfilati, nelle scorse udienze, personaggi che credevamo sepolti dal tempo: l’autore della strage di Peteano, Vincenzo Vinciguerra, l’ex capo del Mar Carlo Fumagalli, il colonnello Amos Spiazzi. Ogni tanto fanno un nome e ci si chiede: ma è ancora vivo? C’è un’altra domanda, una domanda molto da ingenui. Tutte quelle stragi richiesero la collaborazione di centinaia di persone. Possibile che a nessuno, che neanche a uno di quegli Innominati venga mai un rimorso? Il desiderio di parlare, di togliersi un peso? E’ anche per questo sonno delle coscienze, oltre che per le difficoltà investigative, che la verità attende ancora.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200909articoli/47785girata.asp
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