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Il cuore nero della lista di Storace
Dalle curve al voto. Germano Buccolini, detto Gerri, i cui manifesti infestano la capitale e che rappresenta i fascisti delle occupazioni e un mondo a cavallo tra ex eversione nera e nuova radicalità di destra. Giulio Gargano, l’ex dc diventato il paladino degli ultras contro le diffide con cui si sono schierati per la prima volta ufficialmente gli Irriducibili della Lazio. Ritratto dei candidati di confine del governatore
Te l’hanno mai detto che hai un’aria di sinistra? Il candidato Gerri, al secolo Germano Buccolini, risponde un po’ annoiato di sì, gliel’hanno già detto: «Non è una cosa molto originale». Gerri si presenta nella lista Storace in rappresentanza dei fascisti che occupano case e centri sociali (anche senza chiamarli così) e si battono per il «mutuo sociale» e l’accesso alla proprietà dell’abitazione. Senza offesa per nessuno, se entrerà al consiglio regionale del Lazio sarà una specie di «Nunzio D’Erme della destra», riferimento al consigliere comunale disobbediente che da otto anni rappresenta in Campidoglio la sinistra antagonista, i centri sociali, gli occupanti delle case. E’ piccoletto di statura, Gerri, porta le basette lunghe e i baffi ben curati e indossa, di preferenza, colorate camicie a quadri. Ha i capelli in testa e l’eloquio pacato, parla quasi sottovoce, sembra uno che non farebbe male a una mosca. Al contrario i camerati attorno a lui, più trenta-quarantenni che giovanissimi, vestono perlopiù nero o verde militare, mostrano volentieri i muscoli, girano con la testa rasata e il ghigno vagamente minaccioso. Sono i frequentatori abituali del Cutty Sark, un pub ma soprattutto un ritrovo dell’estrema destra trasformato, in vista del voto, in quartier generale del «mutuo sociale».
«La bomba? Diamo fastidio»
Al tavolo del pub, dove il cronista del manifesto viene accolto apparentemente senza imbarazzi né ostilità, chiunque capirebbe al volo che il capo non è Gerri. Il suo slogan, nei manifesti che lo riprendono di spalle, è «non facce di bronzo ma una testa di ferro»:dove la testa di ferro è una citazione dannunziana che indica scelleratezza, audacia, coraggio. Anche l’8 marzo, quando l’ingresso e una parte del locale sono state seriamente danneggiate dall’esplosione di un ordigno non proprio rudimentale, a parlare con i giornalisti non era Gerri ma Simone Di Stefano, 28enne ex Fiamma Tricolore, e Gianluca Iannone, 31, proveniente dal Movimento Politico (Mp) di Maurizio Boccacci; entrambi musicisti degli ZetaZeroAlfa ovvero il gruppo rock identitario che è anche il marchio più affermato dell’ala più radicale della destra radicale romana.
«Non sappiamo chi ha messo la bomba, non crediamo che siano stati i compagni perché quelli vengono di giorno con le spranghe, magari in cento contro tre ma non di notte», rilevano i portavoce del Cutty Sark. Difficile non chiosare che anche i fascisti storicamente non scherzano in fatto di aggressioni in sovrannumero. «Sappiamo però perché ce l’hanno messa, quella bomba: diamo fastidio a qualcuno, magari qualche costruttore, forse qualcun altro che non gradisce la candidatura di Gerri…». A destra? A sinistra? Al centro? «Non lo sappiamo, sappiamo solo che non vogliamo più cadere nella logica degli opposti estremismi». Parole che il Corriere della sera ha lodato per «compostezza».
Due anni fa il Cutty Sark era l’obiettivo di una «spedizione» antifascista scattata all’indomani dell’assassino a Milano di Davide Dax Cesare, il militante del centro sociale Orso ucciso da due fascisti, padre e figlio, che a casa avevano un busto di Mussolini ma a quanto pare non facevano politica. Era chiuso, alcuni fascisti si trovavano nella pizzeria accanto, gestita per ironia della sorte da un egiziano, che subì parecchi danni. Oggi, per quanto i collegamenti siano arbitrari, questi episodi si ripetono: è di pochi giorni fa un rozzo tentativo di incendio alla ex sezione del Msi di via Acca Larenzia, resa tristemente famosa dall’attentato del 7 gennaio `78 costato la vita a due giovani missini, più un terzo ucciso poco dopo dai carabinieri. Oggi è la sede di Base autonoma, erede diretta di Mp, confluita nella Fiamma Tricolore e in Alternativa sociale.
Quelli del Cutty Sark sono i fascisti che hanno fatto le Onc, le «occupazioni non conformi» contrapposte ai centri sociali liquidati come «conformismo» di sinistra. La prima era stata Casamontag, sulla via Tiberina alle porte della città, che ospitava soprattutto dibattiti e concerti. Poi hanno preso coraggio, si sono buttati sull’emergenza casa e hanno creato le Osa, «occupazioni a scopo abitativo». Non sono gli unici, basta pensare alle cooperative sociali anche di ex detenuti formate da Boccacci ai Castelli romani. «La sinistra ha fallito – dicono – non ha risposte alla crisi del capitale e alla globalizzazione: vale per la casa, per il lavoro precario, per le delocalizzazioni…». A loro non piace neppure essere chiamati neofascisti. Sono tutti figli di Terza posizione e non a caso Gabriele Adinolfi è invitato spesso a Casa Pound, mentre Roberto Fiore, nonostante le critiche alla deriva cattolico-tradizionalista di Forza Nuova, gode di un rispetto che non si estende a personaggi come Adriano Tilgher o Pino Rauti, assolti mille volte ma pur sempre macchiati dal coinvolgimento nelle torbide vicende dello stragismo, dei servizi più o meno deviati e della peggiore massoneria. Quelli del Cutty Sark alle elezioni non si erano mai presentati: finisce così, per molti di loro, una lunga nuotata sott’acqua cominciata all’inizio degli anni 90 con lo scioglimento di Mp e l’autoscioglimento di Meridiano Zero, dopo le leggi Mancino sull’istigazione all’odio razziale.
L’Esquilino multietnico e i fascisti
Il pub più nero di Roma affaccia su una viuzza tra il Colle Oppio, storica roccaforte nera, e l’Esquilino, il rione multietnico che si distende accanto alla stazione Termini, intorno a piazza Vittorio e ai giardini che saranno intitolati a Nicola Calipari. E’ l’unica parte di Roma in cui le insegne luminose in cinese, altre lingue asiatiche e arabo primeggiano decisamente su quelle in italiano. E proprio all’Esquilino, in via Napoleone III, dal 26 dicembre 2003 c’è Casa Pound, l’occupazione più significativa della destra. Venti famiglie vivono lì. Le altre occupazioni si chiamano Casa Italia perché la lotta per la casa si fa «ma con la precedenza agli italiani»: diciotto nuclei al Torrino sulla strada per il mare, oltre l’Eur, e sette nel quartiere popolare di Boccea. Altre 23 famiglie avevano occupato ai Parioli, zona di signori, ma la polizia le ha sgomberate «e deportate a Marina di Ardea», a 50 chilometri da Roma, su istanza del costruttore Stefano Ricucci.
Tutti italiani? «Stiamo cominciando ad aprire – dice Gerri – Ci sono già alcuni somali e alcuni eritrei con cognome italiano, ora abbiamo anche qualche sudamericano. Per i nostri ambienti è quasi una rivoluzione…». A due passi da Casa Pound e dal Cutty Sark c’è anche un altro spazio occupato dalla destra, il Foro 753 installato nei locali che ora il comune vorrebbe destinare a museo della Shoah; ma quella è un’altra storia, là ci sono soprattutto i giovani della corrente storaciana, nessuno ci abita e il problema casa non c’entra.
Se l’Esquilino è la meta preferita dei fascisti che manifestano contro l’immigrazione, specie quelli di Base autonoma, in due anni Casa Pound non sembra aver creato pericoli concreti agli stranieri. «Siamo contro l’immigrazione, non contro gli immigrati, il razzismo biologico non ci appartiene», dicono Gerri e i suoi camerati. Certo sono aumentate le svastiche e le scritte razziste e antisemite: il 27 gennaio, giornata della Memoria, il sindaco Walter Veltroni è andato a cancellarle con telecamere al seguito proprio in via Carlo Botta, la strada del Cutty Sark. Alcuni sostengono che quell’iniziativa potrebbe aver attirato l’attenzione dei bombaroli. Lo dicono, per la verità, senza grande convinzione. «Qui comunque non c’erano svastiche, né scritte antisemite», precisano.
Fuori dal palazzo di via Napoleone III penzolano il tricolore e la bandiera con la croce celtica: elezioni a parte, l’ultima iniziativa è stata il dibattito del 17 marzo sul tema «Dai Far (Fasci d’azione rivoluzionaria, ndr) a Ordine nuovo» dedicato alla memoria di Clemente Graziani detto Lello, figlio del fondatore di On, alla presenza, tra gli altri, del figliolo quasi quarantenne Rainaldo, che ha già una storia alle spalle come leader di Meridiano Zero e poi come responsabile della «Guardia d’onore Benito Mussolini», i volontari che si danno il cambio a Predappio vegliando impettiti la tomba del Duce. C’era anche Adinolfi, già dirigente di Tp, mentre al Cutty Sark è di casa Luigi Ciavardini, ex militante dei Nar di recente ri-condannato per la strage di Bologna, sempre sulla base dell’assai discutibile teorema che accusa Francesca Mambro e Valerio Fioravanti.
Un ex dc paladino degli ultrà
La presenza dell’estrema destra alla regione Lazio è assicurata, c’è anzi un discreto affollamento che nasce da conflitti interni e rivalità che potrebbero spiegare persino la bomba al Cutty Sark. Fuori dal centrodestra, almeno per il momento, ci sono Alessandra Mussolini, Tilgher e Fiore con la loro Alternativa sociale, ma tutti gli altri, come Gerri, preferiscono l’ombrello di Storace. Così nella lista civica e in quella di An non mancano i candidati neri neri e quelli che si protendono, anche a dispetto della propria storia, a intercettare il radicalismo di destra.
L’esempio più imbarazzante dell’ultimo tipo è Giulio Gargano, nato a Cassino (Frosinone) come Storace e fino a qualche anno fa coordinatore dei democristiani del Ccd. Questo bellimbusto che sorride in giacca e cravatta dai manifesti, strapotente assessore ai trasporti capace, per dirne una, di liquidare con un tratto di penna influenti dirigenti di Trenitalia, legato agli ambienti petroliferi dell’Eni e coinvolto (ma poi prosciolto) nell’inchiesta potentina sulle tangenti, sarà ricordato come il primo candidato capace di trasformare le curve romane, quella laziale e quella romanista, in improbabili succursali elettorali. Gli Irriducibili biancoazzurri sono stati i primi: un grosso striscione sulla vetrata della nord ha inaugurato la campagna elettorale di Gargano durante Lazio-Sampdoria dello scorso gennaio: «Sosteniamo Giulio Gargano». Sette giorni dopo in curva sud, prima di Roma-Messina, i cugini giallorossi dei Boys hanno replicato, con mezza riga in più di spiegazione: «Sostenete Giulio Gargano che si batte contro le diffide».
Le diffide sono i cosiddetti Daspo, Divieti di accesso alle manifestazioni sportive, provvedimenti di dubbia costituzionalità con i quali le questure, in assenza di decisioni dei giudici, vietano lo stadio ai presunti violenti. Non risulta che Gargano si sia mai occupato del mondo ultras, dal quale sembra lontanissimo. Solo negli ultimi tempi si è dedicato a un disegno di legge per riformare le diffide, in collaborazione, guarda un po’, con Paolo Cento dei Verdi, che almeno ha più esperienza di lui. Eppure va fortissimo, Gargano. Su Radio azzurra, l’emittente che ospita la trasmissione degli Irriducibili, si può ascoltare uno spot: il sottofondo musicale è «Non mollare mai», l’attuale inno della Lazio, e la voce di Fabrizio Toffolo, uno dei capi del gruppo, invita a votare Gargano. Forse è un effetto indiretto della nuova gestione della Lazio, quella di Claudio Lotito notoriamente legato a Storace. «Non avevamo mai appoggiato un candidato e continueremo ad attaccare i forcaioli di An – dice Toffolo – Ma abbiamo deciso di dare fiducia alla persona…». Buona fortuna.
Nelle liste di Storace e di An
Nella lista Storace ci sono anche ex estremisti come Carlo Breschi, responsabile negli anni `80 del foglio studentesco d’estrema destra Spina nel fianco e legato al Fronte di Tilgher, oggi sostenuto da improbabili comitati per la PartecipAzione diretta. Per non dire delle liste collegate al Polo e al «governatore» in carica, dal Mis di Pino Rauti al Trifoglio di Alfredo Iorio, area tradizionalista che uscì quasi subito dalla Fiamma per avvicinarsi alla destra sociale di An. La loro sede principale è quella storica del Fronte della gioventù in via Ottaviano, dove nel `75 fu ammazzato lo studente greco Mikis Mantakas, ancora oggi ricordato ogni anno in piazza Risorgimento e nel quartiere Prati, altra zona nera. I giovani del Trifoglio fanno a volte da servizio d’ordine a Storace, anche loro qualche volta occupano (ma al massimo un campo sportivo di Tor di Quinto, conteso tra l’università e la regione) e sostengono alcuni comitati di inquilini «cartolarizzati», sfrattati cioè dagli enti pubblici. La loro parola d’ordine elettorale è una legge regionale per il reddito ai disoccupati, non proprio il reddito di cittadinanza ma quasi.
Il mutuo sociale
Ma Germano Buccolini detto Gerri, per il potenziale conflittuale e il relativo radicamento, è qualcosa di più. A sinistra, tra i sindacati degli inquilini e gli occupanti delle case che si battono per il canone agevolato e nuovi piani di sviluppo urbanistico vincolati all’emergenza abitativa, si dice che il «mutuo sociale» farebbe solo l’interesse dei costruttori; ma forse la polemica è fuori bersaglio perché quella proposta, sbandierata da migliaia di manifesti attaccati a tappeto nelle zone popolari, ben prima che la candidatura di Gerri fosse resa pubblica, sembra soltanto propaganda. E in un paese come il nostro, con oltre il 70 per cento delle famiglie che abita in case di proprietà, è una propaganda che può funzionare, specie a Roma dove l’emergenza abitativa riguarda centinaia di migliaia di persone tra quelle che non sanno dove andare e quelle che tirano la cinghia per pagare l’affitto (o il mutuo). «L’affitto è usura» è un motto di Ezra Pound fatto proprio da Gerri e dai suoi camerati: per una volta, prima del derby stravinto dalla Lazio il 6 gennaio, la stessa frase campeggiava in curva nord e in curva sud, le foto sono pubblicate su zetazeroalfa.org. E’ difficile, però, immaginare l’attuazione di un disegno di legge come quello suggerito su www.mutuosociale.org: la regione dovrebbe infatti istituire un nuovo ente che «non mira al profitto», l’Istituto per il mutuo sociale, per costruire (con quali soldi?) nuove case e, anziché affittarle, venderle ratealmente alle famiglie non proprietarie «a prezzo di costo».
«Il prezzo finale per una casa di 100 mq costruita a queste condizioni è di circa 100 mila euro», dicono i fascisti, un quarto o massimo un terzo degli attuali prezzi medi di mercato delle zone non centrali. «E stiamo parlando – si legge ancora nel sito – di una bella casa, in palazzi bassi con massimo cinque famiglie per palazzina, in quartieri costruiti nel verde, attorno all’uomo. Stile Garbatella, per intenderci (riferimento a una delle migliori realizzazioni del fascismo, case popolari che oggi valgono moltissimo ndr), non i casermoni sovietici stile Corviale o Laurentino 38». Se Silvio Berlusconi sta a Palazzo Chigi la regione Lazio avrà senz’altro posto per Gerri. Che forse non potrà costruire nuove case ma si guadagnerà il placet di Storace, se quest’ultimo sarà rieletto, per le prossime occupazioni.
ALESSANDRO MANTOVANI
Il Manifesto
di Sabato, 26 Marzo 2005 – 10:28 PM
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