pubblicato il 24.05.09
Rom fuori dai denti ·
Rom fuori dai denti
Gli assalti ai campi di Ponticelli visti dall'artista spagnolo Santiago Serra. In mostra al Madre di Napoli
Una coltre di fiamme altissime oscura il cielo, va a fuoco tutto quello che c'era dietro un cancello che costeggia una strada di periferia. Ponticelli, hinterland di Napoli, 14 maggio 2008, la popolazione distrugge i campi rom di via Malibran e via Argine, dà l'assalto alle baracche con le molotov, tre giorni di devastazioni. Il video delle fiamme che ardono apre lo studio fotografico del progetto Ponticelli, realizzato dall'artista spagnolo Santiago Sierra (classe 1966), in mostra al Madre fino al 14 settembre.
«Durante i colloqui preparatori - ha raccontato il direttore del museo, Eduardo Cicelyn - Santiago aveva proposto di indagare la comunità africana e la nuova ondata xenofoba che sta travolgendo anche il sud Italia, ma a Napoli l'argomento non avrebbe funzionato. Da decenni, se non da secoli, la città è abitata da partenopei neri. I rom, invece, vengono percepiti come assolutamente altro da noi, in un discorso antropologico che si tramanda fino a oggi». Un lavoro di studio e documentazione durato più di un anno per indagare stereotipi e preconcetti attraverso cui i territori leggono il contesto sociale a partire dai corpi, un racconto del presente secondo l'angolo visuale di Ponticelli: «Sierra comincia i suoi lavori studiando il territorio - ha spiegato il curatore della mostra, Bartolomeo Pietromarchi -, la documentazione è parte integrante dell'opera. Le immagini in bianco e nero, con il video, raccontano il contesto». Cavalcavia dell'autostrada nella terra di mezzo tra la città e i suoi paesi satellite, cumuli di rifiuti abbandonati, carcasse d'auto, piloni di cemento con resti di manifesti di campagne elettorali, questo per decenni il regno dei rom, degrado e indifferenza, questa la terra che gli abitanti hanno riconquistato con le fiamme e i saccheggi.
A innescare la protesta il tentativo di linciaggio di una sedicenne, accusata di aver voluto rapire una bambina di due anni. Processata per direttissima, in un anno ha collezionato la condanna in primo grado a tre anni e otto mesi, primo caso in Italia e pericolosissimo precedente che rafforza uno dei peggiori stereotipi intorno ai gitani. Tenuta nel carcere minorile di Nisida, senza il riconoscimento di nessuna attenuante, perché non si è dichiarata colpevole, secondo le associazioni che lavorano sul territorio vittima di una trappola. Nel penitenziario la popolazione femminile è quasi esclusivamente di ragazzine rom, «rubiamo ma non rapiamo i bambini, non è nella nostra cultura», dicono spesso inutilmente. Ma la campagna stampa intorno all'emergenza sicurezza è martellante, i voti si conquistano aizzando gli odi, sui muri di Ponticelli tutte le sigle giocano la loro partita e allora il catalogo del progetto ci presenta in fila i manifesti apparsi nel quartiere prima e dopo i roghi: Alleanza Nazionale, cifre e slogan, accanto alla grafica in verde del Pd, Lega Nord e Forza Nuova, il messaggio è «Campo nomadi, pericolo, aggressioni, rapine, violenze sessuali» e ancora «Espellere i rom subito!».
«Dopo i primi incendi - ha proseguito Pietromarchi - erano rimaste solo due famiglie di gitani, prima dello sgombero definitivo. Santiago ha fotografato le loro dentature, i denti degli ultimi zingari di Ponticelli». Nelle sale del museo ci sono le stampe che occupano le pareti, per le strade di Napoli i manifesti, negli spazi di solito adibiti alle pubblicità. Una piccola comunità coinvolta attraverso il loro corpo, un corpo su cui si consuma sempre più la biopolitica».
Il pacchetto sicurezza del ministro Maroni li ha chiusi in lager a cielo aperto, il clan Sarno di Ponticelli li ha ignorati fino a quando il Piano di recupero urbano non ha promesso una pioggia di investimenti. E gli affari intorno ai cantieri hanno messo in moto la pulizia etnica, con gli autori delle devastazioni ancora per lo più anonimi. Dei rom restano i denti: tutto quello che Santiago ha da dire sull'argomento è affidato a loro. Traccia personale e distintiva, minacciosi come ce li narrano le leggende, in mostra come in una posa innaturale, denti d'oro, curati, cariati, segno di appartenenza a una classe sociale, ultimo elemento del corpo a disfarsi dopo la morte: «Una realtà denudata - ha concluso Pietromarchi -, sgradevolmente esplicita, ridotta all'essenzialità dei suoi dispositivi materiali, identità individuale nella società contemporanea, segno di una comunità esposta alle privazioni dei diritti fondamentali, la libertà, il lavoro, la mobilità, l'identità culturale. Corpo interno che invade quello della città».
A metà giugno, il Madre proporrà un'intera giornata per incontrare la comunità rom, in una delle città dove i commissari straordinari di governo hanno trasformato per legge la loro presenza in un'emergenza nazionale. Già annunciata la costruzione di tre villaggi: diciannove milioni di euro per chiuderli in nuovi recinti.
Foto: L'ARTISTA
Nato a Madrid nel 1966, ma da anni residente a Città del Messico, Santiago Sierra si è distinto negli ultimi anni grazie a un lavoro in bilico tra la scultura, la fotografia e la performance, mettendo in discussione i limiti e le costrizioni imposti dalla società, in particolare schierandosi dalla parte degli «esclusi» e attaccando il concetto steso di frontiera geopolitica. Tra le ultime prove dell'artista, va ricordato il Padiglione Spagnolo alla 50/ma Biennale di Venezia, a cui si poteva accedere solo se in possesso di un passaporto iberico (e l'ingresso principale era sbarrato così da costringere i visitatori a «esporsi» al controllo, in una entrata laterale). Fra le altre provocazioni artistiche, «The first verse of the Marseillaise played uninterruptedly for one hour», al Centre d'art contemporain de Bretigny, dove un'intera orchestra ha suonato il primo verso dell'inno francese per 60 minuti pieni e, ancora, «300 Tonnen», alla Kunsthaus di Bregenz, una possente installazione in cemento del peso di trecento tonnellate che ha spinto agli estremi le capacità strutturali del museo austriaco.
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20090516/pagina/03/pezzo/250003/
documentazione
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