pubblicato il 6.04.13
La Destra, Storace resta solo Fuori dal parlamento e senza alleati, il partito si dissolve ·
Il leader, contestato a suon di dimissioni, cerca di rimettere insieme i cocci del movimento
La Destra, Storace resta solo
Fuori dal parlamento e senza alleati, il partito si dissolve
di Giorgio Ponziano
La frana elettorale ha risucchiato anche Francesco Storace. Sconfitto due volte. La prima da candidato della Regione Lazio, dove è stato surclassato da Nicola Zingaretti. La seconda da leader della Destra: neppure un seggio e anche lui fuori dal parlamento. Una dèbacle che molti dei suoi non gli perdonano.
In particolare l'accusa è di non avere caratterizzato il movimento, appiattendolo sul Pdl di Silvio Berlusconi. E lui sembra quasi ammettere di essere stato colto con le mani nella marmellata, cioè avere tentato la stessa carta di Roberto Maroni, solamente che il capo della Lega è riuscito ad entrare nella superstanza del Pirellone facendo pagare al Carroccio un certo prezzo elettorale, Storace s'è trovato senza posto e rischia di rimanere pure senza movimento. Tanto che ha raffreddato i rapporti col Cavaliere: «Berlusconi ha dato i soldi a tutti tranne che a noi. Ha consentito l'alleanza con un movimento che si è scisso dal suo partito e ora noi stiamo qui a leccarci le ferite. Anche con i nostri voti la coalizione ha portato a casa deputati e senatori. Li facciamo due conti? Sarebbe un segnale di grande lealtà da parte del centrodestra. Ma dubito, per ora, che ci sarà». Il fuggi-fuggi è incominciato e Storace, nonostante i suoi stoici sforzi, non riesce a fermalo. A Ferrara se ne sono andati sbattendo la porta il segretario (Sergio Baroni) e tutti i sette membri del direttivo, lanciando accuse pesanti: «Il movimento sembra ormai solo un poltronificio romano in cui non ci riconosciamo più». Non solo, i fuoriusciti hanno costituito un loro partito, il Movimento di identità nazionale, con l'obiettivo di raccogliere tutti i fuggiaschi da Storace: «Non abbiamo voluto disperdere l'esperienza fin qui realizzata e saremo presto in tanti - assicura Baroni. - Ci sono intere sezioni con dimissioni in blocco nel Veneto, in Sicilia, in Lombardia, in Toscana, in Emilia. Il nostro programma? Quello della Destra prima del tradimento: famiglia, casa, lavoro, fisco equo e non ammazza imprese, diritto primario degli italiani all'assegnazione degli alloggi popolari, aiuti sociali e lotta dura all'immigrazione clandestina e all'evasione tributaria degli stranieri in Italia».
Difficile turare queste falle, ma Storace è uomo da combattimento: «Da più parti in queste ore - ammette - continuano a chiedermi se sarò io il leader della nuova destra italiana. Non è questo il momento delle leadership avocate o conferite. Ora a destra c'è bisogno di ricostruire tutto un mondo, il nostro mondo. Non sono certo le battaglie a spaventarmi».
Ne avrà di battaglie da fare. E di rovine da tentare di ricostruire dopo il terremoto che sta investendo la sua Destra. Non solo c'è l'esodo ma è anche velenoso. A Reggio Calabria se n'è andato il coordinatore provinciale, Antonio Nicolò, che non va per il sottile e parla di «scellerata gestione regionale del partito» con conseguente «catastrofico dato elettorale di quella che era la destra», per concludere che «non mi riconosco più in chi fa accordi con il Pdl, privilegia logiche verticistiche ed utilitaristiche e in pratica è peggio di Gianfranco Fini». Subito cinque esponenti del direttivo provinciale lo hanno seguito, rincarando la dose: «Affidiamo a questa nota stampa la definitiva rottura col movimento. Sembra proprio che alcuni atteggiamenti, mirati ad eliminare il dissenso e gli avversari interni siano dovuti ad incaute ed affannose rincorse a poltrone che non esistono e che ci auguriamo possano mai esistere per persone che usano l'ambiente di destra per i propri tornaconto personali. Ritenendo inappropriato, irresponsabile e dannoso questo comportamento i suddetti rappresentanti non si sentono più parte di qualcosa che non c'è più». Risalendo la penisola, ci si può fermare a L'Aquila, dove il segretario provinciale nonché candidato alle recenti elezioni, Luigi D'Eramo, insieme a due dirigenti, ha rassegnato le dimissioni: «Alla luce degli accadimenti seguiti alle scorse elezioni a cui ha fatto seguito un'analisi attenta e sofferta di quello che poteva essere il futuro, ritengo concluso il mio percorso politico all'interno del partito La Destra, non essendoci più le condizioni per proseguire il progetto con esiti costruttivi». Gli fanno eco da Pescara il vice-segretario provinciale e il segretario cittadino: «Ce ne andiamo e uguriamo a tutti miglior fortuna nel proseguimento del progetto politico».
C'è ressa sulle scialuppe di salvataggio. Tutti di corsa ad abbandonare la nave. Storace come Francesco Schettino: è andato a sbattere e non sa che pesci pigliare. Qualche giorno fa ha riunito i suoi accoliti ma è stato un mesto incontro pur condito con qualche velleità: «Dovremo lavorare sapendo che la legislatura durerà poco, e dovremo affinare la propaganda su temi come sovranità, Europa, banche, signoraggio, immigrazione, valori e diritto naturale. Fondamentali saranno già le amministrative di maggio. Per Roma, dove abbiamo ricevuto l'appoggio di Gianni Alemanno alle regionali, dobbiamo valutare bene se esiste la forza per imporre una candidatura non velleitaria. Io non sono certo candidabile. Proporrei di concentrare la nostra attenzione su un programma di discontinuità amministrativa, almeno nella sua parte più sociale. Da un sindaco che nel curriculum ha la provenienza in quell'area non dovrebbe essere complicato». Il malcontento però investe proprio il fondatore della Destra e la sua decisione di non farsi da parte, di non lasciare ad altri la guida del movimento. Lo esplicita il coordinatore modenese nonché candidato al parlamento, Francesco Malavasi, che ha traslocato a Fratelli d'Italia, il movimento di Giorgia Meloni: «Dopo mesi di disaccordi con la direzione nazionale e locale, ho deciso di dimettermi da dirigente regionale e provinciale e di restituire la tessera. La scarsità d'attenzione al territorio e la scarsa partecipazione hanno reso il movimento sia a livello locale sia a livello nazionale un qualcosa di scoordinato e con scarso futuro». Un addio in tandem con quello di un altro emiliano, il reggente delle federazione provinciale di Parma, Priamo Bocchi: «? andata male, anzi malissimo, e anche se il successo non è l'unità di misura di una causa giusta, non si può ignorare o sottovalutare la bocciatura elettorale. Vi è la profonda delusione dei tanti (anzi dei pochi) nostri militanti, così come della dirigenza locale, della nostra cronica pochezza di mezzi, uomini, strumenti e classe dirigente. Un partito troppo «ciociaro», romanocentrico e che alla fine non si è rivelato all'altezza della sfida ambiziosa che tutti noi coraggiosamente lanciammo con Storace nel 2007: quella di raccogliere il testimone della Destra Sociale e Nazionale Italiana e di tentarne la ricostruzione». Rimane l'ideale, ma tutti a leccarsi le ferite. Con molte sedi chiuse e Storace, novello Don Chisciotte, che cerca di salvare la sua creatura dall'harakiri.
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