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Fini dovrebbe ricordare che “il peso della destra negli episodi di violenza è pari al 95 per cento tra il 1969 e il 1973, all’85 per cento nel 1974 e al 78 per cento nel 1975” o che questa storia di morte ha un inizio e una geografia non il vuoto nero, cupo, indistinto che cancella ogni fattezza e rende tutti uguali. Tutti colpevoli, quindi tutti innocenti.
Il 12 dicembre 1969, con le bombe alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, una generazione di italiani, come scrisse Grazia Cherchi, perse la sua innocenza. E quello fu l’inizio. “Morì un pezzo significativo della Prima Repubblica: una parte consistente dell’apparato statale passò consapevolmente nell’illegalità. Si pose come potere criminale continuando a occupare istituzioni vitali ed essendone tollerato” (Marco Revelli). E questo fu l’effetto. Quel che seguì fu che “in quel clima lo squadrismo neofascista lancia l’offensiva più seria mai tentata nell’Italia repubblicana, con protagonisti diversi e con connessioni differenti: dai militanti del Movimento sociale italiano alla nebulosa dei gruppi semiclandestini o clandestini, e sino a uomini variamente presenti all’interno dell’esercito, dei servizi, dei più diversi apparati dello Stato” (Crainz, Il paese mancato). Un bestiario dalle mille figure che nelle otto stragi, consumate in Italia dal 1969 al 1984 (Milano, 1969; Gioia Tauro, 1970; Peteano, 1972; Questura di Milano, 1973; Brescia, 1974, Italicus, 1974, stazione di Bologna, 1980; treno 904, 1984), divorò 149 innocenti e 688 feriti che attendono ancora una verità.
estrapolato da un articolo
Se la memoria è solo un veleno
di GIUSEPPE D’AVANZO
16/02/2005
documentazione