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Fonta L’Arena di Verona da Anarcotico
27 Maggio 2006
Verona, Il questore ordina il dietrofront al «corteo fascista»
Circa 400 militanti sono arrivati da tutta Italia per manifestare contro il governo. La sfilata, partita da San Zeno, avrebbe dovuto finire in piazzale Cadorna
La manifestazione di Forza Nuova bloccata dalla polizia a Castelvecchio: troppi slogan razzisti e saluti nazisti
Si ferma davanti a Castelvecchio la marcia di circa quattrocento militanti di Forza Nuova venuti da tutta Italia per manifestare contro il governo «democomunista» di Romano Prodi. Il corteo avrebbe dovuto concludersi in piazzale Cadorna con il comizio finale del leader nazionale del movimento della destra radicale, Roberto Fiore. Ma un cordone di polizia e carabinieri lo blocca prima che imbocchi corso Cavour. L’ordine, dicono ai manifestanti i dirigenti della squadra mobile, è arrivato direttamente dal questore Luigi Merolla: troppi saluti romani e troppi slogan inneggianti al fascismo e al Duce. Così non si può andare avanti.
La manifestazione parte alcuni minuti dopo le 17 da piazza San Zeno, dove i «camerati» vengono invitati ad acquistare, al prezzo di quattro euro l’una, la «nuova bandiera ufficiale» del movimento: un drappo nero con le lettere F ed N stampate in rosso e incrociate fra loro e cerchiate di bianco. Non passa inosservata la somiglianza con una svastica. «È un simbolo di piazza, di militanza», spiegano al gazebo in cui sono in distribuzione. Ma non mancano le tradizionali croci celtiche. Una ragazza con l’ombelico in bella vista porta il tricolore con fascio littorio dei repubblichini. Matteo Castagna, di Padania Cristiana, arriva con il suo stendardo: una bandiera bianca con il cuore rosso della Vandea. Al suo fianco Antonio Diano, del coordinamento San Pietro martire di Venezia, fa sventolare l’aquila asburgica. Un militante di Vicenza distribuisce inviti alla cerimonia in memoria dei caduti della Rsi.
Quasi tutte nere le camicie e le magliette indossate dai partecipanti. Su qualcuna è stampata una frase di Ezra Pound, autore cult dell’estrema destra: «Io non ho vita tranne quando cozzano le spade». Il profilo di Mussolini campeggia su altre.
In testa al corteo lo striscione della sezione veronese di Forza Nuova, subito dopo quello «Contro il governo Prodi». A marciare manifestanti venuti da tutto il Veneto, ma anche da Torino, Udine, Brescia, Rimini, Lodi. Yari Chiavenato, segretario provinciale del partito, si sgola invitando i militanti ad attenersi agli slogan distribuiti prima della partenza. Dieci parole d’ordine, stampate su un foglietto, che dovevano dare il la alla manifestazione. Dal classico «contro il comunismo la gioventù si scaglia, boia chi molla è il grido di battaglia» all’esplicito «contro l’islam terrorista non mi piego, son fascista». Ma ben presto l’entusiasmo del «camerati» ha il sopravvento. E così partono a raffica i cori inneggianti «duce, duce» accompagnati dal saluto romano, canti del Ventennio, del tipo «ce ne freghiamo della galera, camicia nera trionferà», l’inno di Mameli seguito dal grido nazista di «sieg heil», sempre con corollario di braccia tese. Da qualche settore si reclama «Priebke libero», il boia delle Fosse Ardeatine, condannato all’ergastolo qualche anno fa.
Il corteo, intanto, arriva tra l’indifferenza dei pochi passanti fino alle Regaste per poi svoltare in via Castelvecchio. Dopo qualche decina di metri trova a sbarrare il cammino camionette e mezzi della polizia e dei carabinieri messi di traverso e un cordone di agenti e militari in assetto anti-guerriglia. A dirigerli ci sono il dirigente della squadra mobile Marco Odorisio e il maggiore Sergio Del Monte, del nucleo operativo dei carabinieri. Dalla questura era arrivato l’ordine di fermare la marcia. È il dirigente della questura Fernando Malfatti a trasmetterlo. Il tam tam percorre tutto il corteo e contro le forze dell’ordine partono slogan rabbiosi. Inutili le rimostranze di Chiavenato, del segretario veneto Paolo Caratossidis e dello stesso Fiore. Alla fine i dirigenti del movimento decidono di tenere i loro comizi davanti a Castelvecchio. Il primo ad arringare i presenti è Chiavenato: «Siamo spiriti liberi e nessuno può fermarci. Abbiamo un bellissimo motto: me ne frego e io me ne frego di questo Stato». Dopo di lui, Caratossidis esprime sconcerto per la decisione di fermare la «manifestazione pacifica e civile della destra radicale» e rivolgendosi ai poliziotti urla: «Sarà dura questa battaglia, signori con l’elmetto». Tocca a Fiore, che ricorda come il luogo evochi «il processo ai traditori del Gran Consiglio», concludere gli interventi. «Se avessi deciso di farlo, oggi avremmo sfondato», esclama. «Siamo pronti alla battaglia politica, ma se saremo aggrediti saremo pronti anche ad andare oltre». Ancora un attacco al «nuovo sistema social-comunista che vuol far diventare l’Italia terra di immigrazione distruggendo la nostra identità nazionale» e la manifestazione fa retromarcia. Ancora saluti romani, cori inneggianti a «manganello e bombe a man» per passare agli ululati di dileggio verso i camerieri di una pizzeria, colpevoli solo di non avere un aspetto «ariano».
Intorno alle 19 la manifestazione si disperde davanti alla basilica dedicata al santo africano, patrono della città. (e.s.)
L’Arena
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