pubblicato il 24.01.09
Verona, attentato contro Casa Pound: ignoti fanno esplodere bomba carta ·
Bomba carta contro Casapound
ATTENTATO. Deflagrazione l’altra notte in galleria Marconi-via Poloni, danni alla struttura gestita da universitari. In sede c’erano due ragazzi: «Credevamo fossero ladri. Invece c’è stato il botto. Abbiamo avuto paura»
La polizia indaga sull’attentato messo a segno contro la sede di Casapound a Verona. All’interno c’erano due ragazzi che per fortuna sono rimasti illesi durante lo scoppio
Verona. Ancora un boato nella notte. Ancora una volta, la mano vile di qualcuno che vuol far del male a qualcun altro lasciando una sorta di firma a cui Verona negli ultimi anni s'è purtroppo abituata. Le indagini su questi episodi, fino ad ora, non hanno portato alla scoperta di un responsabile. E la loro sequenza inizia a essere allarmante.
Questa volta l'attentato incendiario è stato portato contro la sede dell'associazione culturale Microgramma che si trova presso il Cutty Sark clubhouse045, in galleria Marconi, su via Poloni, una realtà aderente all'associazione Casapound italia.
CHI SONO. Per i non addetti ai lavori è un luogo di ritrovo di giovani di destra che hanno voglia di approfondire temi sociali e culturali. Un laboratorio di idee inviso, certo, alla sinistra estrema dove è possibile utilizzare computer, play station, tenersi informati, fare metapolitica. Il locale è stato inaugurato il 15 settembre scorso.
Erano quasi le tre. Nel locale c'erano Marcello Ruffo, 24 anni, studente in scienze della comunicazione nonchè responsabile di Casapound Italia a Verona, ma anche per il Veneto e una ragazza.
LA TESTIMONIANZA. «Gli ultimi ragazzi erano andati via da poco, e io ero all'interno con una militante. Stavamo guardando un film», ha detto il ragazzo, «abbiamo sentito un rumore esternamente, come se qualcuno stesse trafficando dietro la serranda di metallo che ha le maglie larghe. Abbiamo pensato che dei ladri volessero entrare nel locale, abbiamo tanti libri e altri oggetti informatici che potrebbero interessare. Poi abbiamo sentito come degli scoppiettii, come quando prima dei fuochi d'artificio si sentono dei piccoli botti, e poi c'è stata la deflagrazione, la vetrata è andata in frantumi», racconta Ruffo, «io mi ero avvicinato perchè volevo capire cosa stava succedendo, ma ho visto soltanto il botto e mi sono molto spaventato. Ho temuto che accadesse di peggio che potessimo restare feriti, o un'aggresisone dopo la deflagrazione». Sembra insomma di essere tornati indietro negli anni, quando l'antagonismo tra destra e sinistra, a Milano, come a Roma lasciava segni terribili sulle vite dei protagonisti.
Marcello Ruffo sostiene di non aver visto chi all'esterno stava per mettere in atto l'attentato, ma è altrettanto convinto che da fuori sapessero bene che dentro c'era ancora qualcuno.
«Quando io arrivo e c'è qualcuno che sta guardando la televisione lo vedo, da fuori le luci si vedono. Altrettanto suppongo abbia fatto chi l'altra notte ha messo il petardone», ha detto il giovane che dopo aver passato la notte in bianco, ieri in tarda mattinata s'è recato in questura per la deposizione. E così anche la ragazza che era con lui.
«L'ho detto anche ai poliziotti che sono arrivati qui stanotte. Non abbiamo ricevuto minacce, o rivendicazioni dopo l'attentato. Noi non siamo teste calde, qui ci battiamo contro le banche, i poteri forti, la giustizia sociale. Non avrei mai ipotizzato di poter diventare un obbiettivo sensibile. Qui facciamo cultura, anche sabato abbiamo fatto un incontro molto interessante sui fatti di piazza Navona, sulle aggressioni degli studenti. Non andiamo in giro a ubriacarci o a fare scazzottate. Non siamo quel genere di persone. È anche per questo che lancio un messaggio a tutti gli amici», dice Ruffo, «episodi come questi si combattono anche con l'indifferenza».
CATENA INQUIETANTE. Nell'arco di un periodo piuttosto breve sono tre gli episodi che potrebbero essere ricondotti a un'unica mano criminale. La prima fu quella contro il negozio di Alessandro Castorina che purtroppo si vide saltare per aria saracinesca e vetri del suo negozio alcune volte, nel 2005 e nel 2007. Poi sempre con lo stesso sistema lo scorso anno nel mirino fu il bar La Cantinetta di Borgo Venezia, altro locale vicino alla destra e alla tifoseria ultrà gialloblù.
Stavolta, con un'operazione fotocopia è stata la volta di Casapound. Nei precedenti casi nessuna svolta nelle indagini. Nessuna persona indagata, nessuna rivendicazione.
Chi ha agito è rimasto impunito. E tale si ritiene in eterno se è entrato in azione con le medesime modalità.
A distinguersi per il modo di operare fu chi mise a segno un altro attentato incendiario. Quello contro la macelleria Veneri, di proprietà del padre di uno dei ragazzi in carcere per l'omicidio di Nicola Tommasoli. Ma quella volta secondo gli inquirenti ad agire furono persone diverse da queste.
IL TIBRO. L'imprinting del «petardone» è cosa diversa. Ma ci sono pochi elementi da cui partire per indirizzare le indagini. Ed è molto difficile arrivare a qualcosa di concreto quando non si ha nulla da cui partire.
L'altra notte la polizia è stata sul posto con lo stesso dirigente della Digos, Luciano Iaccarino, che sulle indagini non si sbottona, ma che ricorda quanto possono essere utili anche gli indizi apparentemente più insignificanti.
DIGOS. «Noi lavoreremo al caso, esaminiamo ogni dettaglio. L'importante è che non si passi all'autodifesa. Il rischio in questi casi è la massificazione, che si ipotizzino tutti uguali se di destra e altrettanto se di sinistra. Non è così. Credo sia anche arrivato il tempo», ha concluso Iaccarino, «di uscire dall'omertà. Proprio in questi giorni ci sono ragazzi che sostengono di essere stati aggrediti in centro. Dopo la rissa di piazza Viviani si sono sentite altre testimonianze. Questi ragazzi debbono venire a fare le segnalazioni in questura quando gli episodi accadono. Soltanto così che possiamo arrivare a scoprire gli autori. Il muro di omertà si deve spezzare», auspica il dirigente.
Alessandra Vaccari
http://www.larena.it/stories/Home/131295/
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