pubblicato il 9.10.19
Dove si radunano i neofascisti tra social network e dark web ·
L'intervento di Facebook ha spinto l'estrema destra a migrare verso i canali nascosti e le chat criptate. Un lato oscuro della rete che piace a fanatici e criminali ma è di difficile accesso per i militanti comuni
09 ottobre 2019
Dove si radunano i neofascisti tra social network e dark web
Tra nevrosi e militanza, se le due cose non sono una, la propaganda social della destra in Italia torna in grande stile. Il fatale 8 agosto di Milano Marittima, quando Matteo Salvini ha impartito l’estrema unzione al governo gialloverde, ha richiamato alle armi il popolo sovranista sulle principali piattaforme digitali, prima con il miraggio delle urne e ora con l’opposizione dura e pura al Conte bis, esecutivo nato contro ogni pronostico.
«Dalle elezioni del 4 marzo 2018 si erano visti meno troll e il flusso di fake news sembrava in diminuzione ma da agosto sono tornati tutti, profili finti, pagine social di disinformazione e pseudoagenzie di stampa online», dice Michelangelo Coltelli, fondatore di Butac (Bufale un tanto al chilo), sito votato al debunking (demistificazione del falso online). «Sono inarrestabili», aggiunge, «e non solo quelli che operano attraverso i famosi server russi. Ho avuto a che fare con admin che hanno sede in Spagna, a Tenerife o a Gran Canaria. Ogni sei mesi cambiano nome e oggi non esiste quasi più nessuno dei profili individuati da Butac due anni fa».
Nel quasi possiamo includere gli immarcescibili Imolaoggi, Voxnews, Stopcensura o Stopeuro. Altri classici sono quelli dedicati alle forze dell’ordine (Sostenitori.info, Poliziotti per sempre), a personaggi politici come Salvini, leader massimo, ma anche al turbo filosofo antimondialista Diego Fusaro o al suo collega russo Alexander Dugin e alle sue interviste in cui si declassa a bicchierata dell’amicizia il colloquio all’hotel Metropol di Mosca dell’ottobre 2018 quando Gianluca Savoini e soci hanno trattato i finanziamenti estero su estero alla Lega.
Le piattaforme digitali consentono inoltre di organizzare gruppi aperti come quello su Facebook intitolato “Tutti a Pontida per la democrazia il 15.9.19...insieme” (oltre 23 mila iscritti) e rimpiazzato, subito dopo il bagno di folla salviniano, dall’analogo “Tutti a Roma per la democrazia il 19.10.19...insieme” (meno di 4 mila iscritti al momento) dedicato alla manifestazione di piazza indetta dalla destra e incorniciato da una foto del Capitano che posa per un selfie scattato da Giovanni Toti con Giorgia Meloni a completare il terzetto della nuova destra indipendente da Silvio Berlusconi.
A destra di questa destra c’è la componente estremista che preferisce chat e gruppi chiusi: CasaPound, Forza Nuova, Generazione identitaria, Fortezza Europa, Progetto nazionale e tutti quei movimenti che vedono nella coppia Salvini-Meloni l’unico riferimento politico presente e che, per il passato, si rifanno apertamente all’ideologia nazifascista all’interno di una nebulosa internazionale con riferimenti precisi. Si tifa per Putin, per Assad, per Erdogan, per Trump e per chiunque contribuisca a smontare il demonio Ue.
Black influencer
Per molti influencer neri è stato un settembre in tinta. Facebook, insieme alla controllata Instagram, ha condotto una campagna di chiusure. Mark Zuckerberg, ovviamente, è stato indicato sui siti fascisti come complottista giudoplutomassonico insieme al solito George Soros o a un membro qualunque della famiglia Rothschild. Le censure hanno portato a una migrazione dei neofascisti italiani verso i porti del dark web, a cominciare dalla piattaforma russa vk.com, chiamata così dalle iniziali di v kontakte ossia in contatto e creata da Pavel Durov, fondatore di Telegram, il servizio di chat criptato e dotato di canali chiusi molto frequentati dai gruppi dell’estrema destra. Durov, accreditato di un patrimonio di 2,7 miliardi di dollari dalla rivista Forbes, è nato a San Pietroburgo 35 anni fa ma è cresciuto a Torino prima di tornare in Russia. Il suo profilo personale non è di destra. Anzi si è allontanato da vk.com nel 2014, dopo essersi rifiutato di fornire i nomi degli animatori delle proteste antirusse a Kiev e antiputiniane a Mosca.
«L’intervento di Zuckerberg è stata una sciocchezza», dice Alex Orlowski, esperto di social marketing politico e fondatore di Wateronmars (Wom), pluriminacciato per le sue indagini sulla Bestia di Luca Morisi, il social media manager leghista. «L’oscuramento ha ostacolato le indagini che avrebbero consentito di procedere per associazione a delinquere verso CasaPound meme e altri. A maggior ragione dopo i provvedimenti di chiusura, vk.com è l’aggregatore più frequentato da un’estrema destra molto pericolosa, molto disciplinata militarmente nelle sue campagne e che sta spostando i suoi metodi di propaganda dai profili falsi, come le botnet di Morisi, agli account riferibili a persone reali».
Su vk.com, sui canali chiusi di Telegram o, per guardare agli Usa, 4chan e 8chan, si gioca una partita che include situazioni criminali come il reclutamento via chat dei mercenari per la guerra in Donbass o il suprematismo bianco che ha portato ad alcune delle più recenti stragi di massa.
Giuridicamente, i confini fra libertà di opinione e incitamento all’odio sono labili e la malafede propagandistica li sfrutta a meraviglia. Lo stesso Salvini e molti esponenti leghisti hanno sempre tenuto un atteggiamento ambiguo, a sfondo amorevole, con i piccoli leader dell’estremismo.
Ma per governare ci vogliono i grandi numeri. La nuova propaganda social della destra si basa su centinaia di militanti che hanno un profilo reale, certo e riconoscibile, quindi non troll né bot (profili fasulli generati da un algoritmo). Questa falange democratica che democraticamente rivendica il diritto all’intolleranza inonda ogni ora la Rete di link. I post sono spesso commentati in modo elementare: vergogna, al voto subito, la Chiesa stia al suo posto, blocco navale, mi sembrava una persona seria (Giuseppe Conte), si deve dimettere (sempre Conte), forza Giorgia (Meloni), italiani contrari (a qualsiasi progetto di accoglienza). Il tutto è accompagnato da grande spargimento di punti esclamativi. I rimandi naturali sono ai siti amici o alle pubblicazioni giornalistiche schierate a destra. Ma anche L’Espresso sa rendersi utile alla causa. Basta aggiungere al titolo originale (Riace è tornata un deserto) la nota: «gli abitanti vogliono così!!! ho saputo che vivono bene, tranquilli, sicuri».
È questa la parte meno scontata e meno algoritmica del lavoro. Un accentratore di notizie può diffondere in automatico, e in maniera piuttosto semplice, gli articoli del Secolo d’Italia o del Primato nazionale, testata giornalistica autorizzata dal tribunale di Roma, diretta dal giornalista Adriano Scianca, responsabile cultura di CasaPound, e edita da Altaforte, la società di Francesco Polacchi nota per avere pubblicato la biografia di Salvini.
Ma per trovare l’angolo politico giusto un software non basta. Per esempio, a sapere con certezza che gli abitanti di Riace preferiscono vivere in un deserto («bene, tranquilli e sicuri») è Rossella Paniconi, romana di 73 anni che, nelle sue informazioni personali su Fb, scrive di avere lavorato come ricercatrice all’Istat e al settore Sanità della Regione Lazio. È stata consigliere del Municipio XI della capitale dal 2006 al 2016 con diverse formazioni di destra. Nel 2015 è finita nel mirino della Procura perché pubblicava foto di Roma con scene di degrado che lei stessa aveva fabbricato.
Una vera star dei social è la leghista siracusana Patrizia Rametta, attivissima soprattutto su Twitter ma con un profilo anche su vk.com. Secondo Orlowski, tra agosto e settembre 2018 aveva 63.500 menzioni nella comunità che cinguetta, un’enormità.
Burattini senza fili
Sotto il profilo tecnico è abbastanza semplice. «Ci sono software di automatismo», continua Orlowski, «che ti consentono di rilanciare i post in autoreply ossia in autoreplica. Twitter ti permette di gestire decine di account che vengono semiautomatizzati. Rispetto ai bot, automatici nel gestire i like e i reply ma incapaci di dialogare, basta avere una rete di cento o mille attivisti o puppets (burattini, ndr). Ognuno usa i suoi dieci, quindici, venti account e moltiplica la diffusione raggiungendo facilmente lo stato di trend topic. Su Facebook è più complicato».
Hootsuite, addthis, tweetdeck sono alcuni dei sistemi, gratuiti o a pagamento, utili a bombardare i social con un dispendio di energie modesto.
Orlowski ha lavorato sui gilet gialli che usavano per le loro manifestazioni Dm (Direct Message) di Twitter, un sistema chiuso che i servizi di intelligence francesi sono infine riusciti a violare rovesciando il vantaggio tattico. Nelle mappe in pdf scambiate fra i dimostranti per segnalarsi la posizione della polizia è stato inserito un trojan che ha finito per rivelare alla polizia la posizione dei gilet gialli.
«I puppets stanno sostituendo le botnet», conclude Orlowski, «che comunque sono ancora in funzione a prezzi contenuti. Con 20 mila euro di spesa si può organizzare una rete da 50 mila utenti».
I “burattini” che aspirano a diventare burattinai sono nati con i cellulari di ultima generazione, a partire dagli impenetrabili iPhone celebrati da una serie di pubblicità televisive. Sui nuovi smartphone è semplice gestire numerosi profili social e le app che consentono di ottimizzare l’attività di agit-prop, per usare un’espressione dell’era pre-digitale, e di diffondere notizie capaci di autoviralizzarsi. E se il termine autoviralizzarsi è orrendo, la realtà che c’è sotto non è da meno.
Il martello di Tor
La ragnatela oscura, il dark web, è fin dal nome il ricettacolo degli incubi peggiori. I suoi chanboard o imageboard hanno il vantaggio di essere accessibili soltanto con un browser speciale (Tor) attraverso il quale webmaster e utente possono oscurare la loro identità incanalando il traffico su server intermedi selezionati a caso. Altro vantaggio è che i contenuti del dark web non sono indicizzati dai motori di ricerca. Infine per partecipare a un chanboard, e ce ne sono molti che sono semplici punti di incontro virtuale su temi del tutto legittimi, non serve un account, men che meno un nome. Ogni utente crea un thread o risponde a un thread creato da altri.
La forza di questi luoghi digitali dove si sono dati appuntamento appassionati di moto ed escursioni ma anche mercenari, terroristi e pedofili coincide con la loro debolezza perché rimangono di difficile accesso proprio alla massa dei militanti comuni.
Eppure i danni sono già consistenti. Il famigerato 8chan (o infinity channel), controllato dall’ex militare Jim Watkins, è stato oscurato dalla Homeland Security degli Stati Uniti perché avrebbe ospitato nei suoi forum personaggi legati agli autori delle stragi al Wal Mart di El Paso (22 morti il 3 agosto) e di Dayton (10 morti il 4 agosto). Anche l’assalto alla moschea di Christchurch in Nuova Zelanda (50 morti il 15 marzo) è stato annunciato su 8chan. Come moneta comune ci sono le chat dedicate alle teorie della cospirazione pro-Trump (QAnon, 2017) o contro il partito democratico statunitense (Pizzagate, 2016).
L’imageboard Gab era frequentato dal presunto autore dell’assalto alla sinagoga di Pittsburg del novembre 2018. Altri siti simili (4chan, Zeronet, Zigforum, Endchan) rimangono operativi e sono pronti ad aprire le porte ai transfughi dei forum virtuali che vengono chiusi dalle autorità governative oppure bloccati da Facebook o oscurati da Youtube. L’elenco dei blocchi è lungo.
A febbraio è toccato al Daily Stormer, un immondezzaio di razzismo nazifascista che farebbe apparire moderato il Völkischer Beobachter, quotidiano ufficiale del Terzo Reich, e che presenta in homepage uno pseudoconteggio corrente della popolazione mondiale dove si prevede il sorpasso dei non bianchi sui bianchi entro 24 anni. I suoi frequentatori hanno la possibilità di finanziare l’opera pia, preferibilmente attraverso i Bitcoin, moneta virtuale che è già stata oggetto di allarmi antiriciclaggio.
In aprile l’Independent Oversight Board (Iob) di Fb ha bannato il Canadian Nationalist Front del neonazista Kevin Goudreau. A luglio è finito in carcere Tommy Robinson di Defend England. Fra le vittime recenti del consiglio di sorveglianza ci sono anche Bibi Netanyahu, la cui chat elettorale è stata bloccata il 13 settembre perché ospitava commenti antiarabi. In Italia a maggio è stata tagliata la linea all’estremista di Schio (Vicenza) Alex Cioni, che utilizzava lo slogan parasalviniano “Prima noi”. Cioni ha annunciato azioni legali contro Facebook, criticata in un videoselfie del 13 settembre dallo stesso Salvini. Il 22 settembre ha pagato dazio anche Vox Italia, formazione politica di Fusaro benedetta da Dugin sul videoblog Byoblu, sostenuto da donazioni online e gestito da Claudio Messora, consulente per la comunicazione del M5S ma deluso dalla svolta a sinistra. Messora, sovranista antieuropeo, ha messo il suo blog a disposizione di un pacchetto di economisti come Alberto Micalizzi (sei anni in primo grado per truffa), e i due leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai. Anche Instagram è intervenuta contro Fusaro e il suo hashtag #valorididestraideedisinistra non è aggiornato dal 22 settembre.
È vero che questi provvedimenti possono sembrare superficiali o arbitrari, se non sono seguiti da sentenze di condanna secondo le legislazioni dei vari Paesi. Oltre a questo, la macchina dell’odio virtuale ha infinite capacità di riciclarsi in parallelo con l’evoluzione della tecnologia. Ma è anche utile separare la massa degli haters per sport dai fanatici pronti all’azione o dalle cosiddette false flag, i falsi allarmi come quello relativo all’attentato su un treno in Italia che, si è poi scoperto, arrivava da un account inglese gestito da un provocatore senza la minima conoscenza del territorio italiano.
Chiamato a comparire davanti al comitato della Homeland security Watkins (8chan) si è difeso dicendo di avere collaborato con ogni richiesta da parte delle autorità di polizia. Che i gestori del dark web abbiano rapporti con Fbi, polizia e intelligence lo dimostra uno dei più noti, 4chan (nessun rapporto societario con 8chan) che è stato capace di pubblicare notizie sul suicidio in carcere del magnate Jeffrey Epstein mezz’ora prima di qualunque media ufficiale.
Il messaggio più chiaro è arrivato da una nota di Gab, uno dei canali che hanno accolto i transfughi di 8chan dopo la chiusura. «Più i giornalisti demonizzano società come Gab e 8chan più accelerano la nostra spinta verso un inevitabile futuro di decentramento e di fonti aperte».
Chatta e vinci
È paradossale che parli di fonti aperte chi vive di segretezza. Anche la gestione dei dati in età di protezione della privacy rimane largamente oscura. Si è visto con il Vinci Salvini, concorso lanciato dall’allora vicepremier. Il partecipante doveva registrarsi. Più contenuti pubblicava più crescevano le sue probabilità di conquistare l’ambito premio, consistente in una telefonata del Capitano o addirittura in un incontro faccia a faccia. Ancora oggi non si è capito come e da chi sono stati gestiti i profili.
C’è poi il tema di chi valuta l’affidabilità delle fonti. La maggior parte dei siti che forniscono notizie alla propaganda di destra sottolineano di non essere testate giornalistiche. Così non è chiaro chi ci sia dietro Voxnews, iperattivo e dotato di un servizio di fact checking contro le fakenews come quelle che diffonderebbero Greta e scienziati vari sul cambiamento climatico.
Alcuni preferiscono la notorietà. È il caso dell’ex commerciante di borse emiliano Armando Manocchia, direttore non giornalista di Imolaoggi spesso in onda sulle tv locali. Candidato senza successo con “Io amo l’Italia” di Magdi Cristiano Allam, Manocchia ha debuttato alla Camera il 18 luglio in un convegno sui figli sottratti, nato dalla vicenda di Bibbiano e organizzato da Fdi con la partecipazione dello psichiatra ed ex parlamentare forzista Alessandro Meluzzi.
Nota finale. A fronte di tanto attivismo social-sovranista, la sinistra è fra i non pervenuti. Dice Gianluca Pontecorvo della romana Isay: «Il Pd è il più indietro insieme a Forza Italia. A sei mesi dal lancio non si capisce che voglia fare Luca Zingaretti con Piazzaweb». Si starà dividendo i dehors con gli scissionisti renziani.
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