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Da Il Manifesto
26 Aprile 2006
150 mila e due fischi
Lady Moratti fa due passi in corteo per farsi contestare e disturba il primo 25 aprile del dopo Berlusconi. L’Unione ci casca, ma è impossibile rovinare la festa di migliaia di milanesi che sentono aria di (semi)libertà
GIORGIO SALVETTI
LUCA FAZIO
MILANO
Chi se la merita una piazza così? Nessuno. Non quelli che sarebbero chiamati a rappresentarla. Non quelli che sono chiamati a raccontarla. E così va a finire che gli uni, e gli altri – ignorando 150 mila persone – perdono tempo e sprecano inchiostro sulla «contestazione» al ministro Letizia Moratti. Tutto qui. Ecco raccontata la – come al solito – più bella e densa manifestazione che questo paese riesce sempre a portare sulla scena, a prescindere dalla brutta aria che tira, e già non è bello dirlo a poche settimane dalla «cacciata» di Silvio Berlusconi. I fatti che oscurano la sostanza? Eccoli.
Passeggiata di 95 metri, 3 minuti, da piazzetta san Carlo a piazzetta Liberty, di Moratti Letizia, che presto potrebbe alloggiare a Palazzo Marino, con il padre in carrozzella, ex deportato a Dachau, contorno di bodyguard e cotonatura di sempre. Lei arriva, qualcuno fischia. Ovvio. Altri argomentano: «Scuola pubblica, scuola pubblica». Lei se l’aspettava, anzi se l’è cercata, quindi se ne va come previsto e non perché qualcuno grida «vai via». Poi se la cava brillantemente dettando alle agenzie: «Siamo in democrazia, qualche contestazione ci sta». Vi risparmiamo le puntualizzazioni dei diretti interessati, Prodi, futuro primo ministro, e Ferrante, futuro boh: «E non si fa…e non si deve…». Delle altre «reazioni» meglio non parlare, per non mancare di rispetto a chi è sceso in piazza per liberarsi anche da questo penoso «teatrino della politica».
Il tentativo di esaurire il luogo milanese per eccellenza, la festa della liberazione, è sempre destinato a fallire, perdipiù miseramente se raccontato per stereotipi, fischi e applausi, buoni e cattivi. Naturalmente non può mancare la bandiera di Israele «bruciata» da non si sa bene quale gruppetto «al di fuori del corteo ufficiale» (una sarebbe stata bruciata dalle parti di via Padova, a tre chilometri dall’inizio della manifestazione). E, poi, tanto per seminare un po’ di sdegno, ecco la «contestazione» alla «brigata ebraica»: passa in piazza San Babila, qualcuno grida: «Intifada, Palestina libera, stato di Israele terrorista». Dopo aver citato le gesta di dieci/undici manifestanti, va dato conto anche degli altri 149.989, circa.
Troppi «tipi», diversi tra loro. A prescindere dall’agenda politica, sentono il bisogno di fare il proprio dovere per dimostrare che ci sono, e sono la parte migliore. Viene da domandarsi di solito dove sono. La risposta è: mica è sempre 25 aprile. Anche qui, il miracolo accade una volta all’anno. Ma rappresentata, con tutte le sue contraddizioni, c’è la sinistra intera, più o meno sommersa, depressa, in festa, salottiera, antagonista, già abbronzata, partigiana, colta, fantasiosa o militonta. Tutti felici per la sconfitta di Berlusconi? Beh, insomma, certo, ovvio: «Sì!». Con autoironia: «Tremaglia santo subito!». Con consapevolezza: «Il cialtrone è ancora vivo». Con apprensione: «Andreotti? No grazie». Cosa vogliono? Sempre molto di più di ciò che sta scritto (?) nel programma dell’Unione.
Ah già, la guerra…Gino Strada (Emergency), l’unico volto noto che raccoglie sempre applausi sinceri, e lo spezzone della Compagnia degli Stracci che un po’ rovina la festa, incappucciati di Abu Ghraib sfilano tra le gambe degli aguzzini americani, e poi la bandiera della pace lunga trenta metri, bella, l’avevamo data per scomparsa. La laicità degli atei militanti, «al potere basta col clero, viva Zapatero», le bandiere cilene, le facce di Ocalan, l’Arcilesbica…Le donne «uscite dal silenzio», il più interessante movimento milanese degli ultimi anni: inascoltato. Lungo corso Venezia decine di manifesti annunciano l’euromayday del primo maggio, una madre porta al collo «Italia fuori dalla guerra, giovani fuori dalla legge 30». Lo spazio è davvero accogliente: per un giorno c’è posto pure per gli zingari.
La difesa della Costituzione, certo, non perché l’ha suggerito Prodi. Forse lo striscione più bello: «La storia siamo noi, nessuno si senta escluso» (con decine di ragazzi e ragazze travestiti da articoli della Costituzione). La storia, in piazza Duomo, anche ieri, ma forse più del solito, è antifascismo. Vecchio, e nuovo. Un nonnetto con foto del duce appeso in piazzale Loreto, «resti chiaro monito per ogni rottame fascista», e una bambina con una maglietta che viene voglia di abbracciarla, «non mi avrete mai come volete voi». A proposito, è per impedire l’odiosa sfilata nazifascista dell’11 marzo che sono ancora in galera 25 ragazzi. Non se ne occupa nessuno, ma si può dire: è vergognoso che ci siano persone in galera da un mese e mezzo perché accusate di aver spaccato tre (3) vetrine e bruciato due (2) automobili; a ricordarlo, ieri, un presidio in piazza San Babila e a San Vittore, con lo striscione «Liberi» che vola appeso a due palloni aerostatici.
Poi, la sera, è stata festa nell’unico spazio veramente liberato: Appunti partigiani all’ex ospedale psichiatrico Pini, con migliaia di spensierati a godersi lo spettacolo del 61esimo anniversario. Anche se domani è un altro giorno.