pubblicato il 11.01.10
Strage di Acca Larentia - Servizi segreti ·
pubblicato il 11.01.10
Strage di Acca Larentia - Servizi segreti ·
Strage di Acca Larentia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Acca_Larentia#cite_note-3
Strage di Acca Larentia è la denominazione giornalistica (impropria in quanto non è configurabile il reato di strage) del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma alle 18.20 del 7 gennaio 1978, in cui furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano di via Acca Larenzia, nel popolare quartiere Tuscolano, per un volantinaggio inerente ad un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Gli Amici del Vento. Il terzo venne ucciso qualche ora dopo, durante gli scontri scoppiati con le forze dell'ordine in seguito ad una spontanea manifestazione di protesta organizzata davanti alla stessa sede dagli esponenti missini.
Indice
* 1 Agguato
* 2 Rivendicazione
* 3 Le indagini
* 4 Il primo anniversario
* 5 Il trentesimo anniversario
* 6 Note
* 7 Bibliografia
* 8 Voci correlate
Agguato
Appena usciti dalla sede, cinque giovani militanti di destra furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco di 5 o 6 persone; uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, fu ucciso sul colpo. Vincenzo Segneri, seppur ferito ad un braccio, riuscì a rientrare nella sede del partito, dotata di porta blindata, assieme ad altri due: Maurizio Lupini e Giuseppe D'Audino, rimasti illesi.
L'ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta, liceale diciottenne, pur essendo ferito, tentò di fuggire attraversando la scalinata situata al lato dell'ingresso della sezione ma, seguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena; morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale.
Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell'agguato, una sgomenta folla, composta soprattutto da attivisti missini romani, si radunò sul luogo.
In seguito, per motivi ed in circostanze non chiari, scaturirono dei tafferugli che provocarono l'intervento delle forze dell'ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Le apparecchiature video di giornalisti RAI furono danneggiate. Si dice che tutto fosse cominciato poiché un giornalista, distrattamente (alcuni sostengono l'intenzionalità dell'atto, ma sembra improbabile), avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria.[1]
Per far fronte al tafferuglio creatosi, il Capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori sparò ad altezza d'uomo, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus[2], a cui il cantautore Fabrizio Marzi dedicò nel 1979 la canzone "Giovinezza"; il giovane morì dopo due giorni di agonia.
Alcuni mesi dopo l'accaduto il padre di Ciavatta, portiere di uno stabile in Via Deruta 19, si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.
Rivendicazione
Il raid fu rivendicato alcuni giorni dopo tramite una cassetta audio fatta ritrovare accanto ad una pompa di benzina; la voce contraffatta di un giovane, a nome dei Nuclei Armati di Contropotere territoriale, dichiarò:
« Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell'esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l'ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. »
Le indagini
Per circa 10 anni le indagini non portarono a conclusioni: solo nel 1988 si scoprì che la mitraglietta Skorpion usata nell'azione fu la stessa usata in altri tre omicidi firmati dalle Brigate rosse, ossia quelli dell'economista Ezio Tarantelli, dell'ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffilli.
Furono accusati degli ex militanti di Lotta Continua: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce.
Quest'ultima riuscì a non farsi catturare, rimanendo latitante, mentre Scrocca fu arrestato e si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici.
Gli altri tre imputati, pur essendo arrestati, furono assolti in primo grado per insufficienza di prove.
Va sottolineato come l'arma impiegata nel 1978 rispunti fuori ben 7 anni più tardi (omicidio Tarantelli, 27 marzo 1985), per venire poi usata per uccidere Lando Conti (10 febbraio 1986) e Ruffilli (16 aprile 1988). Non viene quindi utilizzata negli anni in cui è più forte il terrorismo delle BR: il 1978 è l'anno del rapimento Moro, ma l'arma rispunta fuori a metà degli anni '80 nel periodo delle BR di Senzani,
[...di Senzani, quelle ampiamente infiltrate dalla camorra e guidate dai servizi segreti; l'agguato di Acca Larentia ha delle modalità che richiamano fortemente l'agguato camorristico, come anche quelle del senatore Ruffilli[senza fonte], [questo frammento, comprensibilmente, su W. non e' presente mentre compare nell'articolo da altre fonti (n.d.a.)] ]
omicidio che Giorgio Galli, uno dei massimi esperti di lotta armata, vede come un chiaro messaggio della mafia al presidente del consiglio Giulio Andreotti e al suo ministro dell'interno Antonio Gava.[3]
Altri elementi inducono a dubitare circa una responsabilità delle Brigate Rosse. L'inaudita reazione delle forze dell'ordine nell'ambito dei successivi tumulti, con Recchioni che viene ucciso dal capitano Sivori che spara volontariamente ad altezza d'uomo davanti agli occhi di molti. La "copertura" di Cossiga al suddetto capitano Sivori, che non subisce di fatto conseguenze venendo condannato solo per "eccesso colposo di legittima difesa" (Cossiga dichiarerà anni dopo di averlo coperto e di essere finito conseguentemente nel mirino dei NAR). Il fatto stesso che la sigla che rivendica un attentato così efferato scompaia nel nulla rivela una prassi assolutamente diversa da quella brigatista; gli accusati, oltretutto, non si dichiareranno prigionieri politici, a differenza di quanto facevano generalmente i terroristi "rossi".
Ancora dubbio deve sicuramente ritenersi, considerati i precedenti nella "lotta al terrorismo" europea, il suicidio di Scrocca, che sarebbe stato assolto dal processo come gli altri accusati.
E' opportuno rilevare, complessivamente, come l'agguato di Acca Larentia abbia generato un'ulteriore recrudescenza nelle tensioni tra gli opposti estremismi e contribuito al mantenimento di quello stato di tensione che per molti anni ha accompagnato la storia della prima repubblica: legittimo, dunque, il dubbio che l'agguato sia stato "commissionato" ad elementi esterni al terrorismo politico, proprio con questa finalità.[4]
Il primo anniversario
La vicenda ebbe un ulteriore strascico in occasione delle manifestazioni del primo anniversario. Il 10 gennaio 1979, infatti, scoppiarono di nuovo dei tumulti durante i quali l'agente di polizia in borghese Alessio Speranza sparò al diciassettenne Alberto Giaquinto, uccidendolo: successivamente l'agente fu prosciolto dall'accusa di omicidio.
Il trentesimo anniversario
Il 7 gennaio 2008, come da tradizione, si è tenuta la fiaccolata in onore delle vittime della strage che da piazza San Giovanni attraversa la via Tuscolana fino al luogo della sparatoria, dove si ricordano i nomi dei tre ragazzi uccisi e si onora la memoria dei militanti di destra uccisi negli anni di piombo.
Dopo "30 anni di ingiustizia" (è l'espressione usate sui manifesti affissi nella capitale per pubblicizzare l'evento), il sindaco di Roma Walter Veltroni ha deciso di intitolare una strada romana alle tre vittime della strage, così come in passato per il trentennale del rogo di Primavalle era stato deciso di intitolare una strada ai due ragazzi uccisi.
1. ^ [1]
2. ^ Janus era il nome di una storica band romana. Un gruppo di musica alternativa di destra fondato nel 1976 da militanti della Sezione Colle Oppio del M.S.I.
3. ^ Giorgio Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
4. ^ Giorgio Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
in un intervento di qualche giorno fa, Gabriele Adinolfi [1] su un forum di estrema destra titola "Prove generali di nuove Acca Larentia" e inserisce questa frase:
"Che ci siano dei parassiti sanguinari che sperano nella riedizione, sia pure a dimensione assai ridotta, della spirale della strategia della tensione è altrettanto evidente. Troppi controllori di strutture desuete, legate ai servizi segreti, rischiano il posto nella ristrutturazione europea, troppi politicanti senza bacino elettorale temono il pensionamento."
[1]
http://it.wikipedia.org/wiki/Gabriele_Adinolfi
Acca Larentia, un viaggio nel cuore nero della Capitale
Rossella Anitori e Laura Carrera
PRESENTE E PASSATO. A 32 anni dall'eccidio, il dibattito è ancora aperto. Responsabilità, appartenenza ed elaborazione. Generazioni e generi a confronto. Giovani militanti, nostalgici dell'Msi e nuove leve della politica extra parlamentare insieme per commemorare le loro vittime
«Attenti!», un tacco si allinea all'altro, all'unisono. «Camerata Franco Bigonzetti». Una voce rompe il silenzio. «Presente!», risponde la folla tenendo il braccio destro alzato a mo' di saluto romano. «Camerata Francesco Ciavatta». «Presente!», ripete la massa stretta nel piazzale antistante la sede che fu dell'Msi. «Camerata Stefano Recchioni». «Presente!», urlano in tanti. E poi: «Riposo!». Le righe si rompono e l'adunanza si scioglie in un applauso. Sono lì, giovani militanti e simpatizzanti dell'estrema destra, anziani nostalgici dell'Msi e nuove leve di una politica extraparlamentare. Ragazzi con la testa rasata e il doppio petto, alti e fieri delle loro bandiere, delle loro spillette.
Si respira un orgoglio di tempi che furono. Sono le 19, quaranta minuti e trent'anni prima, due ragazzi poco più che adolescenti vengono raggiunti dal fuoco di una Skorpion all'uscita della sezione in via Acca Larenzia 28, dove militavano nel Fronte della Gioventù. Poche ore più tardi, durante i disordini scoppiati dopo l'omicidio, un altro ragazzo perde la vita. Questa volta per mano di un ufficiale dell'Arma dei carabinieri, Edoardo Sivori. Giorni dopo il raid viene rivendicato dal gruppo eversivo Nuclei armati per il contropotere territoriale. Una sigla che poi scompare nel nulla. Dell'agguato vengono accusati alcuni ex militanti di Lotta continua, assolti in primo grado per insufficienza di prove. I responsabili del pluriomicidio rimangono a oggi ancora ignoti. Sivori, che spara volontariamente ad altezza uomo, non subisce di fatto alcuna conseguenza venendo condannato per 'eccesso colposo di legittima difesa'.
Sono trascorsi trent'anni da quel 1978. Un periodo passato alla storia come un susseguirsi di eventi spietati e cruenti. Qualche settimana dopo i fatti di Acca Larentia è ancora sangue. Giusva Fioravanti, esponente dei Nar, gruppo terroristico d'ispirazione neofascista legato a Ordine nuovo, si macchia dell'omicidio di un ragazzo che identifica dall'aspetto come appartenente alla sinistra. Stavolta però lontano da una sede politica. Fioravanti scende dall'auto e fa fuoco: Roberto Scialabba, 24 anni, cade a terra ferito, poi un colpo alla testa. L'anno dopo, il 9 gennaio del 1979 una bomba molotov esplode all'ingresso di Radio città aperta. Sono anni neri, che si macchiano del rosso del sangue di chi ha scelto una politica violenta. «Sono morti ingiuste», dice Isabella (nome di fantasia), poco più che ventenne, presente alla commemorazione di Acca Larentia. «Quei ragazzi hanno perso la vita senza una motivazione. Erano giovani e non potevano comprendere a pieno quello che facevano, soprattutto le conseguenze che avrebbe avuto per loro e per le famiglie».
Secondo Isabella sono «vittime» di un sistema sbagliato. «Non sono sicura, e forse farò arrabbiare gli altri, ma non credo che una volta divenuti trentenni questi ragazzi avrebbero continuato a combattere per gli stessi ideali. Quel che è certo è che sono stati uccisi per una lotta che era divenuta più grande di loro». Isabella vive a Roma da pochi anni, è originaria di Benevento, ha un nonno che «ha fatto la guerra» e un padre che ha militato nell'Msi e in Ordine nuovo. «Vengo da questo strato culturale e sono cresciuta con questa educazione ma non condivido la politica del partito, tanto meno il teatrino elettorale del Pdl che stamattina è venuto qui fuori. Quei ragazzi non sono morti per quello che loro vogliono farci credere». E' indignata, perché la politica «strumentalizzava e strumentalizza» giovani leve mettendo a repentaglio la loro vita, «mandandoli al massacro senza informarli sui reali pericoli. Se fossi nata in quegli anni - aggiunge - probabilmente anch'io sarei stata con loro a combattere avendo alle spalle politici che mi tenevano al guinzaglio».
Teodoro Bontempo, presidente de La destra e allora militante missino, raccolto davanti alla fiaccola che illumina il luogo in cui perse la vita Stefano Recchioni, ricorda però che «nessun giovane militante prima di allora aveva mai perso la vita in uno scontro a fuoco. E' una cosa che non è mai stata scritta - dice -. Sono stati ammazzati a freddo, con chilleraggio premeditato. Volevano uccidere in loro 'la'idea che portavano nei loro cuori. Essere qui, dunque, vuol dire ricongiungersi idealmente non solo a quei ragazzi ma alla storia dell'Msi».
Le note di O fortuna, poema dei Carmina Burana, accompagnano i saluti tra camerati, Isabella si guarda intorno: «Molti di quelli che sono qui conoscevano direttamente le vittime o le loro famiglie, altri invece vengono solo per sfogarsi, perché sono repressi a casa, perché nessuno li chiama più fascisti. E si riappropriano della loro identità facendo il saluto romano. Quello che mi accomuna a loro è solo il termine camerata, l'atteggiamento con cui affrontiamo questa realtà ci differenzia. Io vedo tanta gente con le celtiche al collo, ma la celtica non è un simbolo, è un impegno. Devi perdere qualcosa se vuoi credere in quest'ideale. E' una trasgressione che va pagata anche con il carcere, con la morte. E non me ne vergogno».
Isabella è giovane, nel '78 non era ancora nata, e il suo è lo sguardo di una ragazza che ha conosciuti quegli anni solo attraverso i libri e i racconti di chi li ha vissuti. Al contrario, Rosalba Valori ne è una testimone. Negli Anni di piombo ha militato nell'Msi, poi in Alleanza nazionale e oggi con La destra di Storace, partito che appoggia l'attuale candidata del Pdl, Renata Polverini alla Regione Lazio. «A quel tempo eravamo coscienti. Per quanto giovani eravamo più maturi dei ragazzi di oggi, consapevoli che potevamo morire per un'idea. La loro, però, rimane una perdita immotivata, simbolo di un disprezzo per la vita». L'avvocato Valori a distanza di tempo continua a mantenere i contatti con la mamma di Francesco Ciavatta, rimasta sola dopo il suicidio del marito in seguito alla scomparsa prematura del figlio. «Questi ragazzi sono sempre vivi tra noi. Crediamo nel valore della fiamma. Una fiamma che è vita, passione e sofferenza, una fiamma che si alimenta di storie come questa. è il nostro simbolo politico, un simbolo che chi è stato negli ultimi tempi presidente di Alleanza nazionale ha tentato in tutti i modi di soffocare - precisa -. Il termine fascismo viene spesso utilizzato impropriamente - dice l'attuale dirigente nazionale de La destra -. Io non mi sono mai ritenuta tale, mussoliniana sì però. Non sono una nostalgica, ma non c'è futuro senza passato, il Codice Rocco, ancora oggi in vigore, ne è l'esempio più evidente».
«Ho attraversato anche periodi tragici nella mia vita, ma ho sempre trovato la forza di reagire. Volere è potere. Il mio interesse attuale è lasciare un'Italia migliore ai miei figli. E per questo combatterò finché Dio me ne darà la forza».
La richiesta che lo Stato italiano trovi il coraggio di fare dei morti di Acca Larenzia un esempio per tutti viene da Adriano Tilgher, responsabile del dipartimento Programma de La destra, in gioventù consigliere del Fuan, nonché fondatore di Avanguardia nazionale, gruppo extraparlamentare disciolto nel 1976, anno in cui Tilgher fu condannato per tentata ricostituzione del partito fascista. «La violenza come strumento di lotta politica è assolutamente da criticare. Come mezzo di difesa dei propri diritti diventa una necessità. Uccidere non ha senso. Quei ragazzi avrebbero avuto cinquant'anni oggi. Una vita stroncata per cosa? E soprattutto, da chi? Chi ha armato quelle mani? Chi ha fomentato la strategia degli opposti estremismi?». Cala la notte su Acca Larentia, il quartiere è tappezzato di manifesti neri. 'Una promessa di vittoria. Presente!'. Lo slogan ricorda una minaccia da anni di piombo.
http://www.terranews.it/news/2010/01/acca-larentia-un-viaggio-nel-cuore-nero-della-capitale
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