pubblicato il 28.09.21
Il “dark side” di Mori: le 14 foto di Giusva e la P2 di brava gente ·
Il generale che “non sa”/1. Prima della Trattativa
di Gianni Barbacetto
Mario Mori, ovvero l’uomo che visse tre volte. La sua ultima vita, quella da imputato nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è culminata in una assoluzione in appello cui è seguita la proposta di alcuni buontemponi di nominarlo senatore a vita. Nelle due vite precedenti, da ufficiale dei carabinieri e poi prefetto della Repubblica, Mori si è occupato di mafia ma, prima ancora, di terrorismo stragista. La sua prima vita, quella in cui aveva a che fare con neofascisti, terroristi e stragi, è la più sconosciuta. Eppure è sintetizzata in un corposo capitolo dell’ultima sentenza sulla strage di Bologna (quella che ha condannato all’ergastolo come esecutore Gilberto Cavallini) che si conclude così: “L’ex generale Mario Mori, avanti questa Corte, ha affermato di non essersi mai occupato della destra eversiva in quanto lui è sempre stato occupato in ‘altro’. Ma ciò contrasta apertamente con una nutritissima serie di evidenze processuali e investigative di segno contrario, provenienti anche da dichiarazioni da lui stesso rilasciate (…). Alla luce di tutto quanto sopra, Mario Mori va quindi denunciato ai sensi dell’art. 331 cpp per testimonianza falsa e reticente”.
Su che cosa ha mentito, su che cosa è stato reticente? Nella sua prima vita, Mori è stato ufficiale dei carabinieri nei luoghi al centro della strategia della tensione. Dal 1965 comandante dei carabinieri a Padova, dal 1968 a Villafranca di Verona. Poi, dal 1972 al 1975, al Sid, il servizio segreto militare. Dopo un passaggio al Nucleo Radiomobile dei carabinieri di Napoli, il 16 marzo 1978 (casualmente il giorno del sequestro Moro) è andato a comandare la Sezione polizia anticrimine di Roma (dove ebbe una delega d’indagine sulla strage di Bologna e sull’omicidio del giudice Mario Amato assassinato dai neofascisti), per poi passare a Palermo, dove dal 1986 al 1990 (il periodo dell’istruttoria sull’omicidio di Piersanti Mattarella) è stato comandante del Gruppo carabinieri di Palermo 1. Come investigatore, si è trovato sempre al centro delle trame eversive, armato del più alto grado del nulla osta di sicurezza, quel Nos Cosmic che gli permetteva di accedere anche ai segreti Nato.
Quelle risposte svogliate al processo del 2 agosto
Interrogato il 3 ottobre 2018 dai giudici della Corte d’assise di Bologna, è apparso svogliato, ha risposto con una lunga serie di “No”, “Non ricordo nulla”, “Io mi occupavo d’altro”, “Non erano compiti miei”, “Se ne occupava un mio sottoposto”. Ha contraddetto perfino se stesso, visto che nei processi sulla trattativa ha invece raccontato di essersene occupato eccome, dell’eversione di destra. Uno degli avvocati delle vittime di Bologna, Nicola Brigida, gli ha ricordato che il 10 luglio 1980 i suoi carabinieri di Roma sequestrano un giubbotto che conteneva, oltre a 2 etti di cocaina, 14 fototessere di Giusva Fioravanti (poi condannato definitivo per la strage di Bologna), alcuni proiettili 38 special a punta cava (proprio come quello che un mese prima aveva ucciso il giudice Amato), una piantina di Roma, zona Salaria, con segnato il deposito centrale dell’Aeronautica militare di Monterotondo, all’interno del quale era stata custodita la moto utilizzata dal neofascista Luigi Ciavardini per far fuggire Gilberto Cavallini dal luogo dell’agguato mortale ad Amato. Risposta di Mori: “Non mi ricordo nulla”.
A una domanda su che cosa abbia fatto a Palermo a proposito delle indagini sull’omicidio Mattarella (fratello del presidente della Repubblica che lo dovrebbe nominare senatore a vita), ha risposto brusco: “Ma era già morto e seppellito Piersanti Mattarella, nell’86, e non c’era già il problema Piersanti Mattarella”. Tanto che il presidente della Corte lo bacchetta in sentenza per “la finezza di una simile espressione”: “Questa Corte ritiene che le vittime del terrorismo, della mafia, di omicidi e massacri non siano mai ‘morte e seppellite’”. Poi aggiunge: “Vi è da ribadire che negli anni in cui Mori comandò i carabinieri di Palermo, l’istruttoria di Falcone su quell’omicidio era pienamente in corso. Il ‘problema Mattarella’ c’era, eccome, ma lui (Mori), evidentemente, si occupava di altro. Come sempre”.
L’agente segreto del Sid e le “liste protette” di Gelli
Come negli anni della “strategia della tensione”, dal 1972 al 1975, quando Mori lavorava al Sid. E come quando incrociò Licio Gelli e la P2. Nelle liste della loggia il suo nome non c’è, ma la testimonianza (nel processo sulla trattativa) del colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo è inquietante: “Ricordo che Mori (…) mi avvicinò e mi disse che diversi nostri colleghi, di grado elevato, avevano aderito a una loggia denominata P2. Ora, in sostanza, egli mi chiedeva una sorta di consulto e di iscrizione condivisa. Io non mi prestai poiché non ho mai voluto avere nulla a che fare con la massoneria. (…) Mori tentò di convincermi spiegandomi che non si trattava di una loggia massonica come quelle di una volta e, per dare maggior forza alla sua proposta, mi sciorinò un elenco di persone ben note al Sid. Il tentativo con questi nomi altisonanti era quello di invogliarmi, ma io non cedetti. (…) Mori mi propose di andare a trovare il Gelli e che io, come toscano, gli sarei stato particolarmente gradito. Mi spiegò che costui era particolarmente interessato ad affiliare elementi del Servizio (…) che sarebbero stati messi in una lista particolare. (…) Fu lo stesso Mori a farmi presente l’esistenza di liste protette”.
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