Il capo della procura militare di Roma, Marco De Paolis
ROMA - Sono stati condannati definitivamente al carcere a vita, ma sono liberi. Diciassette ex criminali di guerra nazisti, vivono tranquillamente nelle loro case in Germania perché i mandati di arresto europeo nei loro confronti sono stati respinti al mittente (solo in due casi gli ordini di cattura non sono stati ancora emessi), così come non hanno avuto esito le successive richieste di far scontare le pene nel loro Paese. Tra questi ex criminali di guerra, tutti ultraottantenni e alcuni quasi centenari, vi sono i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale.
Il dato è stato confermato all'Ansa dal capo della procura militare di Roma, Marco De Paolis, l'ufficio giudiziario attualmente competente per la maggioranza di questi procedimenti. Processi che lo stesso magistrato ha in buona parte istruito a partire da metà degli anni '90, dopo la scoperta del cosiddetto armadio della vergogna" (dove furono occultati centinaia di fascicoli di indagine), quando era procuratore militare della Spezia.
In particolare, sono otto i condannati all'ergastolo dalla Cassazione per la strage di Sant'Anna di Stazzema (560 vittime) che sono ancora in vita e non scontano la pena; tre quelli per Marzabotto (770); uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio (244); uno per Branzolino e San Tomè (10), uno per la Certosa di Farneta (oltre 60 morti) e uno per Falzano di Cortona (16 i civili trucidati). Solo un secondo condannato all'ergastolo
per quest'ultima strage, Josef Scheungraber, di 93 anni, è finito in prigione, ma soltanto perché è stato condannato anche in Germania per quell'eccidio.
Per tutti i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso nel tempo i relativi mandati di arresto europeo, ma la Germania ha sempre rifiutato la consegna. I giudici hanno quindi inoltrato al ministero della Giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania, ma a tutt'oggi non hanno ricevuto alcuna risposta: non si sa nemmeno se sia il governo tedesco che deve ancora pronunciarsi, oppure se è quello italiano che non ha mai inoltrato l'istanza alla Germania.
Solo per due dei condannati dalla Cassazione al carcere a vita - ritenuti responsabili delle stragi compiute nell'agosto '44 nel comune toscano di Fivizzano, dove furono trucidate complessivamente 346 persone, in maggioranza donne e bambini - il pubblico ministero non ha ancora spiccato il mandato di cattura europeo in attesa che diventi irrevocabile la condanna anche per altri due coimputati. Ma è difficile che la Germania adotti una decisione diversa dalle precedenti.
In Italia ancora 30 inchieste ancora aperte. Sono una trentina le inchieste su eccidi compiuti in Italia da militari tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale su cui ancora indaga la magistratura militare: in particolare, una dozzina di fascicoli sono aperti presso la procura militare di Roma e circa 15 procedimenti sono nella fase delle indagini preliminari a Verona. I processi nei confronti di criminali di guerra nazisti celebrati in Italia furono solo una decina, dal dopoguerra fino al 1994, anno in cui venne rinvenuto il famoso ''armadio della vergogna'' dove erano stati occultatati 695 fascicoli di crimini nazifascisti mai perseguiti. Le inchieste su questi episodi vennero dunque avviate solo nel 1995 ma, soprattutto a causa dei molti anni trascorsi - con la morte degli indagati e dei testimoni e la conseguente difficoltà di condurre le indagini - in gran parte si sono concluse in un nulla di fatto. Tuttavia, una ventina di processi si sono celebrati e molti hanno portato a condanne all'ergastolo, anche se solo tre imputati sono finiti in prigione all'esito di questi procedimenti: Erich Priebke (l'unico ancora in vita, oggi ai domiciliari nella casa del suo avvocato) Karl Hass (deceduto nel 2004 nella casa di riposo di Castelgandolfo dove era agli arresti) e Michael 'Misha' Seifert (detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e morto a novembre). I processi attualmente in corso nei vari gradi di giudizio sono invece tre.
Fonti:
LaRepubblica
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