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Il Progetto

MAPPA GEOGRAFICA AGGRESSIONI FASCISTE

AGGRESSIONI RAZZISTE - CRIMINI DELL'ODIO
12.12.24 Padova Spedizioni punitive anti gay: sgominata banda di giovanissimi
12.12.24 Castel Volturno, fermati 4 minorenni per il tentato omicidio di un coetaneo
7.07.24 La denuncia dell’artista di strada Clown Idà: “Botte e insulti razzisti fuori da un locale a Torino. Mi dicevano ‘torna al tuo Paese'”
2.02.24 Bastonate e insulti omofobi al Gay Center di Roma in zona Testaccio: video del blitz ripreso dalle telecamere
31.08.22 La violenza che ci sommerge: Noi sappiamo
16.11.21 Mirko minacciato davanti alla gay street da 4 ragazzi armati: “Fr*** di mer**, ti tagliamo la gola”
2.11.21 Ferrara, aggressione omofoba contro un gruppo di giovani Lgbt. "Mussolini vi brucerebbe tutti"
16.08.21 Aggressione omofoba ad Anzio, 22enne preso a pugni mentre passeggia insieme al fidanzato
11.06.21 Torino, 13enne picchiata per la borsa arcobaleno: “Mi urlavano cagna e lesbica schifosa”
30.05.21 Palermo, due ragazzi gay aggrediti con lancio di bottiglie. Uno ha il naso fratturato
29.04.21 Foggia, sparano da un fuoristrada in corsa contro un gruppo di migranti: ferito al volto un 30enne del Mali
21.03.21 “Gravissima violenza a San Berillo: lavoratrici del sesso massacrate dalla polizia”


manifestazioni MANIFESTAZIONI E INIZIATIVE ANTIFASCISTE
Le mille strade del rugby popolare
- Lo scrittore Giorgio Franzaroli restituisce il premio Acqui Edito&Inedito: “Non voglio essere accomunato a un autore neofascista”
- A Milano i cortei contrapposti contro la guerra: da una parte i neofascisti, dall'altra il movimento antirazzista
- Apre nuovo spazio di Casapound, corteo di Firenze Antifascista
- La Sapienza, dopo le cariche occupata la facoltà di Scienze politiche
- Tensioni alla Sapienza per il convegno con FdI e Capezzone: scontri tra polizia e studenti
- Il nuovo movimento degli ex di Forza Nuova a un anno dall’assalto alla Cgil
- Bologna, femministe contro patrioti alla manifestazione "a difesa delle donne": insulti e tensioni
- Bologna Non Una Di Meno torna in piazza e dilaga: “Risale la marea!”
- Elezioni, contestatori al comizio di Giorgia Meloni a Trento: cantano “Bella ciao” e urlano “siamo tutti antifascisti”
- L’Anpi torna a chiedere lo scioglimento di Casapound alla vigilia dell’inaugurazione della nuove sede di Latina
- No alla manifestazione fascista di Casapound il 28 maggio prossimo. Lettera aperta al Prefetto di Roma

ARCHIVIO COMPLETO

ARCHIVIO REGIONI

documentazione Documenti e Approfondimenti
5.12.24 Presi i neonazisti di Telegram: «Pensavano di colpire Meloni»
14.11.24 Bologna 9 novembre 24: Comporre l’antifascismo, agirlo nel presente
13.09.24 Breve storia di Meridiano Zero: quando il ministro Giuli era fascista
6.09.24 La testimonianza di Samuele, ex militante 19enne Il pentito di CasaPound
25.07.24 Ignazio Benito LaRussa Nero per Sempre
23.07.24 Inni al Duce, la paura dei residenti di via Cellini.
23.07.24 È la «Torino nera» quella che sabato sera si è scagliata contro il giornalista de La Stampa Andrea Joly
13.07.24 Dentro la Verona “nera”, i tre episodi che hanno segnato la cronaca della città e messo nel mirino i sostenitori di Casapound
10.05.24 "La ragazza di Gladio" Le stragi nere? Misteriose ma non troppo.
2.03.24 Faida tra neofascisti per il controllo della Curva Nord dell'Inter
2.06.23 Difendere l'Europa bianca: CasaPound in Ucraina
26.05.23 La “Legione per la Libertà della Russia” e l’offensiva di Belgorod
16.03.23 Dax, 20 anni fa l’omicidio. Parla l’avvocato che difese la famiglia
13.03.23 «Saluti romani, odio e camerati: i miei sei mesi da infiltrato nelle cellule neofasciste del Nord»
3.03.23 Gruppo armato anti-Putin penetrato nel confine russo con l'Ucraina - Tra loro il neonazista Denis "White Rex" Nikitin
30.01.23 Il neofascista Roberto Fiore smentito dall’Interpol: “Viveva con Gilberto Cavallini”
25.01.23 L’ex camerata in affari con Fratelli d’Italia e le bastonate ai carabinieri
9.12.22 La nuova ultradestra
18.11.22 Quel filo che dall’Ordine di Hagal arriva a CasaPound
19.10.22 Giorgia Meloni firma la Carta di Madrid di Vox
7.10.22 GRUPPI NEONAZISTI USA
16.09.22 L’Europa nuovamente alle prese con l’avanzata dell’estrema destra
15.09.22 Ultradestra, la galassia nera torinese messa in crisi dall’ascesa di Meloni
10.09.22 Sette decenni di collaborazione nazista: Il piccolo sporco segreto dell'America in Ucraina
28.08.22 Inchiesta su M. 2/3

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Informazione Antifascista 1923
Gennaio-Febbraio - a cura di Giacomo Matteotti ·


pubblicato il 6.01.20
La persistenza della cultura fascista si manifesta nel comportamento della polizia
·
3 Gennaio 2020

Umberto Eco, in un piccolo saggio intitolato Il fascismo eterno, dedicato alla cultura che al fascismo sopravvive sotto “abiti civili” e “spoglie innocenti”, scriveva: “Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’. Ahimé, la vita non è così facile”. Parlare di “ritorno del fascismo”, infatti, resta tuttora un’arma spuntata, un’idea esagerata se col termine “fascismo” ci si limita al regime terminato nel 1943. Ma il fascismo non fu solo un regime storicamente definito. Il fascismo è anche e soprattutto un’ideologia – che evidentemente non è morta – e come tale si è costruita su un certo tipo di cultura. Ultimamente si è parlato spesso di fascismo. La retorica demagogica del populismo, il suo infarcirsi di un’idea di italianità astratta e usata come feticcio contro le “invasioni”, la crescita esponenziale di episodi di razzismo, se non di dichiarato neofascismo, le cene di partito dedicate alla Marcia su Roma con tanto di mascellare Mussolini stampato sul menù, le minacce a Segre perché ebrea: anche agli occhi dei più scettici, senza dover smascherare chissà quale arcano, tutto questo dovrebbe mettere in luce i contorni che la crisi della democrazia rappresentativa sta assumendo in Italia.

Fin dalla nascita dei moderni stati-nazione europei, l’Italia – uno stato nazionale nato tardi e faticosamente, con grandi divisioni interne – ereditò fin da subito un modello di polizia autoritario, volto al mantenimento dell’ordine inteso non tanto come difesa della cittadinanza, ma del sovrano da eventuali moti di ribellione. La prima legge di pubblica sicurezza dello Stato unitario risale al 1865, anno a cui possiamo far risalire anche due aspetti che si rivelarono cruciali nella storia delle nostre forze dell’ordine: da un lato, il largo margine di interpretabilità della nozione di “ordine pubblico” secondo il diritto di polizia; dall’altro, la sua pericolosità alla luce della dipendenza politica dei corpi di polizia, diretti dal ministero dell’Interno. Nonostante la più liberale legge crispina del 1889 puntasse a ridurre questo margine, la nozione di “ordine pubblico” restava poco definita e basata, fin dall’inizio, su norme di decoro e diligenza derivate dalla stessa mentalità borghese su cui il fascismo costruì, qualche decennio dopo, il suo consenso. A richiedere particolare sorveglianza erano figure poco conformi alla “norma” come gli “oziosi”, i “vagabondi”, i “ciceroni”, i “saltimbanchi”, i “ciarlatani”, i “cantanti”, gli “ubriachi” e le “prostitute”, come si legge nel testo di legge sulla polizia a piedi del 1880.

Fu Mussolini a definire per primo, e con estrema precisione, il concetto di “ordine pubblico” in Italia. “L’era delle rappresaglie, delle devastazioni e della violenza è finita”, sbraitava inaugurando il suo principale strumento di repressione. Nel Tulps – il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, del 1931 – la nozione di “ordine pubblico”, prima sporadica e vagamente definita, era ovunque e forniva al Paese, per la prima volta, una dettagliatissima legislazione. È superfluo descrivere a cosa la nozione di “ordine” corrispondesse nel pieno del regime fascista. Si trattava di un concetto interpretato in senso assoluto e “ideale”, alla luce del quale ogni espressione di dissenso poteva esser letta come l’avvisaglia di una guerra civile.

Nonostante la fine del fascismo e nonostante la Liberazione, la riforma della polizia arrivò solo nel 1981. Una pietra d’inciampo molto grossa – forse la più significativa, data l’importanza cruciale del legame tra forze dell’ordine e democrazia – nella transizione italiana dal fascismo alla Repubblica. Soprattutto alla luce della cultura giuridica liberale espressa dalla nostra Costituzione. Una cultura in cui il cittadino è portatore di diritti inviolabili che a lui competono come uomo prima che come cittadino, e che vengono a lui riconosciuti piuttosto che concessi. La Costituzione forniva ampi spunti per una riforma della polizia e di un concetto di “ordine” inteso in senso “materiale” e minimo, unicamente volto all’incolumità e sicurezza dei cittadini. Nonostante questo, però, la legge di polizia restò “fascista” fino al 1981. Benché riformato, il Tulps resta a oggi il nostro testo di legge per la pubblica sicurezza: norme vessatorie introdotte durante il Ventennio sono tutt’oggi in vigore, quella per i numeri identificativi della polizia è una battaglia ancora in corso, e nel 2004 la legge numero 226 inseriva l’aver prestato servizio militare volontario tra i requisiti per l’ingresso in polizia, rimilitarizzando, di fatto, un corpo a ordinamento civile.

Le conseguenze di tutto ciò sono emerse chiaramente nel 2001 coi fatti del G8. La morte di Giuliani, gli slogan fascisti e nazisti nelle caserme di Bolzaneto, la sistematica violazione della legge da parte dei poliziotti, la violenza indiscriminata e ingiustificata sui manifestanti, per tacere della catena di omertà, falsità, manipolazione e distruzione di prove, e ostracismo alle indagini della magistratura. Una descrizione dettagliata di quello che accadde a Genova, completa di sentenze giudiziarie, è consultabile nel libro di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci intitolato L’eclisse della democrazia e pubblicato nel 2011. Per capire che in quella occasione si andò oltre basti pensare alle parole del funzionario di polizia che, la sera della Diaz, chiese ai propri vertici un intervento a fronte della sua incapacità di gestire i poliziotti: “Io i miei uomini non li tengo più”.

“Certo bisogna farne di strada / da una ginnastica d’obbedienza / fino ad un gesto molto più umano / che ti dia il senso della violenza”, cantava De Andrè. Cultura e diritto vanno infatti di pari passo, influenzandosi a vicenda. Decenni di militarizzazione e autoritarismo hanno creato una vera e propria “cultura” nella polizia italiana. Quello della police culture è un aspetto che la ricerca storica e sociologica ha messo a fuoco in diversi Paesi, ed è da qui che bisogna partire per una riforma radicale – e finalmente liberale – della polizia. L’attuale concezione di “ordine” e “sicurezza” resta asfissiante e direttamente mediata da quella stessa mentalità su cui il fascismo costruì il suo consenso, e che sul “disobbediente” costruì un addobbo di stereotipi. Giovane, maschio, comunista, “agitatore sociale”, “mela marcia” da rieducare, il disobbediente è chi devia, per stile di vita o stile di comportamento, da norme di diligenza e decoro che assumono una connotazione morale. È questo che hanno in comune i morti per mano dello Stato degli ultimi vent’anni.

Dopo Carlo Giuliani “lo spaccavetrine”, Federico Aldrovandi “l’invasato violento” che tornava dalla discoteca assuefatto da qualche pasticca, morto sull’asfalto in una pozza di sangue come Giuliani. E poi Riccardo Rasman “il matto”, morto nello stesso identico modo, per finire con la catena di “drogati” che la polizia ha ritenuto giusto educare “a forza di botte”: Aldo Bianzino, arrestato per possesso di cannabis e morto meno di 48 ore dopo in carcere. Giuseppe Uva, che faceva troppo rumore per strada, spingendo i residenti infastiditi – magari anche scandalizzati – a chiamare la polizia. E Stefano Cucchi, naturalmente. Quello che – stando alle parole di Giovanardi prima e Salvini poi – in qualche modo se l’è cercata, perché la droga fa male (peccato che la droga non c’entri nulla con la sua morte). Ma non solo. Una morte all’anno, come mosche, nelle mani delle forze dell’ordine. Ribelli, psichiatrici, deboli, problematici prima che individui portatori di un diritto inalienabile alla vita, mele marce cui raddrizzare la schiena, come voleva Mussolini, che alla pena dava un valore morale, coerentemente con l’idea che il popolo fosse “un minore da educare”, come ha sottolineato lo storico Antonio Gibelli in un saggio del 2005 intitolato Il popolo bambino. Capiamo così tutto il significato dell’epiteto “ragazzo” con cui Giuliani è ricordato, così come i versi del cantautore romano Mannarino dedicati a Cucchi in Scendi giù, canzone premiata nel 2015 da Amnesty International. Cogliamo, infine, la potente citazione nel film del 2018 di Alessio Cremonini, Sulla mia pelle, dedicato alla storia di Stefano Cucchi, in cui la sua morte è modellata su quella di Ettore in Mamma Roma, il famoso film del 1962 di Pier Paolo Pasolini, forse il critico più lucido del fascismo come “fenomeno culturale” prima ancora che politico, e della sua sopravvivenza nella mentalità borghese.

Mamma Roma (1962)

La sinistra istituzionale, di fronte a tutto ciò, continua a tacere. Quello della “polizia fascista”, a oggi, resta solo uno slogan da “spaccavetrine”, e il clima politico attuale sembra fomentare in ogni modo una cultura securitaria e repressiva. Come scrisse Calvino, bisogna “saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. E forse non si tratta di stare da una parte o dall’altra della barricata, quanto di capire quali siano i valori che ci guidano come società civile. Vale allora la pena concludere con le parole di un poliziotto, raccolte in un volume a cura di Franco Fedeli accompagnato da una prefazione di Leonardo Sciascia, comprendente una serie di lettere scritte da agenti della polizia tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Scriveva Armando Fontana da Imperia nel 1980, ai suoi superiori, a proposito dell’uccisione di un giovane ladro: “Le sembra giusto che queste indiscriminate ed incivili esecuzioni, possano verificarsi continuamente in un Paese che vanta di avere la più democratica delle Costituzioni, di ospitare il Papa e di essere al 90 per cento cattolico, quando le forze politiche mostrano la più assoluta indifferenza e totale cinismo […]? I miei colleghi hanno la pistola facile […], sono convinto che basterebbe che […] i nostri superiori dessero, invece delle solite minchionerie sui capelli troppo lunghi, delle camicie sbottonate, delle scarpe poco lucide e del berretto messo male, qualche nozione sull’uso delle armi, su come e quando devono essere impiegate; che sprecassero qualche parola sull’importanza della vita umana, sulle finalità del nostro compito che è quello di tutelare la vita e l’incolumità dei cittadini e di sottoporre questi, se commettono reati, al giudizio dello Stato”.

https://thevision.com/attualita/cultura-fascista-polizia/?fbclid=IwAR3by_cSrPaDvlxAvQ4giRIFxt0nc8O7t9iCw9b7jUxsCFhQZmnNnmCwLRY

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