pubblicato il 9.05.09
Ultimo atto del processo Dax. A Milano come a Genova ·
Ultimo atto del processo Dax. A Milano come a Genova
Chiara Avesani www.peacereporter.net
[6 Maggio 2009]
Sei anni dopo l'uccisione a Milano di Dax da parte di neofascisti, domani a Roma il giudizio di cassazione. Amici e compagni del giovane furono pestati in ospedale dagli agenti di polizia. Tutti prosciolti, mentre due attivisti milanesi sono stati condannati a un anno e otto mesi di carcere e oltre centomila euro di risarcimento.
La notte del 16 marzo 2003, Davide Cesare, detto ‘Dax’, un ragazzo del centro sociale O.R.So., e due suoi compagni vennero accoltellati da due neofascisti nei pressi di via Brioschi, a Milano. L’arrivo in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo fu inutile per Dax, che morì in seguito alle ferite riportate.
Amici e compagni di Dax e degli altri due ragazzi feriti accorsero in ospedale per chiedere notizie e ricevere, con disperazione, l’annuncio della morte del ragazzo. Dopo poco, macchine di polizia e carabinieri presenti per «mantenere l’ordine pubblico» bloccarono l’ingresso al pronto soccorso e cominciavano cariche e pestaggi contro i presenti. Testimonianze del personale medico-sanitario in servizio quella notte riferirono come le forze di polizia si fossero spinte negli inseguimenti fino nei corridoi interni e nelle sale visita del pronto soccorso, invadendo anche il dipartimento Emergenza e Accettazione e che la brutalità degli scontri era evidente dal numero di feriti e dalla quantità di sangue presente sul pavimento del pronto soccorso. I ragazzi subirono gravi lesioni: nasi, zigomi, braccia, mani, denti rotti, teste aperte.
Il chirurgo di turno quella notte indicò come causa delle cariche la volontà delle forze dell’ordine di impedire agli amici del ragazzo morto di lasciare i locali.
In seguito a questi fatti iniziò un procedimento penale davanti alla quarta sezione del tribunale di Milano. Dopo il grado d’appello, il processo «San Paolo» si concluderà domani, giovedì 7 maggio 2009, a Roma con il giudizio di Cassazione.
Abbiamo intervistato l’avvocato Mirko Mazzali, già avvocato di parte civile nel processo per l’omicidio di Dax, che assiste in Cassazione i due compagni di Dax, condannati in primo grado e in appello.
Mercoledì 6 maggio a Roma, via dei Volsci 26 alle 18 ci sarà la presentazione del libro «Ti racconto Dax», con Cristiano Armati e i compagni milanesi. Giovedì 7 maggio ci saranno presidi a Roma, piazza Cavour alle 10 e a Milano, piazza San Babila alle 18.
Avvocato, ci parli di questo processo. Quali sono state le fasi processuali più rilevanti e le condanne in primo grado e in appello?
Per i fatti del 16 marzo 2003 all’ospedale San Paolo in primo grado erano stati imputati quattro compagni di Davide Cesare e tre appartenenti delle forze dell’ordine per lesioni e abuso d’ufficio.
La sentenza di primo grado aveva portato alla condanna di due dei compagni di Davide e di un carabiniere ripreso da una telecamera amatoriale mentre manganella una persona a terra, e al proscioglimento per prescrizione di un altro carabiniere in possesso di armi improprie, cioè di una mazza da baseball.
In appello la condanna è stata confermata per i compagni di Davide, ma non per il carabiniere condannato in primo grado.
Quali sono state le motivazioni dell’assoluzione in appello del carabiniere condannato in primo grado?
Hanno sostenuto che un carabiniere non poteva sapere cosa faceva l’altro mentre il ragazzo era a terra.
Ritiene che ci siano state delle anomalie o irregolarità nello svolgimento del processo?
Dal punto di vista formale non ci sono state anomalie: il procedimento si è svolto in modo formalmente regolare. La particolarità in processi come questo non è nello svolgimento del procedimento, ma nella fase di valutazione delle prove. E’ in questa fase, nella quale i magistrati possono esercitare una certa discrezionalità di valutazione, che emerge come vengano adottati due pesi e due misure. Prendo l’esempio del nostro caso: per il solo fatto di essere stati presenti sul luogo degli scontri, due compagni di Davide sono stati condannati per concorso morale. E’ stato ritenuto che la loro presenza abbia influito a livello psicologico nell’eccitare l’atmosfera durante gli scontri. Dall’altra parte esiste un video amatoriale, che è stato acquisito come prova e quindi valutato, che riprende un poliziotto mentre tiene fermo un ragazzo che viene manganellato. In questo caso non è stato giudicato esistente né un concorso morale, né un concorso materiale, anche se appare evidente l’aiuto materiale apportato da un poliziotto nel bloccare il ragazzo a terra. Al contrario è stato ritenuto che quell’atto servisse “a vincere una resistenza” della persona visibilmente inerme.
Quindi il fatto che alcuni imputati fossero appartenenti alle forze di polizia ha modificato le dinamiche processuali? Quali problemi comporta l’accertamento di reati di pubblici ufficiali?
A partire dagli anni Settanta è molto più difficile riuscire a provare la commissione di un reato da parte delle forze dell’ordine, direi quasi impossibile. Oltre al diverso criterio usato nella valutazione delle prove, di cui dicevo, c’è anche la difficoltà nell’individuazione dei soggetti responsabili tra le forze di polizia e nel provare i fatti. Le dinamiche processuali di questo procedimento sono le stesse che si sono presentate anche per i fatti della scuola Diaz e di Bolzaneto: in quel caso sono dovuti passare mesi prima che si riuscisse a identificare un poliziotto anche se riconoscibile perché portava una coda di cavallo. Questo processo, come gli altri con membri delle forze di polizia tra gli imputati, ha presentato le stesse difficoltà in fase probatoria.
Quale è stata l’utilità delle testimonianze del personale ospedaliero nell’accertamento dei fatti?
Il personale ospedaliero è stato di enorme importanza per ricostruire i fatti e gli accadimenti in modo veritiero, anche se poi è stata riformata la sentenza di primo grado che aveva fatto una migliore valutazione dei fatti descritti. Nella sentenza di primo grado erano state usate parole anche piuttosto severe descrivendo un attacco delle forze dell’ordine inefficace, eccessivamente duro e ingiustificato fino a descriverlo “intimidatorio e ritorsivo” anche se poi il giudizio è mutato in secondo grado. La ricostruzione dei fatti del personale ospedaliero è stata del tutto svalutata a favore di quella fatta direttamente dalle forze di polizia implicate nei pestaggi stessi.
Quali sono state le prove determinanti a carico dei condannati?
La prova fondamentale per la condanna del compagno di Dax manganellato è stata la testimonianza del poliziotto responsabile del pestaggio stesso. In un primo momento il compagno di Dax non era stato riconosciuto come autore materiale di alcun reato o aggressione, ma invece come vittima del pestaggio ripreso dal video amatoriale. Successivamente alla sua denuncia dei poliziotti ripresi mentre lo manganellavano è stato denunciato e riconosciuto dagli stessi poliziotti da lui accusati. Anche se assurdo, questa testimonianza è stata valutata come attendibile.
Chi dirigeva questa operazione di polizia? E’ stato possibile ricostruire se c’è stato un ordine preciso e premeditato su come procedere o se è «scapata di mano» la situazione?
Non si è mai potuto ricostruire quale fosse la catena di comando e se chi doveva gestire l’operazione volesse questi risultati a scopo di ritorsione o meno. Certamente però si deve notare che la situazione si è di molto tranquillizzata e normalizzata con l’arrivo della Digos.
Qual è il suo giudizio sulla copertura mediatica di questi fatti?
Al principio il video dei pestaggi fece scalpore. Dopo qualche tempo l’attenzione è calata perché la questione non “faceva più notizia”.
L’allora questore di Milano, Vincenzo Boncoraglio, aveva diffuso ai giornali la sua versione per la quale i ragazzi corsi in ospedale per farsi curare o per avere informazioni sulle condizioni degli altri volessero sottrarre la salma di Dax (sic!). Questa assurda versione è stata però smentita in dibattimento dal personale medico in servizio.
Cosa spera dalla sentenza di Cassazione di domani e con quali motivi ha impugnato la sentenza d’appello?
Non nutro molte speranze sulla sentenza di Cassazione anche alla luce di come è stato condotto il processo fin’ora. Oltre ad altri argomenti tecnici, il principale motivo d’impugnazione è la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione proprio per quelle incongruenze nella motivazione della sentenza circa le valutazioni effettuate dai giudici.
http://www.carta.org/campagne/diritti+civili/17358
repressione
r_lombardia
articolo precedente
articolo successivo