pubblicato il 13.12.21
8 dicembre 1970 Golpe Borghese ·
Il golpe Borghese (citato anche come golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata, anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) fu un tentato colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 e organizzato da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale,[1][2] in collaborazione con Avanguardia Nazionale. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.
Per evitare l'arresto, Borghese si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974,[3] senza mai più rientrare in Italia benché l'ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura italiana fosse stato revocato nel 1973.[3][4]
Il processo per il tentato golpe, dopo una condanna in primo grado di numerosi congiurati il 14 luglio 1978, vide la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandare tutti gli imputati assolti. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione.[5]
Indice
1 Storia
1.1 Il progetto ed i piani
1.2 La mobilitazione degli insorti
1.3 L'annullamento improvviso e la scoperta
2 Le indagini e i processi
2.1 La prima inchiesta del 1971
2.2 La seconda inchiesta del 1974
2.3 Il processo di primo grado del 1977
2.4 Il giudizio di appello del 1984
2.5 Il giudizio finale della Cassazione nel 1986
3 I soggetti coinvolti
3.1 Il ruolo degli USA
3.2 Il coinvolgimento della P2
3.3 Il ruolo di Cosa Nostra e della 'Ndrangheta
3.4 Le menzioni nel "testamento Borghese"
4 Le ipotesi e le speculazioni successive
5 Nella cultura di massa
6 Note
7 Bibliografia
8 Collegamenti esterni
Storia
Il progetto ed i piani
Borghese, noto anche con il soprannome di principe nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della X Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l'8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana.
Il golpe era stato progettato dal 1969 quando vennero formati gruppi clandestini armati con stretti rapporti con le forze armate italiane. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il piano prevedeva l'occupazione del Ministero dell'Interno, del Ministero della difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento; era previsto anche il rapimento del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l'assassinio di Angelo Vicari, a quel tempo capo della Polizia di Stato; tutto questo sarebbe stato accompagnato da un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi occupati della Rai e il cui testo fu rinvenuto tra gli effetti personali di Borghese:
«Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell'aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all'amore: ITALIA, ITALIA, VIVA L'ITALIA!»
(Testo del proclama[6])
Insieme al proclama, tra le carte di Borghese fu sequestrato anche il futuro programma di governo in cui si confermava una ferma lealtà atlantica e il piano per l'attuazione di un "patto mediterraneo" con Spagna, Portogallo e Grecia (Paesi all'epoca governati da regimi autoritari), l'apertura di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il Sudafrica e la richiesta di ingenti prestiti da parte del Presidente degli Stati Uniti per far fronte alla crisi economica nel paese in cambio dell'invio di truppe italiane nella guerra del Vietnam e nel Sud-Est asiatico.[7]
La mobilitazione degli insorti
Il piano cominciò a essere attuato tra il 7 e l'8 dicembre 1970, con il concentramento a Roma di diverse centinaia di congiurati, con azioni simili in diverse città italiane, tra cui Milano. All'interno del Ministero dell'interno ebbe inizio anche la distribuzione di armi e munizioni ai cospiratori; il generale dell'Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato del Corpo Forestale dello Stato, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti, partito nella notte dalla Scuola Forestale di Cittaducale (Rieti), si appostò non lontano dalle sedi televisive della Rai e un carroarmato fu visto percorrere la via Tiburtina dalla caserma "E. Bianchi" fino alla stazione Termini, dagli abitanti dei quartieri, per poi ripiegare dopo poche ore.
A Milano, invece, si organizzò l'occupazione di Sesto San Giovanni tramite un reparto al comando del colonnello dell'esercito Amos Spiazzi.
L'annullamento improvviso e la scoperta
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando improvvisamente, quella stessa notte, alle ore 01:49, subito dopo aver ricevuto una telefonata da una personalità ancora non accertata, Borghese stesso ne ordinò l'immediato annullamento. Su chi fu l’autore della telefonata ultimativa a Borghese le tesi maggiormente accreditate dagli storici sono due. La prima indica in Licio Gelli l’autore della telefonata: l’avrebbe fatta subito dopo essere uscito dal Quirinale, dopo aver abbandonato il progetto di rapimento del Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. La seconda ritiene che fu il segretario di Giulio Andreotti, Gilberto Bernabei, a bloccare il Golpe per conto dello stesso Andreotti che seguiva da lontano l’evolversi della situazione. Chiunque sia stato, va evidenziato che avevano linee politiche similari e potrebbe anche essere che abbiano agito congiuntamente[8].
Le motivazioni di Borghese per questo improvviso ordine a poche ore dall'attuazione effettiva del piano non sono ancora certe ed esenti da una possibile smentita. Secondo la testimonianza di Amos Spiazzi, il golpe sarebbe stato in realtà fittizio: immediatamente represso dalle forze governative tramite un piano di emergenza chiamato Esigenza Triangolo, sarebbe stato ideato come pretesto per consentire al governo democristiano di emanare leggi speciali.[9] Il tentativo di golpe venne reso noto dal governo italiano tre mesi dopo, il 17 marzo 1971; in quello stesso anno Borghese, destinatario di un ordine di cattura, riparò in esilio in Spagna.[4]
Le indagini e i processi
La prima inchiesta del 1971
I giornali italiani diedero ampio risalto alla vicenda: Paese Sera titolò "Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra". Il 18 marzo 1971 il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l'accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese.[10] Interrogato poco dopo, Spiazzi testimoniò di aver incrociato durante il tragitto sull'autostrada A4 all'altezza di Sesto San Giovanni quella notte numerose autocolonne militari oltre la sua. Secondo quanto dichiarato, il suo spostamento non sarebbe da fraintendersi con una sua particolare importanza rispetto a quella di altri reparti, ma al fatto che lui fu l'unico militare a dare testimonianza pubblica di ciò che avvenne quella notte; a essere mobilitato (similmente al suo reparto) fu l'intero esercito italiano e l'Arma dei Carabinieri, in ogni parte d'Italia.[11]
Nell'inchiesta giudiziaria del 1971, Vito Miceli, Direttore del SID (Servizio Informazioni Difesa), mantenne costantemente un atteggiamento reticente, negando sia la concreta rilevanza dell'azione di Borghese, sia la complicità degli apparati di sicurezza (anche se lui stesso, in un colloquio con il capo di stato maggiore della Difesa, era incorso in un'involontaria confessione della sua ampia conoscenza del piano[12]).[13] Miceli era subentrato nel 1970 a Eugenio Henke che aveva assunto importanti incarichi militari[14]; fino ad allora Miceli aveva diretto il SIOS esercito e, probabilmente, da lunga data aveva sentore del golpe Borghese.[15] Formalmente però ne ebbe notizia dal suo subordinato (Ufficio «D») Gasca Queirazza,[16] che Miceli invitò a non immischiarsi, posto che sarebbe intervenuto personalmente. Ciò che effettivamente avvenne fu che i golpisti, opportunamente messi sull'avviso, poterono desistere dall'occupazione del Viminale senza patirne conseguenze.[17] Le indagini svolte successivamente dal SID furono mantenute strettamente circoscritte all'ambito del servizio, salvo una scarna informativa all'ufficio politico della questura di Roma.[18]
La Procura della Repubblica di Roma dispose l'archiviazione dell'indagine del 1971 per mancanza di prove. Tra il 1971 e il 1974 si tentò di avallare nell'opinione pubblica italiana il convincimento che si fosse trattato dell'"operazione grottesca di un manipolo di vegliardi".[19] Un'inchiesta del 1972, condotta da Gian Adelio Maletti e Antonio Labruna (Ufficio «D» del SID), aveva invece appurato una solida intesa tra Borghese, Miceli e Orlandini, e persino la singolare circostanza che un armatore di Civitavecchia aveva messo a disposizione i propri mercantili per trasportare nelle Isole Lipari le persone catturate dai golpisti.[20] Una parte da protagonista sarebbe stata svolta dal dirigente Selenia Hugh Fenwick,[21] che secondo Orlandini avrebbe funto da ufficiale di collegamento tra Borghese e Nixon, posto che il presidente USA sarebbe stato propenso a sostenere l'azione eversiva in parola.[20][22]
La seconda inchiesta del 1974
L'informativa Labruna-Maletti venne poi trasmessa da Andreotti alla procura della Repubblica di Roma[23] il 15 settembre 1974[24], ma non si trattò di impulso alle indagini, bensì di un tentativo di ostacolare quelle coeve dei giudici di Torino e Padova, effettivamente culminato nell'ordinanza del giudice istruttore capitolino Filippo Fiore,[25] che statuiva — riguardo Miceli — che «non era partecipe delle cose criminose», declassandone l'apporto al rango di mero favoreggiamento.[26][27][28] Vi sono fondati motivi per ritenere intrinsecamente finalizzata al depistaggio l'intera "inchiesta Maletti" sul golpe Borghese: infatti, scaturiva per lo più dalle dichiarazioni di Orlandini, dissimulando invece la conoscenza che il SID — autonomamente e ben prima — aveva su tutta la questione.[29]
La procura della Repubblica di Roma riaprì l'istruttoria il 15 settembre 1974 e spiccò nuovi arresti formulando ulteriori accuse[30] Nel 1975, le conclusioni del procedimento giudiziario saranno sostanzialmente in linea con gli intendimenti del SID.[31] Omettendo, pur nell'evidenza, ogni riferimento ai generosi finanziatori (industriali nazionali e d'oltreoceano), si ottenne di abbandonare al proprio destino (peraltro non particolarmente tragico) gli esecutori materiali dell'operazione.[senza fonte]
Il processo di primo grado del 1977
Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 48 imputati. Remo Orlandini dichiarò che la notte dell'8 dicembre, dopo l'avvio dell'operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine era sconosciuto. Nel 1978 la Corte d'assise di Roma assolse comunque Miceli anche dall'accusa di favoreggiamento, dopo che già era stata accantonata la più grave ipotesi incriminatoria di cospirazione.[32]
Il giudizio di appello del 1984
Il giudizio d'appello per il fallito golpe si concluse in Corte d'Assise, il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione, con la formula "perché il fatto non sussiste"[1][33] persino per gli imputati che avevano ammesso di aver preso parte al noto evento.[34] I giudici disposero l'assoluzione di tutti i 48 imputati dall'accusa di cospirazione politica, aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un «conciliabolo di 4 o 5 sessantenni». La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava per il resto a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Il giudizio finale della Cassazione nel 1986
La Suprema Corte confermò, il 25 marzo 1986, l’assoluzione di tutti gli imputati, compresi, come in secondo grado, i rei confessi[35].
I soggetti coinvolti
Il ruolo degli USA
Sulla base di documenti desecretati negli anni 1990 il tentato colpo di Stato avrebbe avuto appoggi internazionali;[37] l'ambasciatore statunitense a Roma,[38] Graham Martin,[39] il 7 agosto 1970 aveva inviato un rapporto[40] al Dipartimento di Stato su una conversazione intercorsa con un uomo d'affari che si ritiene essere Hugh Hammond Fenwick.[21] Il businessman era stato avvicinato da Adriano Monti, il quale — delineato per sommi capi il progetto del golpe — aveva cercato di sondare l'atteggiamento che l'amministrazione statunitense avrebbe assunto nei confronti degli insorgenti.[41] Monti ha raccontato nella sua opera Il golpe Borghese la concretezza dei propositi di Borghese, nonché sul sostanziale placet degli Stati Uniti.[42] Nei primi mesi del 1970, su istruzioni di Borghese e Orlandini, Monti era volato a Madrid, dove aveva conferito con Otto Skorzeny — un uomo con importanti trascorsi nelle SS-Oberführer, comandante del gruppo speciale Oranienburg dell'Amt VI dell'RSHA dall'aprile 1943; comandante di divisione sull'Oder, gennaio 1943; nel 1947 fu assolto dall'accusa di "condotta criminosa" in relazione alla offensiva delle Ardenne[43] che poi era divenuto una pedina di primo piano della "rete Gehlen".[44][45]
Skorzeny, ben introdotto presso la CIA,[46][47] dichiarò che gli USA non avrebbero obiettato sull'ipotesi golpista, purché l'instauranda giunta militare avesse espresso prontamente una leadership "centro-democratica", conforme ai gusti dell'opinione pubblica e del Congresso statunitensi.[48]
Dopo questo colloquio preliminare Monti — per il tramite di Fenwick[49] — avrebbe ottenuto un incontro con Herbert Klein,[50] all'epoca collaboratore di Kissinger, che dettò le condizioni alle quali il governo USA non avrebbe contrastato l'azione eversiva:[51]
dovevano rimanervi estranei civili e militari americani dislocati in basi NATO;[52]
dovevano invece prendervi parte tutte e tre le forze armate dell'epoca, con espressa menzione dell'Arma dei Carabinieri;[53]
arrivato a buon fine il colpo di Stato, il potere provvisorio doveva essere assunto da un politico DC, che riscuotesse il gradimento americano e si prodigasse a organizzare nuove elezioni politiche entro un anno;
tali elezioni, pur essendo in linea di principio "libere", non avrebbero contemplato liste comuniste, né di estrema sinistra, escludendo anche formazioni di analogo orientamento, ancorché "sotto mentite spoglie".[54]
Nel 1971, dopo che la trama Borghese era stata oggetto di un articolo di Paese Sera, Martin scrisse nuovamente al Dipartimento di Stato, sposando la tesi del "golpe dei pensionati".[55][56][57]
Il ruolo di Adriano Monti fu invece quello di fare da "mediatore" per accertare il gradimento o meno del golpe in ambienti esteri. Nel 2004 si è scoperto infatti che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti d'America; Monti era in collegamento con l'ambasciata americana attraverso Fenwick, il quale, subito dopo l'arresto di Monti, fuggì negli USA con un aereo appositamente predisposto. Monti, inoltre, si recò a Madrid per incontrare il tedesco Otto Skorzeny, amico di Borghese, che aveva preso parte alla liberazione di Mussolini il 12 settembre 1943. L'incontro fu necessario per confermare l'"avallo" statunitense al golpe, che fu dato, a condizione però che fosse assicurato il coinvolgimento di un personaggio politico italiano "di garanzia". Il nome indicato fu quello di Giulio Andreotti, che sarebbe dovuto diventare una sorta di presidente "in pectore" del governo post-golpe. Monti tuttavia non seppe se Andreotti fosse al corrente dell'indicazione statunitense. Venne accertato che la colonna delle guardie forestali, comandata dal maggiore Berti, da Rieti si diresse verso Roma, arrestandosi sulla via Olimpica. Questa marcia venne in seguito giustificata come «una coincidenza».
Nella relazione dell'ambasciatore Martin, si ricordava come il dibattito interno al Dipartimento di Stato sull'opportunità di sovvertire l'assetto politico italiano durasse da molto tempo, ma l'affaire Borghese aveva recentemente conferito drammatica attualità a quella che poteva parere una pura esercitazione speculativa di analisti. In particolare, Miceli (direttore SIOS pro tempore) aveva incontrato l'addetto militare[58] presso l'ambasciata americana, James Clavio, sottoponendo a questo consigliere diplomatico il nastro di una registrazione in cui un presunto uomo politico italiano (ignoto) faceva oscuramente riferimento a un "colpo militare" che poteva svolgersi "intorno a ferragosto". Questa discutibile prova era asseverata dal fatto che — a detta di Miceli — vari ufficiali italiani avrebbero ricevuto lettere, esortanti all'insurrezione; una successiva indagine del Miceli stesso avrebbe individuato Borghese quale autore delle missive.[59]
Il Segretario di Stato USA del tempo, William Rogers, replicò a Martin manifestando dubbi sulle probabilità di riuscita del complotto, ma anche commentando parti del dossier Martin tuttora non esaminabili.[60] Il Segretario di Stato concludeva chiedendo al diplomatico se fosse il caso di avvisare Saragat o il premier[61] Colombo.[56]
L'ambasciatore faceva seguito a stretto giro, riferendo al suo superiore[62] di aver invitato l'ammiraglio Henke ad approfondire le sue conoscenze su Borghese e sul Fronte Nazionale.[63] Henke aveva prontamente interessato il Capo dello stato maggiore Difesa, Enzo Marchesi, e il ministro della difesa in carica, Tanassi: poiché quest'ultimo era vicinissimo al suo compagno di partito (PSDI) Saragat, Rogers riteneva superflua ogni ulteriore iniziativa in proposito.[64]
Risulterebbe quindi la conoscenza da parte del governo USA delle intenzioni del principe Junio Valerio, mentre permangono dubbi sul livello di partecipazione. Un rapporto dei servizi segreti italiani, allegato ai lavori della commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, afferma che i golpisti erano in contatto con membri della NATO, tanto che quattro navi NATO erano in allerta a Malta.[65] In una puntata della trasmissione RAI La Storia siamo noi del 2005, Monti dichiarò che il democristiano designato al descritto ruolo di traghettatore era Andreotti, pur precisando di ignorare se questi fosse informato e/o favorevole riguardo a un simile disegno.[66]
Il coinvolgimento della P2
È stato inoltre accertato che nel dicembre 1970 Licio Gelli e la loggia massonica P2 siano stati coinvolti nel tentato colpo di Stato, secondo quanto riportati in un dossier del servizio informazioni difesa redatto dal generale Gianadelio Maletti e dal colonnello Sandro Romagnoli e consegnato da Giulio Andreotti nel 1974 alla Procura della Repubblica di Roma.
In esso erano descritti il piano e gli obiettivi del golpe, portando alla luce nuove informazioni.[67] Interrogato dalla magistratura, Andreotti dichiarò che ritenne di dover tagliare quelle parti del dossier per non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali» per il processo in corso e, anzi, avrebbero potuto risultare «inutilmente nocive» per i personaggi ivi citati poiché non c'erano prove certe,[67] ma fu accertato che tra i nominativi espunti figuravano quelli di Giovanni Torrisi, successivamente Capo di stato maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981, e i nomi e la compartecipazione della P2 e di Licio Gelli, che si sarebbe dovuto occupare del rapimento dell'allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.[68]
Tuttavia nel 1991 il giudice Guido Salvini acquisì dall'ex capitano Antonio Labruna (che lavorava per il Reparto D del SID) alcune registrazioni di interrogatori effettuati nel 1974 dal colonnello Romagnoli nei confronti di Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti (esponenti del Fronte Nazionale di Borghese), nelle quali si parlava di personaggi coinvolti nel golpe e non citati nel rapporto del SID[69]: si faceva il nome di Giovanni Torrisi, successivamente capo di stato maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981[67]; inoltre venivano fatti riferimenti a Licio Gelli, che si doveva occupare del rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.[67]
Il ruolo di Cosa Nostra e della 'Ndrangheta
Secondo quanto riportato negli interrogatori del 1974 Nicoli e Degli Innocenti facevano rivelazioni sulla presenza a Roma, la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, di alcuni esponenti siciliani di cosa nostra che avevano il compito di uccidere Vicari.[67][69] Il coinvolgimento dell'organizzazione mafiosa venne confermato nel decennio successivo dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Antonino Calderone[69][70], i quali rievocarono la vicenda nel corso del processo Andreotti. La loro audizione è stata riassunta in questi termini nella requisitoria dei pubblici ministeri Scarpinato e Lo Forte:
«Il primo a riferire la vicenda di queste trattative (già in data 3 dicembre 1984) è stato Tommaso Buscetta, il quale — anche in questo dibattimento, all'udienza del 9 gennaio 1996 — ha precisato che:
nel 1970 — nello stesso periodo di tempo in cui si svolgevano i campionati mondiali di calcio in Messico — egli si era recato a Catania insieme a Salvatore Greco "ciaschiteddu" (giunto appositamente dal Sud-America, ove soggiornava) per incontrare Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina. Nell'occasione, entrambi avevano preso alloggio in casa di "Pippo" Calderone, il quale frattanto — in una villetta di San Giovanni La Punta — ospitava il latitante Luciano Leggio. Oggetto di questo incontro era la discussione della proposta di partecipazione a un "golpe", avanzata dal principe Borghese; il progetto di "golpe" prevedeva un ruolo attivo degli affiliati all'organizzazione Cosa Nostra, a cui Tommaso Buscetta sarebbe stata affidata la "gestione" del territorio ricompreso nel mandamento di ciascuna famiglia mafiosa, per «calmare e far vedere al popolo siciliano che noi eravamo d'accordo, ognuno per la sua sfera di influenza che avevamo nelle nostre terre»; in contropartita del ruolo attivo di Cosa Nostra, il principe Borghese aveva offerto la revisione di molti processi in corso a carico di esponenti dell'organizzazione criminale, facendo un particolare riferimento al "processo Rimi" (si rammenti che, in quel momento, i due Rimi erano già stati condannati all'ergastolo anche in Appello).
Borghese — in caso di accettazione della proposta di partecipazione al "golpe" da parte del vertice di Cosa Nostra — avrebbe richiesto un elenco di tutti gli uomini d'onore partecipanti alle operazioni golpiste o — in subordine — avrebbe voluto che durante l'insurrezione armata gli uomini d'onore si rendessero riconoscibili agli altri golpisti mediante una fascia di colore verde da portare al braccio;
proprio queste ultime richieste del principe Borghese avevano indotto i partecipanti alla riunione di Catania (Buscetta, Leggio, Giuseppe Calderone, Salvatore Greco) a diffidare della proposta e a esprimere disinteresse; tuttavia, poiché una delle contropartite all'intervento di Cosa Nostra offerte dal principe Borghese riguardava proprio la revisione del "processo Rimi", i convenuti avevano deciso di coinvolgere nella decisione definitiva Gaetano Badalamenti, ben consapevoli di quanto egli avesse a cuore la sorte del cognato Filippo e del di lui padre, già condannati all'ergastolo. Per questo motivo avevano stabilito di incontrare il Badalamenti a Milano, nei cui pressi egli si trovava in soggiorno obbligato; in occasione dell'incontro di Milano — al quale, insieme a Buscetta, avevano partecipato Salvatore Greco "Ciaschiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone — pure Riina aveva apertamente espresso il proprio dissenso. Al termine dell'incontro — nel quale si era convenuto di rifiutare l'offerta — alcuni dei partecipanti, tra cui lo stesso Buscetta, si erano allontanati con una vettura ed erano stati fermati e identificati dalla Polizia, sfuggendo all'arresto perché muniti di documenti falsi (17 giugno 1970); tuttavia, la famiglia Rimi aveva autonomamente continuato a interessarsi del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi — figlio di Vincenzo Rimi, a cui premeva la revisione del processo a carico del padre — era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre del 1970 si erano recati a prendere le armi in una caserma militare di Roma; questo dettaglio era stato riferito al Buscetta da Gaetano Badalamenti; egli aveva saputo, comunque, del fallimento del tentativo insurrezionale, bloccato in extremis perché in quel giorno o in quel periodo c'era una flotta russa nel Mediterraneo e agli americani questo non piaceva. Quindi era stata rimandata a nuova data, senza che poi più si fece, perché la flotta russa era presente nel Mediterraneo.
Solo nel 1995, il magistrato Guido Salvini sosterrà l'esistenza di un apparato eversivo complesso, diffuso sull'intero territorio nazionale, affiancato dalla criminalità organizzata, in cui erano coinvolte personalità come Licio Gelli, il generale Francesco Mereu,[71] — capo di stato maggiore dell'esercito — e l'ammiraglio Giovanni Torrisi — capo del SIOS marina — tutti affiliati alla P2.[72] Torrisi sarebbe stato in contatto con Salvatore Drago, un medico iscritto alla P2 in servizio al Ministero dell'Interno, che godeva di buone conoscenze in ambienti mafiosi.[73]
Le circostanze esposte da Tommaso Buscetta circa la connessione tra il "processo Rimi" e le trattative riguardanti l'eventuale partecipazione di Cosa Nostra al "golpe Borghese", sono state pienamente e analiticamente confermate dal collaboratore di giustizia Antonino Calderone, il quale — all'udienza del 17 settembre 1996 — ha riferito che:
vi erano state varie riunioni tra gli esponenti di vertice di Cosa Nostra per valutare la proposta del principe Valerio Borghese di una partecipazione dell'organizzazione mafiosa al golpe (ci sono state tante riunioni... c'è stato anche il discorso del golpe Borghese, ne hanno parlato... Valerio Borghese voleva parlare con delle persone, esponenti della mafia della Sicilia... ne hanno parlato, ne hanno discusso e poi si è arrivato alla determinazione che qualcuno ci andava a parlare); suo fratello Giuseppe Calderone, all'uopo prescelto dall'organizzazione, si era quindi incontrato a Roma con il principe Borghese; questi voleva conoscere i nomi degli affiliati all'organizzazione, e offriva in cambio la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Leggio (Volevano i nomi... si è chiesto in contropartita che si dovevano fare la revisione dei processi di Rimi e di Luciano Liggio... E questo è stato accordato, dice: noialtri... facciamo la revisione dei processi; però, dopo che ci insediamo, non è che dovete continuare a fare dei reati, perché poi vi arrestiamo noialtri...);
Quello che spingeva fortissimo era Gaetano Badalamenti (Gaetano Badalamenti avrebbe fatto il patto con il diavolo per potere risolvere questo processo di suo cognato e del padre di suo cognato... avrebbe fatto la "qualunque", ha schiacciato tutti i bottoni, voleva risolvere questo processo in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera); ma anche tutta Cosa Nostra si muoveva intorno al processo Rimi; le trattative non avevano avuto esito positivo; e tuttavia Natale Rimi aveva continuato a muoversi, aveva toccato tutte le pedine, si era fatto trasferire a Roma, e aveva avuto un ruolo personale nel fallito golpe.»
(Requisitoria dei pubblici ministeri Lo Forte e Scarpinato)
Anche la 'Ndrangheta avrebbe avuto un ruolo nel golpe: secondo quanto dichiarato nel 1992 dal collaboratore di giustizia Giacomo Lauro nell'estate del 1970 avvenne un incontro a Reggio Calabria tra i capibastone dei De Stefano Paolo e Giorgio e il principe Borghese attraverso l'avvocato Paolo Romeo ('ndranghetista ed esponente di Avanguardia Nazionale) per discutere sul colpo di stato[69]. Secondo la testimonianza dell'ex estremista nero Vincenzo Vinciguerra, l'organizzazione criminale avrebbe messo in azione 4.000 uomini per il colpo di Stato.[69]
Le menzioni nel "testamento Borghese"
Nell'ambito di uno studio di consulenza tecnica commissionato ad Aldo Sabino Giannuli e inviato alla commissione Stragi relativo al procedimento penale sulla strage di Piazza della Loggia e sul Noto Servizio[74] è emerso un documento, attribuito verosimilmente a Borghese, che parla di altri soggetti coinvolti nella vicenda.
Si tratta di uno scritto di natura apologetica, con cui il vecchio comandante della X MAS tenterebbe di allontanare da sé i sospetti di tradimento che vi erano nell'ambiente dell'estrema destra. Il documento, concepito per un uso strettamente privato, era stato rinvenuto in modo quasi casuale dentro a un mobile già di proprietà di Enrico de Boccard, ex-esponente della RSI, giornalista-scrittore, cofondatore dell'Istituto di studi militari Alberto Pollio e organizzatore, a Roma, il 3 maggio del 1965 del Convegno dell'Hotel Parco dei Principi sulla guerra rivoluzionaria, finanziato dallo Stato Maggiore dell'Esercito.
Il "testamento" confermerebbe la tesi dell'apporto fattivo statunitense: James Jesus Angleton si sarebbe adoperato per mettere in contatto Borghese con uomini del Dipartimento di Stato e della NATO. In effetti, quella che Borghese definirebbe "ventennale amicizia" e "vera fraternità" trova riscontro nell'episodio in cui l'americano lo salvò dai partigiani, travestendolo da suo commilitone nel 1945.[75] Il testo contiene inoltre la raccomandazione di affidare subito il governo provvisorio a Giulio Andreotti.
In sintesi secondo quanto presente nel documento il fallimento del golpe sarebbe ascrivibile a una fuga di notizie partita da un ignoto capitano del SIOS, che avrebbe informato il generale Renzo Apollonio, (un sopravvissuto all'eccidio di Cefalonia) che a sua volta ne parlò con il colonnello Giorgio Genovesi, e quest'ultimo ne parlò con Miceli. Ripercorrendo la linea gerarchica (Bernabei e Clavio), alla fine la falla nella segretezza avrebbe indotto Andreotti a impartire il famoso contrordine.
Le ipotesi e le speculazioni successive
Non sono mai state chiarite le motivazioni dell'annullamento da parte di Borghese, tuttavia è stato ipotizzato che l'iniziativa di occultare i nomi di maggior rilievo nelle varie inchieste si debba far risalire ad Andreotti, che al tempo era ministro della Difesa, ma l'interessato ribatté che i vertici politici avevano voluto soltanto proteggere le persone la cui partecipazione al complotto non era assodata.[76] Viene inoltre ritenuta acquisita la cooperazione di parte della massoneria italiana nella conduzione del tentato colpo di Stato,[77] segnatamente con la programmata iniziazione di quattrocento ufficiali.[78] In particolare, emersero i nomi di Gavino Matta[79] e Giovanni Ghinazzi,[80][81] entrambi della "loggia coperta"[82] denominata "comunione di Piazza del Gesù",[83] ed entrambi veterani falangisti della guerra di Spagna, ove oltre Borghese altri congiurati trovarono asilo. Altri congiurati non furono altrettanto fortunati o tempestivi, ma comunque per tutti fu garantito nei fatti un trattamento restrittivo di favore, consistente nella detenzione in agiate cliniche private, a causa di supposte condizioni critiche di salute come ad esempio Sandro Saccucci[17] e Remo Orlandini[84]; quest'ultimo, che aveva da anni rapporti con elementi del SIOS, articolazione dei servizi segreti italiani nell'esercito,[85] ricevette anche, nel luogo ove era trattenuto, la visita di Miceli, che gli promise protezione in cambio del suo silenzio.[86]
È stata suggerita una diretta connessione tra il golpe Borghese e l'attività (mai completamente chiarita) della rete Gladio.[87] Il colpo di Stato in questione sarebbe stato appoggiato anche da Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, ovvero dai vertici mafiosi del tempo.[88] Di "certi passaggi del golpe Borghese, (...) in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana"[89] parlò anche Giovanni Falcone dinanzi alla Commissione antimafia nel 1988[90].
Mentre rimane un mistero se il fallito golpe dell'8 dicembre fosse in realtà solo una specie di prova generale per l'azione effettiva, quello che sembra sicuro è che Borghese rappresentava comunque una pedina di un gioco più grande di lui, che gli sarebbe stato programmaticamente tolto di mano al momento previsto, consentendo l'attuazione di una serie di misure di sicurezza analoghe a quelle teorizzate nel più volte citato Piano Solo.[91] Sempre dalla medesima fonte,[92] apprendiamo del ruolo di istigatore che Guido Giannettini[93] avrebbe svolto presso alcuni quadri dell'Arma affinché aderissero alla congiura. Secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2, fu Licio Gelli a impartire il contrordine ai cospiratori per farli rientrare nei ranghi.[94] Vi sono risultanze processuali dei contatti di Gelli con i servizi e con i carabinieri in vista del colpo di Stato.[92] Quasi trent'anni più tardi è emerso come Gelli fosse stato uno dei primi associati al Fronte Nazionale e che al tempo del golpe Borghese migliaia di ufficiali massoni partecipavano a sodalizi eversivi.[95] Parimenti da fonte processuale sarebbe ipotizzabile che Gelli avesse avuto la missione di catturare il presidente Saragat.[37][96]
Nixon e Andreotti nel 1973 in una pubblica cerimonia
È da ritenere che l'ordine di abbandonare il golpe sia conseguenza di un aspro dibattito, negli ambienti reazionari, tra chi auspicava un'immediata soluzione forte (presa materiale del potere), e chi era fautore di una condotta maggiormente politica dell'affare, sia pure eventualmente con qualche accorgimento non del tutto legale.[20]
In una puntata del programma La storia siamo noi condotta da Giovanni Minoli e trasmessa dalla Rai nel 2010, si è presentata la documentata visione dello stop al golpe come di un ordine proveniente dai servizi americani, che avrebbero dato il loro beneplacito al proseguimento del colpo di mano solo nel caso che al vertice del nuovo assetto politico fosse stato posto Giulio Andreotti il quale avrebbe invece rifiutato. Questa ipotesi, ovviamente, non esclude la precedente, ma piuttosto la integra.[97]
Nella cultura di massa
Una caricatura del tentativo di golpe viene fatta nel 1973 da Mario Monicelli con il suo film Vogliamo i colonnelli, nel quale si prefigura un colpo di Stato da attuare in emulazione dell'omologo fatto greco, e con l'appoggio del servizio segreto greco. Tra i personaggi compare, durante le varie fasi del tentativo un ardito ma fuori dal tempo colonnello reduce della seconda guerra mondiale e un generale dell'aeronautica completamente svanito (nei panni equivalenti al ruolo di Borghese), oltre a un gruppo di congiurati da operetta. Velati richiami al golpe Borghese sono presenti anche nella pellicola d'impronta drammatica La polizia ringrazia di Stefano Vanzina, uscita nel 1972 ed anche nel poliziottesco La polizia accusa: il Servizio Segreto uccide del 1975 diretto da Sergio Martino.
Al golpe Borghese — e ad altri colpi di stato orchestrati ma mai messi in atto in Italia in quegli anni — si allude anche nel film All'onorevole piacciono le donne di Lucio Fulci, del 1972.
Un riferimento al tentativo di golpe è presente nella canzone Scusa Mary di Rino Gaetano.
Nella canzone Sabbiature degli Elio e le Storie Tese, eseguita al concerto del primo maggio del 1991, si fa riferimento alla vicenda.
Note
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Collegamenti esterni
Il golpe Borghese: storia di un'inchiesta realizzata da Marco Marra, da "La storia siamo noi" di Giovanni Minoli - Rai Educational, su lastoriasiamonoi.rai.it (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2010).
Il golpe Borghese, su misteriditalia.it.
https://it.wikipedia.org/wiki/Golpe_Borghese
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