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Il Progetto

MAPPA GEOGRAFICA AGGRESSIONI FASCISTE

AGGRESSIONI RAZZISTE - CRIMINI DELL'ODIO
7.07.24 La denuncia dell’artista di strada Clown Idà: “Botte e insulti razzisti fuori da un locale a Torino. Mi dicevano ‘torna al tuo Paese'”
2.02.24 Bastonate e insulti omofobi al Gay Center di Roma in zona Testaccio: video del blitz ripreso dalle telecamere
31.08.22 La violenza che ci sommerge: Noi sappiamo
16.11.21 Mirko minacciato davanti alla gay street da 4 ragazzi armati: “Fr*** di mer**, ti tagliamo la gola”
2.11.21 Ferrara, aggressione omofoba contro un gruppo di giovani Lgbt. "Mussolini vi brucerebbe tutti"
16.08.21 Aggressione omofoba ad Anzio, 22enne preso a pugni mentre passeggia insieme al fidanzato
11.06.21 Torino, 13enne picchiata per la borsa arcobaleno: “Mi urlavano cagna e lesbica schifosa”
30.05.21 Palermo, due ragazzi gay aggrediti con lancio di bottiglie. Uno ha il naso fratturato
29.04.21 Foggia, sparano da un fuoristrada in corsa contro un gruppo di migranti: ferito al volto un 30enne del Mali
21.03.21 “Gravissima violenza a San Berillo: lavoratrici del sesso massacrate dalla polizia”
21.10.20 Modena, "Torna nel tuo paese" aggredito a bastonate e colpi di machete
29.06.20 Aggressione omofoba a Pescara. Ragazzo gay assalito da un branco di sette persone


manifestazioni MANIFESTAZIONI E INIZIATIVE ANTIFASCISTE
Le mille strade del rugby popolare
- Lo scrittore Giorgio Franzaroli restituisce il premio Acqui Edito&Inedito: “Non voglio essere accomunato a un autore neofascista”
- A Milano i cortei contrapposti contro la guerra: da una parte i neofascisti, dall'altra il movimento antirazzista
- Apre nuovo spazio di Casapound, corteo di Firenze Antifascista
- La Sapienza, dopo le cariche occupata la facoltà di Scienze politiche
- Tensioni alla Sapienza per il convegno con FdI e Capezzone: scontri tra polizia e studenti
- Il nuovo movimento degli ex di Forza Nuova a un anno dall’assalto alla Cgil
- Bologna, femministe contro patrioti alla manifestazione "a difesa delle donne": insulti e tensioni
- Bologna Non Una Di Meno torna in piazza e dilaga: “Risale la marea!”
- Elezioni, contestatori al comizio di Giorgia Meloni a Trento: cantano “Bella ciao” e urlano “siamo tutti antifascisti”
- L’Anpi torna a chiedere lo scioglimento di Casapound alla vigilia dell’inaugurazione della nuove sede di Latina
- No alla manifestazione fascista di Casapound il 28 maggio prossimo. Lettera aperta al Prefetto di Roma

ARCHIVIO COMPLETO

ARCHIVIO REGIONI

documentazione Documenti e Approfondimenti
14.11.24 Bologna 9 novembre 24: Comporre l’antifascismo, agirlo nel presente
13.09.24 Breve storia di Meridiano Zero: quando il ministro Giuli era fascista
6.09.24 La testimonianza di Samuele, ex militante 19enne Il pentito di CasaPound
25.07.24 Ignazio Benito LaRussa Nero per Sempre
23.07.24 Inni al Duce, la paura dei residenti di via Cellini.
23.07.24 È la «Torino nera» quella che sabato sera si è scagliata contro il giornalista de La Stampa Andrea Joly
13.07.24 Dentro la Verona “nera”, i tre episodi che hanno segnato la cronaca della città e messo nel mirino i sostenitori di Casapound
10.05.24 "La ragazza di Gladio" Le stragi nere? Misteriose ma non troppo.
2.03.24 Faida tra neofascisti per il controllo della Curva Nord dell'Inter
2.06.23 Difendere l'Europa bianca: CasaPound in Ucraina
26.05.23 La “Legione per la Libertà della Russia” e l’offensiva di Belgorod
16.03.23 Dax, 20 anni fa l’omicidio. Parla l’avvocato che difese la famiglia
13.03.23 «Saluti romani, odio e camerati: i miei sei mesi da infiltrato nelle cellule neofasciste del Nord»
3.03.23 Gruppo armato anti-Putin penetrato nel confine russo con l'Ucraina - Tra loro il neonazista Denis "White Rex" Nikitin
30.01.23 Il neofascista Roberto Fiore smentito dall’Interpol: “Viveva con Gilberto Cavallini”
25.01.23 L’ex camerata in affari con Fratelli d’Italia e le bastonate ai carabinieri
9.12.22 La nuova ultradestra
18.11.22 Quel filo che dall’Ordine di Hagal arriva a CasaPound
19.10.22 Giorgia Meloni firma la Carta di Madrid di Vox
7.10.22 GRUPPI NEONAZISTI USA
16.09.22 L’Europa nuovamente alle prese con l’avanzata dell’estrema destra
15.09.22 Ultradestra, la galassia nera torinese messa in crisi dall’ascesa di Meloni
10.09.22 Sette decenni di collaborazione nazista: Il piccolo sporco segreto dell'America in Ucraina
28.08.22 Inchiesta su M. 2/3
27.08.22 Antifa - Stati Uniti d'America

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Informazione Antifascista 1923
Gennaio-Febbraio - a cura di Giacomo Matteotti ·


pubblicato il 25.06.05
Il lungo filo nero di Varese
·

Un secolo di storia fascista alla base del razzismo di oggi.

Squadrismo, delazione ai danni degli ebrei in fuga in Svizzera, stragismo. Benvenuti nella capitale leghista
MANUELA CARTOSIO

A Varese chi getta un mozzicone per terra rischia una multa. L’ha istituita un paio d’anni fa la giunta leghista perché la «città giardino», la sua vetrina, ha da essere pulita, in ordine, perfetta. La città che ingigantisce un mozzicone è la stessa che rimpicciolisce il quasi-linciaggio per mano dei naziskin di Blood&Honour di un albanese. Colpevole d’essere albanese, come il giovane immigrato che ha ucciso a coltellate il barista di Besano Claudio Meggiorin. Una settimana dopo il funerale, gli striscioni degli ultras per «Claudino» sono ancora in piazza Monte Grappa, il cuore di Varese. C’è un filo nero, una tradizione, alle spalle dell’esplosione di violenza razzista innescata dall’omicidio di Besano. Risale più indietro dell’episodio del 1976, che un po’ tutti hanno ricordato in questi giorni, quando i tifosi della Mobilgirgi di Varese (la ex Ignis del cumenda Giovanni Borghi) accolsero i cestisti del Maccabi di Tel Aviv con slogan e simboli antisemiti. Nel processo che ne seguì, la Mobilgirgi non si costituì parte civile, rifiutò di chiedere una simbolica lira come risarcimento. Ripercorriamo quel filo nero con Franco Giannantoni, giornalista e storico di Varese, testimone oculare e archivio ambulante, la memoria prodigiosa di quelli che hanno imparato il mestiere quando google non c’era.

La torre littoria

Prima indicazione magistrale: «Guardiamo piazza Monte Grappa. La stanno ripavimentando, è un cantiere a cielo aperto che riassume il pezzo di storia che qui ci interessa». Ci sono gli edifici, tra cui spicca la torre littoria (poi ribattezzata «civica»), progettati dall’architetto Loreti che negli anni Trenta impresse il marchio littorio al «piccolo, candido borgo» (definita così da Sandro Giuliani, cantore di Mussolini). C’era, fino a poco tempo fa, una grande aiuola che la Lega spudoratamente aveva usato per disegnarci in mezzo il «Sole delle Alpi». La bruttura dev’essere sembrata eccessiva persino ai leghisti. Si sono pentiti, ma solo a metà. Per la ripavimentazione hanno fatto arrivare il marmo dal Nicaragua, «rigorosamente verde». E poi ci sono gli striscioni di Blood&Honour. Giovani rasati e tatuati che sventolano il tricolore, cantano Fratelli d’Italia, riciclano la paccottiglia di derivazione nazi-fascista e si ricollegano – magari senza saperlo – al razzismo «classico». Fossero davvero una destra «anti-sistema», dovrebbero confliggere con la Lega che a Varese è «il potere, comanda tutto». Invece, l’odio e l’intolleranza verso gli immigrati mettono d’accordo Lega e teste rasate da stadio. Lo slogan di Sangue&Onore «Difendi il tuo simile, distruggi il resto» è fascista, ma è «anche» leghismo allo stato puro, allude alla solidarietà ristretta su base etnico-comunitaria che caratterizza i populismi da spaesamento postindustriale, da fortezza assediata dalla globalizzazione. Un’analisi troppo sofisticata? Resta il fatto che gli imprenditori politici della Lega, «i Maroni, i Castelli», si sono «impossessati» delle gesta di Blood&Honour. Più che giustificarle, le hanno rivendicate. Bravi ragazzi, secondo il sindaco Aldo Fumagalli, al massimo «un po’ eccitati».

I commercianti di Varese che tirano giù le saracinesche quando sfilano due gatti dei Social Forum, questa volta sono stati sulla porta a rimirare un corteo che chiedeva «ordine» fatto «da pregiudicati per spaccio e rapina, ex sorvegliati speciali, indagati per risse e pestaggi». Tipetti che, dopo una sconfitta in trasferta del Varese calcio, hanno menato tre giocatori «negri» di cui la squadra si è rapidamente «liberata».

La cosa che più intristisce e preoccupa Giannantoni è il «silenzio imbarazzato» del centro sinistra sul tentato linciaggio. I Ds, eroici, si sono «spinti» a chiedere la convocazione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. «Roba da prefetto», commenta, «ma non le vedono le scritte minacciose sotto lo studio dell’avvocato che ha accettato di difendere l’albanese omicida?». C’è poco da meravigliarsi, se si ricorda che a Varese il Pds, allora si chiamava ancora così, fu molto indulgente con la Lega nascente. Con quegli «uomini nuovi» fece una giunta «anomala». Poi il Carroccio si mise con Berlusca, ma i diessini di Varese la lezione non l’hanno imparata, continuano ad accarezzare la speranza che «Bobo» torni a girarsi dalla loro parte.

Da dove viene la carenza di nerbo democratico di Varese? Perché la città è sempre più a destra della media? Perché lì neofascismo e squadrismo hanno attecchito più che altrove? Il bandolo della matassa Giannantoni l’ha trovato, pur senza scadere nel determinismo storico, nelle formula «Varese laboratorio del collaborazionismo».

Il laboratorio inizia a funzionare nel 1926, quando Benito Mussolini – a cui Varese già nel `24 aveva attribuito la cittadinanza onoraria – eleva la città che fino ad allora dipendeva da Como al rango di capoluogo di provincia. Lo fa per ragioni militari – la frontiera e a due passi – ma soprattutto politiche. Il cavalier Benito coltiva l’ambizione di «italianizzare» il Canton Ticino che la Germania, non ancora alleata, vorrebbe invece «tedeschizzare». In Canton Ticino «vive complottanto una malvagia minoranza di fuoriusciti e di rinnegati sulla quale mai deve cessare la vigilanza del governo d’Italia». Preoccupano ancor di più il capo del fascismo i ventimila lavoratori che dalla zona di Varese emigrano ogni anno come stagionali in Svizzera. «Gente sana», ma «facile preda di ogni propaganda che instilli il veleno dell’odio e del rancore». Molto nelle condizioni politiche del Varesotto dipende «dallo stato d’animo delle masse che al principio della cattiva stagione rientrano dall’estero». Per evitare «sorprese dolorose» occorre «conoscere, dirigere ed eventualmente reprimere». Serve rafforzare in loco la presenza del governo, per questo Varese diventa provincia.

La città accoglie con entusiasmo la promozione. Non c’è bisogno d’importare da Roma un ceto politico amministrativo. Professionisti, piccoli e grandi imprenditori, commercianti indigeni si offrono volentieri. Nel polo dell’aeronautica (Caproni-Macchi-Siai Marchetti) cresce il numero degli occupati. La convergenza di due fattori – vicinanza del confine, presenza dell’industria bellica – fa di Varese un laboratorio del collaborazionismo. La città si «militarizza» assai più degli altri centri del Nord. Il 12 settembre del `43 i tedeschi entrano a Varese senza che si spari un colpo, accolti dalle donne che buttano fiori. «Che tristezza», annota il prevosto, monsignor Proserpio, «se ne pentiranno». In pochi giorni i tedeschi occupano la linea di confine con tre obiettivi: bloccare gli ebrei, bloccare la costituzione di bande partigiane, bloccare i renitenti. La Guardia di finanza, unica forza non fascista, passa in blocco in Svizzera. Le aziende belliche passano sotto l’ala «protettiva» del Reich. I salari sono discreti rispetto al resto dell’industria, e poi tutti hanno l’orticello. La resistenza di montagna è debole, a Varese città una piccola brigata gappista cade rapidamente per una serie di delazioni. Si sciopera per il pane e la pace solo nella fascia meridionale della provincia, non a Varese. Un ispettore delle Brigate Garibaldi trasmette al comando generale di Milano rapporti «sconcertati». Transita da Varese l’80% degli ebrei che passano in Svizzera. Pagano e anche di questo «commercio» si arricchisce Varese. Non mancano le delazioni, soprattutto da parte di albergatori che raddoppiano il guadagno «rivendendo» gli ebrei ai tedeschi.

Lo zoccolo duro

Finita la guerra, i fascisti di Varese diventano tranquillamente democristiani. Resta però uno zoccolo duro di professionisti e imprenditori che fino all’inizio degli anni Settanta garantirà all’Msi un buon 10% di voti, il doppio della media nazionale. Roma, Pisa e Varese sono le tre «piazze» su cui punta Almirante. Le sue parole d’ordine trovano interessato ascolto presso gli imprenditori varesini. Oltre all’Msi è attiva a Varese una pletora di sigle neofasciste: Partito della ricostruzione nazionale, Costituente nazionale rivoluzionaria, Comitato di emergenza e salute pubblica, Avanguardia nazionale, Squadre d’azione Zamberletti (è il titolare del bar più famoso di Varese), Squadre d’azione gaviratesi, Squadre d’azione Ettore Muti. Agiscono come squadracce, specializzate in agguati. Fino al 1974 quando, finalmente, anche a Varese si fa sentire la scossa del movimento sindacale e studentesco.

Dopo, la galassia neofascista restringe il numero dei militanti ma si incattivisce, dal manganello passa alla bombe, allo stragismo quasi realizzato. Il 28 marzo del `74 nella piazza del mercato di Varese alle 7,40 il fiorista Vittorio Brusa nota uno strano oggetto, un gomito di ghisa. Non sa che compressi dentro ci sono 3 etti di esplosivo. Lo tocca, la bomba esplode e Brusa finisce dilaniato sul tetto delle ferrovie Nord. Fosse scoppiata alle 10, com’era nei piani, le vittime sarebbero state decine, un anticipo in piena regola della strage di Piazza Loggia. Nell’ottobre del `74 Fabrizio Zani (Ordine nero) e Mario Di Giovanni (Avanguardia nazionale) vengono bloccati con tre chili di esplosivo. Obiettivo presunto: una diga sopra Luino o, più probabilmente, la tribuna centrale dello stadio di Masnago mentre si gioca Varese-Roma.

Per completare il quadro. Edgardo Sogno ama far festa a villa Mozzoni a Varese. Nel centro di ricerca della vicina Ispra lavora come dirigente Eliodoro Pomar, un palermitano che pensa d’avvelenare l’acquedotto di Roma; coinvolto nel golpe Borghese, ripara nella Spagna di Franco dove è punto di riferimento per tutto il neofascistume italico.

Questa la «febbre» che ha attraversato il corpo di Varese, «città che non ha mai tempo di fermarsi a pensare». Spenta quella febbre, dopo un decennio di relativa calma, si è accesa quella leghista. Ma questa è storia nota e qui ci fermiamo. Non senza aver chiesto al nostro Virgilio cosa l’ha tenuto legato a una città così poco amabile. Risposta: «Di qui si vede il Monte Rosa».

Il Manifesto

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