Omicidio Tommasoli, solo due responsabili, i giovani che furono visti accanto al corpo immobile del designer industriale di Negrar la notte del primo maggio 2008 in corticella Leoni. Smantellato il concorso e quell'«unità» che aveva determinato 4 condanne in primo grado: l'accusa di omicidio preterintenzionale è rimasta solo per Nicolò Veneri e Federico Perini, entrambi di 22 anni (De Zuani e Bussinello-Trimeloni i difensori), e solo per questo addebito sono stati condannati a dieci anni e 8 mesi (14 gli anni inflitti in primo grado). La Corte li ha assolti per l'episodio di via Cappello e per le lesioni a Csontala e Cazzarolli ma ha riconosciuto esistente il nesso causale tra i colpi ricevuti da Nicola e l'insorgere dell'emorragia cerebrale che provocò lo stato di coma irreversibile.
Gli altri tre Raffaele Dalle Donne, 21 anni, Guglielmo Corsi, di 22 e Andrea Vesentini di 23 anni, dall'accusa più grave sono stati assolti «per non aver commesso il fatto». Del fatto avvenuto in via Cappello ai danni del punk Red Pauli, la richiesta di spillette che in un primo tempo venne qualificata come rapina, poi derubricata in violenza privata, ipotesi di reato che è rimasta, risponde solamente Corsi (difesa Serpelloni-Quaranta), ritenuto responsabile anche delle lesioni a Csontala, l'amico di Nicola al quale chiese la sigaretta ricevendo la risposta negativa che scatenò la reazione in corticella Leoni.
Era già stato assolto in primo grado per l'omicidio ma condannato per l'episodio di via cappello: Andrea Vesentini (difesa Delaini) ieri è stato condannato a un anno e due mesi solo per le lesioni ad Andrea Csontala (lo tirò per la coda) e per aver spinto Cazzarolli. Un anno, infine, a Dalle Donne (difesa De Luca-D'Acquarone) responsabile per le lesioni a Cazzarolli. Concesse a tutti e tre le attenuanti generiche, il beneficio della pena sospesa e la Corte presieduta dalla dottoressa Daniela Perdibon ha disposto l'immediata liberazione di Corsi e Dalle Donne, ancora agli arresti domiciliari.
Una lunga giornata di attesa iniziata alle 9.45, quando la Corte dopo aver acquisito le spontanee dichiarazioni di Corsi si è ritirata in camera di Consiglio. Andrea Vesentini si è allontanato subito dopo, non riusciva a stare in aula e non ha più fatto ritorno in aula bunker. A sentire il dispositivo è rimasta la madre, seduta accanto alla mamma di Guglielmo, poco distante dai genitori di Perini. Ore di attesa e alle 17 la lettura del dispositivo, in un silenzio irreale interrotto dai singhiozzi man mano che il presidente Perdibon scandiva le pronunce di assoluzione. E chi da questo processo è uscito scagionato dall'accusa più grave ha pianto, non ha gioito ma è andato ad abbracciare gli altri. Così la mamma di Guglielmo ha stretto a sè la madre di Federico in lacrime, Corsi è andato accanto a Veneri e Perini e poi con loro si è seduto sul muretto del parcheggio. Seduti vicini, in silenzio, e con la testa bassa.
Una decisione, quella della Corte d'Assise d'Appello, raggiunta dopo sette ore di camera di consiglio che ha ridisegnato anche le determinazioni che riguardano i risarcimenti alle parti civili, i genitori, il fratello e la fidanzata della vittima: «revoca la condanna di Corsi e Dalle Donne al risarcimento dei danni a favore delle parti civili e condanna Perini e Veneri alla rifusione delle spese di rappresentanza in favore delle parti civili per complessivi 12mila euro» e ridotto a 20 mila quelle di primo grado.
Revocati anche «gli obblighi di tutti gli imputati in favore della parte civile Comune di Verona» al quale non è stato quindi riconosciuto alcun ristoro (in primo grado la Corte aveva stabilito il versamento di 50mila euro).
Fra tre mesi saranno depositati i motivi ma già dal dispositivo emerge il convincimento della Corte: quello che la sera del 30 aprile si formò al bar non era un gruppo compatto, i cinque giovani non si mossero come un sol uomo e non avevano un intento comune uniti da quello che il pg Antonino Cappelleri aveva definito «l'istinto dell'alleanza per un gruppo, come quello degli ultras, in cui non serve conoscenza o amicizia». Sulla base di questo aveva chiesto l'aggravamento delle pene per i quattro condannati in primo grado e dieci anni per l'unico assolto. Una convinzione smantellata dalle difese: «bisogna provare che il sostegno era precedente all'azione, se è indotto successivamente non può essere utilizzato», sostenne Umberto De Luca sottolineando che mancava l'accordo che rappresenta il cemento del gruppo. «L'azione di uno non procurò alcun vantaggio agli altri e più sfilacciati sono i rapporti più ci si allontana dal concorso».
La Corte ha disconosciuto il «branco» ma ha mantenuto il nesso causale: sulla lievità dei colpi concordarono tutti, consulenti e perito, ma il loro collegamento con l'emorragia sta alla base delle uniche due condanne. «Perchè Perini sarebbe responsabile se non risulta da nessun atto un suo intervento sulla vittima?», l'unica dichiarazione di Roberto Bussinello al termine dell'udienza, «Attendo le motivazioni ma una cosa mi lascia perplesso: se il povero Tommasoli è morto per un unico colpo ricevuto non capisco perchè condannare due persone».
Fonte:
L'Arena
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