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Corriere della Sera
No global in corteo, in quattromila bloccano la città.
Disagi e traffico in tilt da piazza Duomo a San Vittore. Tra i manifestanti anche i parenti dei giovani in cella dall’11 marzo. «Liberate i nostri compagni». Striscioni e slogan contro l’arresto di 25 ragazzi dopo gli scontri di corso Buenos Aires.
Lo volevano mettere nero su bianco: niente violenze, perché «sarà un corteo comunicativo e non cattivo». Ieri, durante il corteo dei centri sociali per chiedere la liberazione dei 25 compagni in cella dall’11 marzo per i disordini di corso Buenos Aires, le scritte «liberi tutti» le hanno messe con la vernice rossa sopra le vetrine di due banche e di un Coin, sull’esterno della chiesa ortodossa romena di via De Amicis, del nido di viale D’Annunzio e del carcere di San Vittore. Da piazza Duomo a piazzale Aquileia lungo un tragitto passato per corso di Porta Ticinese, piazza XXIV Maggio, viale Coni Zugna. Quattromila manifestanti secondo la Questura, almeno il doppio a sentire gli organizzatori. Seicento tra poliziotti e carabinieri. Il traffico in tilt specie sui Navigli. Linee dell’Atm deviate. Tanti politici di Rifondazione comunista a marciare e a incontrare in delegazione alcuni dei 25 ragazzi dietro le sbarre. La rabbia del Comune per i graffiti: Riccardo De Corato garantisce che se verranno accertati e «grazie alle telecamere è assai probabile», i responsabili saranno denunciati. Il pianto dei genitori dei giovani, in testa al corteo, aggrappati a uno striscione: «Ridate la libertà ai nostri/e figli/e». Eppoi birra, tanta e a prezzi abbordabili (Scritta sul frigo a bordo di un camion: «Birra latta 1,50 euro»), nuvole di marijuana, commercianti con giù le saracinesche, torsi nudi e bikini, 500 no global arrivati da fuori Milano in treno, una rappresentazione teatrale itinerante dal titolo «Il grande rastrello», un furgoncino targato «Guantanamo Express». Eppoi «10, 100, 1000 Nassiriya» urlati, litri di mojito, le «precarie migranti» a sfilare, un ragazzetto a smanettare con lo spray su un palazzo «Più sbirri morti».
In mezzo, la solita Milano del sabato pomeriggio. Andamento lento con l’occhio non all’orologio ma ai negozi, turisti tedeschi in ciabatte, suonerie dei cellulari in libera uscita, quelli in auto a protestare coi vigili, famiglie con cinque borse della spesa, i tavolini all’aperto al Ticinese, gli ambulanti abusivi a far affari sulla Darsena, il solito caos del mercato di viale Papiniano.
C’era paura, all’interno degli stessi centri sociali milanesi, per qualche testa calda, proveniente dal resto della Lombardia, dal Nord-Est e da Roma, che avrebbe potuto «rovinare» la manifestazione. Invece, sia in testa sia in coda, clima tranquillo, eccetto una decina di giovani, coperti da passamontagna, le aste delle bandiere in mano, a camminare picchiando per terra il piede come fosse una marcia militare e minacciare i cameramen: «Se mi riprendi ti spacco a te a quell’aggeggio». Molto ripresi dalle telecamere gli unici politici presenti, lì in corteo tutt’insieme Rocchi, Caruso, il prete no global genovese don Gallo, Daniele Farina, lì a chiedere con insistenza «l’immediata liberazione di persone contro le quali non vi sono prove concrete» ed è chiaro che «questi sono detenuti politici» ha detto Caruso. S’è visto anche Dario Fo: «La verità è che si è voluta una pena particolarmente severa per dare il castigo a chi manifesta» ha detto, sottolineando che i giovani sono in cella per aver fatto al massimo solo un po’ di teppismo. Parole che hanno provocato l’immediata condanna di Palazzo Marino: «Teppismo? Hanno messo a ferro e fuoco la città, rischiato di uccidere poliziotti, messo a repentaglio la vita di tanti cittadini» ha replicato De Corato.
Nel tardo pomeriggio piazzale Aquileia ha iniziato a svuotarsi, il corteo è diventato un bivacco nei giardinetti, a parlare di tante cose. Compresa la partita dell’Italia, partita che ha diviso un corteo fino a quel punto assai coeso. Da una parte, «ma come faccio a tifare per questo Paese che viola le regole democratiche e tiene in prigione i compagni?». Dall’altra: «Sì, ma gli Stati Uniti? Vogliamo mettere la Coca Cola o il McDonald’s?»
Repubblica
Cinquemila in corteo per i ragazzi dell´11 Marzo in carcere
Slogan e spray ma niente scontri. La manifestazione guidata dai genitori che bloccano un giovane mascherato e zittiscono chi grida “10, 100, 1000 Nassiriya”. In testa Dario Fo, don Gallo e i deputati di Rifondazione Caruso, Farina e Rocchi. In via Torino tutti i negozianti hanno abbassato le saracinesche temendo un nuovo corso Buenos Aires.
Rumoroso, affollato, pieno di musica ma soprattutto pacifico. Il corteo dei centri sociali milanesi e di altri militanti provenienti dalle città del nord che ieri dalle 15 ha percorso le vie del centro per chiedere la liberazione di 25 giovani in carcere da tre mesi per gli scontri dell´11 marzo in corso Buenos Aires, si è concluso con un presidio davanti a San Vittore, senza incidenti. Cinquemila persone hanno sfilato da piazza Duomo al carcere, precedute da centinaia di poliziotti e chiuse dal gruppo di Rifondazione comunista che ha garantito il servizio d´ordine. In testa al corteo i padri e le madri degli incarcerati con la maglietta bianca segnata dalla scritta rossa «Liberi di vivere» e lo striscione «Ridate la libertà ai nostri figli e alle nostre figlie». Con loro, i parlamentari di Rifondazione Augusto Rocchi, Graziella Mascia, Daniele Farina, leader del Leoncavallo e vicepresidente della commissione giustizia della Camera, Francesco Caruso, il prete no global di Genova don Andrea Gallo, il consigliere lombardo dei Verdi Marcello Saponaro, Dario Fo. Il premio Nobel ha partecipato solo alla prima parte della protesta. «I ragazzi sono in carcere senza prove, gran parte di loro non ha fatto nulla, si è trovata nel mucchio. Questa è giustizia di classe e tanta severità si spiega solo con la volontà di castigare chi manifesta». E Augusto Rocchi sottolinea: «Non è possibile che continui questa detenzione senza che si addebiti ai presunti responsabili alcun reato preciso». Poi i genitori dei detenuti. «Non riusciamo a capire tutto questo accanimento – ha spiegato Stefano Sberna, padre di Valentina, 23 anni – chiediamo che i nostri ragazzi siano processati individualmente».
La manifestazione è scesa per via Torino, dove ad un certo punto qualcuno da un balcone ha rovesciato acqua in testa ai partecipanti, provocando reazioni verbali colorite e un po´ di tensione. Parecchie saracinesche della via sono state abbassate, mentre in corso di Porta Ticinese, dove i manifestanti sono passati per sbucare in Darsena, i commercianti hanno continuato tranquillamente l´attività. Nel corteo anche alcuni camion-bar con le fiancate aperte che servivano birra, acqua, cocktail e trasportavano maxi impianti stereo per diffondere musica a tutto volume. In uno si simulava una cella, in un altro il set del Grande rastrello; la “Banda degli ottoni a scoppio”, con flauti, tromboni e tamburo, ha intonato canzoni popolari virando sul liscio. Nessun danneggiamento, solo qualche scritta con vernice rossa sulle vetrine e bianca sull´asfalto.
Arrivato sotto San Vittore, in piazza Aquileia, il corteo si è trasformato in presidio fino a sera. «Ciao compagni, siamo qui per voi» ha gridato qualcuno e sono partiti fumogeni colorati, petardi e anche qualche sasso lanciati oltre il muro di cinta. Alcuni carcerati dalle finestre hanno salutato, tra slogan e battimani. Poi una decina di giovani col volto coperto ha scritto «Liberiamoci dal carcere», a caratteri cubitali sul muro esterno di San Vittore. E sono stati gli stessi genitori degli arrestati a bloccare un ragazzo con la faccia nascosta da una kefiah che andava verso il cordone della polizia con fare bellicoso. Anche una piccola frangia di giovani mascherati, che ha cominciato a urlare il becero slogan «10, 100, 1000 Nassiriya» e ha spintonato un operatore della Rai, è stata zittita grazie a loro. Cinquecento uomini schierati tra polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno seguito e osservato il corteo senza dover intervenire.
La Stampa
Liberate i nostri figli no-global
Un corteo che comincia in piazza Duomo, con tante speranze. C’è Umberto, arrivato qui da Reggio Emilia per chiedere di liberare i suoi Pasquale e Ida, 28 e 24 anni, «da tre mesi e mezzo in carcere senza che ci sia una solo prova a loro carico. La loro colpa? Aver partecipato a una manifestazione». Quella che l’11 marzo ha riportato Milano in clima Anni 70: guerriglia in corso Buenos Aires, con vetrine infrante e auto in fiamme. Ora Umberto è qui per chiedere la libertà dei suoi figli; accanto a lui c’è Silvia, con il pensiero fisso alla sua Valentina e ai suoi 24 anni, studi all’accademia di Brera, «che ora posso vedere solo 6 ore al mese. E’ a San Vittore, senza aver fatto nulla». Silvia, ma anche Marcello, Rosaria, Rocco. Le madri e i padri dei 25 che, ripetono i genitori, «sono in galera senza uno straccio di prova».
«Liberi tutti», gridano in coro i seimila dei centri sociali, di Milano e del resto d’Italia che ieri sono venuti fin qui per sfilare, urlare, «fare casino», come dice una ragazza esile esile, piercing e anfibi. E Milano scaccia la paura della vigilia di rivivere un nuovo Buenos Aires dopo i primi minuti di manifestazione. Un serpentone ordinato, mai violento che si spegne in fuochi d’artificio e murales davanti a San Vittore. In testa al corteo i genitori ma anche personaggi noti. Arriva Don Gallo e si indigna. Condanna «una carcerazione che non finisce più e che porta solo disagio e nuova sfiducia in questi ragazzi, ci si dimentica che sono persone». E c’è il neo vicepresidente della commissione Giustizia della Camera e leader storico del Leoncavallo, Daniele Farina; oltre a lui Graziella Mascia e Augusto Rocchi, tutti Prc. All’inizio partecipa anche Dario Fo che se la prende con la «giustizia di classe»: «Ci sono persone che possono fare reati tremendi, di natura finanziaria ad esempio, e se la cavano sempre con 2-3 giorni di carcere, e ci sono dei ragazzi che sono in carcere da tre mesi per aver fatto al massimo un po’ di teppismo». A metà corteo spunta pure Francesco Caruso, leader dei disobbedienti napoletani e parlamentare di Rifondazione: «Oggi si grida allo scandalo per la carcerazione preventiva di Vittorio Emanuele di Savoia, mentre da tre mesi dei ragazzi, che non sono dei mostri, sono in cella. Sono detenuti politici».
Il Giorno
Migliaia in corteo, scontri evitati
I genitori degli autonomi arrestati: “Liberate i nostri figli”. Lungo presidio davanti a San Vittore: petardi, fumogeni e slogan.
I volti dei manifestanti sono scoperti, a parte qualche giovanissimo. L’ordine, rispettato, è tassativo: “Niente tensioni”.
E il corteo, organizzato per chiedere la liberazione dei 25 autonomi arrestati l’11 Marzo dopo gli scontri con la polizia in Corso Buenos Aires, scivola tranquillamente. Giusto qualche petardo e fumogeno davanti al carcere di San Vittore, che servono solo a fare colore.
Neanche il grande murales improvvisato sulle mura del carcere riesce a rovinare la manifestazione pacifica.
Non c’è bisogno dell’intervento delle forze dell’ordine, che a distanza di qualche metro osservano tutto.
A fine serata, la soddisfazione si legge sui volti dei genitori che fino all’ultimo hanno avuto timori e sperato che non si verificassero più gli atti vandalici di tre mesi fa: “Era quello che volevamo, far sentire la nostra voce, e siamo felici”, dice Umberto Cappuccio, pensionato con due figli in carcere.
Durante il corteo, partito alle 15 da Piazza Duomo, i genitori hanno più volte invitato i manifestanti a sfilare tranquillamente. E sventolando lo striscione: “Ridate libertà ai nostri figli”. Cappello e sigaro d’ordinanza, a colorare il serpentone c’è anche Don Gallo, il sacerdote vicino al movimento no-global che la settimana scorsa ha fatto visita ai ragazzi in carcere.
“Sono qui perché me lo hanno chiesto i genitori – precisa – E’ impossibile tenere in carcere per oltre tre mesi 25 ragazzi. Non sono un esperto di giurisprudenza, ma almeno diano loro gli arresti domiciliari. Si dimentica che i cosiddetti diversi, chi protesta, chi ha aspirazioni alla libertà, i migranti, gli omosessuali, si dimentica che sono persone”.
In testa al corteo sfilano esponenti storici del Leoncavallo come Daniele Farina e Francesco Caruso dell’Officina 99 di Napoli, entrambi parlamentari di Rifondazione Comunista.
“Sono detenuti politici – grida ad alta voce Francesco Caruso – Tre mesi di carcerazione punitiva sono un’enorme esagerazione. Non ci sono prove, né riferimenti specifici. Si grida allo scandalo per la carcerazione preventiva di Vittorio Emanuele di Savoia, mentre da tre mesi dei ragazzi, che non sono dei mostri, sono in cella”.
Musica, fuochi d’artificio, carri a tema che simulano celle con cocktail del detenuto e fiumi di birra ed acqua minerale per resistere alla lunga marcia sotto un sole feroce.
Quasi una festa con balli e giocolieri guastata da una piccola parte del lungo corteo di più di cinquemila persone che non ha rinunciato a qualche slogan non proprio ortodosso.
Per il resto la temuta manifestazione, partita da Piazza Duomo verso piazza Aquileia, ha provocato solo qualche serranda abbassata a turbare il sabato di shopping in via Torino. Nessuna tensione, dunque, non fosse per qualche battibecco quando le telecamere, davanti a San Vittore, hanno ripreso alcuni manifestanti a volto coperto. A riportare la calma sono intervenuti gli stessi genitori dei ragazzi arrestati.
Il clima festaiolo degli autonomi si è espresso ancora di più in piazza Aquileia dove, a parte alcuni fumogeni, petardi e anche qualche pietra, molti giovani hanno sparato fuochi d’artificio mentre la “Banda degli ottoni” ha suonato vari brani, fra cui la marcia nuziale.
Il manifesto
Un corteo fino all’ultimo sospiro
Oltre cinquemila per la liberazione degli arrestati dell’11 Marzo. I centri sociali tornano in piazza per chiedere la liberazione dei venticinque antifascisti arrestati. Ma questa volta non sono stati lasciati soli. Con loro il Prc e don Gallo.
Avete mai visto un corteo di “facinorosi” che non fa nemmeno un graffio ad una vetrina di McDonald’s? Eppure era lì tutta da spaccare, tanto per rispettare il solito copione, e senza neanche un poliziotto a presidiarla. E invece niente. “Allora, com’è?”. “Eh, è andata…”. La manifestazione del movimento milanese per chiedere la liberazione del 25 arrestati per i fatti dell’11 Marzo è filata via liscia.
Cinquemila in piazza, forse di più. Un corteo composito, una specie di miracolo.
Davanti a tutti i genitori dei ragazzi e delle ragazze ancora in carcere, con loro don Andrea Gallo ed i “pezzi grossi” del Prc, che alla fine ha avuto il coraggio di scendere in piazza. Daniele Farina, portavoce del Leoncavallo e neodeputato (posizione scomoda la sua), il collega Francesco Caruso assediato dalle agenzie per avere qualcosa su cui straparlare, Graziella Mascia e Augusto Rocchi.
Naturalmente, tutti i centri sociali milanesi, anche chi certe piazze aveva cominciato a disertarle. Quasi più numerose le presenze da fuori città.
Le diverse anime del movimento sono riuscite a convivere almeno un pomeriggio, le differenze rimangono, eccome, ma si esprimono, si mettono in scena liberamente. E’ una questione di stili, non di sostanza.
Questa volta la posta in gioco è condivisa: tutti liberi subito, voltiamo pagina e proviamo a ripartire.
“Milano comincia a riassorbire il doppio trauma dell’11 Marzo”, si lascia andare Farina riferendosi agli incidenti di Corso Buenos Aires, ma anche alla rivoltante marcetta della Fiamma Tricolore.
Certo il movimento non è tutto qui, c’è chi ieri ha preferito non esserci: associazioni, circoli, cooperative, la società civile senza la quale è difficile uscire dall’isolamento.
Comunque, è la valutazione, ”é stato un ottimo segnale, quella parte della città che ancora manca arriverà”.
Eppure, al concentramento in Piazza Duomo, si comincia respirando una certa inquietudine. Ci si conta (pochini), ci si scruta (vabbé, insomma…). tra un sound-system ed uno striscione.
Si parte lungo Via Torino. I carri sfilano, uno spezzone dopo l’altro il corteo si dispone in modo intelligente, lucido, un buon segnale. Un primo sospiro di sollievo. Il bloccom dei duri è “accolto” in mezzo. E non fanno così paure, gli Sharp (skinheads antifascisti), oltre alla birra distribuiscono anche l’acqua, a seguire poche sigle, tante bandiere comuniste ed anarchiche, qualche cordone “stalinato”, Stormy Six e canzoni di lotta del secolo scorso.
Ma con lo spezzone degli studenti e dei centri sociali più “crativi” la musica cambia, si sente che il corteo è anche una parade, liberi tutti allora vuol dire anche liberi di sentire l’eco del gay pride. Godersi la vita, anche in bikini.
C’è spazio per i migranti, composti e seriosi, per gli antiproibizionisti e per chi non dimentica Guantanamo. Qualche striscione ricorda che il carcere è una mostruosità per tutti e a partire dai 25 allrga il campo al tema dell’amnistia e dell’indulto.
Si rifà vivo Dario Fo che semplifica, ma si fa capire: “Ci sono persone che possono fare reati tremendi di natura finanziaria o di altra natura e se la cavano sempre, come Previti, e quando vengono messi a spasso gli viene ridata la scorta, la maggior parte di questi giovani si è trovata nel mucchio, si è voluto essere particolarmente severi per dare il castigo a chi manifesta”.
Il folclore c’è, ma per i fan del pornoriot, voyeurs un tanto a foto per ogni vetrina rotta, questa volta non c’è niente da guadagnarsi.
I negozi sono chiusi, le commesse guardano fuori senza paura, armate di videofonino per qualche scatto ricordo e a loro volta fotografate dai professionisti a caccia dell’immagine da stato d’assedio. Ma loro sorridono dietro le vetrine.
Svolta in Ripa Ticinese. Altri commercianti, alzamo le serrande, offrono acqua. Salutano. Secondo sospiro di sollievo. Pausa rifornimento al bar Rattazzo, per questi milanesi è un must. Anche se la manifestazione è nazionale: tanti, forse la metà vengono da fuori. Torinesi, fiorentini, romani, bolognesi, napoletani alcuni con camion e volantini.
A inseguire la banda degli ottoni, in pompa magna e pedalando con critical mass, ecco San Vittore.
Il corteo si dispiega in un muro di casse, la musica per le orecchie di chi è dietro le sbarre. Questa volta non è successo niente. Perché – e ci sono voluti tre mesi di risse, pianti e crisi isteriche – nel “movimento” il protagonismo politico delle parrocchie ieri non ha avuto spazio per creare ulteriori danni.
Contavano altre cose, l’amicizia, i sentimenti, il rispetto per i genitori ed il senso di responsabilità nei confronti di chi sta pagando con il carcere. Sì, è andata.