pubblicato il 4.09.09
Gli Usa dissero: a Bologna strage di destra ·
4/9/2009 - LE IPOTESI AMERICANE NEI DOCUMENTI DELL'EPOCA
Gli Usa dissero: a Bologna strage di destra
Le prime analisi sull'attentato a firma dell'ambasciatore Usa Gardner "Sono stati i neofascisti, BR e Prima Linea non usano esplosivi così"
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Paura per la presenza di vittime americane, convinzione della pista neofascista e timori per la tenuta del governo Cossiga bersagliato dagli attacchi di Berlinguer e indebolito dalla sfiducia di Craxi: così gli Stati Uniti vivono la strage di Bologna, secondo quanto si evince dalle 74 pagine dattiloscritte di 32 documenti del Dipartimento di Stato, compresi fra il 2 agosto e il 19 settembre 1980, dei quali «La Stampa» ha ottenuto, dopo due anni e due settimane, la declassificazione nel rispetto delle norme sul «Freedom of Information Act».
Tutto ruota attorno alla bomba che esplode alle 10,25 del 2 agosto nella Stazione Centrale di Bologna, causando 85 morti e oltre 200 feriti.
Dopo due ore esatte, un messaggio del Consolato Usa di Firenze firmato «Johnston» informa il Segretario di Stato, Ed Muskie, dell'avvenuta «esplosione alla centrale ferroviaria», precisando: «Non abbiamo informazioni di vittime americane». A Washington però il timore di aver avuto morti c'è e il Consolato, alle 15,25, scrive ancora per fugarlo: «Abbiamo parlato con la questura di Bologna, ci sono solo dieci stranieri feriti, sono tutti tedeschi». Solo 24 ore dopo i diplomatici Usa scoprono che fra i feriti ci sono i connazionali William Stephen Davis e Jeffrey Clay Davis, ma già il 4 agosto l'allarme a Washington rientra, lasciando il posto alle prime analisi sull’attentato. Dalla sede dell'ambasciata Usa in via Veneto è l’ambasciatore Richard Gardner che scrive a Muskie un telegramma di cinque pagine nel quale indica la possibile matrice: «In Italia un attentato dinamitardo terrorista suggerisce una responsabilità di estrema destra».
Gli effetti politici
Due i motivi - «analogie e modus operandi» - perché «per i due soli disastri simili, nel 1969 l'attentato a una banca milanese che uccise 16 persone e nel 1974 l'esplosione del treno Italicus che fece 12 vittime, sono stati identificati responsabili neofascisti». Poi Gardner aggiunge: «Da quanto abbiamo appreso su Brigate Rosse e Prima Linea, queste evitano l'uso di potenti esplosivi perché non li immagazzinano né si addestrano al loro utilizzo». Da qui l'ipotesi avanzata a Washington: «Siamo inclini ad accettare l'ipotesi neofascista». Con l'unico dubbio che «potrebbe essere un attentato orchestrato dall'estero e il leader del Psdi Pietro Longo ipotizza un responsabilità africana, presumibilmente libica». Ciò che più preme spiegare a Gardner, però, sono gli effetti politici della strage di Bologna: «Il presidente Pertini, il primo ministro Cossiga, il leader del Psi Craxi e il ministro degli Interni Rognoni sono fra i primi a essere andati a Bologna, ma fonti del Consolato a Firenze affermano che alcuni dimostranti in loco hanno avuto forti toni contro il governo, urlando contro la sede della Dc e insultando Craxi».
Il telegramma di Carter
Si tratta di proteste che preoccupano Via Veneto, perché «le indagini saranno lente e difficili, mentre i comunisti hanno messo a segno punti preziosi sulla propaganda, enfatizzando la presenza di elementi fascisti nel terrorismo italiano e mettendo sotto pressione il governo». Il timore è che traballi l'esecutivo di Cossiga. «Si aggiunge un'ulteriore preoccupazione a un esecutivo segnato dai problemi» e per il premier «sarà difficile far andar via il sentimento di disperazione e rabbia con cui l'Italia ha reagito alla strage». E' dopo aver letto l'analisi di Gardner che il Segretario di Stato Muskie scrive il telegramma del presidente Jimmy Carter a Sandro Pertini. Arriva a Roma alle 23,25 del 4 agosto e recita: «A nome del popolo americano Le comunico lo shock e l'orrore che proviamo di fronte alla strage della stazione. Siamo al fianco di tutti gli italiani». L'intento è di rafforzare le istituzioni repubblicane. Ma i timori di svolte pro-Pci restano.
L’indomani, alle 17,09, Gardner torna a scrivere a Washington per avvertire sulle «tensioni politiche in crescendo in Italia». Il discorso di Cossiga al Senato, con l'appello alla coesione nazionale e le accuse ai neofascisti, lasciano dubbioso l'ambasciatore, secondo il quale ciò che più conta è che «il segretario del Pci Berlinguer ha lungamente attaccato il governo accusando Cossiga di lasciare l'Italia senza timone di fronte a terrorismo e crisi economica». Il premier, d'altra parte, è «ovviamente stanco» e «non presenta nuove prove sulla matrice di destra», mostrando così il fianco all'opposizione. «Ciò che Cossiga fa - osserva Gardner - è appellarsi all'unità nazionale, ma se intendeva ammorbidire il Pci non c'è riuscito, perché Berlinguer ha firmato un raro articolo sulla prima pagina dell'Unità, accusando i vertici del governo di inettitudine, favorendo così iniziative sovversive».
L’incontro con Gerardo Bianco
L’opinione americana è che Berlinguer stia mettendo in seria difficoltà Cossiga. Da qui la scelta di Gardner di incontrare Gerardo Bianco, capogruppo della Dc alla Camera, per appurare la tenuta del governo Dc-Psi-Pri, meglio noto come il Cossiga II, insediatosi il 4 aprile 1980. Bianco è inquieto: «Lo preoccupa la pressione del Pci sul governo - si legge nel telegramma del 7 agosto, destinato a Washington - ma ritiene che, problemi a parte, la scelta migliore per la Dc restino i socialisti di Craxi». La debolezza di questo equilibrio però, dice Bianco a Gardner, sta nel fatto che «al Quirinale c'è il socialista Pertini e il Psi collabora col Pci nelle regioni di Piemonte e Lazio» e dunque Craxi potrebbe essere tentato di aprire al Pci. Senza contare che anche la sinistra Dc di Ciriaco De Mita potrebbe fare lo stesso. Se l'incontro avviene con Bianco, è perché si tratta di «un politico di livello che appartiene alla maggioranza "preambolista" della Dc, che preferisce mantenere una relazione con il Psi al fine di escludere il Pci dal governo».
La caduta del Cossiga II
Gardner da Bianco cerca l’assicurazione che gli equilibri politici non cambieranno ma Bianco risponde in maniera diversa: da un lato fa capire che il patto di governo con Craxi tiene «fino a dopo il Congresso socialista di autunno» ma dall'altro non esclude la possibilità che, dopo le amministrative di giugno, la Dc crei qualche giunta regionale con il Pci. E' uno scenario che all'ambasciatore non piace: «Una simile decisione creerebbe delle complicazioni per la nostra politica affermata con la dichiarazione del 12 gennaio 1978, nella quale diciamo di preferire una diminuzione dell'influenza del Pci in Italia». Gardner va anche da Craxi, il 5 agosto, e ottiene l'assicurazione che il Psi «vuole mantenere l’attuale governo». Ma Craxi aggiunge dosi abbondanti di veleno su Cossiga: «L’unico problema di questo governo è che il premier è consumato, fisicamente e psicologicamente, non è un combattente, è troppo sensibile. Gli ho detto di prendersi almeno tre settimane di vacanze». Al tempo stesso Craxi picchia duro sul Pci «diviso come non mai, perché i leader pro-sovietici Armando Cossutta e Giancarlo Pajetta ritengono controproducenti le posizioni dure anti-governo prese da Berlinguer». Nel complesso Craxi rassicura Gardner ma, prima che l'incontro finisca, lo sorprende con il giudizio sprezzante sugli attentatori di Bologna: «Se hanno voluto commemorare l’Italicus hanno davvero esagerato e comunque questi terroristi hanno scelto il momento sbagliato per agire, non si rovescia un governo alla vigilia di Ferragosto».
Passano pochi giorni e le rassicurazioni di Craxi e Bianco svaniscono perché - come si legge nel telegramma inviato alle 13,19 dell'11 agosto - «l’ambasciata nota segnali di crescente scontento fra la popolazione italiana nei confronti del governo mentre i comunisti stanno sfruttato la situazione con una campagna in grande stile sull'incapacità del governo a prevenire i disastri». I funerali di Bologna rafforzano questa impressione perché «la folla in gran parte comunista ha plaudito al sindaco del Pci Zangheri contestando Cossiga, Craxi e altri ministri del governo». Il giorno di Ferragosto il telegramma da Via Veneto a Washington è firmato «Paganelli» e lamenta il fatto che la strage di Bologna, assieme all'«episodio Cossiga Donat-Cattin e al caso Merlino ha bloccato le manovre economiche del governo e indebolito i legami Psi-Dc», sollevando il dubbio «se Cossiga durerà oltre l'autunno». Anche perché il leader che agli americani sembra più in forma resta Berlinguer. Il 17 settembre un telegramma all'attenzione di Muskie descrive il suo discorso di chiusura del Festival dell'Unità come un «duro e pesante attacco al governo» destinato a «causare future tensioni». Come previsto da Gardner, il Cossiga II cadrà con le dimissioni del 28 settembre per lasciare il posto al quadripartito di Arnaldo Forlani.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=43&ID_articolo=1394&ID_sezione=58&sezione=
"Cossiga aveva sottovalutato l'estrema destra"
Il ricordo dei turbolenti mesi che portarono
alla caduta del governo e all'avvento di Forlani
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Francesco Cossiga era molto agitato, emotivo, in quel periodo e alla guida del governo lo sostituì Arnaldo Forlani, assai più calmo, con le caratteristiche del pacificatore». Così l'allora ambasciatore Usa in Italia Richard Gardner (ambasciatore degli Stati Uniti in Italia dal 1977 al 1981, ndr) ricorda i turbolenti mesi seguiti alla strage di Bologna, che portarono alla caduta del Cossiga II.
Ambasciatore, dov’era quando avvenne l'attentato alla stazione di Bologna?
«Quel weekend eravamo ospiti di Letizia Boncompagni nella sua villa vicino a Lucca. C'erano i Fanfani, i Rognoni, i Maccanico e il ministro dell'Industria Bisaglia. Stavamo attorno alla piscina quando qualcuno portò a Rognoni, ministro dell'Interno, la notizia. All'inizio si pensò a un incidente, poi divenne chiaro che si era trattato di esplosivo. Poco dopo un elicottero militare atterrò sul prato della villa per portare Rognoni a Bologna».
Dalle carte declassificate del Dipartimento di Stato emerge un presidente del Consiglio italiano molto debole, vulnerabile. Lei che ricordo ne ha?
«Ci vedemmo l'8 settembre. Cossiga mi disse di non preoccuparmi troppo delle tensioni fra Psi e Dc, erano normali al ritorno delle ferie e il governo sarebbe rimasto in piedi. Invece avvenne il contrario: sul super-decreto la maggioranza andò sotto alla Camera 297 a 298 voti, mancarono i voti di due Dc usciti dall'aula al momento del voto».
Che cosa indebolì Cossiga?
«Molti lo accusavano di aver sottovalutato il terrorismo di destra, concentrandosi solo contro quello di sinistra. Non ho mai avuto prove concrete di questo ma era l'atmosfera di quel momento. Per questo Craxi disse che Cossiga sembrava “consumato”, anch’io ebbi questa impressione. Cossiga cadde quando ero a Washington con Bisaglia per una missione energetica che riguardava l'Eni, per ridurre la dipendenza dell'Italia dall'estero».
A sostituire Cossiga arrivò Forlani. In cosa era diverso?
«Forlani era l'opposto di Cossiga. Era calmo, pacato, il riconciliatore che in quel momento serviva all'Italia per garantire continuità e stabilità. Uno dei migliori italianisti del Dipartimento di Stato paragonò Forlani a un giocatore di calcio capace di governare il gioco senza mai esporsi fino a fare gol».
Nelle carte lei fa riferimento alla presa di posizione dell'Amministrazione Carter del 12 gennaio 1978, favorevole a ridurre l'influenza del partito comunista in Italia. Di che cosa si trattava?
«L'11 gennaio andai alla Casa Bianca, incontrai il consiglio per la sicurezza e vidi il presidente Carter. La presa di posizione si era resa necessaria perché “La Repubblica” aveva scritto in più occasioni che l'Amministrazione Carter non si opponeva a un ingresso del Pci nel governo. Il testo fu letto il 12 marzo durante il briefing del portavoce del Dipartimento di Stato. Si esprimeva “preoccupazione”, riferendosi alle recenti e numerose prese di posizione filo-sovietiche del Pci, e si auspicava una “riduzione” dell'influenza del Pci sulla vita politica in Italia, sottolineando comunque che dovevano essere gli italiani e nessun altro a decidere da chi farsi governare. Quest'ultimo concetto riaffermava il “position paper” del marzo precente».
Che cosa c'era in quel «position paper»?
«Ci avevo lavorato con Zbignew Brzezinki, consigliere per la sicurezza, prima di iniziare la mia missione in Italia. Segnava la fine delle politiche precedenti di Nixon e Kissinger. Vi si affermava che l'Italia era uno Stato democratico, che non vi sarebbero più state interferenze o manipolazioni e che non avremmo più finanziato partiti o leader politici italiani. Al tempo stesso si ribadiva che il sostegno dell'America andava a quelle forze politiche che avevano i nostri stessi valori di democrazia e libertà, che non erano quelli del partito comunista».
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