Da
Indy Piemonte
...la Resistenza continua...
Sabato 25 aprile ore 15
Presidio alla lapide al partigiano Ilio Baroni
Corso Giulio Cesare angolo corso Novara
Ricordo e deposizione di fiori – banchetti informativi antifascisti e antirazzisti – volantinaggio in quartiere – bicchierata in ricordo delle tante vittime del fascismo di ieri e di oggi.
partgiano anarchico
La Resistenza continua!
Il 25 aprile 1945 Torino è paralizzata dallo sciopero generale: è il giorno dell’insurrezione, il giorno in cui i partigiani giocano l’ultima decisiva partita contro i nazifascisti.
Il 26 aprile 1945 muore combattendo Ilio Baroni, operaio alle Ferriere, anarchico, partigiano comandante della VII brigata SAP. Ilio, nome di battaglia “il Moro”, cade in corso Giulio Cesare angolo Corso Novara, dove oggi c’è la lapide che lo ricorda. Baroni aveva combattuto il fascismo pagando con la galera ed il confino il proprio impegno antifascista ed anarchico. Il 27 aprile i partigiani liberano completamente Torino, ma Ilio non potrà vedere il giorno per cui ha lottato per tutta la vita. Ma il fascismo non muore in quell’aprile…
Oggi, 25 aprile 2009, il fascismo colpisce ogni giorno.
Le squadracce si chiamano ronde, le leggi razziste pacchetto “sicurezza”, le aggressioni agli immigrati e ai rom episodi di “bullismo”, le “leggi speciali” sono diventate ordinaria amministrazione, i centri per immigrati senza documenti giorno dopo giorno diventano i lager del nuovo secolo.
Torino, come tutto questo nostro paese, sta scivolando verso un baratro. È il baratro del fascismo che ritorna, che ritorna nelle strade, che ritorna nelle leggi sempre più razziste e liberticide, che ritorna, e questo è il peggio, tra noi tutti, gente comune che fa fatica ad arrivare alla fine del mese, gente che non ha i soldi per pagare il fitto o il mutuo, gente che la disoccupazione e la precarietà obbligano ad un’esistenza sempre più miserabile, gente che sta tramutando il sano odio di classe, l’odio per i padroni che ci sfruttano e ci rubano la vita, nell’odio per gli ultimi, per chi sta peggio di noi, gli immigrati poveri in cerca di un’opportunità di vita.
I governi di questi anni, i governi di “destra” e quelli di “sinistra” hanno fatto la stessa politica, distruggendo poco a poco i piccoli margini di libertà e di giustizia strappati con la lotta nei decenni precedenti. Strappati dai torinesi e dagli immigrati di allora, la gente del sud e dell’est venuta a Torino per lavorare, uniti per la casa, i trasporti, i servizi, le scuole, il salario, i tempi di lavoro.
Uniti anche se diversi, perché consapevoli che il nemico non è l’immigrato che ti vive accanto ma chi marcia alla tua testa. I vari governi hanno creato e alimentato la guerra tra poveri, i media l’hanno amplificata ad arte, moltiplicando i falsi allarmi sulla sicurezza. I reati più gravi – omicidi, stupri, rapine – diminuiscono mentre si moltiplicano gli “incidenti” sul lavoro. Si fanno leggi contro gli immigrati e si sancisce che i responsabili dei morti e mutilati sul lavoro se la cavino con una multa: i padroni lucrano sulle nostre vite e ogni giorno qualcuno di noi muore lavorando. Italiani o immigrati, quando si cade da un’impalcatura, si viene stritolati da una macchina, si brucia vivi in acciaieria, siamo tutti uguali, ma se non re-impariamo ad essere e sentirci uguali nella vita, se non re-impariamo a lottare contro i nemici comuni di ogni sfruttato, la vita se ne va ogni giorno più in fretta, ogni giorno più miserabile, ogni giorno più insicura. L’insicurezza, quella vera, è nel lavoro che non c’è, nel lavoro che mutila, nel lavoro che uccide: loro li chiamano “incidenti”, ma il nome vero è omicidi. Ormai usano una lingua nuova, una lingua dove i fatti e le parole sono sempre più distanti: la guerra di classe è nascosta come la guerra che gli alpini combattono in Afganistan. La chiamano “missione di pace” ma fanno la guerra, ammazzano in nostro nome, sottraendo risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti, ai servizi. Gli stessi militari dalla scorsa estate sono nelle strade della nostra città…
Stiamo scivolando in un baratro: occorre fare barriera contro la barbarie che avanza, con l’azione diretta, senza deleghe, in prima persona.
In questo 25 aprile vogliamo ricordare le ragioni di tanti di quelli che combatterono e morirono, le ragioni di chi combatteva il fascismo perché portava in se il sogno di un’umanità senza stati né frontiere, solidale, dove l’uguaglianza reale si accompagnasse al rispetto ed alla salvaguardia delle differenze. Queste ragioni sono state dimenticate o gettate nel fango.
Spetta a noi raccoglierle e farne una bandiera. Spetta a noi riprendere il cammino dei nostri padri e dei nostri nonni. Spetta a noi conquistare un nuovo aprile.
A Torino la RESISTENZA continua, ogni giorno.
Torino. Rivolte partigiane dopo la Liberazione
Venerdì 24 aprile.
Serata sulle rivolte partigiane dopo la Liberazione e assemblea antifascista
"Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione 1945 - 1947" è l’ultimo libro di Marco Rossi, dedicato a una storia spesso taciuta, quella delle migliaia di partigiani, che a distanza di poco più di un anno dalla Liberazione, tornarono in montagna "per rifiuto di abitare nella Repubblica che mitraglia i contadini, libera i fascisti e mette gli operai alla disoccupazione".
Il libro sarà presentato venerdì 24 aprile dalle 21,15 in corso Palermo 46.
Sarà presente l'autore.
Attorno alla data del 25 aprile 1945, considerata e celebrata come l'anniversario della Liberazione, permangono ancora molti equivoci e rimozioni, dettate da un evidente utilizzo politico della storia, sino al punto di ventilare la cancellazione di tale festa dal calendario della Repubblica per sancire la conclusione della guerra che vide gli italiani combattersi su fronti opposti.
La principale mistificazione, da un punto di vista storiografico, riguarda proprio la data stessa del Venticinque Aprile con cui si vorrebbe far iniziare e concludere l'insurrezione popolare contro il fascismo e l'occupazione nazista, negando che quella guerra civile e sociale aveva un "prima" e, soprattutto, che conobbe un "dopo" tutt'altro che composto e riconciliato sotto la bandiera della cosiddetta pacificazione nazionale.
Uno dei fatti che contraddicono palesemente questa rassicurante ricostruzione del passato è l'esperienza, comune a migliaia di partigiani che, a distanza di poco più di un anno dalla Liberazione, tornarono in montagna "per rifiuto di abitare nella Repubblica che mitraglia i contadini, libera i fascisti e mette gli operai alla disoccupazione".
La scelta di proseguire la guerra di liberazione percorse, a più riprese e in varie zone del Nord Italia, le componenti più intransigenti e avanzate del movimento partigiano che avevano vissuto la lotta armata contro i fascisti come la premessa per la costruzione di una società diversa, così come non avevano condiviso i cedimenti e gli appelli ai "fascisti onesti".
Tali insorgenze, nonostante le considerevoli dimensioni raggiunte, rimangono a tutt’oggi una parentesi pressoché ignorata e sconosciuta, a causa dell’evidente dissonanza che rappresentò e ancora rappresenta per la storia ufficiale della Resistenza.
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Il fenomeno ribellistico, seppur minoritario, coinvolse in modo spontaneo migliaia di volontari e soprattutto raccolse molti consensi tra quanti avvertivano la delusione per una situazione pesantemente segnata dalla mancanza di lavoro, dall’assenza di provvedimenti a favore di coloro che più avevano sofferto la tragedia della guerra e dalla negata riforma agraria, mentre il padronato riprendeva indenne il suo posto ed erano tornati pure in circolazione i fascisti con ritrovata baldanza.
Si verificarono quindi, nell’arco di alcuni mesi, estesi movimenti di ribellione armata contro il governo formato da quei partiti che pur avendo fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale, ora erano apertamente accusati di aver tradito gli ideali resistenzali.
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Le ragioni che, a distanza di un anno dai giorni entusiasmanti della vittoria antifascista, avrebbero portato migliaia di ex-partigiani di nuovo alla macchia erano molte: dalla mancata epurazione dei fascisti all'amnistia nei confronti di questi firmata dal guardasigilli Togliatti (Decreto presidenziale del 22 giugno 1946); dalla criminalizzazione dei reduci partigiani e antifascisti alla loro emarginazione sociale; dalla mancanza di provvedimenti legislativi a favore degli ex-internati nei lager nazisti fino al deludente clima di restaurazione capitalistica, ancora una volta a danno della classe lavoratrice.
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L’amnistia Togliatti ebbe conseguenze politicamente devastanti e l’associazionismo partigiano la considerò unanimemente un’offesa, politica e morale: se l’obiettivo utilizzato per giustificarla era stato quello della pacificazione nazionale, non poteva esserci smentita più netta.
Numerose quanto dure furono le prese di posizione contrarie, intrecciandosi con i movimenti di aperta rivolta di quei mesi.
Tra queste vanno citate quelle indignate della Confederazione italiana perseguitati politici antifascisti, delle associazioni dei familiari dei caduti nella lotta di liberazione e persino dei Partigiani e Reduci degenti nel Convalescenziario di Lavarone (Tn). Ben più minacciose quelle di diversi gruppi di partigiani che certo non si consideravano "ex". E’ il caso, ad esempio, dei partigiani del Bellunese che per due volte (il 28 giugno e il 12 luglio 1946) scrissero nero su bianco la loro protesta contro l’amnistia, rivendicando al contempo la scarcerazione dei loro compagni "anche se hanno commesso dei delitti".
Il 5 luglio, un gruppo di familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine dimostrò la sua indignata protesta davanti al ministro Togliatti.
Anche all’interno dell’associazionismo partigiano prevalevano sentimenti di rabbia e amarezza che esplosero, anche clamorosamente, nei diversi congressi regionali e provinciali. A Modena, i dirigenti dell’Anpi, fedeli alla linea dettata dal Pci, che in un primo momento avevano appoggiato il provvedimento, furono costretti a rinnegare l’amnistia una decina di giorni dopo la sua effettiva emanazione. A Imperia, nel corso di un comizio, un dirigente dell’associazione minacciò il ricorso alla violenza nel caso di ulteriori misure di assoluzione a favore dei fascisti. A Torino, in occasione dell’assemblea piemontese del 28 luglio, il segretario della inquieta sezione astigiana, senza mezzi termini, giunse a proporre di riprendere in mano il mitra per fare giustizia.
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Assieme all’amnistia che rimetteva in circolazione diverse migliaia di gerarchi e reduci delle varie formazioni armate di Salò, il 1946 vide anche la rinascita e una crescente riorganizzazione neofascista, già peraltro riscontrata a pochi mesi dalla Liberazione, spesso sotto la copertura fornita dal partito dell’Uomo qualunque. Fin dal settembre 1945 Giuseppe Di Vittorio aveva denunciato il risorgere dello squadrismo in Puglia contro le lotte contadine- Ma l’epicentro di tale ripresa fu soprattutto la Valle padana, già culla sia del primo squadrismo agrario che della Repubblica sociale.
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Nonostante qualche simile circoscritto precedente, fu nell’estate del 1946 che la protesta contro la mancata epurazione, la perdurante prigionia di partigiani incriminati per azioni compiute sotto l’occupazione nazifascista, ma anche per la non-concessione di provvedimenti legislativi ed economici in favore degli ex-internati nei campi di concentramento, giunse a trasformarsi in rivolta armata.
Il governo De Gasperi, peraltro, aveva accettato i massicci licenziamenti voluti dagli industriali, tanto che nelle settimane precedenti si erano verificati forti scioperi operai per adeguati aumenti salariali e tumulti contro il carovita e la disoccupazione, da Genova a San Severo.
La prima ribellione partigiana si verificò il 21 agosto 1946, nell'astigiano, non lontano dal territorio che durante la resistenza aveva visto la repubblica partigiana di Alba. Ad innescarla fu la destituzione del capitano della polizia ausiliaria, Carlo Lavagnino, dalla biografia alquanto movimentata, ed in breve si sarebbe allargata in altre località del Piemonte, la regione che aveva conosciuto il più forte movimento partigiano
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Alla fine di ottobre si giunse quindi ad un tentativo di rilancio della precedente sollevazione partigiana che, stavolta, ebbe come teatro il biellese. Attorno al 18 ottobre, su iniziativa del Mrp, un primo consistente gruppo di ex partigiani ed alcune antifasciste si concentrò tra San Martino e San Bononio, frazioni montane del comune di Curino (Vc) contestando ancora una volta l'amnistia Togliatti e l'emarginazione dei combattenti antifascisti, ossia le questioni politiche rimaste irrisolte.
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Altri episodi sarebbero stati nuovamente registrati nel giugno e nell'ottobre del 1947 nelle province di Novara e Biella, con la mobilitazione di centinaia di ex partigiani ed il loro ritorno sui monti.
Tali focolai di rivolta, puntualmente sconfessati dall'Anpi e dal Pci, furono presto isolati dalle forze della repressione statale, mentre la Resistenza veniva condannata a vivere solo nel mito, nonostante la memoria e la volontà di chi l’aveva autenticamente vissuta.
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46 Torino – la sede è aperta ogni giovedì dalle 21 in poi
fai_to@inrete.it
25aprile2009
r_piemonte