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Da Osservatorio sulla Legalità e sui Diritti
Republichini belligeranti ? Alcune riflessioni sugli antefatti
di Piero Stagno
E’ in discussione al Senato il ddl 2244 che prevede il “Riconoscimento della qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio militare dal 1943 al 1945 nell’esercito della Repubblica sociale italiana (RSI)”. Tale progetto di AN ha suscitato e coninua a suscitare un acceso dibattito. Cogliamo l’occasione per pubblicare questa interessante analisi critica di Piero Stagno sugli aspetti giuridici e storici del contesto in cui maturarono certe scelte.
Ai tempi del fascismo ricorreva senza dubbio la fattispecie secondo la quale fin dal 4 luglio 1776 il mondo occidentale prevede la liceità della rivoluzione contro il Governo:”...we hold these truths to be self-evident….that they are endowed by their Creator of certain inalienable rights, that among these are life, liberty and the pursuit of happiness. That to secure these rights, governments are instituted among men, deriving their just powers from the consent of the governed. That whenever any form of government becomes destructive of these ends, it is the right of the people to alter and abolish it…...Prudence indeed will dictate that governments long established should not be changed for light and transient motives…....But when a long train of abuses and usurpations…..evinces a design to reduce them under absolute despotism….it is their right, it is their duty to throw off such a government….”.
In Italia il “long train of abuses and usurpations” cominciò il 3 gennaio 1925 e si concretizzò nell’abolizione della libertà di stampa, delle libere elezioni, della libertà di parola e di associazione (l’ASCI, per esempio, decise di sciogliersi per non essere costretta a confluire nell’opera nazionale balilla), nelle leggi razziali, nella guerra sciagurata: questo basta a qualificare come patrioti quanti al fascismo si opposero e per esso sfidarono il tribunale speciale ed anche quanti (e furono molti di più, ma di essi non si parla, benché ne abbiamo avuto anche nelle nostre famiglie) semplicemente cercarono di ignorare il fascismo custodendo la fiamma della libertà negli ambiti ristretti della famiglia e degli amici.
L’andamento della guerra fin dall’autunno del ‘42 aveva messo in chiaro che la salvezza della Patria ci sarebbe stata solo con lo sganciamento dai tedeschi: già nel gennaio ‘43 la dichiarazione di Casablanca di Churchill e Roosevelt (“unconditional surrender”) aveva messo in chiaro che non sarebbe finita a tarallucci e vino. Quelli che avrebbero dovuto agire, gli antifascisti, erano frammentati e sostanzialmente non in grado di prendere iniziative che non fossero velleitarie, mentre quelli che avrebbero potuto agire (Re, esercito, mondo economico), pur rendendosi perfettamente conto della situazione, ne erano sostanzialmente incapaci.
In questo quadro si inserisce la riunione del Gran Consiglio, che, secondo la legge 9 dicembre 1928, n. 2693 era” organo supremo che coordina ed integra tutte le attività del regime”, e fu convocato nelle forme dovute il 24 luglio 1943 alle ore 17 a Palazzo Venezia; qui 28 uomini in camicia nera (benché nei libri non ci sia il particolare dell’abbigliamento, mi sembra logico che avessero il lugubre indumento) discussero fino all’alba del 25, alla fine approvando (19 a favore, 7 contro, 2 astenuti) l’ordine del giorno Grandi che dice, nelle frasi fondamentali: ”......dichiara che….è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali….invita il governo a pregare la Maestà del Re…..affinché egli voglia per l’onore e la salvezza della Patria assumere…..., secondo l’art. 5° dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono…”.
Già la semplice descrizione del fatto smentisce qualsiasi tentativo di definire il 25 luglio come colpo di stato: gli avvenimenti si svolsero nell’ambito della legislazione vigente ed il Re, messo costituzionalmente in mora dal Gran Consiglio (la frase è di De Felice), destituì Mussolini (nominando, ahimé, Badoglio) secondo i poteri conferitigli dall’art. 65 dello Statuto, quindi non ci fu rottura costituzionale alcuna.
Ma c’è di più: anche indipendentemente dai principi del 4 luglio 1776 che ho citato all’inizio, ma in modo concorrente ad essi, il 25 luglio rese possibile la Resistenza come guerra di Liberazione degli Italiani contro l’invasore tedesco ed i suoi alleati: infatti senza il 25 luglio non sarebbe stato chiaro a tutti, ed in particolare ai militari, che la legittimità era il Re e che, in ultima analisi, la libertà e l’onore della Patria si potevano difendere solo combattendo i tedeschi.
Anche per il giuramento di fedeltà al Re gli ufficiali parteciparono alla Resistenza, non cedettero alle lusinghe di Salò rimanendo prigionieri in Germania ed interi reparti, come la Divisone Acqui, ma non solo, combatterono da subito i tedeschi: senza il 25 luglio la Resistenza sarebbe stata veramente una guerra civile, perché certo i militari non vi avrebbero partecipato, ma anche molti altri sarebbero stati incerti sulla giusta strada da tenere per essere fedeli alla Patria; invece la consapevolezza che il Re (la Patria) era al Sud facilitò certo molte scelte personali.
Su questa base appare anche assolutamente priva di senso la pretesa equiparazioni fra i principi che spinsero gli uomini della Resistenza e quelli che spinsero molti italiani a servire l’invasore.
Abbiamo quindi il dovere di dire che negli anni ‘43/45 da una parte c’erano uomini che lottavano per l’onore e la libertà della Patria, mentre dall’altra parte c’erano uomini che, al di là delle motivazioni individuali, servivano l’occupante nazista e seguivano chi per vent’anni aveva tolta la libertà alla Patria, togliendoLe l’onore, oltreché con la dittatura, con le leggi razziali e l’entrata nella guerra sciagurata, che ci rese vassalli disprezzati dei nazisti e nemici delle democrazie; questa distinzione è invalicabile, pena annegare la consapevolezza della storia in un irenismo di maniera che non serve a nessuno.
La riconciliazione parte dalla verità.
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