pubblicato il 6.03.22
Uno Bianca, Roberto Savi chiede per la terza volta la grazia: richiesta respinta. I familiari: "Grazia è tenerli dentro" ·
Nuova istanza dell'ex poliziotto, in carcere dal 1994. Parere contrario della Procura generale. Rosanna Zecchi: "Loro non sono pentiti, siamo noi che ci stiamo spegnendo piano piano"
04 Marzo 2022
BOLOGNA - Per la terza volta Roberto Savi, capo con il fratello Fabio della Banda della Uno Bianca, ha chiesto la grazia al presidente della Repubblica. L'istanza, redatta personalmente dall'ergastolano detenuto a Bollate, è stata trasmessa dal tribunale di Sorveglianza di Milano alla Procura generale di Bologna, che ha espresso parere contrario, attraverso la procuratrice reggente, Lucia Musti.
Savi, ex poliziotto, è in carcere dal 1994, quando furono arrestati i componenti del gruppo criminale, tra cui anche i suoi due fratelli, Fabio e Alberto. La banda, composta per cinque sesti da poliziotti, uccise 24 persone tra Bologna, la Romagna e le Marche e ne ferì oltre 100. Savi, che finora non ha mai avuto benefici, aveva già fatto istanza di grazia nel 2005, ma poi la ritirò per le polemiche scoppiate, e poi ancora una volta nel 2018 e anche in quel caso la Procura generale di Bologna diede parere contrario.
Uno Bianca: la reazione dei familiari delle vittime
"La vera grazia è se lo tengono dentro". Non usa mezzi termini Rosanna Zecchi, presidente dell'associazione familiari delle vittime della Banda della Uno Bianca, di fronte alla notizia che Roberto Savi, capo con il fratello Fabio del gruppo di poliziotti killer che imperversò dal 1987 al 1994 tra Emilia-Romagna e Marche, ha chiesto per la terza volta la grazia al presidente della Repubblica.
"Noi non vogliamo vendetta, vogliamo giustizia, e sono contenta che la Procura abbia dato parere negativo. C'è gente che ancora soffre per quello che hanno fatto e i feriti si stanno ancora curando. Non si possono perdonare persone che hanno commesso crimini così crudeli". Zecchi ha poi sottolineato che di recente ha avuto una riunione con gli altri familiari delle vittime, "abbiamo parlato e tutti sono d'accordo con questo mio pensiero. Finché la Procura continuerà a respingere le loro richieste e rimarranno in carcere va tutto bene, perché sono sicura che quando usciranno riprenderanno a commettere crimini. Loro non sono pentiti - ha concluso la presidente dell'associazione - siamo noi che ci stiamo spegnendo piano piano".
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