pubblicato il 17.10.13
70 anni fa il rastrellamento del Ghetto di Roma ·
La STAMPA - Umberto Gentiloni : " Avete 20 minuti: prendete un po?? di viveri e i bicchieri "
«La sera prima ci sono stati dei mitragliamenti, delle bombe a mano con esplosioni, in modo che noi ebrei impauriti rimanessimo a casa senza uscire. Poi la mattina presto. Non abbiamo sentito nulla, neppure le camionette. Non abbiamo visto niente. Mi sono solo sentito bussare alla porta e quando siamo andati ad aprire c??erano le SS con i mitra in mano. Non mi ricordo se erano due o tre persone in divisa. Uno di loro aveva un foglietto in mano».
Lello Di Segni è un sopravvissuto alla retata, lui e Enzo Camerino sono ancora in vita, settant??anni dopo quell??alba; gli attimi di allora sono scolpiti nella sua memoria. Come lui oltre mille i compagni di strada destinatari di una sorte inimmaginabile. L??irruzione in casa senza preavviso, per molti le porte sfondate, terrore e lunghi attimi di attesa alla vista della divisa della polizia.
Poche parole incomprensibili ai più e un biglietto con istruzioni precise: : «1. Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d??identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l??appartamento e prendere con sé le chiavi. 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza».
Venti minuti primi della tragedia, il tempo di chiudere con la vita precedente per piombare increduli e impreparati nel cono d??ombra della deportazione. E?? questo il peso di una giornata cha appare 70 anni dopo in tutta la sua drammaticità. Poche settimane dopo l??armistizio dell??8 settembre 1943 il nostro paese è un teatro di guerra del secondo conflitto mondiale, diviso politicamente e geograficamente attraversato da una cruenta guerra civile. Gli effetti delle leggi discriminatorie del 1938 arrivano fino al tessuto della società romana. A fine settembre la richiesta dell??oro che la comunità ebraica avrebbe dovuto consegnare nel giro di trentasei ore alle autorità tedesche di occupazione (Goldaktion); poi la grande retata in una manovra decisa a tavolino, pianificata in quella zona oscura dove le politiche di sterminio incontrano le forme più diffuse di delazione o tradimento. Tanti vengono venduti per poche lire, altri trovano rifugio presso conventi, abitazioni o luoghi di ritrovo. Alcuni romani collaborano con le direttive naziste altri rischiano la vita per mettere in salvo amici o concittadini.
E?? la guerra nei suoi tornanti e nelle sue scelte irrinunciabili. Tutto ha inizio all??alba del 16 ottobre 1943 con la consegna di quei sinistri bigliettini per concludersi alle due del pomeriggio dello stesso giorno; meno di dieci ore con un??azione fulminea. Il territorio urbano viene diviso in ventisei zone con particolare attenzione all??area del vecchio ghetto che viene isolato e circondato; ma è tutta la città ad essere coinvolta nelle dinamiche della retata. Alle dipendenze di Herbert Kappler e Theodor Dannecker (già responsabile delle deportazioni anti ebraiche in Francia e inviato a Roma direttamente dall??ufficio di Adolf Eichmann) si muovono trecentosessantacinque uomini appartenenti alle truppe di occupazione, coadiuvati dalla questura di Roma e dalla polizia fascista.
Gli esiti sono impressionanti, i numeri impietosi. Secondo il rapporto Kappler durante la retata vengono arrestate 1.259 persone, inviate al collegio militare di via della Lungara nei pressi del carcere di Regina Coeli. Il giorno successivo dopo una selezione che individua i non ebrei, gli stranieri protetti, i misti, i coniugi di matrimonio misto vengono rilasciate 252 persone. All??alba del 17 ottobre 1943 all??interno del collegio militare nasce un bambino, figlio di Marcella Perugia, rimasto senza nome.
Il numero complessivo dei deportati dovrebbe essere di una decina superiore a quello indicato da Kappler; sono interi nuclei famigliari ad essere raccolti e isolati dal resto della popolazione. Non si poteva certo dividere le famiglie, lacerare i rapporti tra genitori e figli, fratelli e sorelle nel cuore della capitale; meglio scegliere un??altra strada che avrebbe ritardato di qualche giorno il momento della separazione per favorire l??obiettivo di eliminare la presenza ebraica dal tessuto della società romana. Un obiettivo strategico che accomuna almeno dalla fine del 1941 il destino dei territori passati sotto il dominio del terzo Reich.
La mattina del 18 ottobre un convoglio si mette in moto dalla stazione Tiburtina; un tassello della città di Roma viene strappato dal resto della comunità. Ha inizio il viaggio senza ritorno, destinazione Auschwitz-Birkenau, arrivo 22 ottobre 1943. La selezione sulla rampa della morte porta all??arruolamento nel campo di 149 uomini e 47 donne: gli uomini vengono immatricolati con i numeri da 158491 a 158639, le donne con quelli da 66172 a 66218. Tutti gli altri, oltre l??80% di quelli che erano partiti da Roma, vengono uccisi immediatamente con il gas negli impianti di messa a morte di Birkenau. Degli abili al lavoro si salveranno soltanto in sedici: quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino). Degli oltre duecento bambini deportati il 16 ottobre nessuno è tornato indietro; spesso non è rimasto neppure un segno, un??immagine, un oggetto cui far riferimento. Solo di recente l??apertura dell??Archivio della Croce Rossa Internazionale (Bad Arolsen, Germania) ha permesso di portare alla luce tracce di vite spezzate dalla violenza delle politiche di sterminio.
Cosa rimane di quel giorno, della sua memoria? Contributi di vario genere hanno consentito di squarciare il velo che copriva una pagina drammatica della nostra storia indagando sui silenzi, le complicità o le collusioni di chi ha permesso che il disegno omicida si potesse realizzare. Il tempo che ci separa da quel giorno rischia di favorire la retorica di celebrazioni rituali; per dirla con Primo Levi solo una conoscenza consapevole del passato può essere un antidoto alle rimozioni e agli approdi rassicuranti.
http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/15Oct2013/15Oct201306c633c665e8fb9a6e1e5aabbebcd1db.pdf
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